Strage via D’Amelio, Sergio Lari racconta la collaborazione di Spatuzza

 

Il Quotidiano di Sicilia, ha raccolto una preziosa intervista, per meglio comprendere quanto la collaborazione di Spatuzza sia stata importante per il raggiungimento delle verità processuali.

Era il 2 luglio 1997 quando, a fronte della disponibilità di Giovanni Garofalo, fedelissimo di Gaspare Spatuzza, scattò il blitz della squadra Catturandi della Polizia di Stato. Garofalo condusse gli investigatori sino all’Ospedale Cervello di Palermo, dove il boss si trovava per l’appuntamento concordato con Garofalo.

Nel 2008 Spatuzza decise di pentirsi e collaborare con la Giustizia rilasciando diverse dichiarazioni in ordine alla strage di via D’Amelio, alle bombe del 1993 a Milano, Firenze e Roma e ai legami fra la mafia e il mondo politico-imprenditoriale.

Della sua collaborazione si è occupato il dottor Sergio Lari, al tempo procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta e oggi in pensione.

Il Quotidiano di Sicilia, ha raccolto una preziosa intervista, per meglio comprendere quanto la collaborazione di Spatuzza sia stata importante per il raggiungimento delle verità processuali.

Dottor Lari, quando incontra, per la prima volta, Gaspare Spatuzza?

“Lo incontrai subito dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia”.

Nella sua carriera ha intervistato doversi boss mafiosi. Che impressione ebbe durante i colloqui con Spatuzza?

“La prima impressione è stata quella di trovarsi davanti a un collaboratore di giustizia che era anche realmente pentito. Pensi che, durante gli interrogatori, vestiva completamente di nero in segno di lutto, perché non poteva perdonarsi di alcuni dei morti che aveva sulla coscienza, nello specifico della piccola Caterina, di appena 50 giorni di vita, che perì nella strage di via dei Georgofili. Sappiamo che sulla sua coscienza aveva più di 40 omicidi, si auto accusò anche delle stragi del ’93 oltre ad ammettere di avere avuto un ruolo nella strage di via d’Amelio”.

Che tipo di pentimento era quello di Spatuzza?

“Era un pentimento che nacque da una conversione autentica di tipo religioso ed è maturato nel corso del tempo. Come disse Pietro Grasso, con il quale Spatuzza fece un colloquio investigativo, c’erano già stati segnali da parte sua ma non erano mai sfociati in una collaborazione con la Giustizia. Per me fu una sorpresa quando arrivò una nota del procuratore Antimafia con le sue prime dichiarazioni che anticiparono la collaborazione”.

Perché?

“Perché quelle dichiarazioni mettevano in discussione i risultati dei processi Borsellino Uno e bis che si erano conclusi, con sentenze passate in giudicato, portando alla condanna di moltissime persone, tra le quale diverse che da 17 anni si trovavano in custodia cautelare a seguito di sentenza definitiva. Ci trovavamo davanti a un collaboratore di giustizia che metteva in discussione quello che altri quattro collaboratori avevano dichiarato nei processi, nei quali erano stati ritenuti attendibili”.

Quale fu l’impatto che generarono le sue dichiarazione?

Inizialmente d’incredulità e scetticismo ma ci rendemmo conto che avevamo di fronte un uomo che manifestava, a chiare lettere, un senso di reale pentimento. Quando le sue dichiarazioni furono sottoposte a un vaglio probatorio rigorosissimo, ci rendemmo conto che diceva la verità. I riscontri che abbiamo trovato alle sue dichiarazioni sono stati formidabili e comprendemmo così anche le lacune investigative dei processi precedenti relativi alla strage di via d’Amelio.

Un esempio?

“Mi colpi molto quando, assieme al collega Stefano Luciani, andammo a fare un sopralluogo nel luogo in cui sosteneva di aver rubato l’autovettura utilizzata per la strage di via d’Amelio (la Fiat 126, ndr) perché egli, seppur a distanza di diversi anni, individuò con precisione la posizione che aveva l’auto, posizione che fu riconosciuta dalla stessa proprietaria dell’auto rubata. Si trattava di un luogo completamente diverso da quello che Salvatore Candura, un falso pentito, aveva dichiarato nel precedente processo. Oppure la sua dichiarazione relativa alla sostituzione dei freni dell’autovettura, circostanza che fu riscontrata a seguito di una consulenza tecnico-scientifica. A questo si aggiunsero dichiarazioni incrociate di altri collaboratori, quali Agostino Trombetta e Fabio Tranchina, che hanno consentito di trovare risconti formidabili”.

Le sue dichiarazioni fecero luce anche un buco nero relativo alla ricostruzione dell’organizzazione della strage di Capaci…

“Sì, grazie alle dichiarazioni di Spatuzza siamo riusciti a scoprire da dove provenisse la maggior parte dell’esplosivo utilizzato per la strage di Capaci. Proveniva da bombe di profondità e grazie a lui individuammo il pescatore Cosimo D’Amato, colui che si era fatto tramite per procurarlo. Si trattava di quell’esplosivo che lo stesso Spatuzza “lavorò”, quasi 400 chilogrammi di tritolo proveniente da bombe utilizzate durante la seconda guerra mondiale. Inoltre, sempre a proposito della strage di Capaci, furono le dichiarazioni di Spatuzza che consentirono di fare luce su un aspetto inedito, consentendo di individuare il ruolo di leadership che ebbe il mandamento di Brancaccio, i fratelli Graviano e i soggetti appartenenti a quel mandamento, nell’organizzazione ed esecuzione anche nella strage di Capaci. La differenza è stata che, mentre nella strage di Capaci non avvenne nessun depistaggio ma fu scoperto un grande “buco nero”, in quella di via d’Amelio avvenne quello che io stesso definii senza esitazioni “il più grande depistaggio”.

Oggi Spatuzza è tornato libero, perché sarà sottoposto a un regime di sorveglianza per i prossimi 5 anni, e inizieranno le polemiche…

“Posso dare una risposta molto semplice a quanti pensano che ciò non sia giusto. Se non ci fosse il contributo di Spatuzza avremmo molte persone ancora in stato di detenzione illegalmente, innocenti, persone che non avevano commesso i reati gravissimi che a loro erano stati attribuiti. Per converso sarebbe stati liberi, o comunque non condannati per reati da loro commessi, tanti altri, in realtà responsabili di fatti gravissimi come quelli della strage di Capaci.

Spatuzza ha contribuito anche a far luce sull’omicidio di Padre Pino Puglisi. Al di là di tutto questo, nei confronti di Spatuzza è stata applicata rigorosamente la legge. La legge dice che se c’è, da parte del collaboratore di giustizia, un contributo pieno, completo e rigoroso, al di là di un pentimento religioso o morale, lo Stato deve rispettare i patti. Spatuzza s’inscrive tra i più importanti collaboratori di giustizia di cui ci siamo avvalsi nella storia dell’antimafia. Inoltre, mentre altri hanno fatto una scelta utilitaristica, Spatuzza si è sinceramente pentito di quello che ha fatto. “Facta sunt observanda”, come dicevano i latini”.

Roberto Greco

12.3.2023