20.5.2023 Matteo Messina Denaro alle sorelle: “Non mi pento”
L’Aquila, in carcere il boss ha incontrato per la prima volta la figlia: “Mai un grazie per i regali – ha detto lui -. Ti darò il mio cognome”
È quello che emerge dai colloqui in carcere del boss Matteo Messina Denaro riportati dal quotidiano La Repubblica. Nell’incontro attraverso il vetro con le tre sorelle, il boss ribadisce la sua strategia, quella della non collaborazione con la magistratura. L’incontro risale a diverse settimane fa. Nel frattempo la soralla Rosalia è finita in carcere.
Custode del sistema di comunicazione del fratello, che nella migliore tradizione mafiosa avveniva attraverso i cosiddetti “pizzini”, ricopriva anche il ruolo di “ragioniera”, gestendo in prima persona la “cassa”
Festeggerà il suo 68° compleanno in carcere Rosalia Messina Denaro, il prossimo 12 marzo, una donna che ha la mafia è nel suo sangue, iscritto nel suo DNA.
Figlia di don Ciccio Messina Denaro, il “patriarca del Belìce” morto nel 1998, e di Matteo Messina Denaro è diventata boss per carattere e eredità dopo essere cresciuta a pane e mafia. Il suo matrimonio con Filippo Guttadauro, esponente della cosca mafiosa palermitana di Brancaccio, fu estremamente sfarzoso, anche perché suggellava l’alleanza tra le più importanti famiglie di Cosa nostra siciliana, quella di Castelvetrano dei Messina Denaro, e quella di Brancaccio nelle mani dei Guttadauro e dei fratelli Graviano.
“Rosetta” nel tempo è diventata un’esponente mafiosa in grado di sostituire gli uomini che erano arrestati. Fu così per Filippo, il marito, il figlio Francesco e, infine, il fratello Matteo.
Prima di lei era stata arrestata la sorella Anna Patrizia, moglie del boss Vincenzo Panicola. Le altre due sorelle, Bice e Giovanna, sono rispettivamente la prima la vedova del commercialista Rosario Allegra che si occupava di gestire centri di scommesse on line tra la Sicilia e Malta, mentre la seconda è moglie di Gaspare Como, l’ultimo reggente della cosca di Castelvetrano. Ma il vero ruolo di “Rosetta” emerge da quanto ritrovato nel corso della perquisizione delle sue abitazioni dopo l’arresto del fratello Matteo.
Custode del sistema di comunicazione del fratello, che nella migliore tradizione mafiosa avveniva attraverso i cosiddetti “pizzini”, ricopriva anche il ruolo di “ragioniera”, gestendo in prima persona la “cassa” e, nella sua casa, crebbe Lorenza Alagna, la figlia che Matteo nel 1996 ebbe da Francesca Alagna. Basso profilo, a Castelvetrano “Rosetta” non si vedeva in giro tant’è che chi voleva incontrarla doveva andava a casa sua, ricettacolo di quanti hanno sempre riconosciuto nei Messina Denaro il vero Stato, dalla quale lei faceva da tramite con il fratello.
A lei, Matteo, aveva assegnato un nickname bizzarro, “Fragolone” come emerge dal contenuto di alcuni “pizzini” e dal fatto che, come indicato dai pm, “va da sé che se ‘Rosetta’ era in possesso di un appunto nel quale ella aveva trascritto esattamente il contenuto di un “pizzino” mandato apparentemente a ‘FRAGOLONE’, non vi è dubbio che in realtà quel pizzino era stato ricevuto proprio da lei e lei ne aveva diligentemente trascritto il contenuto”.
L’esame comparativo di altri scritti rinvenuti nelle due abitazioni conferma ancor di più per un verso l’identificazione di “Fragolone” nella sorella maggiore del latitante e per l’altro che ella è stata di volta in volta incaricata da Messina Denaro di una serie di compiti assai delicati. Risulta evidente l’intento, ossia celare abilmente la sorella Rosalia dietro il nickname al fine di evitare, nel caso di un occasionale rinvenimento, il suo coinvolgimento nelle trame tutte mafiose contenute nel “pizzino” stesso. Nessuna opzione alternativa: “Fragolone”, cioè il sodale mafioso protagonista di tutte le trame mafiose e destinatario degli ordini del latitante, altri non era che Rosalia Messina Denaro.
A riprova ci sono anche le missive riguardanti il sistema di segnalazione mediante l’esposizione di “stracci” colorati e i controlli della zona della “ferrovia” unitamente ad indicazioni relative a accorgimenti individuali che sembrano corrispondere a quelli posti in essere da Messina Denaro Rosalia nella casa di campagna di contrada Strasatto, in particolar modo nel periodo dal 17 al 20 maggio 2022.
Dall’esame dei contenuto di una serie di “pizzini” appare evidente che Rosalia avrebbe dovuto consegnare a “Condor” del denaro – altri “5”, cioè 5.000 – e un “portachiavi”, cioè verosimilmente delle chiavi d’ingresso di una abitazione clandestina. Significativa anche la indicazione della somma residua che “W” doveva ancora custodire “125”, cioè 125.000 euro. Inoltre, che Rosalia fosse chiamata in prima persona a regolare delicate vicende economiche gestite dal capo mafia, emerge con inusuale chiarezza dalla copia di un altro importante “pizzino” rivenuto nel covo di Campobello e indirizzato a “Rosalia” alias “FRAGOLONE”.
Nello scritto, il latitante dava ordine alla sorella di richiedere il finanziamento di ben «40 mila» euro a tale «Parmigiano». La consistente somma che Rosalia era chiamata a incassare da «Parmigiano», il cui importo, e la facilità con cui si comprende che costui potesse averne avuto la disponibilità, lascia presumere che trattasi di grosso imprenditore «digli che 40.000 non cambiano la vita delle persone», e che costui certamente era in affari con Cosa nostra al punto da non potersi rifiutare: «digli che non può dire di no».
In conclusione il “pizzino”, oltre a nuovi conteggi sul denaro in entrata e in uscita, anche lo stesso riferimento al “cambio posta”, con la fissazione di una data e di un’ora, 4 novembre 2022 ore 11.00, a conferma ancora una volta che la donna fungeva da collettore per la collazione dei “pizzini” e il successivo inoltro al latitante.
“Il duplice riscontro dei messaggi rinvenuti sia nella casa di Campobello di Mazara abitata dal latitante, sia, con corrispondente contenuto, nelle abitazioni della sorella, rispettivamente site nella via Alberto Mario di Castelvetrano e in contrada Strasatto di Campobello di Mazara, dove si trovavano abilmente occultati, unita alla verifica della grafia della trascrizione del contenuto originario che è stato possibile ricondurre a ‘Rosetta’ – indica il pm – dimostra già inconfutabilmente e, comunque, già in termini di gravità indiziaria che qui rilevano, il ruolo materiale attribuito a Rosalia Messina Denaro”.
Rosalia Messina Denaro è, scrivono i pm “Punto di riferimento economico che, proprio in ragione dello stato di fuggiasco in cui viveva il fratello, doveva essere gestito con assoluta fiducia per garantire a costui non solo di fronteggiare le difficoltà e assicurarsi il sostentamento, non solo di sottrarsi all’esecuzione di pesantissime pene detentive comminategli per i reati più gravi e terribili commessi nella nostra storia repubblicana, non solo di gestire la riservatissima catena dei “pizzini” attraverso cui il capo provincia veicolava gli ordini mafiosi agli altri associati i sodali; ma anche di consentire a Cosa nostra di avere un capo autorevole, di fregiarsi di avere un suo esponente apicale, ultimo stragista, ancora libero per il quale il protrarsi della latitanza continuava ad alimentarne la legenda (e quindi il naturale proselitismo che ne derivava e di cui si sarebbe potuta giovare l’intera associazione mafiosa). Nel condividere e sposare appieno la latitanza del fratello, in uno dei tanti ‘pizzini’ rinvenuti nella casa familiare Rosalia non esitava a scagliarsi contro i contenuti di una trasmissione su RAINEWS 24, che aveva dato notizia il 3 agosto 2015 dell’esecuzione di una misura cautelare a carico di un ristretto numero di uomini d’onore che in quel momento gestivano la catena dei ‘pizzini’ da e per il latitante”. QDS
Quando Rosalia Messina Denaro imprecava contro inquirenti e tv: “Fanno schifo, ti insultano”
Dopo un blitz la donna, arrestata per 416 bis, in un pizzino se la prendeva con chi aveva compiuto l’operazione e la stampa che ne aveva dato notizia. Per i pm l’indagata non avrebbe semplicemente favorito e protetto il fratello allora latitante, ma avrebbe fatto parte a tutti gli effetti di Cosa nostra, incitandolo anche a mantenere il suo ruolo apical
“Fanno schifo… Ti insultano, dopo aver arrestato persone a te care”, così scriveva in un pizzino “Fragolone”, alias Rosalia “Rosetta” Messina Denaro, sorella dell’ex superlatitante, scagliandosi addirittura contro un programma televisivo in cui si dava notizia della cattura di alcuni “postini” del boss, cioè persone che facevano parte di quella catena umana necessaria per consentire la circolazione dei bigliettini segreti da e per il mafioso. Il retroscena emerge dall’ordinanza di custodia cautelare del gip Alfredo Montalto che, accogliendo la richiesta del procuratore Maurizio De Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, ha disposto il carcere per la donna. Che non sarebbe stata una semplice favoreggiatrice, cioè una sorella che protegge amorevolmente il fratello più piccolo e poi anche malato, ma una donna di mafia a tutti gli effetti, “ortodossa”, che “nel tempo ha assunto un ruolo che richiede obbedienza, silenzio e connivenza, rivestendo in pieno (e prima di lei e insieme a lei tutti gli altri fratelli e sorelle che si sono avvicendati in questo ruolo) il compito di garante per l’intera Cosa nostra della sopravvivenza del suo unico grande capo ancora latitante”, dicono gli inquirenti.
L’indagata “condivide e sposa la latitanza” di Matteo Messina Denaro e arriva persino ad incitarlo a perseverare, a mantenere il suo ruolo apicale nell’organizzazione criminale, costi quel che costi. Anche – come è accaduto nel suo caso – di vivere per esempio con la consapevolezza di essere costantemente osservata e intercettata dagli investigatori, in ogni più banale gesto della vita quotidiana, di non essere mai libera.
In una lettera inviata al fratello “Fragolone” imprecava: “Fanno schifo… Ti insultano, dopo aver arrestato persone a te care, lo fanno apposta”. Il riferimento, secondo l’accusa, sarebbe alla notizia che la donna avrebbe appreso dalla tv legata all’operazione “Ermes” dell’agosto 2015, con la quale erano stati arrestati una serie di fiancheggiatori di Messina Denaro.
Per la Procura, Rosalia Messina Denaro “è stata da decenni innanzitutto il punto di riferimento economico dell’allora latitante, ricercato per 30 anni dalle polizie di tutto il Paese”, un punto di riferimento di “assoluta fiducia” per l’allora latitante al fine di “garantirgli non solo di fronteggiare le difficoltà e assicurarsi il sostentamento, non solo di sottrarsi all’esecuzione di pesantissime pene detentive per i reati più gravi e terribili commessi nella nostra storia repubblicana, non solo di gestire la riservatissima catena dei pizzini attraverso cui il capo provincia veicolava gli ordini mafiosi agli altri associati e sodali, ma anche di consentire a Cosa nostra di avere un capo autorevole, di fregiarsi di avere un suo esponente apicale, ultimo stragista, ancora libero per il quale il protrarsi della latitanza continuava ad alimentarne la leggenda (e quindi il naturale proselitismo che ne derivava e di cui si sarebbe potuta giovare l’intera associazione mafiosa)”.
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