Damiano Aliprandi 6 gennaio, 2021
Quindi, come fa intendere Report, la strage di Bologna e quelle siciliane di Capaci e Via D’Amelio appartengono ad un unico piano eversivo. Vale la pena ricordare cosa disse, in una intervista su Radio Radicale a cura di Sergio Scandura, l’ex magistrato ed ex parlamentare di Rifondazione comunista Giuseppe Di Lello: «Ho già in passato espresso delle perplessità enormi per la ricostruzione secondo me un po’ giornalistica di questo pezzo della storia d’Italia che accomuna soggetti molto diversi tra di loro e mescola due epoche storiche distinte».
Di Lello non è un personaggio qualsiasi. È un pezzo pregiato della storia dell’antimafia. Ha fatto parte del pool antimafia dal primissimo momento. Il Pool lo fondò Rocco Chinnici, nei primi anni ottanta, e chiamò con sé quattro giovani magistrati quarantenni: Giovannni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Peppino Di Lello. Quest’ultimo è stato uno dei protagonisti del celeberrimo maxiprocesso alla mafia ed è restato fino alla fine nel pool, cioè fino a che non lo smantellarono.
Ma ritorniamo al mosaico composto da Report. Ogni tassello affrontato mostra però alcune lacune. Sicuramente per distrazione. Partiamo dallo scoop sull’agenda rossa. Anche perché è l’unico, il resto è stato tutto già affrontato dalle motivazioni relative alla sentenza di primo grado sulla trattativa stato mafia. Sì, perché nelle stesse pagine , si auto-certifica anche la peculiarità dell’attività ricognitiva svolta, definendola espressamente «ardua e pressoché titanica» dal momento che ha riguardato non i singoli fatti contestati agli imputati, ma un insieme amplissimo di «vicende complesse e mai del tutto chiarite che hanno riguardato la storia repubblicana in un arco temporale ricompreso tra la metà degli anni sessanta e i giorni nostri», passando dai tentativi di golpe dei primi anni settanta, al sequestro Moro, sino al terrorismo brigatista e alla P2, oltre, ovviamente, alle stragi mafiose. Esattamente quello che ha riportato Report.
Nulla, appunto, di esclusivo.Però sull’agenda rossa di Borsellino sì. Report ha intervistato Salvatore Baiardo, l’uomo che ha coperto la latitanza dei fratelli Graviano, potente famiglia mafiosa accusata anche della strage di via D’Amelio. In sostanza dice che ci sono più copie dell’agenda sottratta dall’ auto in fiamme del giudice Borsellino, finite a diverse persone. Non solo a Matteo Messina Denaro e i Graviano stessi, ma anche ad altri soggetti. Stupefacente. Un uomo che faceva il gelataio ad Omegna (località dove appunto latitava Graviano), ha custodito per tutti questi anni un segreto di tale portata.
Ma è una persona attendibile? Non possiamo giudicarlo noi. Ma per rispetto della cronaca, dobbiamo ricordare che Baiardo, condannato per favoreggiamento ai Graviano, nel 94 aveva raccontato molte cose alla Dia di Firenze che stava indagando sulla strage di Via dei Georgofili. Il risultato di allora? Nessun riscontro alle sue affermazioni che non hanno portato a delle certezze giudiziarie. Non solo. Baiardo ha sostenuto che, il giorno dell’attentato in Via D’Amelio, Graviano fosse con lui, nella sua gelateria di Omegna, e che, appresa la notizia, si sarebbero diretti verso casa per vedere il telegiornale.
Parliamo di un personaggio, appunto, ambiguo. Report l’avrebbe dovuto dire. Magari evocando cosa disse Vincenzo Amato, giornalista de La Stampa scelto da Baiardo in quanto suo conoscente, per rilasciargli le sue dichiarazioni: «La mia personale impressione su Salvatore Baiardo è, al di là delle vicende accertate, questa: che lui “venda” un po’ di fumo per cercare di ritagliarsi un qualche spazio. Non mi sembra del tutto credibile. Lui effettivamente è stato arrestato e si è fatto in carcere dal ’95 al ’99 effettivamente per questi rapporti con i Graviano. È anche noto alle forze dell’ordine locali perché ha avuto una serie di, diciamo di vicende, di guai giudiziari; tra l’altro per piccole truffe anche da mille euro, da cifre di questo genere».
Ecco, stando alle parole del giornalista Amato, parliamo di uno che avrebbe millantato per truffare persone. Anche l’intervista a Gioacchino Genchi è interessante. Ha parlato della sparizione di alcuni file dal computer di Falcone. Ebbene, appare strano che al giornalista di Report non abbia specificato i nomi dei file. Sì, perché c’è una lunga intervista di giugno scorso che Genchi ha rilasciato al giornale on line Ilsicilia.it, dove disse testuali parole: «C’era un file nascosto, denominato “Orlando.bak”, un file di backup per il quale mancava il file “Orlando.doc”. Era sparito. Qualcuno lo ha cancellato, probabilmente perché dava fastidio. Il file “Orlando.bak” conteneva tracce degli appunti di Falcone per difendersi al Csm dalle accuse dell’allora sindaco Orlando».
Invece a Report questo passaggio non compare. Possibile che Genchi non glielo abbia riferito? Sicuramente sarebbe stato un altro tassello interessante, anche se difficoltoso per comporre il mosaico che ne è uscito fuori.Anche la famosa frase di Borsellino riportata a conclusione dal conduttore di Report, sarebbe diventato un altro tassello anomalo se fosse stata riportata nella sua interezza.
Perché? Manca il riferimento ai magistrati. Allora la diciamo noi. Nel verbale di assunzione di informazioni del 18 agosto 2009, davanti al Pubblico Ministero presso il tribunale di Caltanissetta, la signora Agnese Piraino Borsellino ha dichiarato: «Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini senza essere seguiti dalla scorta. In tale circostanza, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo».
Paolo Borsellino, in tale occasione, non fece nessun nome alla moglie, la quale però ha soggiunto: «comunque non posso negare che quando Paolo si riferì ai colleghi non potei fare a meno di pensare ai contrasti che egli aveva in quel momento con l’allora Procuratore Giammanco». Sarebbe stato un tassello difficile da farlo incastrare nel mosaico ricostruito da Report. Così come sarebbe stato ancora più “anomalo” rendere pubblici in tv i verbali che Il Dubbio, dopo 28 anni, ha pubblicato per la prima volta dove si parla dell’ultima riunione in procura alla quale partecipò Borsellino: emerge che ci fu tensione e avanzò rilievi sulla conduzione del procedimento mafia appalti, facendosi portavoce delle lamentele dei ros Mori e De Donno. Parliamo del 14 luglio. Il giorno dopo qualcuno andò da Borsellino a parlar male del carabiniere dei ros. Cinque giorni dopo la strage. «Del nido di vipere si continua a non parlare», esclama polemicamente su Facebook l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino. “Nido di vipere” è un’altra espressione di Paolo Borsellino, riferendosi alla procura di Palermo di allora.
Strage di Via D’Amelio, Borsellino voleva denunciare i fatti interni alla Procura di Palermo: ecco le prove
Le conferme in due verbali “nascosti” per decenni, nelle intercettazioni di Totò Riina sul contenuto dell’agenda rossa e in un discorso pubblico del magistrato
Ci sono un discorso pubblico, due verbali “nascosti” per decenni e un passaggio delle intercettazioni di Totò Riina sul contenuto dell’”agenda rossa”, che svelano cosa avrebbe voluto denunciare Paolo Borsellino alla procura di Caltanissetta in merito alla morte di Giovanni Falcone, senza averne avuto la possibilità: fu fatto saltare in aria prima, insieme alla sua scorta, con il tritolo in Via D’Amelio, 29 anni fa.
Le questioni “terribili” della Procura di Palermo
Un dato è sotto gli occhi di tutti. Paolo Borsellino ha pubblicamente evidenziato un dettaglio, collegandolo all’attentato di Capaci. Un dettaglio passato del tutto inosservato fin da subito e completamente svaporato tra le tesi della trattativa e altre piste inconcludenti. Tutte piste che omettono le questioni “terribili”, una definizione coniata da Borsellino durante una confidenza fatta alla sorella di Falcone, che riguardano la Procura diretta all’epoca da Pietro Giammanco. Tutto nero su bianco nel verbale tenuto nei cassetti per quasi 30 anni. «Falcone approdò alla procura della Repubblica di Palermo dove, a un certo punto ritenne, e le motivazioni le riservo a quella parte di espressione delle mie convinzioni che deve in questo momento essere indirizzata verso altri ascoltatori, di non poter più continuare ad operare al meglio». Questo è il passaggio del famoso intervento pubblico di Borsellino fatto alla biblioteca comunale di Casa Professa. Non c’è altra interpretazione.
Per Borsellino i diari di Falcone sono veri
Borsellino ha esordito con una premessa: deluderà i presenti, ma le motivazioni dell’omicidio del suo collega e fraterno amico Falcone le riserverà alla procura di Caltanissetta. Ma man mano che parla, qualcosa lascia intravvedere. Prima premette che i diari di Falcone (tutte annotazioni critiche nei confronti di alcuni suoi colleghi e della gestione delle indagini) pubblicato dalla giornalista Liana Milella sono veri. Sottolinea la loro genuinità, perché li «aveva letti in vita». Borsellino, più avanti, dice chiaramente che avrebbe rivelato il motivo per cui Falcone ha abbandonato la Procura di Palermo, quella dei “veleni”. Definizione, quest’ultima, di Borsellino stesso come hanno testimoniato alcuni suoi colleghi di Marsala, ovvero Massimo Russo e Alessandra Camassa. Lo avrebbe prima detto alla procura competente e poi, nel caso, pubblicamente.
Voleva denunciare ai giudici di Caltanissetta i malesseri della procura palermitana Dal verbale dell’audizione al Csm del magistrato Antonella Consiglio si evince una testimonianza che svela il fatto che Borsellino avrebbe denunciato innanzi ai giudici nisseni tutti i malesseri interni alla Procura. Riportiamo il passaggio del verbale al Csm del 30 luglio 1992. È la dottoressa Consiglio che parla. Il riferimento sono i diari di Falcone: «Lo stesso Antonio (Ingroia, ndr), parlando mi disse che era tutto vero, ma sul punto non c’erano dubbi e che proprio Paolo cercava di studiare insomma il modo, come dire, o comunque il momento per poter introdurre il problema nelle sedi istituzionalmente competenti, perché dopo la morte di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ha subito un grosso trauma emotivo ed era determinato nel far luce sui fatti anche della procura, e comunque, diciamo, era una cosa che lui stava sicuramente preparando, a cui pensava».
Ingroia disse alla Consiglio che Borsellino era determinato a tirar fuori i malesseri della procura
La dottoressa Consiglio, aggiunge che Ingroia le disse che Borsellino era «determinato in questa sua intenzione di tirar fuori, in qualche modo non so come, i malesseri di quella procura ed ero completamente allo scuro di tutti i fatti che poi ho sentito e tutto sommato cercava, appunto, il momento opportuno, poi.. è finita». Ma poi, appunto, è finita quel maledetto 19 luglio 1992. Borsellino che quasi ogni domenica mattina andava a trovare la madre, quel giorno ci andò di pomeriggio perché doveva accompagnarla dal cardiologo. Una visita programmata per sabato, ma poi spostata a domenica dal medico stesso.
Il giorno prima della strage alla madre avrebbe detto: «…poi potrò smettere di fare il magistrato»
Il giorno prima della strage, e questo lo sappiamo dalla testimonianza del fratello Salvatore resa il 5 aprile 1995 al processo Borsellino, il giudice ucciso dal tritolo era euforico e avrebbe detto alla madre testuali parole: «Sono contento di questo che sto facendo perché sono riuscito ad andare in fondo e poi potrò smettere di fare il magistrato». Ebbene sì. Borsellino avrebbe lasciato la magistratura una volta denunciato la verità sulla strage di Capaci. La sorella di Falcone, come si legge nel verbale tenuto nascosto per quasi 30 anni, dirà al Csm: «Io per due mesi sono stata zitta, perché Paolo Borsellino così mi aveva consigliato, o ci aveva consigliato, perché Paolo era un caro amico di Giovanni».
Consigliò alla sorella di Falcone di stare ferma, perché stava scoprendo «delle cose terribili»
Che cosa le aveva consigliato? Lei voleva parlare subito dei motivi per cui Falcone ha lasciato la Procura. Borsellino però le disse di stare ferma, perché stava scoprendo «delle cose terribili, che avrebbero fatto saltare parecchie cose». Veniamo all’agenda rossa scomparsa. Si sono fatte diverse ipotesi sul contenuto. Nessuno ne è testimone, ma addirittura c’è chi specula dando per certo che avrebbe scritto cose riguardanti entità o spectre come se annotasse un romanzo alla Dan Brown.
Annotava pensieri sull’agenda rossa come faceva Falcone su un diario
Sappiamo, grazie alla testimonianza di Ingroia resa alla commissione antimafia siciliana, che Borsellino ha cominciato ad annotare pensieri sull’agenda rossa una volta che ha scoperto che anche Falcone annotava tutto su un diario. Il contenuto delle annotazioni pubblicate è tutto volto alla questione interna alla Procura di Palermo. Sappiamo che Falcone cominciò ad annotare sul diario su consiglio del giudice Rocco Chinnici. Anche quest’ultimo, ricordiamo, teneva un diario personale. Dopo la morte di Chinnici, in audizione avanti al Csm del 6 settembre 1983 sul punto Falcone commenterà: «Il collega Chinnici prendeva appunti su tutti gli episodi che gli apparivano inconsueti e questo perché temeva che le persone che potessero volere la sua morte avrebbero potuto annidarsi anche all’interno del palazzo di giustizia. Egli mi sollecitava a fare altrettanto, dicendomi che in caso di una mia morte violenta gli appunti avrebbero potuto costituire una traccia per risalire agli assassini». È stato di parola. Falcone ha annotato tutti i problemi interni al palazzo di giustizia.A questo punto è logico supporre che Borsellino abbia voluto seguire lo stesso esempio. Pubblicamente o tramite confidenze ora svelate dai verbali, Borsellino ha detto di non fidarsi di alcuni suoi colleghi e che avrebbe denunciato tutto a Caltanissetta.
Riina parlava dei contenuti dell’agenda rossa
Lo sapeva anche Totò Riina? Nelle trascrizioni delle intercettazioni del 29 agosto 2013, parla dell’agenda rossa e dei documenti che qualcuno fece sparire anche al generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Si chiede come mai accadono queste sparizioni. Ad un certo punto, subito dopo aver nominato il fatto di dalla Chiesa, dice: «Perché, anche questa agenda rossa, cioè, le rilevazioni che aveva fatto questo… questo per quello… gli faccio io… perché c’è… c’è… non può essere perché sono presenti i Magistrati?». Finché non si farà chiarezza su questo punto, la verità è sempre più lontana. Siamo un Paese particolare, la Sicilia lo è ancor di più. Ci vorrebbero magistrati che abbiano il coraggio di calpestare i piedi anche ai loro colleghi potenti. Un potere abnorme che invade i mass media e gli organismi politici. Cosa aveva scoperto di così terribile Paolo Borsellino tanto da annotarlo sull’agenda e pronto a rivelarlo alla procura Nissena? «Borsellino – si legge nell’articolo del Corriere della Sera a firma di Luca Rossi apparso il giorno dopo l’attentato – pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione d’appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando». E poi sempre Borsellino dice: «Se me ne vado da qui, da Palermo, non ho più nessuno che mi faccia da sponda. Qui non è rimasto nessuno. Non ci sono più inchieste, non c’è un lavoro organico: che cosa posso coordinare da Roma se nessuno fa indagini in Sicilia?».