Borsellino, nell’agenda rossa scomparsa gli appunti sul dossier “mafia-appalti”

 

13 Luglio 2022 GLI STATI GENERALI

Leggendo con attenzione l’agenda “grigia” del dottor Paolo Borsellino non si può non notare la precisione degli appunti: spostamenti, luoghi, spese sostenute e altre indicazioni che dimostrano lo sviluppo quotidiano delle giornate di Borsellino, compresi i suoi spostamenti all’estero e in Italia per l’audizione di diversi collaboratori di giustizia.

Con altrettanta precisione, però, si nota che nessuno degli appuntamenti riconducibili al “dossier mafia-appalti” è indicato in agenda. Nella pagina relativa al 25 giugno non c’è alcuna indicazione dell’incontro tra Borsellino e i ROS che si tenne alla Caserma Carini a Palermo così come, in quella relativa al 29 giugno non compare l’indicazione della visita che ricevette, a casa sua, del collega Fabio Salamone, fratello di quel Filippo che compariva già nel rapporto mafia appalti del 1991 e che condannato definitivamente proprio per “mafia-appalti” nel 2008.

Non si può escludere, quindi, che l’agenda “rossa” di Borsellino contenesse, tra l’altro, anche gli appunti relativi al dossier “mafia-appalti” e ai suoi sviluppi. Ma, a questo punto, sorge spontanea la domanda: “cui prodest?”, ossia a chi giovò la scomparsa dalla scena del crimine di via d’Amelio quel terribile 19 luglio 1992 di quell’agenda?

Se, com’è stato oramai dimostrato ampiamente da diverse testimonianze dei suoi colleghi, Borsellino voleva rivitalizzare quel dossier realizzato dal ROS su delega di Giovanni Falcone, conferita nel 1989, avente quale principale obiettivo quello di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”, il ragionevole dubbio che i diretti interessati al dossier avevano un peculiare interesse alla scomparsa dell’agenda di Borsellino il cui contenuto, però, non era pubblico. Chi conosceva il possibile contenuto dell’agenda rossa? I pochi colleghi e i pochi collaboratori che l’avevano visto utilizzarla e che ne avevano contezza.

Di fatto, perché i fatti accertati non si possono negare, parliamo di quel dossier di cui fu chiesta l’archiviazione dai sostituti procuratori Scarpinato e Lo Forte, a quel tempo applicati alla procura a Palermo, che firmarono la richiesta il 13 luglio 1992.

Così com’è un fatto che nella riunione svoltasi il 14 luglio 1992, presente Paolo Borsellino, che aveva all’ordine del giorno proprio gli sviluppi di quell’inchiesta, muovendo proprio dalle accuse rilanciate allora dai media e dalla querelle a distanza con il ROS nessuno comunicò a Borsellino tale richiesta di archiviazione. A tal proposito, la conferma arriva anche dalle audizioni al CSM in cui il dottor Nico Gozzo, dichiarò «Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte… che erano state inviate alla Procura di Marsala… e nella fattispecie al dottore Ingroia… E poi diceva che c’erano nuovi sviluppi… in particolare un pentito… che ultimamente aveva parlato… e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: “ma vedremo”…» e quanto dichiarato dal dottor Luigi Patronaggio«Prima della riunione di martedì 14 luglio 1992… io non avevo cognizione diretta delle divergenze e delle spaccature… mi stupisce ancora di più quando il collega Borsellino chiede addirittura delle spiegazioni, vuole chiarezza su determinati processi… si informa (…) chiede spiegazioni su un procedimento riguardante Siino Angelo ed altri, e capisco che qualche cosa non va (…) In buona sostanza la relazione sul processo Siino fu fatta unicamente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all’interno del processo o che se vi erano nomi di politici di un certo peso entravano per un mero accidente…»

Di fatto era in atto a Palermo una forte frattura fra la Procura della Repubblica e i Carabinieri del ROS, rottura che proseguì sino a trasformarsi in una vera e propria “guerra” il cui punto iniziale di rottura fu proprio il rapporto del ROS sul mercato degli appalti in Sicilia e proprio per questo il 25 giugno Borsellino decide di incontrare in ROS non in procura ma alla Caserma Carini.

Ma c’è un legame tra il depistaggio subito dalle indagini su via D’Amelio e il dossier “mafia-appalti”? Alla luce della sentenza emessa ieri dal tribunale di Caltanissetta, che ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta e assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo e che erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia, il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia ma, di fatto, non ha determinato che il depistaggio – la calunnia – non ci sia stato. Anzi, è più che mai evidente che sia stato costruito, anche attraverso falsi pentiti, un castello di menzogne sull’eccidio costato la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, una falsa ricostruzione dei fatti costata la condanna a sette innocenti che ha consentito ai veri responsabili di restare impuniti e che non ha permesso il raggiungimento della verità. La sentenza definitiva del “Borsellino quater” ci dà, però, uno stralcio della verità indicando il depistaggio sulla strage “il più grande depistaggio mai messo in atto”. Depistaggio quindi c’è stato ma, proprio per le indicazioni contenute nella sentenza, e nell’attesa delle motivazioni, sorge l’analoga domanda già sorta a proposito dell’agenda “rossa”, ossia “cui prodest?”, chi ha avuto interesse a creare il depistaggio costruito sulla base delle deposizioni dello Scarantino, deposizioni scelleratamente avvalorate e rese sentenza dal Borsellino Uno, Bis e Ter? Quali erano gli interessi che dovevano essere tutelati se, come fa capire il dispositivo della sentenza, non sono stati in prima analisi gli interessi della mafia?

Cui prodest?

Sono, per caso, riconducibili a quegli interessi economico-politici su cui avrebbe inciso pesantemente lo sviluppo del dossier “mafia-appalti” e il suo ricongiungimento con le indagini che nello stesso tempo si stavano sviluppando al nord? Sono forse gli stessi interessi che avevano coinvolto, anche in maniera indiretta, chi avrebbe dovuto approfondire e non minimizzare il dossier “mafia-appalti” portandolo così alla sua archiviazione e di chi ha avvalorato il pupo Scarantino? Siamo stanchi da inputare responsabilità ai morti perchè molti degli “attori” di quel nefasto periodo per la giustizia e la verità sono ancora vivi e vegeti e negano costantemente le loro, seppur minori, responsabilità. Diventa più che mai necessario rileggere con attenzione le “carte” che riguardano quel periodo non solo dal ’92 a oggi ma andando dietro nel tempo sino agli inizi di quegli anni ’80 in cui molti equilibri, mafiosi, sociali, politici ed economici si modificano fino a realizzare, verso la fine degli ’80, la prima fluidificazione della mafia oramai parte integrante di un sistema economico-politico che non ha più bisogno di ingraziarsi possibili complici perché diventata parte integrante del sistema. E chi, in quegli anni, se ne accorse e cominciò a opporsi, oggi è stato ucciso o, nella migliore delle ipotesi, delegittimato.