di F. Q.| 22 Febbraio 2023
Saranno processati con il rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena, 27 dei 35 imputati per mafia, droga ed estorsione coinvolti nell’inchiesta che, a settembre scorso, ha decapitato i clan di Campobello di Mazara, Marsala e Mazara del Vallo e portato in cella fedelissimi del boss Matteo Messina Denaro come il capomafia Franco Luppino. In sei verranno processati in ordinario e il 9 marzo saranno davanti al gup in udienza preliminare; due le posizioni ancora da definire. A chiedere l’abbreviato, oltre allo stesso Luppino, sono stati, tra gli altri, Franco ed Ernesto Raia, Antonino Cuttone, Piero Di Natale, Vincenzo Spezia. Il pm della Dda Francesca Dessì concluderà la requisitoria il 23 marzo.
Il gup ha escluso d’ufficio una parte civile che si era costituita, La Verità Vive Onlus, perché la prefettura di Trapani, ha comunicato che non risulta che l’ente svolga attività sul territorio. Il procedimento nasce da una maxi operazione dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani contro l’area grigia dei presunti favoreggiatori del boss di Castelvetrano, catturato lo scorso 16 gennaio. Settanta persone furono indagate, 35 arrestate con le accuse di associazione di tipo mafioso, estorsione, turbata libertà degli incanti, reati in materia di stupefacenti, porto abusivo di armi, gioco d’azzardo e altri reati, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. L’indagine dei carabinieri ruotava attorno ad esponenti di primo piano dei mandamenti mafiosi di cosa nostra trapanese e confermò il ruolo di primo piano di Luppino in stretti rapporti con Messina Denaro che, come si è scoperto dopo l’arresto dell’ex latitante, si nascondeva proprio nel paese del capomafia, Campobello di Mazara.
Intanto prosegue la caccia ai finanziatori della latitanza. I pm che hanno coordinato l’indagine che ha portato alla sua cattura stanno cercando di capire come i soldi arrivasse al padrino di Castelvetrano che riusciva a mantenere un tenore di vita elevatissimo. Addosso al capomafia il giorno dell’arresto sono state trovate delle carte di credito riferibili a conti correnti intestati ad alias sui quali, però, non ci sarebbero state disponibilità tali da consentirgli le spese – fino al 15mila euro al mese – abitualmente sostenute. L’ipotesi è che le somme siano state di volta in volta consegnate al boss nel covo in cui si nascondeva, a Campobello di Mazara. Ma chi portava materialmente il denaro? E da dove arrivava quel fiume di soldi? Si indaga nella cerchia stretta dei favoreggiatori storici e della famiglia del capomafia. La Procura sta effettuando indagini anche patrimoniali per cercare di capire se dietro i finanziamenti ci fossero attività formalmente lecite gestite da prestanome o se i soldi arrivassero dalle estorsioni e da attività illecite.
Sono state fissate a venerdì prossimo, 24 febbraio, le udienze davanti al tribunale del Riesame di Palermo in cui si deciderà delle istanze di scarcerazione del medico Alfonso Tumbarello, che ha avuto in cura per oltre due anni il boss Matteo Messina Denaro durante la latitanza, e di Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra di Campobello di Mazara che ha prestato l’identità al capomafia. Tumbarello è stato arrestato per concorso esterno esterno in associazione mafiosa e falso ideologico, Bonafede per procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati. Secondo i pm Piero Padova e Gianluca De Leo, Bonafede si sarebbe occupato di ritirare le prescrizioni di farmaci ed esami clinici fatte da Tumbarello a nome del cugino, di consegnare al medico la documentazione sanitaria che di volta in volta il boss riceveva durante le cure, contribuendo così a mantenere segreta la reale identità del “paziente” e consentendogli di proseguire la latitanza.
Tumbarello, invece, avrebbe assicurato a Messina Denaro l’accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni, con più di un centinaio di prescrizioni sanitarie e di analisi (o richieste di ricovero) intestate falsamente al geometra Andrea Bonafede, mentre in realtà a beneficiarne era il capomafia, assistito personalmente e curato dal dottore. Tumbarello avrebbe così garantito al padrino non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva, ma anche la riservatezza sulla sua reale identità , e dunque gli avrebbe consentito di continuare a sottrarsi alla cattura e di restare a Campobello di Mazara a capo dell’associazione mafiosa.