TECNICHE DI INDAGINE in MATERIA di MAFIA

RELAZIONE


Tecniche di indagine in materia di mafia

Così intitolarono Giovanni Falconee Giuliano Turone la loro relazione congiunta presentata a Castel Gandolfo durante l’incontro della Commissione per la riforma giudiziaria e l’amministrazione della giustizia, tenutosi dal 4 al 6 giugno 1982. Pochi giorni prima, il 30 aprile, era stato ucciso a Palermo l’on. Pio La Torre, insieme al compagno di partito Rosario Di Salvo. 

In questa storica relazione, i due magistrati coniarono la famosa espressione criminologica del “Terzo livello” dei reati di mafia. Rientravano in questa categoria tutti quei reati che “miravano a salvaguardare il perpetuarsi del sistema mafioso in genere ([…] si pensi ad esempio all’omicidio di un uomo politico, o di altro rappresentante delle pubbliche istituzioni, considerati pericolosi per l’assetto di potere mafioso)”.

 

Tecniche di indagine in materia di mafia

1. Premessa. Le peculiarità del fenomeno mafioso e della relativa indagine criminale

L’esame delle tecniche investigative più appropriate nelle indagini istruttorie concernenti i cd. processi di mafia non può prescindere da un’analisi del fenomeno mafioso, poiché soltanto da una corretta comprensione del fenomeno possono trarsi i necessari orientamenti circa i fini da perseguire nella ricerca delle prove.

Pertanto, pur costituendo, tale analisi, oggetto specifico di altra relazione, sembra opportuno esporre brevemente alcune considerazioni in proposito; e ciò al fine specifico, e limitato, di individuare il corretto approccio investigativo (e giudiziario) al fenomeno mafioso, attraverso l’individuazione di talune attività criminose tipiche che si presentano più facilmente aggredibili da parte del sistema investigativo statale: si tratta in altri termini, di analizzare la criminalità di tipo mafioso non tanto per darne un’interpretazione sociologica, quanto per scoprire se essa abbia qualche «tallone d’Achille» su cui concentrare più proficuamente gli sforzi investigativi.

Un pericolo insito nei ricorrenti tentativi di definizione del concetto di «mafia» è quello di pervenire alla conclusione paradossale che la mafia, in quanto associazione per delinquere, non esiste. Si è sostenuto, infatti, soprattutto nel passato (ma non mancano quelli che tuttora sostengono tale tesi), che la mafia non sarebbe altro che un «comune sentire», condiviso da larghe fasce delle popolazioni meridionali, fondato su valori in sé non censurabili, quali il coraggio, l’amicizia, la fedeltà, la famiglia, la parentela, le tradizioni locali; e così il mafioso che ispira la sua condotta di vita al rispetto ed anzi al recupero di tali valori tradizionali, assumerebbe, nella perdurante carenza dei pubblici poteri nel Mezzogiorno d’Italia, il ruolo del mediatore più adatto per la soluzione dei conflitti interindividuali.

Tali concetti, talvolta espressi anche da uomini politici e giuristi, sono esposti con straordinaria semplicità ed immediatezza in un manoscritto recentemente sequestrato ad un imputato di associazione per delinquere di tipo mafioso: «La vera mafia è legge di potere per conculcare i più deboli… vogliamo definire quella che i giudici o i governatori definiscono mafia? Non si chiama mafia, si chiama omertà, cioè uomini d’onore, che aiutano e non profittano dei deboli, che fanno sempre del bene e mai del male. Ed è per questo che li vogliono distruggere, così il potere dell’ingiustizia resta nelle mani dei giudici e dei governatori, che si servono della parola mafia usandola come legge di potere sui deboli».

E’ superfluo rilevare che questa è una interpretazione di comodo alquanto rozza del fenomeno, riduttiva e deformante: la mafia, in realtà, costituisce distorsione e strumentalizzazione dei valori tradizionali, mentre la cosiddetta «mediazione» esercitata dal potere mafioso altro non è che intermediazione parassitaria, ispirata a tornaconto personale.

Le organizzazioni mafiose si presentano come vere e proprie strutture economiche e di potere (operanti tra l’altro in connessione con ambienti del potere ufficiale) che si alimentano attraverso il perpetuarsi delle rendite parassitarie, e l’instaurarsi di sistemi extra istituzionali di controllo sociale che si sovrappongono o tendono a sovrapporsi di fatto all’autorità costituita. Ma esse vengono altresì ad assumere sempre più nettamente la caratteristica di associazioni di tipo gangsteristico, nella cui attività rientrano l’eliminazione fisica degli avversari, l’accumulazione originaria e violenta della ricchezza, e comunque numerose condotte sanzionate penalmente.

Bisogna tuttavia riconoscere che la concezione «riduttiva» del fenomeno mafioso ha trovato qualche implicito e parziale riconoscimento anche in sede giudiziaria; si è sostenuto, infatti, in una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che mentre l’unione permanente ed organizzata di più persone a carattere mafioso, che non abbia un preordinato e specifico programma delinquenziale (come avveniva nella vecchia mafia), non costituisce associazione per delinquere, sussistono, invece, gli estremi di tale reato nel caso in cui (come avviene di solito nella nuova mafia) una consorteria mafiosa sia organizzata per commettere una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio o contro la libertà morale oppure la vita e la incolumità individuale (cfr. Cass. Sez. I, 24 gennaio 1977, CONDELLI in Cass. pen. Mass. Ann. 1977, 1094).

Non è molto importante stabilire, ai fini che qui interessano, se e quanto sia fondata la distinzione operata dalla Cassazione, tra mafia tradizionale e cd. “nuova mafia“. Ci sembra invece importante osservare che non è aderente alla realtà, a nostro parere, ipotizzare l’esistenza di un’associazione a carattere mafioso «che non abbia un preordinato e specifico programma delinquenziale»: ed infatti un’associazione mafiosa non sarebbe tale (non avrebbe senso definirla tale) se non avesse alcuna attinenza con il crimine organizzato; a meno che non si volesse accreditare una concezione della mafia analoga a quella contenuta nel manoscritto che si è citato più sopra; oppure a meno che non si volesse sostenere, come minimo, che il fenomeno mafioso è di regola compatibile con le leggi dello Stato, e che esso è contrassegnato da emergenze delittuose solo sporadicamente, eventualmente, e in un certo senso «suo malgrado».

In verità la situazione è ben diversa: le emergenze delittuose (anche prescindendo dagli esempi di accumulazione originaria violenta di ricchezza) sono non già eventuali, ma anzi pressoché necessitate, stanti le incompatibilità esistenti fra l’ordinamento giuridico ufficiale ed il parallelo «ordinamento giuridico» mafioso. In altri termini, se è vero che i gruppi mafiosi, nelle loro attività imprenditoriali parassitarie, preferirebbero operare tranquillamente in una situazione di consenso e di acquiescenza, è anche vero che questa situazione ideale molto spesso non c’è, ed ecco allora che i gruppi mafiosi sono costretti necessariamente a porre in essere condotte delittuose di vario genere: si pensi ad esempio alle varie condotte delittuose, minacce, estorsioni, taglieggiamenti, violenze di ogni tipo che accompagnano sovente le gare di appalto di opere pubbliche in talune regioni d’Italia.

Si deve quindi concludere che la commissione di reati è lo sbocco naturale di qualsiasi associazione mafiosa, e che qualsiasi associazione mafiosa presenta connotazioni criminologiche tali per cui sarà sempre applicabile ai suoi membri la norma penale di cui all’art. 416c.p. sempre che le prove raggiunte siano sufficienti.

Ciò che accade molto spesso è che la prova di tutto ciò non viene raggiunta: ma in questo caso non ha un gran senso dire che ci si trova di fronte ad una «associazione mafiosa» che non costituisce «associazione per delinquere»; ha molto più senso dire, in questo caso, che ci si trova di fronte a un qualcosa di processualmente indistinto su cui gli inquirenti non hanno potuto o saputo far luce a sufficienza.

Queste prime considerazioni ci hanno così portato al problema centrale di ogni processo di mafia: la particolare difficoltà di raccolta delle prove. Infatti le associazioni mafiose, strutturate su vincoli familistici e parentali, governate dalla ferrea legge dell’omertà, fondate su rigide strutture gerarchiche, sono per loro natura impermeabili alle indagini istruttorie.

Non è il caso che ci addentriamo qui nell’analisi sociologica dell’omertà mafiosa e delle sue origini storiche, poiché ciò che conta, in questa sede, sono le conseguenze che dall’omertà si riflettono sul processo penale: essa fa sì che le indagini di tipo tradizionale, e soprattutto la prova storica (interrogatori di imputati ed esami di testimoni), si rivelino largamente insufficienti ad assicurare utili risultati probatori; è infatti illusorio sperare che, se non in casi rarissimi, possano ottenersi contributi nelle indagini da persone che, o sono coinvolte negli illeciti traffici, o temono, ben a ragione, di subire gravissime conseguenze per la propria incolumità fisica, ovvero sono comunque condizionate dallo spirito omertoso che caratterizza gli ambienti mafiosi.

Quando, sulla base di statistiche attendibili, soltanto il 10% circa dell’eroina spedita negli USA viene sequestrata; quando quasi tutti gli omicidi e le estorsioni commessi dalle organizzazioni mafiose rimangono ad opera di ignoti; quando gli Organi Statuali, nonostante ogni sforzo, non riescono a scalfire la cappa di omertà che avvolge, impenetrabile, le vicende delle organizzazioni mafiose; non resta che concludere che i metodi tradizionali sono inadeguatie debbono essere accompagnati e sorretti da più incisive tecniche di indagine.

Di qui la necessità di individuare un corretto e intelligente approccio giudiziario al fenomeno mafioso, che consenta di aggirare i tradizionali ostacoli sul cammino degli inquirenti, e che, privilegiando la prova obiettiva rispetto alla prova storica, consenta di ricostruire mosaici probatori che possano reggere al vaglio del giudizio.

La qualcosa, oltre a soddisfare più adeguatamente la pretesa punitiva dello Stato (troppo spesso umiliata in materia di mafia), avrebbe anche il pregio di rendere disponibili preziosi spaccati del fenomeno mafioso, indispensabili per una migliore conoscenza del medesimo: e ciò in funzione di un auspicabile programma di interventi di ampio respiro sociale e politico, che possano incidere efficacemente Sul tessuto culturale ed economico sottostante.

2. La tentazione del modello improntato al tipo d’autore. Suo superamento, e centralità dell’indagine sui singoli reati-fine

Le difficoltà a volte insormontabili che si trovano di fronte gli inquirenti nella raccolta di prove in materia di mafia hanno portato spesso all’applicazione di tecniche giudiziarie improntate al tipo d’autore specialmente nelle zone d’Italia dove è più radicato il fenomeno mafioso e dove il comportamento omertoso è diffuso in una misura francamente disarmante.

Questo approccio giudiziario al fenomeno mafioso non ha mai dato, in verità, grandi frutti (si pensi ad esempio al processo di Palermo cosiddetto «dei 114», che si è risolto dopo i vari gradi di giudizio con circa un centinaio di assoluzioni per insufficienza di prove, se non addirittura con ampia formula): esso parte da un presupposto criminologicamente corretto (l’identificazione teorica fra associazione mafiosa e associazione per delinquere), dal quale vengono tratte tuttavia conseguenze a nostro giudizio fuorvianti sul piano della raccolta delle prove e dell’indirizzo da dare all’indagine, nel senso che viene ritenuto possibile e preferibile impostare e portare proficuamente a termine processi di mafia per il solo reato di associazione per delinquere, prescindendo dall’accertamento (spesso difficilissimo, nella realtà sociale delle zone di mafia) di singoli specifici episodi criminosi riferibili a taluno o a taluni degli associati.

Il reato mezzo verrebbe ricostruito processualmente, e quindi provato, di per se stesso, in base all’interpretazione di comportamenti tipici della subcultura e della tradizione parassitaria mafiosa, tenendo conto del patrimonio culturale della comunità di origine, e dei risultati delle indagini politico-storico-sociologiche in materia di mafia; si sostiene così che gli indizi del reato di associazione per delinquere possano essere individuati anche in condotte che in processi di altro tipo sarebbero penalmente neutre, ma che assumono un particolare significato in un contesto mafioso.

Questo atteggiamento è stato recepito, ad esempio, dal Tribunale di Reggio Calabria che, all’inizio del 1979, ha condannato 28 degli 8.760 mafiosi rinviati a giudizio, per il solo reato di cui all’art. 416 c.p., dal giudice istruttore di quella città, in base ad un quadro indiziario prevalentemente costituito da un reticolo di comportamenti parassitari tipicamente mafiosi (acquisti di fondi a prezzo vile, monopolizzazione dei trasporti di materiale nella zona del costruendo quinto centro siderurgico, affidamento di lavori ad un’impresa dopo che la gara per l’aggiudicazione era andata deserta, rapidi arricchimenti, ecc.).

Aveva scritto il giudice istruttore: «solo in rarissimi casi è stato possibile acquisire la prova diretta dell’esistenza di un’associazione mafiosa. Sarebbe tuttavia aberrante, proprio per una situazione per sua natura impeditiva di tal genere di prova, rinunziare alla valutazione critica della condotta di vita di determinati personaggi, delle significative situazioni in cui si trovano costantemente coinvolti, e dei rapporti da cui sono continuamente ed alternativamente legati, e ciò nel contesto della situazione ambientale, dell’essenza e delle tipiche esplicazioni dell’istituzione mafiosa…».

E più avanti: «le indagini sono state limitate all’accertamento della concreta rispondenza della qualità di appartenenti ad associazioni mafiose attribuita agli imputati nel rapporto, dei campi di interesse di tali associazioni, dell’ambiente in cui operano, della posizione e dei collegamenti di ciascun personaggio…».

Chi scrive non intende certamente sottovalutare l’importanza del processo di Reggio Calabria, né il notevole sforzo culturale sottostante. Tuttavia questo tipo di approccio giudiziario al fenomeno mafioso non può non lasciare perplessi, e va pertanto respinta, a nostro avviso, l’ipotesi di una sua generalizzazione in termini di «schema tipo» del processo di mafia. Trascurare l’accertamento dei singoli reati-fine imputabili ai membri delle organizzazioni mafiose, e ritenere di poter far derivare la responsabilità degli imputati in ordine al delitto di associazione per delinquere soltanto da «indizi» che consentono di qualificare gli imputati stessi come mafiosi, significa incamminarsi per una falsa scorciatoia, illusoria quanto pericolosa; una siffatta impostazione è suscettibile di interpretazioni soggettive ed arbitrarie, ed i ripetuti insuccessi giudiziari di indagini istruttorie condotte con tale metodo costituiscono la riprova che tale via non è praticabile.

D’altronde, che un processo di mafia impostato sul modello del «tipo d’autore» possa facilmente sfociare nell’insufficienza di prove sembra abbastanza scontato: ed infatti, data l’equivocità del quadro indiziario, i giudici del dibattimento, qualora non siano particolarmente sensibili e propensi ad assumere particolari funzioni di supplenza, o anche qualora semplicemente non siano propensi ad allontanarsi dai princìpi del giusto processo, non potranno in molti casi che applicare l’insufficienza di prove. E non va dimenticato che l’insufficienza di prove viene considerata negli ambienti mafiosi quasi come una benemerenza.

Il modello impostato al tipo d’autore va pertanto superato per seguire la strada, aderente al principio di legalità, che passa attraverso l’accertamento di specifici fatti delittuosi, e la costruzione di mosaici probatori che da quelli prendono l’avvio.

Tornando per un attimo alla sentenza della Corte di Cassazione più sopra menzionata, osserviamo che, laddove fa riferimento a «consorterie mafiose organizzate per commettere una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio o contro la libertà morale oppure la vita e l’incolumità individuale», essa fornisce una fondamentale indicazione per una corretta impostazione del problema delle tecniche di indagine su associazioni mafiose: quella appunto relativa all’individuazione dei delitti propri delle associazioni stesse.

Infatti il diritto penale non punisce le collettività criminose in quanto tali, bensì i singoli individui che le compongono; pertanto, anche se le organizzazioni mafiose costituiscono associazioni per delinquere, non è sufficiente dimostrare, ai fini della affermazione di responsabilità per tale delitto, che il singolo imputato è mafioso, occorrendo precisare, invece, quali siano i delitti in relazione ai quali lo stesso si è associato. Si delinea, così, l’unico metodo di indagini corretto sotto il profilo giuridico e suscettibile di utili risultati: quello che pone l’accento sulla individuazione dei cd. reati-fine per risalire poi al delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso.

D’altronde, proprio le singole condotte delittuose, sia quelle che abbiamo definito «necessitate», che contrassegnano qua e là le attività imprenditoriali parassitarie, sia quelle direttamente volute sul terreno dell’accumulazione originaria violenta di ricchezza, costituiscono la contraddizione su cui le istituzioni possono far leva per colpire la mafia sul piano giudiziario.

Solo quando siano state acquisite prove sulla consumazione da parte degli imputati di delitti tipici delle organizzazioni mafiose, gli altri «indizi» assumono ben diverso spessore e significazione e concorrono efficacemente a formare un complesso probatorio compatto ed omogeneo.

E’ infatti innegabile che in un processo di mafia (in qualsiasi processo di mafia) il magistrato, inquirente o giudicante che sia, non potrà operare adeguatamente se non affrontando anche gli aspetti socio-culturali del fenomeno, attraverso una corretta e intelligente interpretazione dei comportamenti tipici della subcultura mafiosa; tutto ciò, peraltro, in un quadro processuale non fluttuante, ma saldamente ancorato a precisi fatti delittuosi o almeno ad un fatto delittuoso (quello da cui l’inchiesta prende l’avvio, ma l’esperienza insegna che nel corso del loro lavoro gli inquirenti possono poi imbattersi in altri fatti delittuosi, che finiscono col costituire altrettanti ulteriori puntelli cui ancorare il mosaico probatorio in costruzione).

Né si dica che le indagini condotte sui cd. delitti-fine rischiano di far perdere di vista la complessità del fenomeno mafioso e di non cogliere le sue implicazioni con settori della vita pubblica, locale e nazionale, pesantemente condizionati dalle organizzazioni mafiose; è vero esattamente il contrario, poiché soltanto in virtù di una puntigliosa e faticosa ricostruzione degli aspetti più squisitamente criminali delle organizzazioni mafiose è possibile individuare la rete di complicità e di connivenze che le sorreggono.

E’ infatti ingenuo pensare che la scalata giudiziaria alla piramide mafiosa possa essere effettuata senza risalire pazientemente dalla base verso il vertice: premesso ovviamente che gli organi inquirenti devono essere messi nelle condizioni di poter operare adeguatamente, sta poi alla preparazione e all’abilità di questi ultimi il risalire nella gerarchia mafiosa, individuando pazientemente le relazioni di cosca, di fazione e di partito.

E’ appena il caso di aggiungere, poi, che attraverso un lavoro giudiziario di questo genere potrebbe finalmente ripristinarsi la centralità del processo penale nella lotta giudiziaria alla mafia, con conseguente superamento delle inadeguate e giustamente deprecate misure di prevenzione.

3. L’importanza fondamentale dell’indagine patrimoniale. I tre livelli dei reati di mafia

A ben vedere, dunque, il problema, sotto il profilo giuridico-processuale, non presenta peculiarità di rilievo, poiché il tema probatorio nelle indagini sulle associazioni d’indole mafiosa, non diverge da qualunque altra indagineconcernente fenomeni di criminalità organizzata. Tuttavia, la specificità del fenomeno mafioso, con i suoi molteplici aspetti, con i suoi collegamenti con settori della vita pubblica, con le difficoltà ad esso peculiari in ordine alla raccolta delle prove, impone particolare attenzione nella scelta delle tecniche investigative più adatte.

A tale proposito osserviamo che un’attenta valutazione di quanto è emerso da istruttorie di mafia già concluse o tuttora in corso, porta a constatare che il fenomeno del cd. parassitismo (esprimentesi in guardianie, «pizzi», «tangenti» e così via) sta subendo una radicale trasformazione, da quando l’enorme quantità di mezzi finanziari derivanti dalle attività criminali ha determinato la necessità, per il mafioso, di assumere in proprio responsabilità imprenditorialiper la gestione di attività economiche, apparentemente lecite, nelle quali poter investire il denaro.

Trattasi, in realtà, di due aspetti dello stesso fenomeno, poiché sono stati, appunto, l’affinamento delle tecniche criminali e l’ingresso massiccio delle organizzazioni mafiose in lucrosissimi affari illeciti a produrre un’ingente quantità di ricchezza con la conseguente necessità di investirla in attività economiche che, mentre consentono di riciclare il denaro «sporco», producono a loro volta ulteriore ricchezza.

Da queste considerazioni si ricava, allora, una prima indicazione di massima per le indagini su organizzazioni mafiose: è di fondamentale importanza accertare quali siano i delitti tipici delle organizzazioni e individuare i «canali» che consentono di riciclare la ricchezza proveniente dalle attività illecite, immettendola nelle attività economiche lecite e paralecite. 

Infatti, il vero «tallone d’Achille» delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose. Lo sviluppo di queste tracce, attraverso un’indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra, l’aspetto decisamente da privilegiare nelle investigazioni in materia di mafia, perché è quello che maggiormente consente agli inquirenti di costruire un reticolo di prove obiettive, documentali, univoche, insuscettibili di distorsioni, e foriere di conferme e riscontri ai dati emergenti dall’attività probatoria di tipo tradizionale diretta all’immediato accertamento della consumazione dei delitti.

Tale metodo, d’altro canto, mentre può consentire di pervenire indirettamente all’accertamento delle responsabilità, è l’unico che possa consentire di compiere significativi progressi nel disvelamento di tutta quella rete di connivenze e complicità che, a qualunque livello, hanno permesso al fenomeno della criminalità organizzata di affermarsi e di prosperare.

I reati di primo livello

Si viene così a delineare un duplice principio generale, che a giudizio degli scriventi va assunto a pilastro fondamentale delle tecniche d’indagine in materia di mafia:

  1. un’inchiesta di ampio respiro in materia di mafia potrà essere tanto più foriera di risultati apprezzabili, quanto più si occuperà di fatti-reatorientranti in attività criminali direttamente produttive di movimenti di denaro;
  2. avendo come oggetto privilegiato reati-fine del tipo sopra menzionato, e seguendo le tracce dei movimenti di denaro, l’inchiesta potrà più facilmente ricostruire un quadro probatorio capace di far luce sia sui reati-fine medesimi, sia sul reato-mezzo (associazione per delinquere).

Chiameremo «reati del primo livello» quei reati rientranti appunto, per loro natura, in attività criminali mafiose direttamente produttive di movimenti di denaro: si tratta di quei reati che hanno un immediato risvolto finanziario, e che sono quindi più facilmente e direttamente aggredibili attraverso l’indagine patrimoniale (a tali reati fanno da corollario una serie di reati minori e complementari, quali favoreggiamenti, ricettazioni, falsità in atti, e via discorrendo).

Fanno parte di questo primo livello di reati le varie attività illecite tradizionali delle organizzazioni mafiose (estorsioni organizzate, accompagnate dai relativi atti di violenza e di intimidazione, contrabbando di tabacchi, pietre preziose e simili, sofisticazione di vini, ecc.), nonché il grande traffico nazionale e internazionale di stupefacenti (che presenta significative interferenze con il traffico clandestino di armi), e, infine, l’industria dei sequestri di persona a scopo di estorsione.

Il grande traffico di stupefacenti ed il sequestro di persona a scopo di estorsione meritano, fra i reati del primo livello, una particolare attenzione: il primo perché è probabilmente quello che assicura alle cosche mafiose la maggior fonte di lucro; il secondo perché, oltre a fornire grandi profitti, si presta forse più di qualsiasi altro reato ad una proficua investigazione di carattere patrimoniale. Non è casuale, d’altronde, che le organizzazioni mafiose abbiano saldamente assunto il controllo di attività tanto lucrose, le quali richiedono un’articolata e coesa organizzazione, fondata su quelle rigide strutture gerarchiche, difficilmente scalfibili dall’indagine istruttoria, che abbiamo visto contraddistinguere appunto le associazioni mafiose.

Per quanto attiene al grande traffico di stupefacenti, esso è gestito da una struttura organizzativa talmente articolata su scala mondiale da assumere le caratteristiche di una autentica multinazionale del crimine, nella quale le cosche mafiose, al di qua e al di là dell’Atlantico, hanno un ruolo centrale, ma, che ricomprende, nel suo complesso organigramma, anche una criminalità cosmopolita di varia estrazione. Il traffico di maggior rilievo è quello dell’eroina, ed è stato accertato che la morfina base, per varie vie, giunge dal Medio Oriente a laboratori siciliani (o comunque controllati dalle organizzazioni siciliane), dove viene trasformata in eroina e quindi inviata ai luoghi di consumo sia in Italia che all’estero.

Le indagini patrimoniali si inseriscono utilmente, anche ai fini della ricostruzione del reato associativo, nei vari passaggi della catena di distribuzione del prodotto finito (non certamente a livello degli ultimi anelli della catena); nel caso poi in cui venga individuato un laboratorio per la trasformazione della morfina base in eroina (se ne sono recentemente individuati alcuni, tra cui quattro a Palermo e uno nel Monferrato), l’indagine patrimoniale può rivelarsi assai preziosa per ricostruire la provenienza dei vari prodotti chimici necessari alla trasformazione (anidride acetica, acetone, cloruro di acetile, ecc.) e per individuare i soggetti che li hanno acquistati.

Per quanto attiene ai sequestri di persona a scopo di estorsione si osserva che essi vengono per lo più commessi da gruppi mafiosi che non si dedicano sporadicamente a tale tipo di reato, per modo che diversi episodi criminosi dello stesso tipo si riveleranno tra loro collegati, e le prove relative ad un sequestro di persona potranno spesso riflettersi, in maggiore o minor misura, su altri reati analoghi e sul reato associativo.

Le indagini patrimoniali sono, ovviamente, di importanza fondamentale, in relazione al pagamento del riscatto ed alle sue successive destinazioni (riciclaggio, distribuzione, reimpiego in attività lecite e paralecite), ma anche con riferimento ad altri accertamenti, ad esempio quelli che si rendono necessari dopo la scoperta di una «prigione».

Naturalmente è misura irrinunziabile, cui occorre sempre curare che si provveda prima che i parenti del sequestrato operino un pagamento di riscatto, che i numeri di serie delle banconote siano tutti inseriti e memorizzati nell’elaboratore elettronico presso il Ministero dell’Interno. In proposito è il caso di sottolineare come sia decisamente sconsigliabile la cosiddetta misura del «blocco dei beni» dei familiari del rapito, od altre analoghe misure volte a impedire il pagamento del riscatto, qualora la volontà della famiglia sia decisamente determinata nel senso di effettuare il pagamento: infatti, non essendo di fatto possibile bloccare interi patrimoni, specialmente di famiglie facoltose che hanno fra l’altro notevoli possibilità di ricorrere al credito, una misura siffatta avrà facilmente come conseguenza (come è accaduto troppe volte) il pagamento del riscatto al di fuori di qualsiasi controllo delle autoritàe senza previa memorizzazione dei numeri di serie delle banconote.

Una volta esaurito questo breve excursus sui principali reati che abbiamo definito «del primo livello», in ordine ai quali maggiormente fruttuosa si presenta l’indagine patrimoniale, e prima di tentare un’analisi specifica di quest’ultima, sembra il caso di spendere qual che parola a proposito di quei delitti di mafia che non hanno un immediato risvolto finanziario e per i quali, non a caso, è ancora più alta l’incidenza dei procedimenti a carico di ignoti.

I reati di secondo e terzo livello

In proposito si può operare un’ulteriore distinzione fra:

  1. delitti che si ricollegano comunque alla logica mafiosa del profitto ed alle relative lotte fra cosche per il controllo dei campi di attività (li chiameremo reati del secondo livello: per esempio si pensi ai tanti omicidi per regolamenti di conti fra cosche mafiose);
  2. delitti che mirano a salvaguardare il perpetuarsi del sistema mafioso in genere (li chiameremo reati del terzo livello: si pensi ad esempio all’omicidio di un uomo politico, o di altro rappresentante delle pubbliche istituzioni, considerati pericolosi per l’assetto di potere mafioso).

Orbene, anche se, come è ovvio, l’indagine patrimoniale non può fornire direttamente alcun ausilio per l’accertamento delle responsabilità in ordine a questi delitti, è tuttavia ragionevole ritenere che qualora venissero portate avanti un numero adeguato di grandi inchieste giudiziarie di ampio respiro, con adeguato impiego di uomini e mezzi, relative alle varie associazioni mafiose ed alle loro attività primarie; una volta che tali inchieste, applicando intelligentemente le tecniche d’indagine più adatte, avessero conseguito il risultato di costruire importanti mosaici probatori relativi ad un certo numero di reati del primo livello, e quindi relativi al reato associativo; una volta che esse avessero compiuto i successivi progressi nella individuazione della rete di connivenze e complicità più o meno elevate; allora gli inquirenti comincerebbero ad essere in possesso di un bagaglio di elementi e di conoscenze tali da consentire loro, con qualche possibilità di successo, di passare dal primo al secondo livello di reati.

Ed infatti, se un omicidio per regolamento di conti è maturato, ad esempio, in un certo settore del traffico di stupefacenti, è ingenuo sperare di poterne accertare la responsabilità senza aver preventivamente fatto luce su quel settore del traffico, sui gruppi mafiosi che vi sono inseriti, sulle loro attività, sui rapporti tra i vari membri di quei gruppi, e fra ciascuno di essi e la vittima.

Nel caso poi che quelle grandi inchieste giudiziarie di ampio respiro riuscissero, facendo ulteriori passi avanti, a far breccia sia nei reati del primo che in quelli del secondo livello, allargando notevolmente il quadro probatorio complessivo e ricostruendo le relazioni di cosca, di fazione e di partito, allora le cognizioni giudiziariamente acquisite sul fenomeno mafioso sarebbero tali e tante da rendere possibile l’apertura di importanti smagliature e contraddizioni all’interno del fenomeno stesso, con conseguente possibile rottura dell’equilibrio omertoso, e con conseguente apertura di nuove prospettive anche in ordine all’accertamento delle responsabilità relative ai reati del terzo livello (quelli che vengono ormai comunemente definiti come reati di «terrorismo mafioso»).

Non ci nascondiamo che con questa prospettazione noi stiamo ipotizzando inchieste giudiziarie di proporzioni immani, ma diciamo subito che inchieste di tal genere possono essere gestite con una certa agilità qualora esse vengano frammentate e guidate con rigoroso coordinamento da un pool di magistrati inquirenti equamente distribuiti nelle zone maggiormente interessate al fenomeno ed operanti in stretto rapporto funzionale con nuclei specializzati di polizia giudiziaria, esattamente come accade da tempo in materia di terrorismo politico.

La vastità delle inchieste d’altronde non è che un riflesso della vastità non comune del fenomeno criminale mafioso, la quale rende più che mai urgenti, sia detto per inciso, quelle operazioni di profonda bonifica sociale alle quali si è già accennato, e che trascendono il momento giudiziario della lotta alla mafia.

4. Tecniche di indagine patrimoniale ed esemplificazione di casi concreti

Entrando nei particolari delle indagini patrimoniali si ritiene che i settori più importanti e suscettibili di maggiori risultati probatori siano da individuare nelle indagini bancarie ed in quelle societarie, fiscali e sui patrimoni immobiliari.

Per quanto concerne le indagini bancarie, si rileva che l’utilizzazione dei servizi degli Istituti di credito è un dato imprescindibile per il funzionamento delle organizzazioni mafiose. Se è notorio, tanto per fare un esempio, che piccole quantità di stupefacenti ed i riscatti dei sequestri di persona vengono pagati in contanti, è praticamente impossibile che i grandi affari concernenti gli stupefacenti siano compiuti in contanti, mentre occorre, prima o poi, servirsi delle banche per «ripulire» il denaro proveniente dai sequestri di persona.

Certamente, mutano e si affinano sempre più le tecniche usate, talora con la connivenza di operatori bancari, per cercare di disperdere le tracce derivanti dal compimento di tali operazioni bancarie, ma, per quanto sofisticate possano essere tali tecniche, quasi sempre è possibile trovare il bandolo della matassa, purché le indagini vengano condotte con la necessaria meticolosità e professionalità.

Si sottolinea, in particolare, l’importanza dei libretti di risparmio al portatore(che sono sempre intestati a nomi di fantasia), nelle indagini di cui ci stiamo occupando: essi sono molto usati per cercare di rendere difficile la ricostruzione di un flusso di denaro. Si rammenta che le banche sono in grado di fornire le generalità degli effettivi titolari di depositi di questo genere, per cui si può chiedere a una banca se vi siano libretti di risparmio al portatore ascrivibili a Tizio o a Caio, e se del caso si può procedere a perquisizione ex art. 340 c.p.p. andando a ricercare le notizie che interessano presso lo schedario clienti; tanto più che a volte capita che un libretto di risparmio al portatore sia dato ufficiosamente a garanzia di scoperti di conto corrente o di concessione di fidi.

Nell’effettuare sequestri presso banche può essere opportuno, in un primo tempo, disporre il sequestro della sola scheda contabile del conto corrente che entra in considerazione, se si ritiene che interessino solo alcune singole operazioni.

Nel sequestrare la documentazione completa di un conto corrente è bene specificare che si dispone il sequestro degli assegni tratti, delle distinte di versamento, dei moduli di richiesta di assegni circolari, della documentazione relativa a bonifici, e della documentazione relativa a depositi a risparmio che risultino accesi con addebito sul conto corrente.

Capita, raramente, che qualche banca risponda che la compilazione delle distinte di versamento non rientra nella sua prassi: si rammenta che in questi casi la banca applicherà sicuramente sistemi equipollenti di registrazione degli assegni messi all’incasso (per lo più la microfilmatura degli assegni).

Le indagini sulle società e, in genere, sulle imprese, costituiscono, poi, un necessario sviluppo di quelle bancarie.

Una volta accertato attraverso l’Istituto di credito, che mezzi finanziari di provenienza illecita sono stati accreditati ad imprese commerciali (quasi sempre società di capitali), è molto utile individuare i componenti degli organismi sociali e i settori di attività nei quali dette società operano.

Infatti, le indagini sui soci ed amministratori permettono di identificare, oltre ai membri di organizzazioni mafiose trasformatisi in imprenditori, anche personaggi del mondo economico che, talora senza essere direttamente implicati nelle attività criminali, costituiscono supporto per il riciclaggio per il denaro sporco e, più in genere, per proficui investimenti in attività produttive; inoltre, gli accertamenti sulle attività apparentemente lecite di tali società, mentre forniscono importanti notizie sui settori delle attività economiche interessati dal fenomeno mafioso, possono contribuire a disvelare alcune delle tecniche usate per l’utilizzazione dei mezzi finanziari derivanti dalle attività illecite, e, anche, per occultare il compimento di tali attività.

E non è chi non veda come l’acquisizione di tali notizie costituisca lo spunto per ulteriori indagini, sia di tipo tradizionale (ad esempio, intercettazioni telefoniche), sia di natura bancaria, in un armonico sviluppo che richiede l’intervento di ufficiali di polizia giudiziaria dotati di sicura professionalità, con la guida ed il coordinamento di magistrati istruttori anch’essi professionalmente qualificati.

In tale fase, le indagini di natura fiscale e sui patrimoni immobiliari costituiscono verifica e riscontro degli accertamenti già eseguiti e spunto per più avanzate investigazioni. Per quanto riguarda i patrimoni immobiliari si parte ovviamente dalle conservatorie dei registri immobiliari, e si ricostruisce il formarsi del patrimonio immobiliare acquisendo la documentazione, anche bancaria, relativa alla compravendita, eventualmente anche mediante ricorso a perizie estimative.

In proposito, si sottolinea l’opportunità di utilizzare ampiamente, per siffatte indagini di polizia giudiziaria, il Corpo della guardia di finanza, specificamente addestrato, per compiti istituzionali, a tale tipo di interventi.

Per quanto concerne le imprese si rammenta che può rivelarsi strumento di indagine estremamente utile l’uso della verifica fiscale da parte della guardia di finanza, eseguita nell’ambito dei suoi poteri istituzionali, che può fornire dati importanti e orientativi sul funzionamento delle imprese (soci, aumento di capitali, volumi di affari, oggetto effettivo dell’attività e così via).

Solo per necessità espositive sono stati distinti i diversi tipi di indagini patrimoniali; tuttavia nel compimento di attività istruttorie, gli stessi si intersecano tra di loro e con le indagini di tipo tradizionale, e solo l’esperienza può orientare la scelta prioritaria verso l’uno o l’altro dei mezzi istruttori, come il più idoneo nel caso concreto.

Sembra a questo punto opportuno riferire alcuni casi concreti di indagini patrimoniali, al fine di illustrare, esemplificativamente, le tecniche esposte. Per non appesantire l’esposizione si sono scelti solo una decina di esempi particolarmente emblematici, ma molti altri se ne potrebbero aggiungere, e qualsiasi collega che abbia avuto esperienza di inchieste di mafia potrebbe arricchire utilmente questa casistica.

I primi cinque esempi sono tratti dall’inchiesta giudiziaria condotta a Milano a carico di Luciano Liggio + 42 per associazione per delinquere, sequestri di persona a scopo di estorsione ed altri reati (giudizio di secondo grado esauritosi all’inizio del 1980, passato in giudicato con sentenza 4.4.1982 della Corte di Cassazione); gli ultimi cinque esempi sono tratti dall’inchiesta giudiziaria condotta a Palermo a carico di Rosario Spatola +119 per associazione per delinquere, traffico di stupefacenti ed altri reati (provvedimento di rinvio a giudizio del gennaio di quest’anno).

I. A e B sono due mafiosi di un certo livello, imputati di un sequestro di persona a scopo di estorsione per il quale è stato pagato un ingente riscatto in banconote da L.10.000. A loro carico milita un certo quadro probatorio sul quale non è il caso qui di soffermarci. Nell’ambito delle indagini volte ad individuare i canali di riciclaggio si accertano, presso le conservatorie dei registri immobiliari, le possidenze immobiliari degli imputati e dei prossimi congiunti, e risulta che la moglie di A, con rogito intervenuto alcuni mesi dopo il paga mento del riscatto, ha acquistato alcuni appezzamenti di terreno fabbricabile in provincia di Milano. Emerge subito che lo stesso giorno di quel rogito, e davanti allo stesso notaio altri appezzamenti confinanti figurano venduti rispettivamente alla suocera di B e a un manovale che lavora alle dipendenze di A (ma che le successive indagini indicheranno come prestanome di B).

I contratti preliminari di vendita, relativi a tutti questi terreni, vengono sequestrati presso la società venditrice, e risultano firmati, per le parti acquirenti, da un’unica persona, che è un geometra alle dipendenze di A, e a distanza di tre mesi dal pagamento del riscatto.

Grazie alla testimonianza dei venditori e del mediatore da essi officiato si ricostruiscono le modalità dei pagamenti sequestrando la relativa documentazione bancaria (assegni versati e distinte di versamento) e risulta che oltre il 60% del prezzo complessivo è stato pagato in contanti e in banconote da L. 10.000.

Non solo: un altro 27% del prezzo complessivo è stato pagato rispettivamente con un assegno bancario tratto sul proprio conto corrente da un individuo già noto all’inchiesta per essere legato da vincoli di vassallaggio agli imputati A e B, con un assegno circolare a nome di questo stesso individuo, e con un secondo assegno circolare a nome della moglie di un altro manovale alle dipendenze di A.

Ebbene, attraverso il sequestro dei moduli di richiesta dei due assegni circolari risulta che essi sono stati richiesti in banca, sempre a breve distanza dal pagamento del riscatto, dietro versamento di banconote da L. 10.000; e inoltre, l’esame del conto corrente su cui è stato tratto l’assegno bancario consente di accertare che il traente ne aveva garantito immediatamente prima la provvista mediante un versamento di banconote da L. 10.000. I tre assegni recano inoltre la firma di girata di A.

L’indagine complessiva consentirà di accertare che la trattativa per l’acquisto è iniziata poche settimane dopo l’avvenuto pagamento del riscatto, che i terreni erano stati visionati da A e B, i quali si predisponevano a costruirvi sopra, prima che le emergenze processuali li costringessero alla latitanza. Un supplemento di indagine riguarderà quello dei tre appezzamenti di terreno intestato al presta nome di B: esso sarà rivenduto circa un anno dopo, e dalle indagini patrimoniali risulterà confermato come l’effettivo proprietario fosse B, dal momento che il prezzo ricavato verrà incassato parte da sua moglie, parte da sua madre, parte da suo cognato.

Va aggiunto che l’omertà degli interessati, di fronte a emergenze obiettive di questo genere, non ha portato loro giovamento: ed anzi, le dichiarazioni rese da costoro, nella misura in cui tendevano a negare le evidenze documentali, hanno aperto gravi contraddizioni nella loro linea di difesa; e la relazione fra l’operazione immobiliare ed il riciclaggio del riscatto, ricostruita in istruttoria, ha retto al vaglio del giudizio.

II. Si è visto nell’esempio I. come uno degli assegni circolari entrati nel pagamento del prezzo dei terreni fosse intestato alla moglie di un manovale alle dipendenze di A. Le successive indagini bancarie consentono di reperire e sequestrare altri cinque assegni circolari intestati alla medesima persona, tutti ottenuti attraverso conversione di banconote da L. 10.000, tutti emessi in un arco di tempo limitato e di poco successivo al pagamento del riscatto, e che risulteranno essere tutti passati per le mani di A.

Ebbene, due di questi assegni circolari risultano essere entrati nella disponibilità di C, altro personaggio di rilievo dell’inchiesta, che li utilizza per acquistare una villa in provincia di Milano. Anche l’indagine patrimoniale in ordine all’acquisto di questa villa consente di accertare che il residuo del prezzo è stato pagato in contanti, prevalentemente in banconote da L. 10.000 (per cui risulterà complessivamente che circa il 70% del prezzo totale è stato coperto con banconote di questo taglio).

Le ulteriori indagini consentono di accertare che la trattativa per questo acquisto immobiliare è iniziata pochi giorni dopo il pagamento del riscatto, e che nella trattativa C è stato costantemente affiancato dai coimputati A e B.

III. Il rapporto di C con A e B (esempio precedente), esponenti di rango delle cosche mafiose trapiantate in Lombardia, si rivelerà molto importante nell’economia generale dell’inchiesta, dal momento che C è uno dei principali luogotenenti dell’imputato X, il quale è pacificamente riconosciuto come capo mafia di spicco (fra l’altro C è legato da vincoli di comparaggio con X, avendone tenuto a battesimo il figlio, ed ecco come una connotazione sociologica altamente significativa in ambienti mafiosi può essere recuperata in un quadro probatorio non più improntato al tipo d’autore).

L’imputato X vive a Milano in un appartamento signorile che risulta acquistato, e intestato alla sua convivente, con rogito intervenuto meno di due mesi dopo il pagamento del riscatto (mentre la trattativa, condotta personalmente da X risulta iniziata meno di un mese dopo il pagamento del riscatto). L’indagine patrimoniale, attraverso le distinte di versamento compilate dal venditore, consente di acclarare che il prezzo è stato pagato tempestivamente in contanti e, in parte, con banconote da L. 10.000.

La convivente dell’imputato X dichiara che il prezzo è stato pagato grazie a suo nonno, nel frattempo deceduto, che, trasferitosi recentemente in Italia dalla Dalmazia dove era sempre vissuto, le aveva regalato i suoi risparmi. L’indagine patrimoniale sul nonno rivelerà che costui era un pensionato delle poste jugoslave, che ultimamente in Dalmazia viveva quasi di elemosina, e disponeva, su un libretto di risparmio presso una banca locale, di una somma in dinari pari a neanche il 3% di quanto è stato pagato l’appartamento di Milano.

IV. Si accerta che, in epoca immediatamente successiva al pagamento del riscatto, la moglie di un altro imputato (un uomo di bassa mafia che ruota intorno al personaggio X) figura acquirente di un vasto appezzamento di terreno agrumetato in Sicilia. Non stiamo a fornire i dettagli dell’operazione, perché sono analoghi a quelli già illustrati negli esempi precedenti: intermediazioni di altri imputati nelle trattative, intervento di personaggi secondari che si prestano a convertire banconote da L. 10.000 in assegni circolari, e così via. Su altri particolari, che pure sarebbero interessanti, non ci soffermiamo per non appesantire troppo la presente esposizione che vuole essere solo esemplificativa.

Sul terreno, che si trova nei pressi di Catania, viene immediatamente iniziata la costruzione di una grande villa (dotata di cella sotterranea segreta, come poi si accerterà) da parte delle stesse persone che si sono interessate all’acquisto del terreno, e con utilizzo di manodopera irregolare.

Sull’intera operazione viene condotta una istruttoria piuttosto ampia che accerta come l’acquisto e i successivi lavori interessino in maniera particolare l’imputato X; ma è un piccolo accertamento patrimoniale che dimostra in maniera incontrovertibile la titolarità dell’operazione immobiliare in capo a costui: emerge a un certo punto che, agendo sotto falso nome, uno degli imputati che ruotano intorno a X ha curato la vendita del raccolto di agrumi del terreno, e che il relativo assegno è stato intascato da X; si riesce ad individuare l’impresa che ha acquistato gli agrumi; si sequestra presso tale impresa la documentazione relativa al pagamento; si sequestra l’assegno e si constata che esso reca due firme di girata: la prima è il falso nome del luogotenente di X che ha curato la vendita degli agrumi, ed una perizia grafica stabilirà che è stato lo stesso X a vergare la firma; la seconda firma di girata è quella dell’imputato Y, altro personaggio di rilievo dell’inchiesta (molto legato a X), che risulta aver versato l’assegno su un suo conto corrente in una banca di Palermo, proprio nei giorni in cui egli si sta occupando delle trattative con i familiari della vittima di un altro sequestro di persona avvenuto nel nord.

Va detto che risultano per altro verso rapporti di Y con l’imputato C di cui all’esempio II.

V. Se l’imputato X non ha provveduto personalmente a mettere all’incasso l’assegno di cui all’esempio precedente, è perché egli, da anni latitante, vive sotto falso nome e non dispone di suoi conti correnti bancari, ma solo di persone fidate che amministrano beni per suo conto. Una di queste persone fidate è l’imputato Z, che a Milano gestisce un’azienda vinicola che si accerterà essere sostanzialmente di proprietà di X. L’azienda vinicola non versa in buone condizioni finanziarie.

Senonché, dalla vasta documentazione bancaria sequestrata, emerge che improvvisamente, a partire dai giorni immediatamente successivi al pagamento del riscatto, l’imputato Z viene a disporre di somme contanti per centinaia di milioni costituite in massima parte da banconote da L. 10.000 (ciò risulta dalle varie distinte di versamento sequestrate presso le banche presso cui Z intrattiene conti correnti).

Tali somme, ad una successiva indagine, risultano confluite in operazioni bancarie svariate che finiscono col collegare stretta mente l’imputato Z a un certo ambiente palermitano, al centro del quale vi è l’imputato Y di cui si è parlato nell’esempio precedente.

In particolare Z sottopone una parte notevole di tali somme a giri bancari viziosi quanto complessi: l’operazione più semplice consiste nel convertire il denaro contante in assegni circolari che vengono poi immediatamente versati su un suo conto corrente presso la stessa banca o presso altra banca. Spesso però il giro è molto più tortuoso: gli assegni circolari vengono utilizzati per aprire depositi a risparmio al portatore a nomi di fantasia, dai quali il denaro esce nuovamente sotto forma di altri assegni circolari che vengono a loro volta versati su un conto corrente o utilizzati per accendere un nuovo deposito a risparmio, e via di questo passo.

Seguendo pazientemente l’iter di questi giri tortuosi, attraverso continui sequestri bancari, si accerta che una parte del denaro così maneggiato da Z sfocia appunto a Palermo, in ambienti che ruotano intorno all’imputato Y, e viene investita in attività di vario tipo, spesso in attività edilizie, ovvero convogliata verso società più o meno fittizie facenti comunque capo a Y.

VI. Nel c/c di una società per azioni, titolare di una fabbrica di calcestruzzo e gestita dalla famiglia del mafioso Tizio, personaggio di rilievo imputato di traffico di stupefacenti, vengono versati 180 milioni in contanti, e l’Istituto di credito, richiesto se nella stessa giornata del versamento fossero state effettuate altre operazioni bancarie di importo approssimativamente uguale e di segno opposto, risponde negativamente. Tuttavia, sembrando strano che un’operazione di tale rilievo sia stata effettuata in contanti, vengono esaminate tutte le operazioni bancarie eseguite, nella giornata del versamento, presso il medesimo sportello.

Si accerta così che la cognata dell’imputato ha venduto, compilando diverse distinte, un certo numero di B.O.T. per un importo approssimativamente uguale a quello di 180 milioni; si accerta ancora che i B.O.T. sono stati acquistati, alcuni mesi prima, mediante prelievo da depositi a risparmio al portatore, in essere presso il medesimo Istituto di credito. L’ulteriore indagine, diretta a stabilire la provenienza delle somme versate nei libretti, consente di accertare che vi sono stati accreditati assegni circolari, emessi da Istituti di credito di Roma all’ordine di un coimputato di Tizio, il quale, per tutta l’istruttoria ha negato perfino di conoscere quest’ultimo.

Si stabilisce, ancora, che gli assegni circolari, in parte, sono stati richiesti da un soggetto recentemente condannato dal Tribunale di Roma quale componente di un’associazione dedita allo smercio di eroina nella Capitale, e, in parte, sono stati richiesti da amici del predetto e su invito di quest’ultimo.

In siffatta maniera, vengono acquisiti elementi per affermare sia che i 180 milioni provengono da traffico di stupefacenti, sia che i soggetti che ne hanno fruito, per le artificiose modalità di negoziazione, non possono considerarsi in buona fede, sia che il coimputato che aveva dichiarato di non conoscere il boss ha mentito.

Si è avuta inoltre ulteriore conferma del fatto che le organizzazioni mafiose palermitane sono le maggiori fornitrici di eroina nella Capitale.

VII. Le indagini condotte dalla polizia su un personaggio siculo-americano appartenente ad organizzazioni mafiose dedite al traffico di stupefacenti consentono di stabilire che il predetto si è incontrato, in un bar di Palermo, per trattare di una ingente partita di eroina (poi sequestrata a Milano, mentre stava per essere spedita negli USA) con

Altri soggetti palermitani da tempo indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose. Si accerta altresì che questi soggetti si sono poi allontanati dal luogo dell’appuntamento, a bordo di una autovettura di cui viene rilevata la targa. Il veicolo risulta intestato a Caio, piccolo imprenditore edile della provincia di Palermo, nei confronti del quale vengono disposte indagini di tipo tradizionale e bancario.

Si accerta così, da un canto, che il predetto è cugino di uno degli esponenti più in vista del crimine organizzato degli USA e, dall’altro, che egli ha versato nel suo conto corrente, pochi giorni prima dell’incontro di cui sopra, due assegni circolari di L. 10 milioni ciascuno, emessi da un importante Istituto di credito di Palermo; viene accertato, altresì, che i titoli fanno parte di una emissione di assegni per 500 milioni, richiesti dalla moglie di Sempronio, noto contrabbandiere palermitano, e che la relativa provvista è stata prelevata da due libretti di risparmio al portatore.

Vengono acquisiti gli altri assegni circolari e si stabilisce così che tutti sono stati negoziati da personaggi da tempo sospettati di associazione nel traffico di stupefacenti, o da altri soggetti che si sono prestati a negoziarli nell’interesse dei primi. Si accerta, ancora, che nei libretti di risparmio al portatore sono state accreditate somme ingenti e, acquisite le distinte di versamento, si rileva che, per mezzo di prestanome è stata accreditata in essi una gran quantità di assegni circolari provenienti da Istituti di credito di Napoli e di Roma. I richiedenti dichiarano di essere contrabbandieri di tabacchi o di essere implicati in altri traffici illeciti.

L’indagine procede per stabilire se altri libretti di tale tipo siano stati creati presso la stessa banca. Esaminate presso l’Istituto di credito le schede bancarie di tutti i depositi a risparmio al portatore creati negli ultimi anni, si chiedono le distinte di versamento e di prelievo di circa una ventina di tali libretti e, cioè, di quelli in cui risultano versate somme per centinaia di milioni.

Quasi tutti i libretti, come risulta dalla documentazione acqui sita, riguardano la famiglia del noto contrabbandiere Sempronio di cui si è detto, e in essi risultano versati assegni circolari provenienti dai contrabbandieri napoletani. L’indagine sulla utilizzazione delle ingenti somme depositate nei libretti pone in luce che le stesse o vengono utilizzate in impieghi produttivi (imprese edilizie), o per l’acquisto di immobili, oppure vengono convogliate nell’Italia settentrionale per essere negoziate da esportatori illegali di valuta.

VIII. L’indagine su uno degli assegni emessi dal Caio di cui all’esempio precedente offre lo spunto per ulteriori accertamenti. Detto assegno risulta negoziato a Palermo da Fulano, il quale, a sua volta, ha richiesto tre assegni circolari versati poi nel proprio c/c dalla madre di alcuni esponenti di rilievo dell’organizzazione mafiosa, da tempo sospettati di traffico di stupefacenti. L’esame di questo c/c consente di accertare come vi siano stati versati assegni circolari per centinaia di milioni, provenienti da più parti d’Italia ma soprattutto dalla Lombardia.

La faticosa individuazione dei soggetti che hanno richiesto tali assegni ed il loro esame potranno probabilmente fornire utili elementi in ordine alle connessioni siculo-lombarde in materia di grande traffico di droga. E’ il caso di aggiungere che, in occasione del l’arresto, all’aeroporto internazionale di Fiumicino, di un corriere della droga, viene trovato addosso a quest’ultimo, tra l’altro, un appunto con un numero telefonico di Palermo, e che il corriere, interrogato, dichiara che avrebbe dovuto comunicare, non appena consegnata l’eroina negli USA, a quella utenza telefonica l’avvenuta consegna; orbene, tale utenza risulta intestata all’esercizio commerciale del Fulano menzionato più sopra.

IX. Le indagini bancarie su un boss mafioso assassinato un anno fa si stanno rivelando fonte inesauribile di notizie sulle organizzazioni mafiose, sui rapporti esistenti tra i membri delle stesse, sulle attività imprenditoriali in cui vengono immesse enormi quantità di denaro provenienti da traffico di stupefacenti. La maggior parte delle imprese edilizie collegate con appartenenti a cosche mafiose vengono individuate proprio attraverso indagini bancarie concernenti il defunto boss ed altri membri di rilievo del clan.

Emerge così che le organizzazioni mafiose controllano completamente il settore dell’edilizia a Palermo, dalle cave per la produzione di inerti, alle imprese per gli sbancamenti, alle fabbriche di calcestruzzo, ai depositi del ferro per l’edilizia, agli esercizi di vendita di materiale sanitario e così via. L’indagine consente inoltre di accertare che l’imprenditore mafioso controlla l’intero ciclo della produzione e che si serve esclusivamente delle imprese da lui direttamente o indirettamente controllate.

Si ha quindi la conferma che l’attività edilizia a Palermo è intimamente condizionata dal fenomeno mafioso nel senso che o gli imprenditori sono essi stessi mafiosi o debbono subire, comunque, le imposizioni delle organizzazioni mafiose. E’ significativo che, in occasione dell’attuale guerra di mafia, si sono verificati mutamenti di amministratori in società del settore edilizio, che sono così passate sotto il controllo di membri delle “famiglie” vincenti.

X. Un ulteriore filone di indagini bancarie riguarda il settore valutario. Essendo certo che la maggior parte dell’eroina siciliana viene inviata negli USA, si rende opportuno cercare di stabilire quanta parte, dei dollari costituenti il prezzo della droga venga direttamente cambiato nella Sicilia occidentale. Si comincia con le banche palermitane, richiedendo tutte le distinte di cambio di dollari e di franchi svizzeri (è risultato infatti che in parte i dollari provenienti dal traffico di stupefacenti vengono cambiati in franchi svizzeri e poi consegnati ai palermitani) a cominciare da una certa epoca e per importi non inferiori a un certo controvalore.

Pur con tali limitazioni, la documentazione bancaria acquisita si rivela di proporzioni inusitate. Si nota innanzitutto che gli Istituti di credito di cui più frequentemente si servivano personaggi mafiosi erano quelli che avevano cambiato la maggior quantità di dollari, ed emerge in diversi casi la complicità di operatori bancari in relazione alla commissione di gravi falsità nei documenti bancari volte a nascondere l’autore delle operazioni di cambio.

Si accerta così che, in un solo Istituto di credito, almeno 2 milioni di dollari, cambiati in un anno, sono di provenienza illecita, o, quanto meno, sospetta. E si accerta altresì che buona parte della valuta estera è stata accreditata in conti correnti di noti imprenditori edili palermitani, imputati di traffico di stupefacenti. Le falsità accertate vengono quindi a costituire prova ulteriore per dimostrare le responsabilità ed i collegamenti tra imputati di traffico di stupefacenti, e per individuare le imprese nelle quali viene investito denaro proveniente da attività illecite.

5. La vastità e multinazionalità del fenomeno. Il problema dell’estensione delle indagini all’estero

Gli esempi di indagine patrimoniale illustrati nel paragrafo precedente rendono evidente l’ampiezza, la capillarità e la complessità del fenomeno criminale mafioso.

Viene a delinearsi infatti una mappa delle imprese più direttamente collegate con le attività illecite delle organizzazioni mafiose, sulle quali dunque è necessario intensificare le indagini finanziarie per cogliere più profondamente i nessi tra le attività illecite e quelle apparentemente lecite; e viene altresì a delinearsi un imponente sistema di incessante movimentazione del denaro, che oltretutto trascende i confini nazionali, così come del resto trascende i confini nazionali il tessuto connettivo delle associazioni mafiose.

Inoltre, quanto più l’investigazione riesce a penetrare in profondità nel fenomeno, tanto più si rendono palesi interconnessioni, collegamenti ad ogni livello, sovrapposizioni di ambienti, cointeressenze tra cosche diverse, e compromissioni di ambienti formalmente estranei al fenomeno mafioso inteso in senso tradizionale, sino a formare una ragnatela di dimensioni sempre crescenti.

E’ di tutta evidenza, quindi, quale enorme carico di lavoro debba essere affrontato per incidere in modo sensibile, sul piano giudiziario, su un fenomeno criminale di cotanta mole.

Ma vi è di più. Le tecniche mafiose, tanto più quelle che attengono agli aspetti patrimoniali, si modificano e si affinano continuamente, ragion per cui anche gli inquirenti, analogamente, dovranno sempre rinnovare ed affinare le proprie tecniche di indagine, per mantenersi al passo e per essere all’altezza del difficile compito che si trovano a dover svolgere.

D’altronde i sistemi attraverso cui opera il grande crimine organizzato si fanno tanto più sofisticati quanto più si sale nella piramide della holding mafiosa, e ci si avvicina a certi livelli ove i confini fra la grande criminalità organizzata e l’alta criminalità finanziaria e dei «colletti bianchi» diventano estremamente labili sino, al limite, a scomparire. E’ a quei livelli che il potere extra legale mafioso tende a occupare spazi di potere legale, naturalmente in maniera occulta: la storia dei rapporti tra mafia e potere occulto è ancora tutta da scrivere, ma non sembra casuale, ad esempio, che la vicenda della P2 sia emersa nel quadro di un’inchiesta giudiziaria che si muove su un terreno a cavallo tra alta finanza e mafia siculo-americana.

L’eccezionale vastità del fenomeno criminale di cui ci stiamo occupando costituisce quindi un’ulteriore difficoltà sul cammino degli inquirenti, che viene ad aggiungersi a quelle cui già abbiamo accennato, e che si fa sentire in modo particolare nel momento in cui un’inchiesta giudiziaria superati i primi ostacoli ed avendo ricostruito un mosaico probatorio già di per sé importante, tende a fare ulteriori passi avanti ed a coltivare le nuove piste che le si presentano.

Un aspetto particolare di questa vastità del fenomeno è costituito dalla sua multinazionalità.

Torniamo per un attimo, ad esempio, al tema del grande traffico di stupefacenti: per quanto rilevante possa essere la quantità di dollari che risulta cambiata nelle banche della Sicilia occidentale, va considerato che stime attendibili di fonte ufficiale americana indicano in non meno di 800 milioni di dollari annui il valore complessivo dell’eroina venduta negli USA. E’ evidente che il cambio della valuta estera proveniente dal traffico di stupefacenti viene effettuato, come peraltro è ovvio, non solo in banche siciliane, ma anche in altri Istituti di credito italiani ed esteri; ed è inoltre provato che parte del cambio viene effettuata clandestinamente. In fine, non vanno trascurate le numerose segnalazioni secondo cui certe attività di commercio con l’estero, effettuate da insospettabili imprese italiane e straniere, servono anche a dissimulare un imponente traffico di valuta proveniente dagli stupefacenti.

Quanto sopra comporta evidentemente la necessità di individuare gli Istituti di credito che, sia in Italia che all’estero, operano il cambio della valuta proveniente da attività illecite, nonché le imprese che, sia in Italia che all’estero, dissimulano il traffico di tale valuta sotto lecite parvenze: e ciò allo scopo di ricostruire compiutamente i canali del traffico e, in ultima analisi, la via della droga.

Va inoltre osservato che, anche al di là del traffico di stupefacenti, tutte le attività illecite mafiose, quando raggiungono un certo livello imprenditoriale, tendono a mettere in moto meccanismi insidiosi attraverso cui dare la scalata, sempre in modo occulto e con metodi fraudolenti, a grandi società di contenuto patrimoniale di grande rilievo, sia in Italia che all’estero, utilizzando come paravento società anonime aventi sede nei cosiddetti paradisi fiscali.

Capiterà quindi spesso che nel condurre una vasta inchiesta di mafia (e non solo in materia di stupefacenti) gli inquirenti si trovino nelle condizioni di dover estendere le proprie indagini fuori dai confini nazionali, il che sarà possibile solo attraverso una fattiva collaborazione fra autorità di Stati diversi.

La cosa non comporta difficoltà eccessive con gran parte dei paesi europei che hanno firmato la Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959, relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale, mentre presenta difficoltà maggiori, ad esempio, in relazione ai paesi di common law (più che altro per la differenza dei sistemi giudiziari), ed ancora maggiori, talora insormontabili, relativamente a certi paesi del terzo mondo e dell’America latina.

Qualche considerazione più specifica si impone in ordine ai rapporti di assistenza giudiziaria con gli Stati Uniti e con la Svizzera, sia in ragione di certe peculiarità, sia in ragione della maggiore incidenza che essi hanno nelle inchieste di mafia.

La diversa struttura del processo penale americano (non esiste, tra l’altro, un magistrato USA che sia realmente omologo al giudice inquirente italiano) fa sì che le rogatorie negli Stati Uniti siano estremamente difficoltose. Si possono però verificare le premesse di un’utile collaborazione qualora si instauri un rapporto privilegiato con una Procura Distrettuale che sta già conducendo un’inchiesta sugli aspetti americani della stessa vicenda che è al centro dell’inchiesta italiana, il che non è infrequente in materia di traffico di droga o di altri reati di mafia siculo-americana.

In questi casi di convergenza di interessi giudiziari fra i due paesi, i rapporti con le autorità americane possono essere agevolmente intrattenuti attraverso l’ufficio Interpol, cui fanno riferimento anche funzionari dei due corpi di polizia statunitensi, F.B.I. (Federal Bureau of Investigation, cui si potrà fare riferimento in materia di crimine organizzato in genere) e D.E.A. (Drug Enforcement Administration, cui si potrà fare riferimento in materia di traffico di stupefacenti in particolare).

In certi casi, però, l’inoltro di una rogatoria per le vie ufficiali sarà l’unica strada percorribile, come nel caso in cui si debba assumere a verbale qualcuno, o nel caso in cui si chieda un accertamento o un atto che esigono l’intervento di un Grand Jury: un’acquisizione di documentazione, per esempio, magari presso una banca, richiede un provvedimento dell’autorità giudiziaria, e deve quindi passare attraverso una deliberazione del Gran Jury; in questo caso la richiesta va motivata e documentata a sufficienza, perché la rogatoria possa essere giudicata accoglibile ed eseguita.

Poiché non esiste un trattato di assistenza giudiziaria fra Italia e Stati Uniti, i rapporti di collaborazione tra i due paesi sono spesso improntati a prassi atipiche in un quadro di reciprocità. E’ capitato così, ad esempio, che un giudice istruttore italiano, sia pure inoltrando una richiesta per le vie ufficiali, abbia potuto ottenere l’autorizzazione di un Grand Jury per recarsi negli Stati Uniti ad interrogare direttamente un imputato cittadino italiano colà detenuto, verbalizzando direttamente in italiano, assistito dal suo cancelliere, alla presenza del P.M. e del difensore italiano, senza la presenza di alcun rappresentante delle autorità locali (esattamente come se l’atto si svolgesse in Italia); si rammenta però che per tentare una strada come questa è necessario comunque il consenso preventivo dell’imputato e del suo difensore americano.

I rapporti con la Svizzera presentano particolari problemi solo in campo finanziario e bancario, per via della particolare tutela del segreto bancario in Svizzera, e per il fatto che talune condotte che in Italia sono previste come reato (ad esempio le violazioni valutarie) per la legge svizzera non costituiscono illecito penale.

La Svizzera è uno degli Stati firmatari della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, ma ha ratificato la Convenzione con la riserva di condizionare la concessione di assistenza giudiziaria all’espressa assicurazione, da parte dell’autorità richiedente, che gli elementi acquisiti attraverso l’assistenza giudiziaria concessa non saranno utilizzati per fini valutari o fiscali. In realtà la riserva è stilata in termini più generici, ma il suo significato sostanziale è quello che si è detto; e mentre per le violazioni fiscali la Confederazione Elvetica pare stia, entro certi limiti, per cambiare atteggiamento, per le violazioni valutarie la sua indisponibilità a prestare assistenza è assoluta.

Dovrebbe essere persino superfluo sottolineare che se un magistrato italiano ottiene assistenza giudiziaria dalla Svizzera (ad esempio ottiene documentazione bancaria) in un procedimento, poniamo, relativo a un reato di truffa, o di estorsione, o di omicidio, avendo fornito l’assicurazione di cui sopra, non potrà poi (né lui né qualsiasi altro magistrato italiano) utilizzare la documentazione ottenuta come prova di un reato valutario.

Se ciò avvenisse, sarebbe un grave atto di scorrettezza internazionale, dal momento che un trattato internazionale vincola ogni Stato contraente anche in relazione all’accettazione ed al rispetto delle riserve espresse in sede di ratifica dagli altri Stati.

Inoltre, una violazione della fornita assicurazione sarebbe anche un atto di miopia, perché ci sarà poi da aspettarsi che i magistrati svizzeri non accordino più l’assistenza giudiziaria qualora essa venisse in seguito nuovamente richiesta dallo stesso magistrato che non ha rispettato la riserva.

Quanto sopra non significa affatto che sia impossibile tout court ottenere documentazione bancaria dalle autorità elvetiche, e che addirittura, come si sente dire qualche volta, non varrebbe nemmeno la pena di avanzare a tali autorità rogatorie di carattere bancario. Al contrario, se la richiesta è avanzata nell’ambito di un procedimento per un grave reato di diritto comune, ed è accompagnata dalla predetta assicurazione, essa avrà buone possibilità di essere accolta, qualora appaia sufficientemente motivata e giustificata.

Naturalmente non è il caso di richiedere il sequestro di un conto bancario svizzero fino a quando non si abbia in mano un quadro indiziario tale da rendere chiara la giustificatezza della richiesta e la rilevanza del conto in questione ai fini dell’istruttoria. E quando sarà il momento, sarà opportuno che la richiesta sia diffusamente motivata, e magari documentata allegando copie di atti o documenti a sostegno. Ciò perché, dopo che il giudice istruttore svizzero ha messo in moto il meccanismo per l’esecuzione della rogatoria, il titolare del conto di cui si vuole il sequestro, o anche la banca, possono avanzare reclamo alla Camera dei Ricorsi Penali presso il Tribunale di Appello, la qual cosa comporta un vero e proprio giudizio sulla giustificatezza della richiesta rogatoriale. Di qui l’esigenza di avanzare rogatorie di natura bancaria alle autorità svizzere con le cautele che si sono suggerite.

6. Considerazioni su taluni metodi classici dell’indagine criminalistica non patrimoniale

Prima di concludere la presente relazione si rendono necessarie alcune osservazioni sulle tecniche classiche dell’indagine criminale, di tipo non patrimoniale.

Cominciamo dal grande traffico di stupefacenti. Su questo terreno, mentre non è praticamente ipotizzabile un qualsiasi intervento dell’autorità giudiziaria diretto a far cessare la partenza dai luoghi di produzione (Medio Oriente) degli ingenti carichi di morfina base, utili risultati possono essere raggiunti invece per tentare di bloccare l’arrivo della stessa nei luoghi di trasformazione in eroina.

Indagini giudiziarie hanno individuato uno dei metodi di trasporto della morfina nell’invio per mezzo di TIR o di autovetture munite di doppio fondo, che, attraverso i Paesi dell’Est e la Jugoslavia, giungono in Italia, soprattutto dai valichi di frontiera nord-orientali.

Gli arresti di diversi corrieri, prevalentemente di nazionalità straniera, hanno permesso, se non di pervenire direttamente alla localizzazione di laboratori per la produzione dell’eroina (protetti con accorgimenti i più disparati da infiltrazioni di estranei), di acquisire importanti notizie sia sulle modalità di consegna della morfina base, sia sui soggetti interessati all’acquisto della stessa, che sono autorevoli esponenti delle organizzazioni mafiose siciliane.

E’ questo uno dei punti deboli delle organizzazioni mafiose, poiché l’inevitabile impiego, per l’approvvigionamento di morfina, di personaggi che non fanno parte della «famiglia» permette, in caso di arresto dei corrieri, l’acquisizione di utili notizie che, opportunamente sviluppate, consentono importanti progressi nelle indagini sul traffico di stupefacenti: vale la pena di sottolineare, a questo riguardo, che i personaggi non mafiosi implicati nel traffico di stupefacenti raramente mantengono un comportamento di assoluta preclusione, e spesso decidono di collaborare con la Giustizia.

L’individuazione di altri canali usuali per il trasporto della morfina base nel nostro Paese è di fondamentale importanza, ai fini della ricostruzione del traffico in entrata della materia prima: vi sono elementi sicuri per affermare che, in tale fase del traffico, si sono inserite in qualche misura anche le vecchie organizzazioni dedite al contrabbando di tabacchi, che si prestano anche al trasporto di partite di morfina; e sono inoltre da sottolineare certe significative interferenze emerse tra il traffico internazionale di stupefacenti e quello di armi, essendo più volte risultato, ad esempio, che la morfina acquistata in Medio Oriente ha costituito oggetto di scambio con partite di armi.

Si è già detto come l’individuazione di un laboratorio per la trasformazione della morfina base in eroina consente agli inquirenti una gamma notevolissima di possibili indagini successive, sia di tipo tradizionale, sia di tipo patrimoniale (come quella che si è già indicata relativa all’iter di acquisto dei vari prodotti chimici).

Un ulteriore filone investigativo riguarda quella fase del traffico concernente l’immissione della droga nel mercato nazionale ed internazionale per il consumo. In questo settore di indagini si è rivelata spesso preziosa la collaborazione della D.E.A., organo di polizia degli USA, di cui si è già parlato.

Anche nella fase della spedizione dell’eroina nei paesi di consumo si riscontra, come punto debole delle organizzazioni mafiose, l’uso, talora, di corrieri non facenti parte delle organizzazioni stesse, spesso di nazionalità non italiana; capita sovente che costoro, una volta individuati e arrestati collaborino con gli inquirenti e consentano l’acquisizione di notizie di fondamentale importanza sulle modalità del traffico di stupefacenti e sulle organizzazioni mafiose che lo gestiscono.

Naturalmente queste ultime diffidano di siffatti personaggi estranei alle «famiglie», il cui utilizzo tuttavia è spesso imposto dalle dimensioni e dalle peculiarità del traffico di droga.

Un’ultima breve osservazione, sul terreno della droga, va fatta a proposito delle perizie chimico-tossicologiche. Giova rilevare, infatti, che l’indagine tecnica sugli stupefacenti (in particolare eroina e cocaina) può consentire di individuare, oltre alla natura e al grado di purezza del prodotto, anche il metodo di lavorazione e, quindi, di effettuare utilissime comparazioni con altri prodotti sequestrati, in guisa da orientare le indagini sulla provenienza della droga, e quindi sulle organizzazioni che presumibilmente hanno spedito la stessa.

Va quindi lamentata la mancanza di uniformità nelle metodiche usate dai vari periti che vengono adibiti dalle autorità giudiziarie, da cui consegue la difficoltà di effettuare utili comparazioni; non risulta che si sia ancora tentato, in sede giudiziaria, di impostare indagini che abbiano come punto di partenza o come utile elemento di riscontro le analogie o le identità nella comparazione di sostanze stupefacenti sequestrate e nei processi chimici di lavorazione delle stesse: è invece una strada da battere, naturalmente previa predisposizione delle attrezzature idonee per l’immagazzinamento e l’elaborazione di dati.

Il tema delle tecniche classiche di indagine è estremamente eterogeneo e si presta difficilmente a classificazioni. I metodi di investigazione criminale sono infatti multiformi e variegati, e la loro gamma è aperta ad ogni genere di arricchimento in misura proporzionale allo spirito di iniziativa ed alla «fantasia» (intesa in senso positivo, come capacità di individuare nuove piste potenzialmente fruttuose) dell’inquirente; tutto ciò, naturalmente, nel quadro di un rapporto armonioso fra magistrato istruttore e corpi di polizia, il cui fattivo apporto è conditio sine qua non per la conduzione di qualsiasi inchiesta giudiziaria, e che possono trovare il necessario momento di coordinamento proprio nel ruolo del magistrato.

Ci soffermeremo brevemente su taluni specifici singoli filoni di investigazione criminale classica.

A) Le perizie tecniche, a volte, possono fornire un utile apporto all’inchiesta solo in quanto il quesito venga formulato in modo particolareggiato avendo individuato con precisione gli esatti confini del giudizio tecnico cui si vuole pervenire. Ciò vale, ad esempio, per le perizie medico-legali e balistiche, per le quali la comparazione andrebbe estesa anche a elementi balistici emergenti da altre inchieste giudiziarie condotte nella stessa sede e in sedi diverse (anche ai fini dell’allargamento possibile dell’indagine sul terreno dei traffici clan destini di armi): questo comporta un necessario coordinamento tra diversi uffici giudiziari e, di nuovo, la predisposizione di attrezzature idonee per l’immagazzinamento e l’elaborazione di dati.

Altro tipo di perizia su cui è il caso di soffermarsi è la perizia fonica, dalla quale a volte si pretende ciò che essa non può dare. Si rammenta che la fonologia comparata, a differenza ad esempio della dattiloscopia, non fornisce risultati sicuri in ordine alla identificazione delle persone, ma solo, se mai, in negativo, in ordine all’esclusione di tale identificazione. In altri termini la perizia fonica può solo stabilire se vi siano o meno elementi, sul piano tecnico, compatibili con l’ipotesi che due diversi saggi fonici provengano da una stessa persona, il che non significa, ovviamente, che i due saggi fonici non possano provenire da due persone diverse le cui voci abbiano caratteristiche analoghe.

Entro questi limiti, la perizia fonica può essere in determinati casi utilmente disposta, ed allora si dovrà porre attenzione a che i saggi fonici vengano prelevati con le tecniche appropriate e con l’assistenza del perito esperto in fonologia comparata, al quale in certi casi sarà utilmente affiancato un dialettologo.

B) Anche le tecniche di interrogatorio degli imputati e di audizione dei testimoni non si prestano a classificazioni né all’individuazione di norme tipo. In linea di massima l’imputato mafioso tipo (come del resto qualsiasi imputato) è opportuno che venga interrogato attraverso la contestazione di precisi elementi a carico, per dargli la possibilità di difendersi; se egli non è in grado di farlo, e rende dichiarazioni palesemente menzognere, inconsistenti, e in contrasto con le emergenze obbiettive, tali dichiarazioni entreranno indirettamente nel quadro probatorio generale a suo carico.

Per esemplificare, riprendiamo un momento in esame l’acquisto immobiliare illustrato nell’esempio I in paragrafo 4: la moglie dell’imputato A, a seguito della contestazione delle risultanze processuali relative all’operazione immobiliare, ha dichiarato che il denaro necessario per l’acquisto del terreno proveniva dalla vendita di una grossa partita di suini vivi effettuata da suo marito; l’indagine su questa vendita di suini accertava non solo che le quotazioni sul mercato dei suini a peso vivo erano molto inferiori a quanto pretendeva l’imputata, ma che la vendita di maiali in questione era intervenuta solo un anno dopo l’acquisto del terreno; contestate all’imputata queste nuove risultanze, essa non ha avuto altri argomenti da contrapporre.

Si è già detto come possa essere fruttuoso l’interrogatorio di un imputato «malavitoso comune» che si sia inserito per qualche ragione in attività illecite mafiose. Qualche parola va aggiunta invece in materia di deposizioni testimoniali, dal momento che in un contesto mafioso i testimoni sono spesso intimiditi e poco disponibili a una fattiva collaborazione. Tuttavia, quando un teste viene sentito su fatti ed episodi in sé non costituenti reato (ad esempio i venditori degli appezzamenti di terreno acquistati da membri di associazioni mafiose con denaro di illecita provenienza) ci si può aspettare quasi sempre una collaborazione tranquilla e fattiva. Negli altri casi, riteniamo che il ricorso all’art. 359 c.p.p. sia da applicare con moderazione, non essendo giusto pretendere di addossare a un singolo cittadino pesanti oneri individuali nella lotta al fenomeno mafioso.

C) Nelle attività illecite che comportano frequenti spostamenti di persone si rivelano utili le indagini sulle presenze alberghiere e sui voli aerei. I conti alberghieri e i registri delle presenze possono fornire preziose indicazioni, spesso anche per ricostruire relazioni interpersonali (in caso di soggiorno di due indiziati nello stesso albergo e nello stesso periodo). Va sottolineato che spesso dalla documentazione alberghiera si possono desumere numeri telefonici e di telex che il cliente ha chiamato durante il suo soggiorno, la qual cosa potrà fornire in certi casi nuovi utili elementi per la ricostruzione di relazioni interpersonali.

Per quanto riguarda i voli aerei si rammenta che le compagnie conservano le liste dei passeggeri (che hanno però un’utilità limitata, dato che riportano solo i cognomi dei passeggeri e sono spesso incomplete) nonché i coupons di volo; dai coupons di volo si può risalire all’agenzia di viaggi che ha emesso il biglietto, presso la quale è possibile acquisire ulteriori elementi, accertando le modalità di pagamento, accertando se quel certo passeggero abbia eventualmente acquistato altri biglietti di viaggio in un determinato arco di tempo, ed accertando altresì se altre persone interessate all’inchiesta abbiano acquistato in tale agenzia biglietti di viaggio.

Altrettanto utile può presentarsi l’indagine presso agenzie di autonoleggio onde accertare se Tizio abbia noleggiato una vettura in una certa città ed in un certo periodo, dove e quando abbia restituito la vettura, e con quale percorrenza.

D) Il telefono è uno strumento molto usato dalle organizzazioni mafiose, e in particolare sono frequentissime le telefonate extraurbane e internazionali effettuate dai membri delle associazioni. Ciò comporta (a prescindere dalla utilità spesso notevole che possono presentare le intercettazioni disposte a norma del codice di procedura penale) l’opportunità di tutta una serie di indagini che con sentono l’individuazione delle utenze chiamate da questo o quell’imputato, sempre ai fini della ricostruzione di relazioni interpersonali.

Si rammenta che presso la SIP, relativamente a talune utenze telefoniche particolarmente attive (come quelle di certi grandi alberghi), sono rintracciabili le schede di traffico teleselettivo, che possono rivelarsi estremamente preziose. Presso l’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici e presso l’Italcable si può ottenere poi documentazione che consente di individuare le telefonate nazionali e internazionali effettuate su prenotazione.

In ogni caso, la documentazione SIP relativa a una data utenza telefonica può fornire indicazioni per stabilire in che misura l’unità immobiliare in cui l’utenza è installata è stata o meno frequentata in un certo periodo.

Sempre per stabilire se una casa è stata abitata o meno in un certo periodo può essere utile acquisire la documentazione relativa ai consumi di acqua, luce e gas, i cui contratti di fornitura, inoltre, consentono spesso la localizzazione precisa di appartamenti e l’individuazione di chi vi abita.

Un’ultima considerazione si rende opportuna in tema di gestione generale dell’indagine istruttoria.

Un’inchiesta giudiziaria di dimensioni particolarmente ampie è opportuno che venga condotta in modo tale che il lavoro istruttorio si distribuisca tra più di un magistrato inquirente. Nella fase dell’istruzione formale questa strada è percorribile attraverso un provvedimento succintamente motivato del Consigliere Istruttore, con il quale l’istruttoria viene assegnata a una sezione, e quindi a un giudice istruttore titolare dell’inchiesta, stabilendo che una o più sezioni ne siano assegnatarie in sostituzione.

E ciò attraverso un’interpretazione attenta dell’ultima parte (quella che non appare in contrasto con la Costituzione) dell’art. 17 delle disposizioni regolamentari per l’esecuzione del codice di procedura penale. Si rappresenta comunque l’opportunità che venga varata una norma specifica la quale preveda più esplicitamente le modalità e le forme di siffatte assegnazioni congiunte.

7. Conclusioni

Terminiamo qui la nostra relazione, pur consapevoli che molte altre osservazioni si potrebbero fare sulle tecniche di indagine in materia di mafia.

La conclusione che traiamo da tutto ciò che siamo venuti esponendo, è che, data l’enorme vastità del fenomeno criminale in questione, è arrivato il momento di considerare assolutamente indilazionabili talune misure di ordine generale (ci limitiamo al terreno giudiziario-investigativo per non esulare dal nostro tema):

  1. E’ assolutamente necessario promuovere nuove e più congrue convenzioni internazionali di assistenza giudiziaria in materia penale: particolarmente urgente si presenta il varo di convenzioni di assistenza fra Italia e Stati Uniti (le due «patrie» della grande mafia), e comunque fra l’Italia e i principali paesi di common law.
  2. Nonostante che in questi ultimi lustri il livello di professionalità investigativa, sia dei corpi di polizia che della magistratura inquirente, sia notevolmente migliorato, è necessario promuovere sistematicamente l’istruzione professionale criminalistica. La proposta di istituire scuole di criminalistica non è nuova (Consiglio Regionale della Lombardia, Criminalità in Lombardia, Milano, Giuffrè, 1981, pagg. 31-37), ed in questa sede non possiamo che richiamarci ad essa.
  3. L’immane lavoro giudiziario che spetta alla magistratura in materia di grande criminalità mafiosa non può più essere lasciato alla mercé dell’eventuale buona volontà di questo o quel singolo magistrato inquirente. L’ordine giudiziario deve creare le premesse perché venga a crearsi un tessuto organico e ben coordinato di uffici inquirenti, un continuum che consenta di portare avanti il suddetto lavoro giudiziario sistematicamente e come compito primario consapevolmente e responsabilmente assunto dalla magistratura come istituzione, attraverso la creazione di adeguati «pool» di magistrati inquirenti ben distribuiti e in costante contatto fra loro (e aventi finalmente a loro disposizione quelle famose banche dei dati di cui si parla invano da tanto tempo), così come è stato fatto sul piano del terrorismo cosiddetto «rosso».

Solo così si potrà sperare di incidere effettivamente (sul terreno giudiziario, che è quello che spetta a noi) sul fenomeno mafioso, e di far breccia non solo sui reati che abbiamo definito del primo livello (il che già non sarebbe poco), ma anche su quelli che abbiamo definito del secondo e del terzo livello, fino a quelli per i quali è stato coniato il termine di «terrorismo mafioso».

Questa prima iniziativa del CSM lascia ben sperare che ci si possa finalmente incamminare su tale strada.