Passano due mesi e Leonardo Sciascia spedisce un’altra lettera a Paolo Borsellino: «Le Scrivo per chiederLe un favore: spero non Le sia, la mia richiesta, di troppo fastidio. Non so se Lei ha letto il libro di Joseph Bonanno, di cui la Mondadori ha pubblicato la traduzione nel 1985… Bonanno è allergico alle date ma il suo processo potrebbe essere stato celebrato, a Trapani, fra il 1912 e il 1914. Quel che Le chiedo è dunque questo: è possibile, trovandosi l’incarto, che io possa prenderne visione…».
Questa lettera, datata 26 ottobre 1988, me la dà Manfredi Borsellino, il figlio.
È il 2002 e gli dico che mi piacerebbe pubblicare tutta la corrispondenza fra suo padre e Leonardo Sciascia, a proposito dell’“Uomo cane” di Mazara del Vallo. Mi fa vedere anche questo messaggio dello scrittore.
Manfredi è un funzionario della Polizia di Stato, lo conosco da qualche anno. Non lo incontro da un po’. Ho un momento di smarrimento. La somiglianza con Paolo Borsellino è impressionante. Manfredi è un ragazzo garbato e riservato.
Un paio di giorni dopo mi invita a casa sua, in via Cilea. Ero stato diverse volte a trovare Paolo Borsellino lì. Solo di sera e solo nel suo studio. Non avevo mai visto le altre stanze della casa.
Con Manfredi rientro nello studio di Paolo Borsellino. Mi fa vedere la lettera di Sciascia, con la quale chiede di entrare in possesso del vecchio processo di Joseph Bonanno. Parliamo di suo padre. Gli racconto: «Io sono venuto diverse volte in questa casa ma tuo padre non mi ha mai fatto varcare quella porta oltre lo studio, teneva moltissimo alla famiglia e cercava di tenere rigorosamente separato il suo lavoro da voi. Conosco solo questa stanza e ho sempre ho avuto la sensazione che fosse staccata dal resto della casa».
Manfredi sfila da uno scaffale uno dei tanti faldoni custoditi da suo padre. Paolo Borsellino segnava e conservava tutto.
Incontri, interviste,appunti, fotografie, ritagli di giornale.
Poi sorride e mi dice: «In effetti non hai avuto una sensazione sbagliata: questa stanza era della casa accanto, i miei genitori l’hanno comprata successivamente dal vicino per allargare il nostro appartamento».
A Palermo sono gli ultimi giorni di Antonino Caponnetto. Il consigliere istruttore sta tornando a Firenze e il giudice Falcone è sicuro di prendere il suo posto. Non sarà così. Quando all’ufficio istruzione arriva il nuovo capo Antonino Meli, in pochi mesi viene disintegrato il pool antimafia.
Paolo Borsellino non ha dimenticato gli amici di Palermo. È uno di loro. Giovanni Falcone non può parlare, è un giudice di quell’ufficio e deve rispettare regole e gerarchie. Paolo Borsellino, invece, sta fuori e può dire ciò che pensa. È sempre a Marsala. Aspetta soltanto l’occasione per denunciare quello che ha dentro.