Ci passi ogni giorno ma (forse) non sai cos’è: il “labirinto” di Palermo dove non si entra

Negli anni Ottanta l’artista volle realizzare un’opera che sottolineasse la reale voglia di voltare pagina della città, insieme al rifiuto degli omicidi di mafia per le strade

Si schierarono apertamente dalla parte della sua visione artistica, tra i tanti: il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, Enrico Crispolti, Leonardo Sciascia, Antonino Buttitta, Gianni Puglisi, Gianni Pirrone e Margherita De Simone.

Parliamo del Monumento ai caduti della lotta alla mafia che lo scultore Mario Pecoraino (1930-2019) compose e realizzò alla metà degli anni Ottanta per sottolineare la volontà di reale cambiamento con la forza dell’evidente rifiuto, promosso da parte della comunità palermitana di intellettuali e cittadini scevra dal condizionamento mafioso, alla “mattanza” del potere criminale che in quei terribili anni fu attore dell’assalto armato dei “corleonesi” al corpo istituzionale dello Stato.

Non fu affatto una strada semplice da seguire quella in cui a Palermo il colore del verde dei giardini devastati dal sacco edilizio politico-mafioso lasciava sempre più spazio al rosso del sangue della stagione del “un morto ammazzato al giorno”, ma Pecoraino supportato dalla vicinanza cosciente degli affetti familiari, seppe e volle rappresentare scudo a una deriva culturale di cui avvertiva tutto il peso in forma di evidente ipoteca sul futuro.E così nell’autunno del 1982 lo scultore mostra i bozzetti della sua opera presso i locali istituzionali dell’Ateneo palermitano e nel febbraio successivo presenta nel ridotto delTeatro Politeama il modello ligneo in scala che permette a tutti di osservarne le radici profonde del concept progettuale in cui al “labirinto” planimetrico (alla quota di calpestio) che rappresenta la componente magmatica del passato mafioso, l’artista contrappone il verticalismo dei diedri in acciaio corten alti circa 12 metri (realizzati presso i Cantieri Navali), a rappresentare la speranza elevata del cambiamento necessario e auspicato.

Queste lastre infisse nel terreno, disegnano concettualmente la pianta della Sicilia e nella visione artistica dello scultore già docente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo e allievo di Onofrio Tomaselli, Giovanni Rosone e Filippo Sgarlata, doveva divenire un luogo di attraversamento sensibile affinché forme e atmosfere, in questa singolare esperienza sensoriale potessero riuscire a strappare ai fruitori importanti riflessioni sul tema proposto.

Purtroppo “per noi tutti” già all’alba della sua inaugurazione nel 1987, in un luogo iconico ma già di per sé difficilmente integrato alla vita urbana (sarebbe dovuto sorgere a piazza Unità d’Italia), il monumento venne cinto dall’inutile bassa recinzione metallica che finì per impedirne la piena fruizione e dunque contestualmente, la piena comprensione sensoriale di quella che a giusto titolo può essere definita tra le prime Opere pubbliche d’arte Ambientale di Sicilia insieme al coevo Cretto di Burri a Gibellina.

È da ritenersi indispensabile a quarant’anni dalla sua genesi e a trentacinque dalla sua posa in opera che il monumento venga liberato e dunque restituito all’originario concept ideativo del grande artista palermitano. Un plauso intanto al Sindaco neo-eletto Roberto Lagalla, tra i pochi ad averne compreso l’importanza simbolica rilevante nel solco di quella dialettica cominciata all’alba dell’omicidio La Torre-Di Salvo, recatosi proprio qui per commemorarne recentemente il ricordo corale dei martiri alla lotta contro l’anti-Stato mafioso.

Solo la politica “può” togliere l’inutile all’utile, solo la volontà politica può restituire il valore del luogo al luogo stesso, solo politici coraggiosi e lungimiranti possono porre la giusta luce indispensabile e determinante a costruire cultura esaltando la poetica plastica dell’arte pubblica che in Italia ha sempre avutoun peso determinante nelle fortune dei nostri spazi urbani.

Basterà un’ordinaria ordinanza sindacale e Palermo aprirà finalmente alla pubblica fruizione la scultura che Mario Pecoraino immaginò per stimolare le giovani coscienze animate dalla tensione ascensionale al bello. È quasi una “archeologia contemporanea”, lì pronta per tornare a costruire valore condiviso.

BALARM