FIAMMETTA BORSELLINO – Rassegna stampa Aprile 2022

 

Trattativa, Ingroia: ”Da Cassazione segnale che lo Stato non può processare sé stesso”

L’ex pm: “Sono convinto che con questo verdetto ingiustizia sia stata fatta, ma sono consapevole che l’impegno dei magistrati continua”

Dalla Cassazione arriva il segnale che lo Stato non può processare sé stesso’’. A dirlo, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, è l’avvocato Antonio Ingroiacommentando la sentenza della Corte di Cassazione in merito al processo Trattativa Stato-mafia. Processo che Ingroia istruì quando era procuratore aggiunto a Palermo.

La sentenza mi sembra più politica che giuridica: ricordo che la Cassazione non è soltanto il luogo di definizione giuridica dei processi, ma anche quello di indirizzo di politica giudiziaria. Dalla Cassazione arriva il segnale che lo Stato non può processare sé stesso’’. Secondo Ingroia “dal ‘Palazzaccio’ di piazza Cavour arriva un segnale chiaro ai magistrati: fate tutti i processi che volete, qui l’esito lo decidiamo noi”. Dal dispositivo dei giudici ermellini, aggiunge l’avvocato entrando nel merito della sentenza, si evince “che il fatto c’è. E il fatto è la minaccia, derubricata a tentata per i mafiosi, e conseguentemente prescritta, con una sorta di perdonismo: gli esponenti dello Stato non sono stati assolti perché il fatto non sussiste, ma per non averlo commesso. Anche se il dispositivo appare contraddittorio: pur non condividendo la sentenza di appello, riconosco che aveva una sua coerenza logica. Qui mi sfugge un po’”, ha commentato. L’ex pm ritiene sia “impossibile” che “abbiano trattato solo i mafiosi”. “Resta aperta la questione di chi ha portato l’ambasciata: ci sono altri responsabili? Leggeremo le motivazioni e mi auguro che arrivino indicazioni utili a fare luce su quella stagione di sangue”. “Sono convinto che con questo verdetto ingiustizia sia stata fatta, ma sono consapevole che l’impegno dei magistrati continua e che le punte più avanzate della ricerca della verità su quella stagione ancora oscura sono le procure di Firenze e Reggio Calabria”, ha aggiunto. “Leggeremo in questi giorni ogni sorta di disquisizione giuridica, ma un fatto è certo: i supremi giudici non potevano non ammettere che la minaccia c’è stata. Temo però che nelle motivazioni la Suprema Corte non risponderà su questo terreno: in questo processo non si valutano le singole infedeltà ma lo Stato attraverso i suoi ambasciatori. E lo Stato dice che non vanno processati”, ha riassunto Ingroia. “Restano intatte tutte le considerazioni legate al piano storico, etico, morale di una stagione di sangue ancora oscura che ha visto tra i protagonisti complicità interne agli apparati istituzionali”.
L’avvocato ha poi risposto a una domanda sui commenti di Fiammetta Borsellino e altri che hanno accusato i magistrati dell’accusa (come Nino Di Matteo e lo stesso Ingroia) di aver “costruito carriere immeritatamente” su processi rivelatesi patacche.
Direi che le carriere sono quelle non fatte: io sono stato costretto a lasciare la magistratura, Di Matteo è stato esautorato dal sistema Palamara e costretto ad andare via dalla Dna”, ha ricordato Ingroia ribattendo alla Borsellino. “Il tutto di fronte a imputati incoronati come vittime di giustizia”. E a chi parla di “teoremi” rispetto alla trattativa Stato-mafia, l’ex pm ha risposto che non c’è “nessun teorema, ma una serie di acquisizioni processuali compiute nell’arco di decenni e tuttora sviluppate da altre procure italiane. A quei magistrati dico di non lasciarsi distrarre da questa sentenza: la minaccia è stata eseguita con la complicità di uomini dello Stato”.

 


25.4.2023 FIAMMETTA BORSELLINO: “Il carcere è speranza e può far cambiare chi ha commesso errori”Il Centro culturale Portico del Vasaio di Rimini ha organizzato per domani e giovedì due eventi con Fiammetta Borsellino, don Claudio Burgio e il magistrato Roberto Di Bella

Una giustizia che ricrea, dove si mette al centro dell’attenzione la possibilità di poter ripartire dopo ogni errore in ogni condizione. Il Centro Culturale Portico del Vasaio di Rimini ha organizzato due eventi per promuovere questo approccio attraverso gli appuntamenti previsti per domani, 26 aprile alle ore 21 al Teatro Galli di Rimini e giovedì 27 aprile al mattino per gli studenti, e vedranno la partecipazione di tre ospiti eccezionali: Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia Paolo Borsellino; don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos, e il magistrato Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania.

Fiammetta Borsellino è impegnata da anni nella lotta per ottenere la verità sulla morte del padre e dell’amico Giovanni Falcone, uccisi dalla mafia nel 1992. Ha deciso anche di incontrare due dei boss mafiosi responsabili della strage, i fratelli Graviano, convinta della necessità di immaginare e costruire percorsi di cambiamento che possano avvicinare i colpevoli di gravissimi delitti alle vittime o ai loro familiari. Inoltre, girando per l’Italia, Fiammetta Borsellino ha incontrato numerosi studenti delle scuole superiori per parlare loro di verità e giustizia e per far loro percepire l’importanza di incontrare sul proprio cammino occasioni di rinascita e ripartenza.

Vale la pena riportare una riflessione della figlia di Borsellino stessa, riportata nel libro “Paolo Borsellino – Per amore della verità” di Piero Melati: “Riesce davvero il carcere a provocare un cambiamento nelle persone? Se rispondiamo negativamente, è una sconfitta. Questo vale anche per il 41 bis. Anche rispetto alle persone che più mi hanno fatto del male come i Graviano, non mi sento più appagata se loro restano segregati in una cella, ma se si accende una miccia di cambiamento. Oggi ho la consapevolezza che si può vivere e morire con dignità non solo come ha fatto mio padre, ma anche da parte di chi ha fatto cose atroci, sempre che sappia almeno riconoscere il male inflitto, chiedere perdono e riparare il danno”.

Don Claudio Burgio si è invece immedesimato profondamente con la solitudine dei ragazzi chiusi nelle celle del carcere giovanile Beccaria di Milano. Ha fondato l’associazione Kairos, che garantisce percorsi alternativi al carcere a circa una cinquantina di ragazzi tra cui Trapper, noto cantante. Il magistrato Roberto Di Bella, invece, ha messo in atto un coraggioso procedimento per liberare i giovani rampolli delle famiglie della ’ ndrangheta calabrese dall’influenza negativa dei loro padri. Ha proposto loro di allontanarsi dalla loro terra e vivere in comunità. Ed è nato così il progetto “Liberi di scegliere”.

La sua, una storia, che va raccontata. In venticinque anni ha processato prima i padri, poi i loro figli. Sempre per gli stessi reati. Ha visto ragazzi che avevano ancora una luce nello sguardo procedere inesorabilmente verso una vita adulta fatta di violenza e carcere duro. E ha capito due cose. La prima è che la ‘ ndrangheta non si sceglie, si eredita. La seconda è che non voleva più stare a guardare. Bisognava dare a questi ragazzi una possibilità. Farli tornare liberi di scegliere. Mostrare loro altri mondi, altre vite, un futuro ritagliato sui loro sogni e non sulle richieste di una società criminale. E l’unico modo per farlo era allontanarli dalla Calabria, dalla ragnatela di ricatti, pressioni, allusioni che il loro nucleo familiare avrebbe messo in atto. Un percorso non sempre semplice, anzi, spesso faticoso e doloroso, ma che ha restituito a molti ragazzi la possibilità concreta di una vita diversa da quella segnata dal carcere e dalla violenza dei loro padri.

Gli incontri promossi dal Centro Culturale Portico del Vasaio di Rimini offrono una riflessione coerente incentrata sulla possibilità di ripartire sempre, dopo ogni errore e in ogni condizione, attraverso un approccio all’altro che miri a mettere a fuoco e a valorizzare l’umanità che permane nel profondo di ognuno, anche se talvolta oppressa da sofferenze, condizionamenti, indurimenti ma mai annichilita. In una società sempre più frantumata e sempre più soffocante per tutti, connotata dall’oscillazione perenne tra arrivismo e scetticismo, i giovani sono le prime vittime. Molto spesso la scuola, la famiglia e le condizioni sociali sono vissute come un carcere, come ambiti in cui non si respira libertà, in quanto non si percepisce la possibilità di aprirsi percorsi di scoperta di sé. La testimonianza dei tre ospiti è un’occasione eccezionale per comunicare, ai giovani e alla città intera, che aprire nuovi percorsi e accendere speranze inaspettate è possibile.  25.4.2023 IL DUBBIO di DAMIANO ALIPRANDI


UNA GIUSTIZIA CHE RICREA – 26 e 27 aprile FIAMMETTA BORSELLINO a Rimini

L’Associazione culturale Il Portico del Vasaio propone un duplice incontro dal titolo “Una giustizia che ricrea”: alla città il 26 aprile 2023 alle ore 21 presso il teatro Galli a Rimini e per le scuole superiori il 27 aprile 2023 al mattino, presso il Palasport Flaminio.
Protagonisti dell’incontro saranno Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, magistrato che insieme a Falcone fu vittima dell’attentato mafioso che più ha segnato la memoria di tutti gli italiani, don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos, e, solo per il momento della sera, il magistrato Roberto di Bella, ideatore del progetto “Liberi di scegliere” e presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania.

27 aprile, dalle ore 10 alle ore 12:30, presso il Palasport Flaminio di Rimini, con

Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo Borsellino, magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992, la quale da tempo lotta per conoscere la verità sulle drammatiche vicende accadute al padre. Fiammetta ha incontrato in carcere i responsabili della strage, preoccupata che anche a loro potesse essere offerto un vero percorso di rieducazione e riabilitazione;
Dopo anni di silenzio, è impegnata in una lotta appassionata affinché la morte del padre, Paolo Borsellino, e dell’amico e collega Giovanni Falcone, non sia avvenuta invano. Reclama verità per se stessa, per la propria famiglia e per la collettività tutta e per questa ragione sta spendendo la vita nel tentativo di ottenere chiarezza sulle numerose e preoccupanti zone d’ombra che ancora circondano la strage di via D’Amelio. Allo stesso tempo, Fiammetta Borsellino ha anche deciso di incontrare due dei boss mafiosi responsabili della strage in cui ha perso la vita il padre, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, convinta della necessità di progettare e costruire percorsi di cambiamento che possano avvicinare i colpevoli di gravissimi delitti alle vittime o ai loro familiari: questo perché ha maturato la consapevolezza che vivere con pulsioni di vendetta è una cosa pesantissima che alimenta ulteriormente odio e violenza e che l’incontro tra vittima e colpevole possa essere scintilla di cambiamento per entrambi. Da questa sua esperienza personale è nato anche il giudizio sul valore della pena e del carcere e sulla necessità che questi strumenti abbiano come obiettivo un cambiamento positivo nella vita dei detenuti. Da qui nasce in particolar modo anche il desiderio di Fiammetta di incontrare i ragazzi delle scuole superiori, i primi a percepire il bisogno e l’esigenza di verità e giustizia e al contempo a capire con forza e drammaticità l’importanza di incontrare sul proprio cammino occasioni di rinascita e ripartenza.

don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos, che offre percorsi alternativi al carcere a numerosi giovani tra cui diversi trapper, ben noti agli studenti


L’incontro, dal titolo “Una giustizia che ricrea”, propone dunque una riflessione incentrata sulla possibilità di ripartire sempre, dopo ogni errore e in ogni condizione, attraverso un approccio all’altro che miri a valorizzarne l’umanità. Una umanità che permane, anche se talvolta oscurata da errori, sofferenze, condizionamenti, ma mai annichilita. Una riflessione sulla legalità e il senso dello Stato, che non si fermi agli elementi legalistici, ma giunga a mettere a tema il valore e il senso della giustizia, cioè di una vita giusta, libera, positiva.
Il dialogo con i due ospiti è un’occasione per i giovani, affinché si possano suscitare spunti e riflessioni utili a incoraggiarli, a mostrar loro una possibilità e una speranza per superare le numerose fragilità, oggi più che mai presenti nel contesto giovanile.

Ad aprire percorsi di speranza per i giovani è impegnato particolarmente don Claudio Burgio, cappellano presso il carcere giovanile Beccaria di Milano. Qui don Claudio si è immedesimato profondamente con la solitudine dei ragazzi chiusi nelle celle, scoprendo che la mancanza di libertà e di speranza caratterizza proprio le periferie da cui questi giovani provengono. Per questo ha fondato l’associazione Kairos, che ha offerto e continua ad offrire percorsi alternativi al carcere a circa una cinquantina di ragazzi tra cui noti e famosi Trapper.

 


UNA GIUSTIZIA CHE RICREA

L’Associazione culturale Il Portico del Vasaio propone un duplice incontro dal titolo “Una giustizia che ricrea”: alla città il 26 aprile 2023 alle ore 21 presso il teatro Galli a Rimini e per le scuole superiori il 27 aprile 2023 al mattino, presso il Palasport Flaminio.
Protagonisti dell’incontro saranno Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, magistrato che insieme a Falcone fu vittima dell’attentato mafioso che più ha segnato la memoria di tutti gli italiani, don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos, e, solo per il momento della sera, il magistrato Roberto di Bella, ideatore del progetto “Liberi di scegliere” e presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania.
L’incontro del 26, aperto a tutti fino esaurimento posti, intende mettere a fuoco, attraverso punti di vista differenti, il tema della giustizia. I relatori, in ambiti e con ruoli diversi, hanno saputo non cedere al cinismo ed allo sconforto di fronte a situazione di enorme gravità (subita o incontrata), ma hanno trovato la forza e l’intelligenza di aprire nuove strade.
Fiammetta Borsellino combatte da anni per scoprire la verità sulla morte di suo padre, individuando nei silenzi e nelle contraddizioni dello Stato, elementi di grande sconcerto e, tuttavia, nell’incontro con i carnefici ha manifestato la preoccupazione di immaginare e costruire percorsi di cambiamento che possano avvicinare i colpevoli alle vittime o ai loro familiari.
Don Claudio Burgio, cappellano nel carcere minorile Beccaria di Milano, di fronte a giovani disillusi e spesso protagonisti di violenta efferata, afferma che “non esistono giovani cattivi”, immedesimandosi profondamente nella loro solitudine e nel disagio che si vive nelle periferie delle nostre metropoli.
Il magistrato Roberto di Bella, mentre era magistrato di sorveglianza in un carcere minorile in Calabria, non si è rassegnato a vedere i giovani figli delle famiglie della Ndrangheta intraprendere necessariamente la strada dei loro padri, ed ha inventato nuovi protocolli affinché possano essere “liberi di scegliere” (questo il nome del suo progetto e il titolo del film a lui dedicato).
Come si desume, tre visuali sulla giustizia del tutto nuove ed originali, tali da completare il sempre più forte impegno nella lotta contro tutte le mafie, lotta sempre più necessaria anche nelle nostre terre, non esenti da fenomeni di deterioramento sociale, foriero di dinamiche malavitose che rischiano di divenire endemiche.
E tuttavia, si tratta di una battaglia che non sarà vinta, se non si vincerà il “mafioso che è in noi” (Fiammetta Borsellino).
L’invito dunque è ad una serata di riflessione e di dialogo, ma anche a porre l’inizio di un percorso che possa aprire nuove possibilità e nuovi scenari per tutti.
Non solo il reo necessita di trovare nuovi percorsi, ma ognuno – insegnano i tre protagonisti – ha bisogno di costruire strade che aprano una speranza, così da vincere la “palude sociale” in cui sorgono tutte le negatività che poi assumono forme così radicate e gravi al punto da divenire fenomeni difficilmente controllabili. L’incontro è stato proposto al mattino a tutte le scuole superiori del riminese grazie alla collaborazione operativa dell’ Ufficio Scolastico Provinciale e della Consulta Provinciale degli Studenti ed è stato reso possibile grazie alla sponsorizzazione della “Fondazione Gigi Tadei” e da “RomagnaBanca Credito cooperativo”. L’iniziativa è promossa dal Portico del Vasaio, in collaborazione con il Comune di Rimini e il patrocinio dell’“Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata” e dell’ “Istituto Storico per la Resistenza”.


“Una giustizia che ricrea”: il 26 e 27 aprile al Teatro Galli duplice incontro del Portico del Vasaio

L’Associazione culturale Il Portico del Vasaio propone un duplice incontro dal titolo “Una giustizia che ricrea”: alla città il 26 aprile 2023 alle ore 21 presso il teatro Galli a Rimini e per le scuole superiori il 27 aprile 2023 al mattino, presso il Palasport Flaminio.  Protagonisti dell’incontro saranno Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, magistrato che insieme a Falcone fu vittima dell’attentato mafioso che più ha segnato la memoria di tutti gli italiani, don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos, e, solo per il momento della sera, il magistrato Roberto di Bella, ideatore del progetto “Liberi di scegliere” e presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania. L’incontro del 26, aperto a tutti fino esaurimento posti, intende mettere a fuoco, attraverso punti di vista differenti, il tema della giustizia. I relatori, in ambiti e con ruoli diversi, di fronte a situazioni di enorme gravità (subita o incontrata), hanno saputo non cedere al cinismo ed allo sconforto, ma hanno trovato la forza e l’intelligenza di aprire nuove strade.

Fiammetta Borsellino combatte da anni per scoprire la verità sulla morte di suo padre, individuando nei silenzi e nelle contraddizioni dello Stato, elementi di  grande sconcerto e, tuttavia, nel desiderato incontro con i carnefici in carcere ha manifestato la preoccupazione di immaginare e costruire percorsi di cambiamento che possano avvicinare i colpevoli alle vittime o ai loro familiari.

Don Claudio Burgio, cappellano nel carcere minorile Beccaria di Milano, di fronte a giovani disillusi e spesso protagonisti di violenza efferata, afferma che “non esistono giovani cattivi”, immedesimandosi profondamente nella loro solitudine e nel disagio che si vive nelle periferie delle nostre metropoli e dando vita all’associazione Kayros, che offre percorsi di rieducazione alternativi al carcere.

Roberto di Bella, mentre era giudice minorile in Calabria, non si è rassegnato a vedere i giovani figli delle famiglie della Ndrangheta intraprendere necessariamente la strada dei loro padri, ed ha inventato nuovi protocolli affinché possano essere “liberi di scegliere” (questo il nome del suo progetto e il titolo del film a lui dedicato). L’invito è ad una serata di riflessione e di dialogo, ma anche a porre l’inizio di un percorso che possa aprire nuove possibilità e nuovi scenari per tutti. L’incontro è stato proposto al mattino a tutte le scuole superiori del riminese grazie alla collaborazione operativa dell’ Ufficio Scolastico Provinciale e della Consulta Provinciale degli Studenti ed è stato reso possibile grazie alla sponsorizzazione della “Fondazione Gigi Tadei” e da “RomagnaBanca Credito cooperativo”. L’iniziativa è promossa dal Portico del Vasaio, in collaborazione con il Comune di Rimini e il patrocinio dell’“Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata” e dell’ “Istituto Storico per la Resistenza”. GERONIMO NEWS 22.4.2023


‘Una giustizia che ricrea’. A Rimini due incontri con Fiammetta Borsellino

L’Associazione culturale Il Portico del Vasaio propone un duplice incontro dal titolo “Una giustizia che ricrea”alla città il 26 aprile alle ore 21 presso il teatro Galli a Rimini per le scuole superiori il 27 aprile al mattino, presso il Palasport Flaminio.

Protagonisti dell’incontro saranno Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, magistrato che insieme a Falcone fu vittima dell’attentato mafioso che più ha segnato la memoria di tutti gli italiani, don Claudio Burgio, fondatore dell’associazione Kairos, e, solo per il momento della sera, il magistrato Roberto di Bella, ideatore del progetto “Liberi di scegliere” e presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania.

L’incontro del 26, aperto a tutti fino esaurimento posti, intende mettere a fuoco, attraverso punti di vista differenti, il tema della giustizia. I relatori, in ambiti e con ruoli diversi, di fronte a situazioni di enorme gravità (subita o incontrata), hanno saputo non cedere al cinismo ed allo sconforto, ma hanno trovato la forza e l’intelligenza di aprire nuove strade.

Fiammetta Borsellino combatte da anni per scoprire la verità sulla morte di suo padre, individuando nei silenzi e nelle contraddizioni dello Stato, elementi di  grande sconcerto e, tuttavia, nel desiderato incontro con i carnefici in carcere ha manifestato la preoccupazione di immaginare e costruire percorsi di cambiamento che possano avvicinare i colpevoli alle vittime o ai loro familiari.

Don Claudio Burgio, cappellano nel carcere minorile Beccaria di Milano, di fronte a giovani disillusi e spesso protagonisti di violenza efferata, afferma che “non esistono giovani cattivi”, immedesimandosi profondamente nella loro solitudine e nel disagio che si vive nelle periferie delle nostre metropoli e dando vita all’associazione Kayros, che offre percorsi di rieducazione alternativi al carcere.

Roberto di Bella, mentre era giudice minorile in Calabria, non si è rassegnato a vedere i giovani figli delle famiglie della Ndrangheta intraprendere necessariamente la strada dei loro padri, ed ha inventato nuovi protocolli affinché possano essere “liberi di scegliere” (questo il nome del suo progetto e il titolo del film a lui dedicato).

Tre visuali sulla giustizia del tutto nuove ed originali – spiegano i promotori – tali da completare il sempre più forte impegno nella lotta contro tutte le mafie, lotta sempre più necessaria anche nelle nostre terre, non esenti da fenomeni di deterioramento sociale foriero di dinamiche malavitose che rischiano di divenire endemiche.  E tuttavia, si tratta di una battaglia che non sarà vinta, se non si vincerà il “mafioso che è in noi” (Fiammetta Borsellino).

L’invito dunque è ad una serata di riflessione e di dialogo, ma anche a porre l’inizio di un percorso che possa aprire nuove possibilità e nuovi scenari per tutti.  Non solo il reo necessita di trovare nuovi percorsi, ma ognuno – insegnano i tre protagonisti – ha bisogno di costruire strade che aprano una speranza, così da vincere la “palude sociale” in cui sorgono tutte le negatività che poi assumono forme così radicate e gravi al punto da divenire fenomeni difficilmente controllabili.

L’incontro è stato proposto al mattino a tutte le scuole superiori del riminese grazie alla collaborazione operativa dell’ Ufficio Scolastico Provinciale e della Consulta Provinciale degli Studenti ed è stato reso possibile grazie alla sponsorizzazione della “Fondazione Gigi Tadei” e da “RomagnaBanca Credito cooperativo”.

L’iniziativa è promossa dal Portico del Vasaio, in collaborazione con il Comune di Rimini e il patrocinio dell’“Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata” e dell’ “Istituto Storico per la Resistenza”. RIMINI NEWS 23.4.2023


[Storie] Ricominciare si può. Intervista a don Burgio, cappellano nel carcere minorile di Milano

«Non esistono ragazzi cattivi». La scritta campeggia all’ingresso della Comunità Kayros, ed è ripresa dal titolo del libro del suo fondatore, don Claudio Burgio, da diciassette anni cappellano al carcere minorile Beccaria di Milano. «L’idea che esprime questo slogan – spiega a BuongiornoRimini – è che la cattiveria non è innata nelle persone, tantomeno nei ragazzi che incontriamo. La cattiveria è una maschera, con cui questi ragazzi cercano di nascondere le proprie fragilità, le proprie debolezze, le proprie storie difficili. Però quando ritrovano l’impronta originaria che c’è in loro, la vita cambia, diventa molto più attrattiva».

Don Claudio Burgio sarà mercoledì 26 aprile al Teatro Galli di Rimini, ospite dell’incontro organizzato dal centro culturale Il Portico del Vasaio. Insieme a Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, e a Roberto Di Bella, presidente del Tribunale dei Minori di Catania, dialogherà sul tema Una giustizia che ricrea. Vittima o colpevole, cosa permette all’uomo di ricominciare?

Senta Burgio, ma dire che i ragazzi non sono cattivi non è buonismo, il solito modo di negare le responsabilità personali e di attribuire ogni colpa all’ambiente, alla società?

È un’obiezione che spesso sento dire. In genere è sulla bocca di chi ha un senso di giustizialismo molto forte. Per me la giustizia non ha a che fare con la vendetta, con la retribuzione. Noi crediamo molto nella giustizia riparativa che vuol dire, contro a ogni buonismo, che i fatti vanno riconosciuti, che i reati vanno condannati. Però ciò non significa che la persona non possa cambiare, che non possa riconciliarsi, anche con le vittime, che non possa fare un cammino di cambiamento. Noi lavoriamo per questo, sosteniamo questo tipo di speranza. Il buonismo lo consideriamo una forma di violenza, non è certo un modo per educare i ragazzi. Non sarebbe serio omettere le loro responsabilità. Crediamo però che ogni ragazzo non coincide con il proprio male, con le proprie azioni malvage. C’è sempre la possibilità di una redenzione, di un cammino.

C’è sempre la possibilità di ricominciare, lei dice.  Alcuni seguono un percorso di recupero ma poi ricascano nella violenza, nella delinquenza. E con questi cosa fa?

C’è chi cambia al primo colpo, ci sono molti ragazzi che attraverso vari itinerari di giustizia riparativa, di messa alla prova, cambiano subito, capiscono il disvalore di certe azioni. Ci sono altri che fanno fatica a cambiare subito, hanno bisogno di più momenti. Quindi una ricaduta non significa che un ragazzo non possa crescere, non possa  riabilitarsi. Vuol dire he ha bisogno di qualche input in più.

Nella sua comunità i cancelli sono sempre aperti. L’ educazione è dunque un rischio che rispetta la libertà?

Sì, non abbiamo l’idea che la legge, le regole siano sufficienti a cambiare un ragazzo, a renderlo più consapevole. Servono le regole, ma ci vuole anche una presa in carico della libertà di questi ragazzi. Finché non arrivano a interiorizzare la regola, finché non arrivano a prendere coscienza della loro vita, non riusciranno a cambiare.  La libertà è quello spazio, quel margine che permette a questi ragazzi di interiorizzare, di entrare dentro una scelta, una decisione. Tenere i cancelli aperti giorno e notte è una sfida, un modo per dire a questi ragazzi: questo non è un carcere, qui c’è di mezzo la tua coscienza, la tua libertà, scegli e decidi se rimanerci o no.

Il rapper Baby gang ha detto di lei: lui guarda la persona non le carte. Ha capito bene il suo metodo?

Certo, lui non sa cosa siano le carte perché non ha mai avuto un’educazione alla legalità. Per lui lo Stato con le sue leggi è qualcosa di sconosciuto.  Per affrontare questi ragazzi bisogna saper anche interagire, guardare negli occhi, sospendere il giudizio, provare ad aiutarli nella fiducia.  Molti nostri ragazzi non conoscono e non riconoscono l’autorità perché ritengono il mondo adulto, il mondo delle istituzioni, come irrilevante. Quindi bisogna aiutarli a comprendere che si parte da un rapporto umano, da una fiducia, da un ascolto, guardando la persona per quello che è, non solo per quello che fa.

Di cosa hanno bisogno questi ragazzi, al fondo?

Hanno bisogno di adulti credibili, hanno bisogno di avere un rapporto serio con persone che sappiano in qualche modo incuriosire la loro coscienza. Sappiano anche farla nascere, in alcuni casi. Hanno bisogno di adulti vicini credibili, che tendenzialmente siano coerenti, e non adulti che diventano come amici: questo è il vero dramma, una età adulta che si è liquefatta, non ha più autorevolezza, non sa più essere diversa dalla generazione dei figli.

Hanno bisogno di un padre? 

Spesso sì, magari c’è il padre ma è assente, insignificante.  I ragazzi cercano una paternità di altro tipo, che abbia a che fare con la testimonianza di una vita credibile.  Qualche anno fa i ragazzi mi hanno regalato un quadretto per la festa del papà. Accanto alle foto hanno inserito questa frase: non ci hai mai detto come vivere, ti sei i lasciato guardare e noi abbiamo capito. Quindi non sono sufficienti le parole, tanti paternalismi. Tanto maternagenon serve, hanno bisogno di vedere persone convinte dalla vita.

Come si fa a vedere una possibilità positiva in chi le ha combinate tutte?

Anche guardando alla storia propria, e a quella dell’umanità.  Sono cristiano e scopro nel Vangelo che anche Gesù è stato messo in croce e quindi è stato vittima di un’ingiustizia clamorosa. E quindi da quella croce, da quell’ingiustizia è nato qualcosa di grande, è nata una resurrezione, è nata una possibilità nuova. Soprattutto guardando al Vangelo riesco a capire questo dinamismo. Però qualcuno anche laicamente può capire che non tutto finisce a quindici sedici anni. Quanti cammini di liberazione ho potuto vedere in carcere! Basterebbero questi per convincere che è possibile.

Come devono porsi gli adulti davanti ai ragazzi ‘cattivi’? Può essere un alunno a scuola, un vicino di casa, un amico del figlio o magari un figlio…

Bisogna incontrare questi ragazzi senza averne paura, senza avere pregiudizi.  Bisogna sapere che arrivano da storie drammatiche, in cui il bullismo è la reazione a qualcosa che hanno subito in precedenza. Sono ragazzi molto fragili, bisogna saperli prendere. Loro tendono a nascondere la debolezza, ma sono ragazzi che spesso mi raccontano che hanno subito violenze; quindi, sono stati vittime di bullismo nell’infanzia. Occorre affiancare, accompagnare, camminare con questi ragazzi fino a quella confidenza, a quella fiducia che permette loro di verbalizzare le proprie emozioni , le proprie rabbie.

Cosa è cambiato nella sua vita dopo aver varcato i cancelli del Beccaria?

Un ministero più gioioso, meno convenzionale, meno abituato a certi riti scontati che si ripetono. Un ministero molto vivo perché ogni giorno sono chiamato a capire se questo Vangelo è reale o no, se regge l’urto anche del male. Questo apre molte domande, mi ha portato a vivere con più realismo la mia fede.  Valeriok Lessi24 Aprile 2023 BUONGIORNO RIMINI


“Gli eroi di ieri e quelli di oggi”, gli studenti portano sul palco la lotta per la libertà e per la legalità

Lo spettacolo «Gli eroi di ieri e quelli di oggi», questa sera al Teatro Comunale di Cossato, unirà gli alunni dell’Istituto comprensivo e gli studenti del Liceo del Cossatese e Vallestrona, ma unirà anche due messaggi in ricordo di chi lottò per la libertà e di chi ha lottato o sta lottando per la legalità.

Sarà l’assessore all’Istruzione, Pier Ercole Colombo, ad aprire la serata alle 20,45 con le parole di Primo Levi («Meditate, che questo è stato. Ed allora se comprendere è impossibile, conoscere è necessario!») per sottolineare il valore della memoria e lo spirito con cui sarà celebrato il 25 aprile, anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. «La celebrazione quest’anno avrà un significato particolare – spiega Colombo – . Sarà l’occasione per ricordare gli eroi, quelli di ieri, che hanno permesso la nascita della Repubblica Italiana, e per celebrare coloro che hanno permesso e ancora adesso consentono che la democrazia trionfi sull’ingiustizia e sulla violenza: gli eroi di oggi».

Circa 60 componenti dell’orchestra e del coro dell’Istituto comprensivo, diretti dalla professoressa Simona Riussi, si esibiranno con letture e musiche. «Se le prime sono legate al 25 aprile, i brani parleranno più che altro di pace – racconta l’insegnante -. “Peace, I live with you” sulle note di Mozart, “Domani domani” di Artisti uniti per l’Abruzzo con un messaggio di speranza, poi due brani di Fabrizio De André ,“Fiume Sand Creek”, dove il massacro dei pellerossa viene raccontato attraverso il linguaggio di un bambino, e “Volta la carta”. Infine insieme ai ragazzi del Liceo verrà cantata “Imagine” di John Lennon».

A seguire ci sarà lo spettacolo de «I Copioni del Liceo del Cossatese e Vallestrona» intitolato «Noi siamo Capaci!», con la regia del professor Giuseppe Marrone, dedicato, appunto, agli eroi dell’anti-mafia. I 13 ragazzi quest’anno l’hanno già rappresentato a Lessona e nell’aula magna della scuola ed è la parte ludico-pratica dei percorsi di teoria legati alla legalità seguiti in classe.

«Lo spettacolo parla degli ultimissimi giorni di vita di Paolo Borsellino, il quale racconta a due dei suoi tre figli, Fiammetta e Manfredi, avvenimenti della storia della mafia avvenuti negli ultimi 40 anni citando personaggi cardine, da Peppino Impastato a Carlo Alberto Dalla Chiesa a Giovanni Falcone. La seconda parte è sull’intervista che Fiammetta Borsellino rilasciò nel 2020 raccontando il rapporto con il padre e la lotta alla mafia».

Al termine della prima parte, nell’intervallo tra l’esibizione dell’Istituto comprensivo e quella dei liceali, ci sarà la deposizione di una corona d’alloro da parte delle autorità nel vicino monumento dei caduti.

 


9.4.2023 Depistaggio Borsellino, il grande bluff e il gioco delle tre scimmiette: pm vittime o complici?

Adesso che abbiamo la conferma sul più grande depistaggio di Stato della storia italiana, e l’abbiamo potuta leggere nero su bianco nelle motivazioni della sentenza di Caltanissetta sui tre poliziotti accusati di calunnia, non sarà ora di chiamare, quanto meno al tribunale della storia, per nome e cognome tutti coloro che, in divisa e in toga, avrebbero potuto smascherarlo e non lo hanno fatto? E chiederci anche perché non lo hanno fatto?

Partiamo dalla deportazione di Stato dell’estate del 1993 di mafiosi e anche di tanti non mafiosi nelle carceri speciali di Pianosa e Asinara. Un gesto eclatante e scenografico da parte di un governo incapace non solo di fermare le stragi di mafia dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino, ma anche di arrestare i boss di Cosa Nostra, ancora tutti latitanti. Esibizione muscolare ma non solo. Torture, botte e minacce, persino finte esecuzioni: questo è quanto testimoniato e mai smentito da coloro che subirono quel tipo di detenzione in quei giorni. “Pentitificio”, lo abbiamo definito, anche questo senza smentita. È la storia di Enzino Scarantino, analfabeta della Guadagna, uomo dalla condotta non certo militaresca, non proprio l’immagine del mafioso di fiducia di Totò Riina. Sicuramente torturato e minacciato, come emerso da subito. Ha parlato e ritrattato, poi ancora parlato e ritrattato.

Ha detto di aver imbottito di tritolo l’auto della strage di via D’Amelio in un certo garage situato in una via che lui neanche conosceva. Ma nessuno ha controllato, poi è stato fatto un sopralluogo di cui non esiste un verbale. Tutto ciò solo per far fare carriera a Arnaldo La Barbera, l’abile poliziotto chiamato a Palermo a dirigere il gruppo di lavoro “Falcone e Borsellino” e a farlo poi diventare questore della città? Poco credibile. Ma resta il fatto che, di mancato controllo in mancato controllo, passano trent’anni prima che un tribunale sancisca che, se il depistaggio era di Stato, probabilmente anche le stragi lo erano. Questa vicenda lascia sul terreno morti e feriti, non solo in senso letterale. Gli innocenti chiamati alla sbarra dal fantoccio Scarantino, prima di tutto, condannati all’ergastolo e rimasti in carcere fino al 2008, quindici anni dunque, quando Gaspare Spatuzza iniziò la collaborazione con la magistratura e svelò di esser stato lui in persona, e non Scarantino, a imbottire di tritolo l’auto che avrebbe ucciso il giudice Borsellino.

Lui conosceva bene il garage e anche la via, così quella volta dopo il sopralluogo fu steso il verbale. Ma nel frattempo, quanti pubblici ministeri e quanti giudici non mostrarono curiosità nei confronti di quello strano “pentito” creato a tavolino a suon di botte e minacce? La curiosità, ecco la grande assente di questi processi. Partiamo dai pubblici ministeri che “gestirono” le testimonianze di Scarantino, i pubblici ministeri Alma Palma, Carmelo Petralia e Nino Di Matteo. I primi due sono stati scagionati dal Csm, del terzo si disse che aveva avuto un ruolo marginale. Tutti come le tre scimmiette che non vedono non sentono e non parlano. E lasciamo perdere il capo dell’ufficio Giovanni Tinebra, ormai scomparso come La Barbera. Mezza procura di Caltanissetta si chiudeva nell’ufficio con il “pentito” ogni volta che questi doveva andare a deporre nei vari processi, lo ha testimoniato Ilda Boccassini.

Inoltre, sugli appunti che il fantoccio portava con sé come promemoria, c’erano anche intere frasi vergate da una scrittura femminile, che evidentemente non era quella della moglie. Che bisogno c’era di dare l’imbeccata, se il teste era genuino e sincero? E come mai, ogni volta che Scarantino cercava di ritrattare, non veniva creduto? Neanche quando, in seguito a una lettera della moglie che denunciava le torture cui il marito veniva sottoposto nel carcere di Pianosa, la vicenda fu resa pubblica persino in Parlamento? Ci sono tanti modi di rendersi complici del silenzio, di quella mancanza di curiosità. Non vogliamo accusare nessuno, ci ha già pensato con grande determinazione Fiammetta, una delle figlie di Paolo Borsellino, di fronte all’assurdità di chi ha pensato, la procura di Caltanissetta, con l’impegno personale del suo capo Salvatore De Luca, di mettere una pezza al Grande Depistaggio di Stato con il processo per calunnia a tre poliziotti. Oltre a tutto con l’evidente svarione di voler contestare loro l’aggravante di mafia, che naturalmente è caduta fin dal primo grado del processo, portando alla fine a due prescrizioni e un’assoluzione.

Ma in tanti avrebbero potuto parlare, in questi trent’anni. L’ex magistrato Antonio Ingroia, per esempio, che da giovane pm era andato a interrogare Scarantino su Contrada (altra vittima del depistaggio) e Berlusconi come “narcotrafficante”. Ritenne di trovarsi davanti a una bufala e lasciò perdere. Quando lo ha detto? Nel 2021. Aggiungendo che qualora avesse denunciato il “pentito” per calunnia “si sarebbe innescata una guerra”. E Ilda Boccassini, che nel 1994 fiuta l’imbroglio e lo scrive sia al procuratore capo di Caltanissetta Tinebra che al procuratore di Palermo Caselli. E quest’ ultimo, che addirittura si impegnò in una conferenza stampa con le massime autorità palermitane per difendere l’onorabilità di La Barbera e la sacralità del “pentito”, accusando i suoi detrattori di complicità con la mafia. Se ci sono tanti, noi per primi, “complici della mafia”, chi sono invece i complici, diretti e indiretti, del più grande depistaggio di Stato, seguito alla strage di Stato?

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.