12 Marzo 2023 di: Andrea Cinquegrani LA VOCE DELLE VOCI
Si avvera un sogno. A poco più di cinque anni dalla sua scomparsa, prende corpo l’Archivio di Ferdinando Imposimato, una esistenza spesa, come magistrato, per dar vita ad una Giustizia vera, con le sue mitiche inchieste sui casi più bollenti della travagliata vita del nostro Paese. Poi come consulente dell’ONU per contrastare il narcotraffico e anche della ‘Corte internazionale per i crimini contro l’umanità’.
Quindi come grande scrittore, autore di memorabili volumi che hanno precorso di anni le successive ricostruzioni storiche di tragici eventi, per fare un esempio su tutti il delitto di Aldo Moro, con ‘Doveva Morire’.
E ancora come giornalista, dalla cui penna sono scaturite decine e decine di inchieste che ancora oggi hanno un grande peso e che la ‘Voce’ ha avuto l’onore di poter pubblicare: se andate sulla barra a destra della nostra home page, troverete ‘La Voce di Ferdinando Imposimato’ e cliccandovi sopra potere leggere quanto di prezioso ha scritto per noi.
Più avanti dettaglieremo meglio le singole fasi del ‘nostro’ grande amico di una vita, Ferdinando.
FIORISCE L’ARCHIVIO
Cominciamo dalla davvero lieta ‘novella’. Ossia la nascita dell’Archivio Imposimato, che sarà finalmente fruibile – dopo anni di meticoloso lavoro di catalogazione e digitalizzazione – da parte di tutti gli studiosi, i ricercatori, gli studenti, le università italiane ed estere che ne faranno richiesta.
Ne dà notizia la collaboratrice più stretta in tutta la lunga carriera di magistrato e anche dopo, Francesca Toto, presidente del ‘Comitato per la legalità e l’anticorruzione’: “Siamo veramente onorati e orgogliosi di poter dare risalto a questa importante iniziativa, e cioè che il Centro Studi Ferdinando Imposimato raccoglierà e renderà disponibile l’archivio digitalizzato del caro e indimenticato Presidente”. Il Centro Studi è diretto dalle figlie, Alessandra e Chiara Imposimato, e dalla moglie, Anna Maria Giorgione, anche lei magistrato, una lunga carriera alla Corte dei Conti.
Prosegue Toto: “Ringrazio la famiglia che mi ha offerto l’opportunità di continuare ad essere vicina al lavoro del giudice sulle più importanti inchieste nazionali. L’archivio digitalizzato nasce per volontà per volontà dello stesso magistrato, parlamentare e avvocato Imposimato che negli ultimi anni della sua vita si è speso senza mai risparmiarsi per far conoscere a migliaia di persone retroscena inediti e inconfessabili di depistaggi nelle vicende di terrorismo, criminalità e stragi e che oggi, a cinque anni dalla scomparsa, lo trova ancora tra i personaggi più attuali di coloro che desideranoaffermare la verità storica, soprattutto per dare un’opportunità di conoscenza ai giovani, i quali hanno sempre più bisogno di memoria storica. Questa frase era il suo mantra”.
Ed è stato il mantra che ha caratterizzato tutta la vita della nostra testata, che nasce nel 1984 come ‘La Voce della Campania’ ereditata dal PCI (l’ultimo direttore nel 1980 fu Michele Santoro), e poi nel 2007 diventata ‘Voce delle Voci’, a distribuzione nazionale.
L’amicizia con Ferdinando nasce proprio a fine anni ’70, quasi mezzo secolo fa, quando conduceva inchieste al calor bianco che andavano dai primi sequestri dell’anonima sarda fino ai casi di terrorismo, passando poi dall’attentato a Papa Woytila fino all’assassinio di Aldo Moro(abbiamo citato solo alcuni tra i casi più bollenti).
Ferdinando ci diede la spinta, la forza, la passione per portare avanti un giornalismo d’inchiesta nel senso più autentico del termine, col passare degli anni diventato merce sempre più rara, oggi praticamente introvabile nel desolante e desolato panorama dei media, tutti omologati e cloroformizzati.
A TUTTA ‘MEMORIA STORICA’
Lui, invece, ci spinse sempre a scavare, scovare, andare fino in fondo, a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo: soprattutto – diceva – perché alla fine la Giustizia trionfi, anche se raramente nelle aule giudiziarie, almeno sotto il profilo storico, soprattutto per tramandare la ‘Memoria storica’ di quanto è successo, delle tante tragedie senza colpevoli, dei tanti buchi neri e misteri di Stato dove poche volte vengono individuati i killer, mentre i mandanti restano regolarmente a volto coperto. E tutto ciò, lasciando parenti e familiari sgomenti, senza una verità e una giustizia tra le mani: da qui l’immenso valore della Memoria storica, il suo mantra, appunto.
E’ il mantra che ci ha animati in questi lunghi anni di ‘Voce’, tra mille battaglie, spesso anche giudiziarie che hanno prosciugato le nostre già scarse risorse economiche. E proprio in occasione di due recenti grossi processi che ci vedono come imputati solo per il fatto di aver raccontato la ‘Verità’ di fatti scomodi, abbiamo ricordato, in udienza, l’insegnamento che ci impartì Ferdinando. Al processo, ad esempio, che ci vede contrapposti alla dinasty dei Marcucci (Andrea, Paolo e Marilina) e alla loro corazzata ‘Kedrion’ (tra i leader mondiali sul fronte della produzione e commercializzazione di emoderivati) abbiamo sottolineato che – proprio come ci ha sempre insegnato Imposimato – le nostre inchieste e i nostri articoli da 40 anni ad oggi sulla ‘strage del sangue infetto’ sono stati sempre finalizzati a conservare, tramandare, rispettare, divulgare la memoria di tante vite innocenti: per la vicenda del sangue infetto in Italia si tratta di oltre 5 mila vittime senza lo straccio di una giustizia.
Ormai il processo penale è finito proprio al tribunale di Napoli con il proscioglimento di tutti gli imputati perché ‘il fatto non sussiste’ (con ogni probabilità si è trattato di un ‘suicidio di massa’): e proprio per questo, tutto ciò che abbiamo scritto a partire dal 1977 e che continueremo a scrivere finchè le energie ce lo consentiranno, riguarda il rispetto di quelle vite, per conservarne il ricordo, per perpetuarne la ‘Memoria Storica’, il bene più prezioso di ogni popolo e che – come giustamente sottolinea Francesca Toto – va assolutamente tramandata ai giovani. Altrimenti, la polvere e l’oblio prevarranno: e per le povere vittime sarà come un morire per la seconda volta. Innocenti calpestati due volte.
Del resto, la valorizzazione della ‘Memoria Storica’ è proprio uno dei fini più nobili e imprescindibili su cui nasce l’Archivio Imposimato, un bene prezioso per tutto il nostro Paese e certo non solo.
Ecco, di seguito, una sorta di ‘miscellanea’ di ricordi che non potrò mai cancellare e che mi rendono la voce, il viso, la statura morale e civile di Ferdinando sempre più presente e vivida davanti a me. E che, come detto, mi danno la forza di andare avanti con il gravoso impegno della ‘Voce’: come scrivemmo nel primo numero in edicola, ad aprile 1984, è, vuol essere la ‘Voce’degli ultimi, dei dimenticati, dei ‘senza memoria’.
QUELL’INDAGINE SULLE TORRI GEMELLE
Mi torna in mente il piccolo contributo che mio fratello ed io demmo a Ferdinando nel tradurre una mole di carte che riguardavano la strage delle Torri Gemelle. Fu incaricato infatti dalla Corte dell’Aja di preparare una minuziosa ricostruzione dei fatti, tassello per tassello. Ne uscì un lavoro memorabile, un lungo dossier che dimostrava, in modo documentale e quindi inoppugnabile, l’intervento diretto della Cia e dell’Fbi non solo per depistare le indagini, ma per contribuire in modo fattivo per non sventare l’attentato.
Emblematica la story del capo commando, Mohamed Atta, così come ricostruita, tassello per tassello, da Ferdinando. E’ un segnalato speciale negli archivi Cia ed Fbi, Atta, eppure sbarca tranquillamente negli Usa, dove prende addirittura il brevetto di pilota, quindi per circa otto mesi viaggia da una capo all’altro degli States senza essere mai una sola volta fermato. Fino a mettere in pratica, quel tragico 11 settembre 2001, l’attentato: servito poi da ottima scusa per l’attacco Usa all’Iraq di Saddam Hussein, per il quale il premier inglese Tony Blair dava il suo contributo taroccando le prove circa le armi nucleari su cui disponevano (falsamente) gli iracheni
E POI COME ALDO MORO “DOVEVA MORIRE”
E come ‘dovevano crollare le Twin Towers’, cosi in Italia ‘Doveva Morire’ Aldo Moro, un vero spauracchio per gli Stati Uniti che vedevano come il fumo negli occhi il possibile compromesso storico con il Pci di Enrico Berlinguer.
Ed è così che nel 2007 esce un libro che tutti dovrebbero ancora oggi leggere, firmato da Imposimato e Sandro Provvisionato (altra grande firma della ‘Voce’ per anni, fondatore e animatore del mitico sito ‘Misteri d’Italia’).
Eppure nessuna sentenza giudiziaria ha mai portato ad alcuna conclusione in quella direzione: colpevoli solo i brigatisti
E POI A TUTTA “CORRUZIONE AD ALTA VELOCITA’”
E vogliamo ricordare un’altra clamorosa story sulla quale, tanti, troppi anni prima, gli stessi Imposimato e Provvisionato avevano visto giusto. Stiamo parlando del più grande affare del secolo, un business stramiliardario, quello dell’Alta Velocità, il TAV, partito a fine anni ’80 in sordina, cominciato a decollare con una dote da 27 mila miliardi di vecchie lire l’anno seguente e, soprattutto, sul quale puntarono subito le loro fiches i clan di mafia, camorra e ‘ndrangheta, pronti ad approfittare della ghiotta e imperdibile occasione.
Ma se ne accorgono subito due grandi magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che – come soleva dire il primo – seguono subito ‘la pista dei soldi’. Incaricano ilROS dei carabinieri di preparare un dossier, che man mano diventa sempre più corposo; alla fine, quando arriva sulla scrivania di Falcone, è di ben 890 pagine, fitte di nomi, prestanome, società di copertura, e autentiche sigle sia locali (siciliane soprattutto, ma anche campane e calabresi) che di livello nazionale. E’ così che nasce il Dossier ‘Mafia e Appalti’, il quale sarà il vero detonatore per il tritolo che ammazzerà prima Falcone a Capaci e subito dopo Borsellino in via D’Amelio.
E’ una pista che la ‘Voce’ ha seguito – così come tutto l’Affare TAV che rappresentava la ciliegina sulla torta nel dossier ‘Mafia e Appalti’ – fino dai primi anni ’90.
Ed è la pista che condurrà nel 1996 Imposimato a scrivere di suo pugno una relazione di minoranza al vetriolo (quando militava nel PD) in seno alla ‘Commissione Antimafia’ all’epoca presieduta dalla forzista Titti Parenti. C’è tutto il fuoco di un’analisi a prova di bomba – è proprio il caso di dire – perché già allora venivano fatti nomi e cognomi, individuate sigle, ricostruite le connection che facevano dei grandi appalti pubblici (TAV in pole position, of course) il vero tavolo di confronto e scellerato accordo tra partiti (o meglio, correnti di partiti), imprese colluse e malavita organizzata. Un meccanismo oliato alla perfezione, magistralmente individuato da due inquirenti del calibro di Falcone e Borsellino, i quali proprio per questo motivo salteranno per aria. Altro che ‘Trattativa’!
E tutto questo viene messo nero su bianco, nel 1999, quindi quasi un quarto di secolo fa, in un volume che fa la storia, ‘Corruzione ad Alta Velocità’: che arriva a raccontare anche i ‘depistaggi’ giudiziari seguenti, per affossare le prime, vere indagini sull’Alta velocità e non disturbare i ‘Manovratori’: i politici, i mafiosi, gli imprenditori.
E nelle pagine del libro salta agli occhi il nome del grande ‘depistatore’ in toga: quell’Antonio Di Pietro che riuscirà ad avocare a sé, ossia alla Procura di Milano, anche il filone romano (politico-amministrativo) d’inchiesta, sostenendo che lui aveva scoperto il bandolo della matassa e aveva in mano (cioè ‘gestiva’) un collaboratore ‘eccellente’, ‘l’Uomo a un passo da Dio’ come lo definì lo stesso don Tonino. Si trattava di Francesco Pacini Battaglia, detto ‘Chicchi’, il banchiere-faccendiere italo elvetico che sapeva tutto sulla madre di tutte le mazzette, ossia la maxi tangente Enimont e, ovviamente, tutto sull’affaire griffato TAV.
Ma come mai il rigidissimo mastino Di Pietro, solito usare il guanto di ferro con i suoi imputati, stavolta adopera quello di velluto?
Lo spiegano in modo perfetto gli autori di ‘Corruzione ad Alta Velocità’: invece di scegliere un principe del foro milanese, come qualunque imputato non povero in canna avrebbe fatto, Pacini Battaglia si fa difendere da un ‘paglietta’ senza arte né parte, da poco arrivato dall’avellinese, tale Giuseppe Lucibello. Il quale, però, ha un asso nella manica: è un grande amico del Tonino nazionale! Ed il gioco è fatto: pur sapendo ‘tutto’ su TAV e dintorni, ‘Chicchi’ resta con la bocca cucita ma non passa neanche 24 ore in gattabuia, come invece è successo per non pochi big dell’imprenditoria che ci hanno rimesso le penne in carcere (un caso per tutti, il numero uno dell’ENI Gabriele Cagliari) o appena prima di entrarci (il capo dell’impero Ferruzzi, ossia Raul Gardini). Niente di niente: sarà libero come un fringuello, solo un po’ alleggerito nelle tasche: ‘mi hanno sbancato’, dirà – intercettato – al telefono.
L’avvocato Fabio Trizzino
E Di Pietro – processato a Brescia per i suoi comportamenti quanto meno ‘anomali’ nei confronti di alcuni imputati – potrà godersi una sentenza che lo censura sotto il profilo etico, morale, professionale, deontologico, ma non sotto quello penale.
Tutto ciò, e tanti altri dettagli che fanno ‘Storia’ e ‘Memoria’, potete leggere in quel libro sul TAV, ancora oggi più attuale che mai: anche perché l’ennesimo processo Borsellino si è aperto pochi mesi fa a Caltanissetta.
Commenta il coraggioso avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino. “Le speranze, dopo così tanti anni dai fatti, di poter avere una sentenza giusta non sono molte, perché quasi tutti i reati sono prescritti da tempo. Ma il valore della sentenza potrà essere fondamentale per sancire una volta per tutte la verità dei fatti: e soprattutto perché la Memoria storica di quanto è successo diventi incancellabile”.
E da tramandare ai posteri: come lezione di cosa può essere la giustizia, quella vera, se interpretata da magistrati-coraggio come Falcone e Borsellino che scoprono le verità e vengono giustiziati dal ‘potere’.
Magistrati-coraggio come il nostro Ferdinando che, con lo stesso impegno, ci ha dedicato la sua intera esistenza.