Ci sono circa 5.000 mafiosi italiani in Australia divisi in 51 clan di cui 14 di ‘ndrangheta. Questa la notizia con cui ci si è svegliati nel nostro emisfero la mattina del 7 giugno. Capita spesso di arrivare ‘tardi’ quando qualcosa accade in Australia; complice il fuso orario al nostro risveglio è già successo molto Down under. I principali canali di comunicazione australiani, dall’ABC(Australian Broadcasting Corporation) al The Guardian, hanno pubblicato nella notte la notizia, già commentata in radio e in tv locali, e twittata e condivisa sui social plurime volte, ripresa da un lancio stampa sul sito dell’Australian Federal Police. Nel leggere il comunicato stampa dell’AFP, prima ancora che le news rielaborate, si comprendono una serie di cose.
MAFIOSFERA | Cosa manca all’antindrangheta dei canguri?
La ‘ndrangheta più radicata nel mondo dopo l’Italia, lo abbiamo già detto, è probabilmente in Australia. Ma questo porta ovviamente a chiedersi cosa ne sia dell’antimafia – o meglio dell’anti-ndrangheta – down under. Sicuramente rispetto a un fenomeno radicato da praticamente un secolo, e integrato nella società australiana, è arrivata una risposta non sempre adeguata. Andiamo con ordine, perché i problemi dell’antimafia australiana sono tutti strutturali e vengono da molto lontano.
Gli omicidi al mercato e la banda di Carlton
Era il 1965 e nella capitale dello stato di Victoria, una serie di omicidi nel mercato di frutta e verdura della città, il Queen Victoria Market, avevano fatto presagire una guerra di mafia, Italian-style. In quelli che vengono ricordati come gli anni della “Gangland Melbourne”, varie organizzazioni criminali si contendevano il “territorio” del mercato – sostanzialmente per gestirne cartelli di prezzi ed estorsioni – e tra questi una acerba onorata società, di origine calabrese, reggina, e la cosiddetta Carlton Crew (la banda di Carlton – storico quartiere italiano di Melbourne), composta da italiani in senso generale, non affiliati di ‘ndrangheta. Sin da allora, dal cosiddetto Rapporto Brown sulla criminalità italiana nello stato di Victoria del 1965, si operava una distinzione tra onorata società calabrese e crimine organizzato italiano. Questa distinzione non solo perdura ma crea non pochi problemi ancora oggi.
Antimafia Australia cercasi
A Spencer Street a Melbourne, nella nuova sede della Victoria Police – VicPol – polizia di stato, partecipo a un meeting con la nuova squadra anti-crimine organizzato e la squadra omicidi, con i rispettivi analisti, cioè quelli che lavorano l’intelligence – i mezzi di ricerca della prova.
Non è la prima volta che li incontro ma – ed è questo un altro problema – le squadre cambiano spesso, la rotazione interna è brutale, pochi stanno sullo stesso progetto oltre 2 o 3 anni. Creare conoscenza storica del fenomeno – soprattutto quello mafioso – richiede ovviamente molto di più. In molti dentro VicPol hanno conoscenza del fenomeno dell’onorata società, anche da un punto di vista “storico” di criminalità urbana, ma non sono sempre questi a guidare le indagini. Ad ogni modo, anche oggi, un sottogruppo della squadra contro il crimine organizzato, prevede indagini su Italian Organised Crime (IOC) dentro cui ci sono vari detective, ispettori, sergenti e analisti che si occupano di seguire uno specifico target o più target, spesso – ma non sempre – legati al traffico di stupefacenti.
La struttura dell’onorata società
Ma il focus del nostro meeting non sono i traffici cocaina o metanfetamine – entrambe droghe prescelte dai clan locali in quanto sorprendentemente ancora più redditizie che altrove in Australia – bensì la struttura dell’onorata società oggi in Australia e come questa struttura si lega alla criminalità locale a Melbourne e dintorni. Sì, perché struttura di ‘ndrangheta e criminalità organizzata locale non sono necessariamente legate. Che vuol dire? Essenzialmente due cose: primo, esiste una fetta di onorata società, nello stato di Victoria, tra le città di Melbourne e Mildura, che non “fa crimine” o almeno non direttamente, non nel senso di contravvenzione di norma penale per le leggi australiane (ricordiamo che l’appartenenza alla mafia non è qui reato). Secondo, e in perfetta continuità con gli anni ‘60, non tutta la criminalità “italiana” è riconosciuta o riconoscibile come onorata società, quindi, bisogna chiedersi in che rapporto siano i clan di ‘ndrangheta con gli altri “italiani” generici.
Antimafia Australia? Reati associativi anticostituzionali
Infatti, quanto è diverso quello che accade nella onorata società rispetto a quello che accade in altri gruppi cosiddetti etnici, inclusi altri italiani, o anche libanesi, cinesi, albanesi, per esempio? La ‘ndrangheta è organizzazione criminale transnazionale, dunque poter “attivare” i contatti da fuori rimane un vantaggio anche in Australia. Ci sono poi profili comportamentali degli ‘ndranghetisti che vanno a influenzare le loro scelte, più che i loro affari criminali: chi succede a chi, come ci si incontra, chi conta di più e perché e via discorrendo. Appunto, esiste una fetta di ‘ndrangheta australiana che non è direttamente coinvolta nella criminalità organizzata per gli inquirenti, ma che è ragione costituente e costitutiva dell’attività criminale di altri, anche a causa di una reputazione appunto creata sul territorio da decenni. Il reato associativo però è anticostituzionale in Australia: si può rispondere di concorso -intenzionale, sostanziale – ma non di reato per associazione. E questo non cambierà facilmente in quanto contrario ai principi del diritto – sacrosanti – locali.
Migranti di “successo”?
Come si fa, dunque, a indentificare il rapporto che intercorre tra un businessman di successo, a capo di una squadra di calcio locale o di un impero del mercato ortofrutticolo, e il traffico di stupefacenti portato avanti ora o qualche anno fa da membri della sua famiglia? Abbondano le mappe familiari, si conoscono le dinastie storiche, i cognomi sono sulla bocca di tutti i presenti. Il legame tra reputazione e criminalità è spesso solo superficialmente esplorato e compreso. Mi viene chiesto se conosco un certo Pasquale C. o Diego L., oppure come penso sia organizzata la famiglia di Tony M. Tutti cognomi calabresi, migranti di una, due o tre generazioni fa, tutti italo-australiani e spesso persone che appaiano tra i “migranti di successo”, le storie che si raccontano qui da noi su chi ce l’ha fatta all’estero, esempio e invidia per molti. I loro soldi? Le loro fortune? Spesso avvolte in un mistero non tanto misterioso quando si allarga l’orizzonte di veduta e si nota da una parte la capacità di certi soggetti di impegnarsi sul serio nel mondo del lavoro, e dall’altro i cosiddetti “aiuti da casa”, somme di denaro che circolano in donazioni o trasferimenti interni alle famiglie di dubbia provenienza.
‘Ndranghetisti alle cene di beneficienza
E ancora, se ad una cena di beneficienza del valore di oltre 2 milioni di dollari australiani (1 milione e duecento euro circa) partecipano magnati dell’industria, costruttori, ma anche ‘ndranghetisti o presunti tali, o le loro famiglie non direttamente coinvolte in criminalità organizzata, come “leggere” questo mischiarsi di ruoli intenti e amicizie strumentali che porteranno quasi certamente a più affari in comune? Per esempio, quando crollò parzialmente un palazzo a Melbourne l’anno scorso, tra gli investitori vennero notate varie persone del sottobosco criminale, al fianco dei costruttori. Galeotta fu la cena di beneficienza, appunto. Provare i rapporti tra crimine, denaro e potere non è cosa da poco e richiede prima di tutto una comprensione delle strutture criminali.
Uno dei mezzi che notoriamente aiuta gli inquirenti in tutto il mondo – eredità sicuramente anche dell’ingegno del giudice Giovanni Falcone – è il cosiddetto “follow the money” – il metodo per cui se si seguono i flussi finanziari si arriva a capire la struttura criminale. Il “follow the money” è un’aspirazione frustrata in Australia. AUSTRAC, l’unità di indagini finanziarie che si dovrebbe occupare di seguire appunto i flussi di denaro e delineare che struttura ci raccontano, non ha sempre la capacità effettiva per farlo a causa di normative che funzionano sulla carta, ma non in pratica eseguite, e a causa di una struttura procedurale per cui le indagini si fermano spesso allo stato e alla giurisdizione di riferimento.
Indagini spesso in tilt
In parole semplici, è difficile seguire i soldi nell’attuale legislazione australiana perché gli ordini preventivi sulla ricchezza non giustificata (Unexplained Wealth Order) in teoria mezzo potentissimo di contrasto, non vengono effettivamente seguiti una volta emanati: sono complessi e costosi da gestire. E ancora, se Tony, residente a Melbourne, è considerato da VicPol responsabile di un’importazione di metanfetamine a Sydney, l’indagine va spesso in tilt a causa del confine giuridico tra gli stati di Victoria e del Nuovo Galles del Sud (NSW). Interverrà l’Australian Federal Police (AFP), e le indagini subiranno un corso diverso, federale appunto, di difficile coordinamento con le indagini statali che per esempio cercano di capire se Tony è coinvolto o meno nell’omicidio di un avvocato qualche anno fa. Rimarranno due indagini pressoché separate – ergo rendendo impossibile comprendere la reale natura della criminalità in corso. Condividere dati, e indagini, è spesso solo fattibile con l’istituzione di squadre comuni di indagine, che – attualmente in fase di costruzione tra AFP e VicPol e AFP e polizia del NSW – magari porteranno a risultati più importanti sulla criminalità organizzata calabrese.
I problemi dell’antimafia Australia
Dunque, i problemi dell’antimafia in Australia hanno a che fare con una concettualizzazione etnica complessa del fenomeno mafioso di matrice calabrese, con la difficoltà di tracciare la ricchezza legata al crimine organizzato quando migra nel “mondo legale” o meglio nel mondo dei poteri – finanziari e politici, e soprattutto con la difficoltà di comprendere come la triade reputazione-criminalità-potere – presente in molti gruppi di criminalità organizzata – si manifesta all’interno di un’organizzazione criminale come la ‘ndrangheta in Australia, che può inoltre contare su rapporti e contatti in mezzo mondo.
Tu chiamale se vuoi… frustrazioni
Insomma, la strada è lunga, e l’interesse è chiaramente sempre presente. Dopo il meeting in VicPol si va per una birra con qualcuno dei presenti: frustrazione, curiosità, sorpresa, sono comuni. «Tu chiamale se vuoi emozioni»– scherza con me un poliziotto italo-australiano che conosce Battisti. Frustrazione per non riuscire spesso a risolvere le difficoltà amministrative procedurali; curiosità per il mondo della ‘ndrangheta e le sue evoluzioni; sorpresa nello scoprire chela loro ‘ndrangheta è spesso tutta australiana e fa anche attività semi-legali o del tutto legali, e non solo calabrese-transnazionale e dedita al traffico di stupefacenti. Provo le stesse emozioni anche io, nel fare ricerca in Australia su questi temi, come sempre grande palestra di umiltà e di conoscenza.
Australia, la ‘ndrangheta compie 100 anni
Cento anni fa la nave Re d’Italia lasciava il porto di Genova e il 18 dicembre 1922 arrivava al porto di Fremantle, borgo marino vicino a Perth, la capitale dell’Australia Occidentale. Da Fremantle, la nave proseguì poi verso Adelaide, nell’Australia Meridionale, poi verso il Nuovo Galles del Sud, a Sydney, e infine a Melbourne, nello stato di Victoria nel nuovo anno (1923). In ognuno di questi porti, tra gli oltre mille passeggeri italiani, scesero tre calabresi, Antonio Barbara Domenico Antonio Strano e Antonio Macri.
Australia: la ‘ndrangheta più longeva del mondo
Cosa avevano in comune questi tre soggetti? E perché ne spulciamo ancora nomi e dati negli archivi nazionali a Canberra? Antonio Macri(ì) avrebbe fondato il locale di Perth; Domenico Antonio Strano rimarrà nel nuovo Galles del Sud, dove, si dice, morirà nel 1965 con funerali sontuosi. Infine, Antonio Barbara(o) conosciuto come The Toad (il Rospo), sceso ad Adelaide, si sposterà a Melbourne dove sarà una figura singolare nel mondo criminalecittadino. La relazione di una squadra d’indagine guidata da Colin Brown nel 1964 per l’Australian Security Intelligence Organisation e intitolato The Italian Criminal Society in Australia dirà che è proprio con la Re d’Italia che arrivò l’Onorata Società down under, in Australia. Tutti e tre i nostri uomini sono conosciuti – o meglio raccontati – come i fondatori della ‘ndrangheta in Australia. La ‘ndrangheta d’esportazione più longeva del mondo.
Three is a magic number
Chi conosce anche solo le basi della mafia calabrese avrà già forse sorriso. Tre sono i cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che avrebbero fondato la mafia in Italia partendo proprio dalla Calabria. Sempre tre sono gli individui della ‘copiata’ nei locali di ‘ndrangheta: il contabile, il capo-locale e il capo-crimine che insieme gestiscono le doti sul territorio. Così come tre sono i mandamenti della ‘ndrangheta reggina che confluiscono nella Provincia. E tre sono anche i personaggi su cui giura(va)no i Santisti: Garibaldi, Mazzini, La Marmora. Insomma, nella numerologia della ‘ndrangheta, (e non solo) il numero tre è trinità e fa storia quanto leggenda.
Tra storia e leggenda
Come in tutte le leggende, anche in quella della fondazione della ‘ndrangheta in Australia c’è un fondo di verità storica, oltre all’arrivo comprovato della nave Re d’Italia nel 1922. Le storie su Antonio Barbara(o), per esempio, ci raccontano di come appariva la ‘ndrangheta dei primordi a Melbourne. Barbara(o) fu arrestato varie volte a Melbourne: nel 1926 per stato di ubriachezza; nel 1929, per aggressione; nel 1936, per la vendita di alcolici senza licenza. Per tutti questi reati fu condannato a pagare pene pecuniarie o scontare qualche settimana di carcere, ma nel 1937 fu condannato a 5 anni per omicidio colposo di una donna vicino al Queen Victoria Market, noto mercato di frutta e verdura della città.
È arrivato un bastimento carico di… calabresi
Non è inusuale, soprattutto in quegli anni, che l’Onorata Società si faccia vedere con reati contro l’ordine pubblico, e l’escalation fino all’omicidio sarebbe in linea con il profilo di uno ‘ndranghetista in crescita. Barbara(o), infatti, si dedica anche ad altre attività più “organizzate”. Ad esempio, gli archivi ci raccontano che ‘il Rospo’, all’inizio degli anni Cinquanta, aveva ideato un sistema fraudolento per far arrivare alcuni suoi conterranei dalla Calabria, Platì e zona aspromontana per la precisione, verso l’Australia. Lavorando in un ufficio per l’immigrazione, utilizzava nomi di Italiani già sul territorio per contraffare richieste di sponsorizzazione, senza che questi lo sapessero.
Il primo omicidio di ‘ndrangheta in Australia
Ma Barbara(o) il Rospo è coinvolto anche in quello che, molto probabilmente, è il primo omicidio legato alla ‘ndrangheta in Australia; si tratta dell’omicidio di Fat Joe (Joe il Grasso) Versace, i cui documenti giudiziari sono stati desecretati solo nel 2020, 75 anni dopo. Siamo in una sera d’ottobre del 1945nel quartiere Fitzroy di Melbourne. Quattro uomini stanno giocando a carte e bevendo birra a casa di Antonio Cardamona: Michele Scriva, Giuseppe Versace, Domenico De Marte e Domenico Pezzimenti. Tutti immigrati calabresi, tutti impiegati in attività del mercato di frutta e verdura. In seguito a una lite, Pezzimenti avrebbe attaccato Versace con un coltello. Novantuno ferite, alcune post mortem; una ferocia bestiale, l’avrebbe definita il coroner.
Sembra essere una questione di donne. Honneth Edwards era la compagna di Joe Versace, e sua sorella Dorothy Dunn era uscita un paio di volte con Pezzimenti, il quale però l’aveva insultata dicendole che «puzzava più di sua sorella». Dorothy e Honneth si sarebbero dunque lamentate con Joe e tanto sarebbe bastato per far iniziare una lite tra i due uomini. Dopo l’omicidio, Cardamone prima, Pezzimenti e De Marte poi, decisero di andare a raccontare quanto avvenuto alla polizia – accusando principalmente Pezzimenti di aver colpito Versace, ma allo stesso tempo confermando che era stata auto-difesa.
Scriva venne intercettato poco dopo a casa sua, intento a lavar via il sangue dai vestiti. Versace, dissero i tre calabresi, era notoriamente un poco di buono, un uomo violento e spesso in possesso di armi, era uno che portava guai. Tra le sue frequentazioni c’era Antonio Barbara(o). Sarà proprio lui, il Rospo, uscito dal carcere da poco in seguito alla sentenza per omicidio, a identificare Versace all’obitorio. Aveva lavorato con Versace e i due erano amici.
Confessioni che non tornano
Ci sono però varie cose che non tornano in questo caso. Innanzitutto, colpisce lo zelo delle confessioni: in quel periodo i calabresi, e gli italiani più generalmente, non erano molto in confidenza con le forze dell’ordine australiane; spesso vittime di discriminazione e ancora più spesso di pregiudizio, la comunità migrante era notoriamente reticente in quegli anni a collaborare con la giustizia, figuriamoci a farlo volontariamente. Inoltre, le confessioni sembrano in qualche modo artefatte, soprattutto perché non spiegano come sia stato possibile che, da una semplice lite tra due uomini, si fosse arrivati al corpo della vittima sfigurato, «con lo stomaco di fuori, e con larghe ferite sulla faccia e sulla testa», per citare le annotazioni dei detective. Queste ferite sanno di punizione precisa. E poi, il sangue trovato sugli abiti di Scriva e degli altri suggeriscono che probabilmente tutti i presenti erano intervenuti nella lotta.
Il Rospo, il Papa e la ‘ndrangheta in Australia
Insomma, che fosse un’escalation di violenza dovuta a una rissa per donne, o che ci fossero altre motivazioni alla base di tale lite, fatto sta che la presenza di Barbara(o) a sancire la morte di Versace non sembra casuale. Antonio Barbara(o) da lì a poco diventerà uno degli uomini più (ri)conosciuti dell’Onorata Società a Melbourne. Partner del capo Domenico Italiano, detto il Papa, e fino alla morte di entrambi nel 1962, questo gruppo mafioso cittadino sarà responsabile di una serie di eventi violenti, estorsivi, fraudolenti e legati a questioni di “onore” all’interno di una ristretta comunità di calabresi che lavorava nel mercato ortofrutticolo. Alla morte di Italiano e di Barbara(o) e nel vuoto di potere che essi lasciarono, scatterà una guerra di mafia, meglio conosciuta come The Queen Victoria Market Murders – gli omicidi del mercato Queen Victoria. La ‘ndrangheta delle origini, dalla Re d’Italia, era ormai cresciuta. Ma questa, e per i decenni a venire, è un’altra storia.
Australia, la ‘ndrangheta della porta accanto
Ci sono circa 5.000 mafiosi italiani in Australia divisi in 51 clan di cui 14 di ‘ndrangheta. Questa la notizia con cui ci si è svegliati nel nostro emisfero la mattina del 7 giugno. Capita spesso di arrivare ‘tardi’ quando qualcosa accade in Australia; complice il fuso orario al nostro risveglio è già successo molto Down under. I principali canali di comunicazione australiani, dall’ABC(Australian Broadcasting Corporation) al The Guardian, hanno pubblicato nella notte la notizia, già commentata in radio e in tv locali, e twittata e condivisa sui social plurime volte, ripresa da un lancio stampa sul sito dell’Australian Federal Police. Nel leggere il comunicato stampa dell’AFP, prima ancora che le news rielaborate, si comprendono una serie di cose.
Fbi e telefoni criptati: AN0M
Primo: non si tratta di un’operazione in corso, ma di una serie di chiarimenti sull’operazione Ironside, altrimenti conosciuta come AN0M. Proprio un anno fa,l’8 giugno 2021, uno sforzo congiunto tra FBI americana e AFP australiana portava a centinaia di arresti, oltre 700 in tutto di cui 340 solo in Australia, in Australia, grazie a un’idea geniale: intercettare una app criptata, AN0M, che funzionava solo su un particolare tipo di telefono che costava oltre 2.000 dollari e non aveva accesso né a mail né a GPS, dunque irrintracciabile.
Calabresi d’Australia e influencer della ‘ndrangheta
App e telefoni, ideati appunto dalla FBI – che chiamò l’operazione Trojan Shield– erano stati introdotti nel mercato criminale grazie a degli “influencer”, cioè membri di spicco della criminalità australiana la cui voce e reputazione fosse in qualche modo adeguata per un’operazione di marketing. Tra questi, un certo Domenico Catanzariti, di Adelaide nell’Australia meridionale, che di giorno fa l’orticoltore, e nel tempo libero, dicono gli inquirenti, importa cocaina e altri narcotici dall’Europa grazie a un network di ‘ndrangheta e di altri trafficanti locali, tra cui altri australiani di origini calabresi, come Salvatore Lupoi e Rocco Portolesi ad esempio. Altri nomi, chiaramente di origine calabrese, sono quelli di Francesco Nirta e Francesco Romeo, arrestati nell’Australia meridionale. Gli arresti tra Stati Uniti e Australia e alcune indiscrezioni su questo caso sono quindi roba dell’anno scorso. Li hanno ripescati un anno dopo quasi in commemorazione di questa grossa operazione del 2021.
Il contributo dell’Italia
Secondo: l’AFP chiarisce che molta dell’intelligence che si è riusciti a ricavare dall’intercettazione della piattaforma AN0M, è stata studiata in questi mesi grazie all’aiuto delle autorità italiane, di Europol e di Interpol, in particolare il programma I-CAN (Interpol Coordination Against the ‘Ndrangheta), in cui l’Australia è uno degli 11 paesi coinvolti. Per questo oggi, e non un anno fa, si riescono a dire una serie di cose a riguardo della presenza mafiosa nel paese, tipo il fatto che alcuni ‘ndranghetisti prendano ‘ordini’ dalla Calabria, o mantengano vivi i rapporti con la madrepatria, oppure che operino insieme ad altri gruppi locali su cui a volte esercitano un notevole potere.
Come bande di motociclisti
Terzo: c’è un problema di numeri. L’AFP dice che «ci sono 51 clan di criminalità organizzata italiana in Australia. Abbiamo identificato e confermato 14 clan di ‘ndrangheta in Australia, che contano migliaia di affiliati». E ancora «La nostra intelligence suggerisce che il numero di affiliati potrebbe essere simile a quello delle bande di motociclisti» che, per chi non lo sapesse, sono da anni il nemico numero uno delle forze di polizia nella criminalità organizzata australiana. Si è dunque calcolato, arbitrariamente e senza né conferma né smentita dalle forze dell’ordine, che si tratti di circa 5.000 affiliati, visto che appunto questi sono i numeri correnti anche per i motociclisti.
E gli altri 36 clan?
Chi siano poi i 36 clan, di 51 menzionati, che non siano legati alla ‘ndrangheta non è dato ancora sapere. Probabilmente si tratta di altri gruppi criminali, a prevalenza italiana, legati a opportunità nel mondo del traffico di stupefacenti e/o ad altri gruppi minori. Ma il comunicato stampa non parla d’altro che di ‘ndrangheta e si ‘scorda’ di approfondire tutti gli altri ‘criminali italiani’. Visto ciò che si sa sulla criminalità di origine calabrese in Australia verrebbe da pensare che le affiliazioni mafiose siano un po’ più evolute e forse anche un po’ più specifiche del mero attributo etnico ‘italiano’, sebbene sicuramente dai contorni sfumati e di difficile comprensione.
I 100 anni della ‘ndrangheta in Australia
Volendo entrare ancora un po’ più a fondo in questa notizia, bisogna sollevare una serie di critiche. Innanzitutto, risulta strano il senso di urgenza e il senso di novità che accompagna questa notizia, non solo nel comunicato dell’AFP quanto in tutto ciò che ne è seguito. Sembrerebbe, a leggere le notizie, che si sia appena scoperta o confermata la presenza della mafia in Australia.
Questo farebbe quasi ridere: l’Australia è l’unico paese al mondo dove la ‘ndrangheta – e solo la ‘ndrangheta in maniera strutturata – è presente da 100 anni. Anzi, si festeggerà il centenario a dicembre 2022, in ricordo della nave Re D’Italia che ha approdato a Fremantle, Adelaide e Melbourne nel dicembre 1922 portando i tre fondatori della onorata società dalla Calabria all’Australia.
Tanta confusione, anche per colpa nostra
Questo aspetto leggendario della nascita della ‘ndrangheta australiana ne dimostra la forte valenza identitaria. Dal 1922, ciclicamente, l’Australia passa da momenti di panico mediatico a momenti di totale blackout nel capire, ricercare, perseguire la ‘nostra’ mafia. A volte a indurre la confusione sono state le autorità italiane: la commissione parlamentare antimafia negli anni ’70, interpellata dalle autorità australiane su alcuni eventi di sangue nelle comunità calabresi d’Australia, risponderà che non si tratta di mafia (la mafia è siciliana!) e che il mafioso non potrebbe comunque vivere così lontano dal Sud Italia. A volte, è stato per mancanza di fondi che si è smesso di analizzare il fenomeno: la famosa operazione Cerberus proprio sulla criminalità organizzata calabrese e italiana, guidata negli anni 90 dalla National Crime Authority, si chiuse al voltar del secolo per assenza di interesse e risorse.
La culla della ‘ndrangheta in Australia
Insomma, tutto si può dire tranne che la ‘ndrangheta sia un fenomeno urgente e nuovo oggi in Australia, quando nella storia del paese ci sono addirittura omicidi eccellenti legati a questi clan (se ne parlerà nelle prossime puntate della rubrica sicuramente). Inoltre, è in Australia – e non in Italia – che si sono per la prima volta definiti i caratteri organizzativi dell’Onorata Società – in contrapposizione con la mafia siciliana Cosa Nostra – principalmente all’epoca a Melbourne oltre che in una città del Nuovo Galles del Sud, Griffith – considerata la ‘culla’ della ‘ndrangheta platiota in Australia – in documenti di polizia del 1958 e poi nel 1964.
Un pericolo tutto calabrese
Un ulteriore riflessione meritano poi proprio i numeri che arrivano da operazione Ironside. L’AFP negli anni, principalmente dal 2006-2007 quando ha ripreso a occuparsi a tempo pieno di questo fenomeno, ha sempre ammesso che il ‘pericolo’ in Australia è sempre stato solo associato alla ‘ndrangheta. E che gli altri gruppi criminali a cui collaborano persone di discendenza o origine italiana non sono qualificabili come ‘mafie’ né sono cosi rilevanti come la ‘ndrangheta australiana.
Inoltre, l’AFP lavora per mappe familiari quando si tratta di ‘ndrangheta – family trees – più o meno corrispondente alla ‘ndrina, basata sul cognome e sulle alleanze familiari.
Australia, la grande isola dell’arcipelago ‘ndrangheta
Ci sono due storie della ‘ndrangheta in Australia. Una la conoscono quasi tutti ormai. È la storia della più potente mafia d’Italia che, soprattutto dagli anni ’90 in poi, ha fatto fortuna in giro per il mondo grazie a un florido mercato degli stupefacenti e a una resilienza dovuta alla capacità di adattarsi ai cambiamenti, di allearsi con vari altri gruppi criminali. E, ovviamente, di mimetizzarsi all’interno della società civile che viene sia vittimizzata sia inesorabilmente manipolata dalla presenza di capitali e di interessi mafiosi sui vari territori.
L’Australia e l’arcipelago ‘ndrangheta
È una storia in cui la magistratura e la società civile hanno registrato importanti passi in avanti soprattutto dalla fine degli anni 2000, gli anni ruggenti delle operazioni Crimine a Reggio Calabria e Infinito a Milano. Sono gli anni di processi che finalmente arrivano a compiere quello che si tentava di portare a compimento da anni: dichiarare e riconoscere la ‘ndrangheta come un’organizzazione criminale unitaria e con propaggini fuori dalla Calabria, incluso il Nord Italia, ma anche l’estero, Canada, Germania, Svizzera e ancheAustralia.
Sicuramente molto si sapeva già, prima di Crimine-Infinito, soprattutto perché altre indagini – principalmente, ma non soltanto quelle di droga (pensiamo alle operazioni Decollo nei primi anni 2000) – avevano già visto i clan calabresi protagonisti del narcotraffico. Eppure, con Crimine-Infinito si arriverà, nel 2016, a una conferma che servirà per il futuro: la ‘ndrangheta ha una struttura unitaria, per quanto i clan mantengano una propria indiscussa autonomiacriminale. L’arcipelago ‘ndrangheta è fatto di tante isole, a nome collettivo e a interesse e brand comune.
L’unione fa la forza
Da allora, il ‘marchio’ ‘ndrangheta è soltanto cresciuto. Fino ad arrivare al 2023 a un consenso generale, non solo in Italia, sulla pervasività della mafia calabrese tanto nel mercato globale di cocaina e altri stupefacenti, quanto anche nell’economia legale. Il progetto I-CAN, Interpol Coordination Against the ‘Ndrangheta, nato nel 2020, guidato dall’Italia e composto per ora da 14 paesi, si prefigge proprio un tipo di azione globale che si confa a una minaccia considerata, appunto, globale.
Si legge sul sito di I-CAN: «L’insidiosa diffusione della criminalità di tipo mafioso rappresenta una minaccia unica e urgente, poiché i forti legami familiari e le pratiche politiche e commerciali corrotte le consentono di penetrare in tutti i settori della vita economica.
Spinta dal potere e dall’influenza, la ‘Ndrangheta è coinvolta in un’ampia gamma di attività criminali, dal traffico di droga e riciclaggio di denaro, all’estorsione e alla manipolazione degli appalti pubblici. Questi enormi profitti illegali vengono poi reinvestiti in attività commerciali regolari, rafforzando ulteriormente la presa dell’organizzazione e inquinando l’economia legale».
Il Barbaro di Melbourne
L’Australia è partner del progetto I-CAN. Ciò conferma che non solo la ‘ndrangheta ha una presenza globale molto lontana da casa, ma anche che il fenomeno ‘viaggia’ a diverse latitudini e prende forme diverse, seppur riconoscibili.
Mentre si portavano avanti gli arresti per Crimine-Infinito il 13 luglio 2010, a compimento di due anni di indagine, a Melbourne una corte stava occupandosi di un soggetto, Pasquale Barbaro, arrestato un paio di anni prima all’interno di Operazione Inca, guidata dalla Polizia Federale Australiana (AFP). Avrebbe deciso, nel dicembre del 2010, che Barbaro era a rischio di fuga e di recidiva, pertanto bisognava respingere la sua richiesta di uscita su cauzione.
Barbaro, cittadino australiano, doveva rispondere a una serie di accuse per attività di importazione, traffico e distribuzione di MDMA e cocaina insieme ad altri, nonché riciclaggio di denaro, il tutto tra il 2007 e il 2008. Si trattava di quella che è diventata famosa come la Tomato Tin Importation, in quanto lo stupefacente, 4.4 tonnellate di MDMA e 160 kili di cocaina, arrivarono a Melbourne dall’Italia in barattoli di pelati. Quelli della Tomato Tin Importationerano poco più di una decina di uomini, in parte di discendenza italo-calabrese (come, ad esempio, Francesco Madaffari, Saverio Zirilli e Carmelo Falanga) di cui Barbaro era il capo. In quell’occasione la polizia federale riuscì non solo a confiscare la quantità imponente di stupefacente, ma a monitorare la reazione del gruppo criminale così da poter procedere ad arresti e confische.
L’Onorata Società e il delitto MacKay
A prima vista questa vicenda sembra confermare la prima storia della ‘ndrangheta, la minaccia globale, l’organizzazione unitaria leader nel mercato degli stupefacenti nel mondo. Ma questa è invece la seconda storia della ‘ndrangheta in Australia, l’Onorata Società. E riguarda un gruppo di famiglie – dinastie criminali le dobbiamo chiamare – che dall’Aspromonte è emigrata in Australia dagli anni ’50 in poi.
Pasquale ‘Pat’ Barbaro, infatti, è uno dei golden boys dell’Onorata Società australiana; figlio di Frank ‘Little Trees’ Barbaro (a sua volta fratello di Rosario, Rosi, Barbaro, storico capobastone di Platì), Pat ha un accento australiano e un network di associati multietnico. Ma ha un cognome che pesa in Australia, risultato di una reputazione criminale costruita negli anni ’70 e ’80per questioni che con la ‘ndrangheta di oggi, quella globale, c’entrano indirettamente (seppur ovviamente avendo tanto in comune).
È la storia, questa, raccontata, da una commissione d’inchiesta sul narcotraffico nello stato del Nuovo Galles del Sud, la Woodward Commission, che dal 1979 al 1981 scandagliò il mercato degli stupefacenti nello stato australiano in seguito all’omicidio del politico e attivista Donald Bruce MacKay nella cittadina di Griffith.
La Commissione Woodward, in sei volumi fitti di informazioni, audizioni, acquisizioni di prove da varie fonti, parla di un gruppo criminale, con a capo uomini delle famiglie Sergi, Barbaro e Trimboli – tutti originari di Platì – dedite alla coltivazione e distribuzione sistematica di marijuana sul territorio australiano oltre che abile di riciclare denaro tramite il lavoro delle fattorie che possedevano, prestiti interni gli uni agli altri e a compravendite di immobili tra Sydney e Melbourne.
La ‘Ndrangheta tra Platì e l’Australia
C’è anche evidenza, nei calcoli precisi della commissione Woodward, di denaro ‘importato’ dall’Italia, donazioni non meglio specificate, che dalla Calabria finivano Down Under. Erano già gli anni dei sequestri e, lo sappiamo, gli ‘ndranghetisti platioti erano in prima linea. Si erano messe su società di varia natura per ‘legittimare’ questi scambi e questi prestiti, e soprattuto per finanziare la compravendita di terreni su cui poi coltivare marijuana. Lo schema era semplice ma efficace.
Concluderà seccamente la commissione d’inchiesta nel Nuovo Galles del Sud: «Sono state ricevute prove in relazione all’esistenza in Australia e in particolare nel Nuovo Galles del Sud, di una società segreta calabrese, impegnata in alcune attività criminali. L’organizzazione si chiama L’Onorata Società oppure ‘N’Dranghita’ (dialetto calabrese per Onorata Società). (…) Nel nostro caso questo gruppo include persone delinquenti tutte originarie dalla Calabria, e da un piccolo villaggio di nome Platì».
La ‘Ndrangheta d’Australia: un unicum al mondo
Ma alcuni di quegli uomini indicati dalla Commissione Woodward, soprattutto quelli in posizioni apicali, non furono mai perseguiti in una corte di giustizia. Andarono avanti utilizzando i loro appezzamenti di terreno, tanti, per varie cose: case vinicole, fattorie, residenze. I loro figli, come Pat Barbaro ad esempio, hanno spesso seguito le orme dei padri, ma con i cambiamenti dovuti a qualunque scarto intergenerazionale. Si sono adattati all’Australia che chiede loro collaborazione multietnica, flessibilità e soprattutto di essere sia calabresi sia australiani. È una ‘ndrangheta effettivamente transculturale, diversa dalla ‘ndrangheta calabrese sebbene a questa ricollegata e da questa riconoscibile.
Si tratta di una storia tutta australiana, quella che porta dai ‘castelli d’erba’ di Griffith, the grass castles come vengono chiamati, a un omicidio eccellente, e a un esecutivo di mafia a cuore platiota ancora esistente e resistente. Questa storia tutta australiana, che si intreccia e si confonde con la storia della ‘ndrangheta globale, rappresenta un unicum al mondo. È in Australia molto più che altrove che le varie facce della ‘ndrangheta ci mostrano la realtà complessa di questo gruppo criminale, che non può esistere a livello globale – non a certi livelli – senza riuscire a diventare storia locale. E la storia di Pat Barbaro, delfino degli ‘ndranghetisti di Griffith ma trafficante di stupefacenti a livello globale, non è che l’inizio di questa storia.
Donne e ‘ndrine: le good mothers dei Barbaro
Dal 5 aprile, sulla piattaforma Disney+, è disponibile The Good Mothers. La serie tv racconta le storie di Lea Garofalo, di sua figlia Denise, di Giuseppina Pesce e di Maria Concetta Cacciola. Donne che hanno messo in difficoltà l’organizzazione maschile della ‘ndrangheta. E che con le loro rivelazioni – e le loro scelte – hanno contribuito alle indagini della magistratura, rischiando, e a volte pagando con la propria vita. A febbraio The Good Mothers ha vinto il premio come miglior serie nella sezione Berlinale Series al Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
Non sono storie nuove, quelle raccontate dalla serie. Ma, proprio perché non sono nuove, forse permettono una riflessione più incisiva sul rapporto tra mafia e mondo femminile, in una terra, come la Calabria, o in comunità calabresi fuori regione, dove il femminile costantemente deve negoziare i propri spazi.
Un podcast sulle donne e la ‘ndrangheta
In occasione dell’uscita di The Good Mothers, dunque, si è voluta fare questa ulteriore riflessione. L’occasione è stata un podcast, sponsorizzato da Disney+ e prodotto da Il Post che ha affiancato una serie di spunti analitici da parte della sottoscritta, su ‘ndrangheta, femminile e donne, alla voce del giornalista Stefano Nazzi, notoriamente conosciuto agli amanti dei podcast per Indagini, da mesi primo in classifica in Italia.
Il podcast, che si chiama Le Onorate, è una conversazione sull’onore nel mondo mafioso e sull’importanza dell’altro lato dell’onore – la sua luna come la chiamiamo – cioè il mondo femminile che di quell’onore si deve fare, volente o nolente, garante. Raccontiamo alcune delle storie di The Good Mothersanche nel podcast, ma cerchiamo anche di andare oltre, con altre storie, per superare la dicotomia donne-vittime o donne-carnefici e essenzialmente riconoscere la “normalità” di molte delle donne che stanno attorno e dentro ai sistemi mafiosi. E infine, ovviamente, parliamo anche delle donne contro, includendo una riflessione sul rapporto che si istaura tra magistrati/e e mafiosi/e e come questo possa rivelarci molto di come alcune indagini si evolvono.
Ruoli e capacità d’azione
Tre puntate di podcast, sei di serie tv, libri e studi accademici, certamente non completano l’universo del femminile nel sistema ‘ndrangheta. Come ricorda Ombretta Ingrascì, esperta proprio negli studi di donne e mafia, guardare a queste donne pone infatti un problema di agency – capacità di azione – di queste donne: alcune saranno conformiste, altre adempienti, altre trasformative.
Ma c’è un elemento della mafia calabrese che conta molto per comprendere il fenomeno di oggi, e dove proprio il ruolo delle donne e l’evoluzione di un discorso di genere meriterebbe più attenzione. Si tratta della dimensione globale della ‘ndrangheta, della presenza di strutture e di attività dei clan in altri paesi del mondo che sicuramente è fatta anche di ruoli cangianti, ambigui, complessi, di madri, figlie, sorelle, nonne e in generale, delle donne. Storie di donne e ‘ndrangheta fuori dalla Calabria e dall’Italia sono difficili da rinvenire, per un motivo abbastanza ovvio: è molto difficile spesso individuare – e chiamare come tale – lo ‘ndranghetista fuori dai confini nazionali, ergo è molto difficile raccontare le storie di chi gli sta intorno. Ma guardando a casi che riguardano gli uomini vicini al mondo ‘ndranghetista, si trovano tante tipologie di comportamenti delle donne che gravitano attorno a questi uomini. E come spesso accade, è nell’Australian ‘ndrangheta – una delle più evolute manifestazioni globali della mafia calabrese fuori dall’Italia – che si trovano esempi di una varietà di comportamenti più o meno ortodossi nell’universo femminile mafioso.
Donne e ‘ndrangheta in Australia: la famiglia Barbaro
Una delle famiglie più esposte della ‘ndrangheta in Australia è sicuramente la famiglia Barbaro. È una dinastia criminale di stampo ‘ndranghetista originaria di Platì, da decenni attiva tra il Nuovo Galles del Sud, lo stato di Victoria, il Queensland, ma anche nella capitale Canberra. Ed è pure una famiglia notoriamente legata alla criminalità organizzata locale, soprattutto nella città di Melbourne. Ergo, è spesso protagonista di atti violenti, effettuati e subiti.
Ellie Price, di 26 anni, fu uccisa nel maggio del 2020 a Melbourne: Ricardo ‘Rick’ Barbaro è ad oggi sotto processo per il suo omicidio. Si dichiara non colpevole. Anzi, il suo avvocato fa notare come la Price fosse «una donna che aveva problemi mentali, abusava di sostanze, era una persona solitaria e aveva un comportamento erratico». Barbaro però si era dato alla fuga per oltre dieci giorni in seguito al rinvenimento del corpo di Ellie Price.
Proprio in quei giorni, Anita Barbaro, formalmente Anita Ciancio, ultima moglie del padre di Ricardo fece appello affinché Rick si facesse trovare. Una rara apparizione nella famiglia, e da parte di una donna che si appella alla cura e alla responsabilità. Una donna la cui immagine viene spesso associata all’ordine e alla maternità nella famiglia in questione. Diceva infatti Anita Barbaro: «Ricky ti prego di farti avanti e di fare la cosa giusta per il bene di questa povera giovane donna e della sua famiglia e per il dolore incomprensibile che devono provare, devi metterti in contatto con qualcuno». E ancora «Hai una figlia e delle sorelle minori, se questo fosse accaduto a loro avresti bisogno di sapere cosa è successo».
Una lunga scia di violenza
Il padre di Ricardo Barbaro è Giuseppe Dom “Joe” Barbaro, condannato per reati legati agli stupefacenti. Una scia di violenza è associata agli uomini di questo ceppo della famiglia una volta platiota. Questi Barbaro furono per esempio sospettati di aver giocato un ruolo nell’omicidio di Colin Winchester, vicecapo della polizia federale ucciso nel 1989. Cugino di Joe era Pasquale Barbaro, ucciso insieme al gangster Jason Moran mentre assisteva a un allenamento di calcio per bambini a Essendon nel 2003. Il padre di Joe era Pasquale Barbaro ‘il Principale’, forse il primo ‘collaboratore di giustizia’ di ‘ndrangheta in Australia, ucciso a Brisbane nel 1990. Il Principale era parte di quel gruppo mafioso che negli anni ’70 e ’80 coltivava i “castelli d’erba” a Griffith, nel nuovo Galles del Sud.
Il fratello di Rick, Pasquale Tim Barbaro, ucciso a 35 anni a Sydney, nel 2016, da un gruppo di associati del suo gruppo criminale (non italiani o italo-australiani). Circa sei mesi dopo l’uccisione di Pasquale, il fratello Rossario(sic!) si tolse la vita, caduto in una profonda depressione. La ex moglie di Pasquale Tim, Melinda Barbaro – i giornali riportano che fa l’imprenditrice, non meglio specificato in che settore – dirà che suo marito «era un tipico italiano e amava tutto ciò che aveva a che fare con la religione e il cibo», ma che il carcere lo aveva cambiato.
In fuga dai Barbaro
Otto figli, nati da tre donne diverse e non tutte italiane, dal patriarca Joe. Da Joe e Anita Ciancio, ad esempio, è nata nel 2004, Montana. Montana aveva solo tre settimane quando la rapirono dal passeggino in centro commerciale di Brimbank, un sobborgo di Melbourne. La ritrovarono due giorni dopo con la testa rasata in una casa abbandonata a nord della città, un passante aveva sentito le sue urla. Era stata rapita non per motivi di criminalità organizzata, si disse. Nel 2020, ormai teenager, Montana scomparve di nuovo. La ritrovarono quasi subito in quanto – venne rivelato – stava tentando di scappare. Voleva raggiungere sua sorella maggiore Sienna, figlia di un’altra moglie di Joe Barbaro, in tipico atteggiamento adolescenziale, si disse. Anche Sienna però, nel 2018, a soli 15 anni, sparì dalla circolazione e la famiglia dichiarò di non sapere dove fosse o dove vivesse. Un’altra figlia di Joe, Letesha, a quanto pare, scoprì dell’esistenza delle sorelle soltanto in occasione del rapimento di baby Montana. La prese malissimo, in quanto cresciuta come la preferita di papà mentre viveva con sua madre, una donna di origine non italiana, a Canberra.
Barbaro, donne e ‘ndrangheta 3.0 in Australia
Si tratta di ragazze e donne con capacità di azione, sicuramente. Prodotto del sistema, influenzate dagli uomini intorno a loro, ed eredi del cognome, spesso non vittime né tantomento carnefici. Donne che, come ricordiamo nel podcast Le Onorate, normalizzano la famiglia mafiosa-gangsteristica, quando ovviamente questa famiglia non le distrugge apertamente (a volte nel vero senso della parola). I loro profili social rivelano un attaccamento tra di loro e in generale alla famiglia – Sienna e Montana si dichiarano calabresi – e rivelano anche un’assunzione di modi di fare gangsteristici, inclusi gli stereotipi di donna-gangster dall’aspetto appariscente – capelli biondi tinti oppure trucco pesante. Se questa dei Barbaro in Australia è ‘ndrangheta, è ‘ndrangheta 2.0 o anche 3.0. Insomma, nella famiglia Barbaro essere donna significa tante cose. Ellie Price viene uccisa, Melinda si allontana dalla famiglia, Chantel si godeva la ribalta, Montana rapita da bimba prova poi a fuggire di casa da teenager, Sienna fuggita via poco meno che maggiorenne, e Anita cerca l’ordine. È una famiglia su cui sicuramente da un punto di vista analitico bisognerebbe fare un lavoro di ricerca più approfondito, per capire quanto l’essere nate in una dinastia mafiosa condizioni, determini, influenzi, le paure e le scelte, come le maschere e le azioni, di tutte queste donne. Chiaramente australiane eppure legate, in qualche strano modo, ancora a noi, qui in Calabria.
Australia, un secolo di ‘Ndrangheta
“In Australia in ogni paese abbiamo uno dei nostri”, dice un presunto ‘ndranghetista intercettato dalla Dda di Roma. Secondo l’Australian federal police nello Stato oceanico esistono 14 clan calabresi
Nel maggio del 2022, operazione Propaggine ha rivelato le ipotesi accusatorie della procura antimafia di Roma riguardo a un presunto locale di ‘ndrangheta nella capitale, una “sezione” territoriale dell’organizzazione criminale calabrese. Il locale in questione, con a capo Antonio Carzo, originario di Cosoleto (Reggio Calabria), sarebbe per gli inquirenti appunto una propaggine, autonoma, del clan Alvaro. Nelle carte di questa operazione, analizzata in lungo e in largo dai giornali e commentatori e in attesa dunque di processo, c’è però un dato di cui molti non hanno forse colto il peso.
A un certo punto di una conversazione con un soggetto residente in Australia, Carzo menziona un certo “Compare Mino”, che gli inquirenti hanno già identificato come originario di Gioia Tauro ma iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) in Australia. Mino, che ha 77 anni ed è un uomo ‘pesante’ nella ‘ndrangheta, secondo Carzo e il suo interlocutore; Mino è anche il capo locale di Perth, nell’Australia occidentale. Sempre nella stessa conversazione si dirà anche che “Là (in Australia, nda) noi abbiamo…ogni paese… abbiamo…dei nostri!”.
All’estero l’antimafia c’è, pensare il contrario è dannoso
Australia, 51 clan italiani, 14 della ‘ndrangheta
Sulla base delle informazioni dell’Australian federal police, qualche giornalista stima la presenza, in Australia, di cinquemila mafiosi italiani. Il calcolo lascia non poco a desiderare
Questa rivelazione, che è più una conferma che una novità, si va a sommare alla dichiarazione-bomba che l’Australian federal police (Afp) ha rilasciato il 7 giugno scorso. Secondo l’Afp esistono 51 clan di criminalità organizzata di origine italiana in Australia di cui 14 sono clan di ‘ndrangheta. Questi clan di ‘ndrangheta non solo sarebbero collegati con la Calabria e con l’Italia, ma avrebbero importanti legami – a volte in posizione di superiorità – con gruppi locali, come i bikies (i motociclisti cosiddetti ‘deviati’). Si tratta di indagini in corso in seguito all’operazione Ironside, che l’anno scorso, proprio l’8 giugno 2021, ha portato all’arresto di oltre 700 persone tra Australia e Usa, grazie ad intercettazioni di una app criptata, An0m, fatta circolare appositamente dalle forze dell’ordine tra i gruppi criminali.
Sulla base dell’intelligence di Ironside, oggi l’Afp arriva a dire che ci sarebbero tanti membri di clan italiani quanti sono i bikies; qualche giornalista si è quindi avventurato nelle stime, facendo uscire un numero, cinquemila – i presunti bikies e dunque i presunti mafiosi italiani – che lascia non poco a desiderare. Sulla questione dei numeri – e del perché non tornano si può fare un discorso a parte; ma il vero problema di queste affermazioni dell’Afp è che rientrano, ancora una volta, in quel circuito – attivo dagli anni Quaranta – per cui a una totale dimenticanza del fenomeno mafioso australiano segue un periodo di estrema visibilità del suddetto fenomeno, salvo poi ricominciare da capo. Della serie, tutti concentrati sulla mafia fintanto che riempie le pagine di giornale e tutti si dimenticano della mafia quando le indagini entrano invece in modalità sommersa. Senza farsi abbindolare dal senso di urgenza e di novità che la dichiarazione dell’Afp ha suscitato – quasi certamente per attirare attenzione e risorse dal nuovo governo australiano appena insediato – si tratta di una storia molto molto antica, in cui le stime si sprecano.
Un secolo di ‘ndrine
Dopo un secolo dall’ingresso nel paese, i clan di ‘ndrangheta – che comunque in Australia sono diversi da quelli calabresi/italiani
Il 18 dicembre 2022 la ‘ndrangheta compirà cento anni in Australia. La nave ‘Re D’Italia’ che sbarcò nel dicembre 1922 a Fremantle, poi Adelaide e poi Melbourne, portò nel continente australiano i tre fondatori dell’Onoratà società down under. È storia quanto è leggenda, nel senso che questi tre personaggi risultano davvero nei registri della nave, ma ovviamente il loro status di ‘ndranghetista e ciò che avrebbero poi fatto una volta arrivati, resta avvolto nel mistero.
Che la ‘ndrangheta australiana stia per compiere cento anni aiuta a spiegare una serie di cose. Innanzitutto, il fatto che in Australia non siano mai esistite altre mafie nostrane: si tratta dell’unico paese al mondo dove l’Onorata societàcalabrese ha assorbito altre manifestazioni di mafia d’importazione italiana. L’origine leggendaria, che riecheggia il numero tre tanto caro storie e ai rituali di ‘ndrangheta, ne conferma infatti la forte valenza identitaria; rifarsi a tali storie infatti aiuta l’organizzazione a cementare la sua narrativa sul territorio. Inoltre, dopo un secolo dall’ingresso nel paese, i clan di ‘ndrangheta – che comunque in Australia sono diversi da quelli calabresi/italiani – sono praticamente parte della storia d’Australia – ricordando che l’Australia come la conosciamo oggi esiste solo dal 1901.
Un’organizzazione criminale evoluta
Non usa la corruzione, ma una rete di amicizie e parentele strategiche e strumentali
Da un punto di vista evolutivo della criminalità organizzata di stampo mafioso, la ‘ndrangheta australiana è all’ultimo stadio, quello della penetrazione nella politica, nelle istituzioni, non tramite corruzione – si badi bene – ma tramite consenso e sfruttamento di amicizie strumentali e specifiche, strategiche e scelte familiari, tipo matrimoni incrociati anche con famiglie criminali autoctone. Ad esempio nell’Australia di oggi un capo-locale di Melbourne può intervenire nelle elezioni locali e nazionali grazie a donazioni dirette e indirette ai partiti; alle cene di gala pre-elezioni si siede al tavolo di uomini influenti della politica cittadina e a imprenditori, come lui, che gestiscono fette dell’economia dello Stato. Ci sarà qualcuno della sua famiglia coinvolto in proficui traffici di stupefacenti – quelli non mancano mai – ma la base attuale del potere ‘ndranghetista in Australia, come si è avuto modo di raccontare altrove, sta nello sfruttamento dell’imprenditorialità e solidarietà etnica, cioè della folta comunità migrante. Si tratta di soggetti gravitanti in circoli di potere locale, come le camere di commercio, o i centri culturali per capirci.
Non si è ovviamente sempre stati a questo livello in Australia. Ci sono stati anni molto più ‘bui’, tra omicidi mafiosi e anche omicidi eccellenti, attribuiti a una onorata società che smaniava per proteggersi e affermarsi.
Il caso di Griffith e certi omicidi irrisolti
Il 30 giugno 2022 è arrivato il verdetto sull’esplosione alla National crime autority del 1994: Dominic Perre è colpevole. La sua condanna solleva molte domande sul possibile ruolo delle famiglie di Griffith e quelle di Adelaide
Sulla città di Griffith, nel nuovo Galles del Sud, pesa ancora dagli anni Settanta l’etichetta di città della mafia, o meglio della ‘ndrangheta, essendo le famiglie mafiose sul territorio nate sull’imprinting del locale di Platì (Rc). Griffith, dove si coltivavano ‘castelli d’erba’ (da intendersi cannabis) negli anni Settanta e Ottanta, è stata oggetto di una famosa quanto controversa inchiesta da parte di una Royal commission creata all’uopo nel 1979, che ha indagato su 5-7 famiglie, considerate affiliate alla Onorata società. Questa commissione di inchiesta individuerà in membri apicali delle famiglie Sergi, Barbaro e Trimbolia Griffith i mandanti di un omicidio, quello di Donald McKay, attivista e politico locale, che rimane ad oggi delitto insoluto, ma ancora caso aperto. Non seguirono infatti processi penali nei confronti di questi soggetti.
Altri omicidi, ancora meno chiari, rientrano nella sfera del possibile mandato ‘ndranghetista: ad esempio, quello di Colin Winchester, commissario dell’Afp a Canberra, ucciso nel 1989. Per l’omicidio Winchester si condannò David Eastman, con un movente personale, ma nel 2014 il caso è stato ribaltato e la pista di ‘ndrangheta è ritornata a galla, senza però alcuna chiarezza.
E ancora, nel 1994, quando un pacco bomba ha fatto saltare in aria un intero piano di quella che allora era la National crime authority (oggi diventata Australian criminal intelligence commission) di Adelaide, capitale dell’Australia meridionale, ha ucciso Geoffrey Bowen, detective appena 36enne, e severamente ferito l’avvocato Peter Wallis in stanza con Bowen in quel momento, si è nuovamente parlato di ‘ndrangheta, dal momento che Bowen avrebbe dovuto testimoniare in un processo di droga che vedeva imputati, tra gli altri, alcuni calabresi tra cui due fratelli Perre, anche loro originari di Platì e legati alle famiglie di Griffith. Il processo per il cosiddetto Nca bombing, ha avuto più vicissitudini processuali di ogni altro processo australiano. Si è arrivati all’effettivo processo contro Domenic Perre soltanto 24 anni dopo, nel 2018.
Il processo, il più lungo della storia d’Australia, è terminato nel settembre 2021. Il 30 giugno 2022 è arrivato il verdetto: colpevole. Questa condanna, solleva molte domande sul possibile ruolo delle famiglie di Griffith e quelle di Adelaide in questo omicidio, ma non è detto che tali domande avrebbero risposte. Rimangono domande aperte anche nell’omicidio dell’avvocato (di discendenza calabrese) Joseph Acquaro, ucciso a Melbourne nel 2016 e su cui, a detta degli inquirenti, pesava una “condanna a morte” da parte di alcuni dei clan cittadini, perché Acquaro avrebbe parlato con autorità e giornalisti e dunque tradito la fiducia dei suoi “assistiti”. Per l’omicidio di Acquaro, un altro calabrese è oggi a processo, ma i suoi legami con i suddetti clan che all’inizio avevano destato curiosità e domande anche dai giornalisti, sono ad oggi non chiari o non pervenuti.
Il focus sul narcotraffico (ma non sul riciclaggio)
Perché è proprio questo il problema – tornando per un attimo a Operazione Ironside e agli annunci dell’Afp. Come accadde anche nel 1979, poi nel 1993 – quando si fece partire la decennale Operazione Cerberus che nel 2003 contò 55 famiglie criminali di origine italiana, principalmente calabrese in Australia – il focus delle forze di polizia rimane sui traffici di stupefacenti, nonostante conoscano molto bene il resto del fenomeno. Non è un problema di volontà, ma purtroppo di divisione di competenze e di mancanza di risorse. Operazione Ironside è stata finora interamente concentrata sui traffici illeciti, con soggetti di origine calabrese (ma di fatto australiani) come Domenico Catanzariti e Salvatore Lupoi, arrestati dall’Fbi nella parallela Operazione Trojan Shield, considerati broker dell’underworld australiano per quanto riguarda attività di importazione di metanfetamine, cannabis e cocaina.
Sicuramente, in questi decenni non sono mancati i reati mafiosi classici, tra cui proprio il traffico di stupefacenti. Era a predominanza calabrese il gruppo di soggetti arrestati dall’Afp durante Operazione Inca, nel 2007-2008, in quella che venne chiamata “the world’s largest ecstasy bust” (la più ingente confisca di ecstasy del mondo). Individui legati al clan Barbaro, con collaboratori in Italia, tentarono di far arrivare a Melbourne 4.4 tonnellate di Mdma e 160 kg di cocaina, ma vennero bloccati dalle forze di polizia. Sicuramente da Inca a Ironside l’influenza dei gruppi onorati sui traffici illeciti australiani è stata oggetto di indagini e di mappature delle famiglie criminali.
Non è facile mappare un’organizzazione criminale che, quando commette crimini, ha ormai necessariamente un’identità molto ibrida – ovviamente i traffici illeciti vanno fatti con collaboratori di altri gruppi. Un’organizzazione che, quando entra nei gangli dell’economia e della società, lo fa sfruttando i canali della solidarietà etnica e contando su un patrimonio di consenso e ‘amicizie’ ormai decennali. Un’organizzazione che, a livello logistico, appare frammentata in varie località del continente australiano, e in cui al potere ‘ndranghetista – quello reale, di risoluzione dei conflitti, di mediazione e di mantenimento dei codici di comportamento criminale – non sempre corrisponde il potere criminale, dislocato appunto altrove. Si può sperare, sempre rispetto agli annunci dell’Afp di qualche giorno fa, che il tanto annunciato focus sul riciclaggio dei proventi del crimine potrebbe portare anche a indagini sulla prossimità politica di certi individui e dei loro capitali. Ma allo stesso tempo resta da chiedersi se, per certe dinamiche, non sia già irrimediabilmente in ritardo. 11..7.2022 LA VIA LIBERA
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‘Ndrangheta, inchiesta su 14 clan calabresi in Australia. «Importano tonnellate di droga»
Monitorati 25 milioni di messaggi sull’app crittografata “Anom”. La polizia: «Migliaia di affiliati nel Paese. Tirano i fili delle bande di motociclisti e riciclano miliardi di dollari all’anno in …
Dati di intelligence ottenuti da intercettazioni telefoniche hanno rivelato inoltre che la mafia italiana sta «tirando i fili» delle bande di motociclistiresponsabili di alcuni dei principali episodi di violenza compiuti nel paese.
Nel darne notizia, il vice commissario dell’Afp, Australian Federal Police, Nigel Ryan, ha spiegato che «la ‘ndrangheta non è soltanto un problema australiano, è un problema globale». I clan sono responsabili del 70-80% del traffico di cocaina mondiale «e stanno inondando l’Australia di droghe illecite». La ‘ndrangheta, secondo l’ufficiale, «può contare su migliaia di affiliati nel Paese». Ryan ha inoltre parlato di miliardi di dollari di denaro sporco riciclati attraverso l’economia ogni anno: «Immettono i loro guadagni illeciti nelle loro legittime attività di costruzione, agricoltura e ristorazione», ha affermato. E ha annunciato un vero e proprio attacco alla ‘ndrangheta: «Stiamo tracciando i suoi legami familiari in Australia, metteremo nel mirino i suoi movimenti finanziari e le sue comunicazioni».
I contatti tra membri dei clan con l’app crittografata “Anom”
La polizia australiana è riuscita a compilare uno schema sulla struttura della mafia dai dati ricavati dall’operazione sotto copertura “Ironside”, durata tre anni e che ha visto le autorità infiltrarsi nei telefoni di esponenti della criminalità organizzata attraverso un’app crittografata, chiamata “Anom”. I presunti criminali sono stati convinti attraverso il passaparola ad utilizzare il servizio di messaggistica teoricamente al riparo dai radar della polizia. Non sapevano che i 25 milioni di messaggi inviati sulla piattaforma erano monitorati da vicino dall’Afp e dall’Fbi. Da quando le autorità hanno rivelato la verità su Anom un anno fa, 383 presunti criminali australiani sono stati accusati di oltre 2.340 reati. I boss della mafia italiana sono ora il prossimo principale obiettivo, grazie ad un’operazione che coinvolge anche le autorità statunitensi, spagnole, brasiliane e italiane. «Questa prossima fase sarà lunga ed impegnativa, ma siamo all’altezza della sfida», ha aggiunto Ryan, citato dall’australiana Abc. 7.6.2022 CORRIERE DELLA CALABRIA
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