Perché tante stragi e delitti in Italia rimangono impuniti? La ricerca della verità è un percorso a ostacoli e in troppi casi, prima ancora di cercare i colpevoli, si è messa in dubbio la credibilità di chi accusava.
È accaduto a Giovanni Falcone quando si disse che la bomba dell’Addaura l’aveva piazzata lui stesso e a Paolo Borsellino la cui agenda rossa, misteriosamente scomparsa, sarebbe stata un «parasole».
Don Diana? «Era un camorrista.» Peppino Impastato? «Un terrorista.» La lista dei nomi infangati per distrarre l’attenzione dai delitti è lunga. E la strategia ha un preciso nome in gergo, «mascariamento». Per comprenderne i drammatici effetti, Paolo Borrometi ci accompagna in un viaggio nella storia d’Italia in cui denuncia i traditori, i criminali che mirano a creare confusione nel Paese per raggiungere i propri interessi illegittimi.
A discapito della verità.
Un reportage giornalistico tra anomalie, depistaggi e buchi neri che parte dallo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 per arrivare ai giorni nostri, passando per le bombe degli anni Settanta e la strategia della tensione: da Portella della Ginestra a via Fani, dall’Italicus al Rapido 904, da Bologna a Capaci e Via d’Amelio, fino all’arresto del latitante Matteo Messina Denaro. Una storia, alternativa e potente, del lato oscuro del Paese.
Nel labirinto dei depistaggi: «Traditori», il nuovo libro di Paolo Borromet
Dallo sbarco in Sicilia nel ’43 a Matteo Messina Denaro, le verità nascoste, il fango, gli intrecci tra malavita e pezzi dello Stato nel saggio di un giornalista scomodo (Solferino)
Sono le ore 8.20 del 16 gennaio 2023. I militari del Ros hanno accerchiato all’alba la clinica La Maddalena di Palermo: una delle più note della città per le cure oncologiche. I carabinieri non hanno il sospetto bensì la certezza che il paziente Andrea Bonafede, che sta aspettando di fare una seduta di chemioterapia, è in realtà il boss mafioso Matteo Messina Denaro latitante da ben trent’anni. La certezza è data da un particolare riscontrato prima con i dati della piattaforma elettronica del ministero della Salute e poi materialmente: il vero Bonafede è a casa sua a Campobello di Mazara e chi si trova ora nella clinica di Palermo è il falso Bonafede ossia il boss che è malato di tumore.
L’errore fatale è stato commesso dai suoi parenti, che al telefono hanno parlato della malattia oncologica. Da questa informazione sono partiti i riscontri. Ora il cerchio si chiude sul mafioso più ricercato. I carabinieri gli sono addosso e lui, rinunciando alla maschera, stanco, dice: «Mi chiamo Matteo Messina Denaro». Fine. Forse.
Ore 9:00 circa. Paolo Borrometi, giornalista, condirettore dell’agenzia di stampa Agi, è al telefono con il regista e autore Pif. Chiacchierano. Scherzano. Avviso di chiamata: è una fonte ben informata sui fatti di mafia. Il giornalista non risponde e pensa: «Richiamerò». Ma la telefonata arriva una seconda volta. Una terza. C’è qualcosa che non va. Arriva un messaggio su WhatsApp: «Abbiamo preso Messina Denaro». Lo legge ad alta voce. Pif dice: «Minchia, non è possibile». Anche Borrometi è incredulo: «Fammi verificare». Verifica. È tutto vero. Quindi: «Dopo pochissimi minuti batto per l’Agi il flash della mia vita, quello che sognavo da sempre: “Mafia: Arrestato Matteo Messina Denaro”. Sono le ore 9:20 minuti e 36 secondi. Nelle agenzie contano anche questi ultimi».
Non solo nelle agenzie. Anche nei «pizzini». Anche nelle segnalazioni. Anche nei depistaggi. Anche nel «mascariamento» ossia quella strategia inafferrabile che occulta, maschera, confonde, svia, scredita. Altrimenti Matteo Messina Denaro come avrebbe fatto il latitante per oltre trent’anni a casa sua? C’era bisogno di appoggi, aiuti, collaborazioni. Non solo di Andrea Bonafede, vecchio amico di infanzia di «u Siccu», non solo di Giovanni Luppino, autista del boss, ma di tanti altri che Paolo Borrometi chiama con una definizione precisa che dà il titolo al suo ultimo libro: Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana (Solferino).
È un testo tanto documentato e scrupoloso quanto amaro e coraggioso perché mostra quanto avesse ragione Alberto Arbasino quando nel 1980 pubblicava Un Paese senza: un Paese senza verità e, dunque, senza avvenire? Beh, leggendo Traditori il dubbio può venire perché l’Italia sembra da sempre il Paese dei misteri e dell’inconcludenza in cui la ricerca della verità più che difficile è percepita come inutile. Molto spesso, per non dire sempre, chi lavora per far chiarezza si ritrova a fare i conti con lo screditamento e con la calcolata confusione.
Accadde così a Giovanni Falcone, quando dissero che la bomba dell’Addaura l’aveva piazzata lui stesso, e dell’agenda rossa, misteriosamente scomparsa, di Paolo Borsellino fu detto che sarebbe stata un «parasole». Mentre di don Giuseppe Diana — ricorda Paolo Borrometi nelle pagine drammatiche del libro — si disse che «era un camorrista». Ancora. Peppino Impastato? «Un terrorista».
Il filo rosso del depistaggio e dell’arbitrio unisce la storia italiana da un capo all’altro della sua vita repubblicana, tanto che Traditori inizia con lo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 — e con le figure di Lucky Luciano, Calogero Vizzini, Salvatore Giuliano — per giungere al cancro di Messina Denaro passando per Portella della Ginestra, via Fani, l’Italicus, il Rapido 904, Bologna, Capaci, via D’Amelio. Come se l’Italia avesse un «lato oscuro». Un tumore. Sicuramente, «in questo Paese, sì, la verità ha un costo altissimo per chi la ricerca».
Andando oltre la linea d’ombra, il giornalista siciliano ha rischiato la vita. Le pagine del suo libro sono tempestose e anche autobiografiche. Il 16 aprile 2014 cambiò la vita di Paolo Borrometi. Fu massacrato di calci: «Ora u capisti? T’affari i cazzi tuoi. U capisti?».
Da quel momento Borrometi è finito non solo sotto scorta ma anche sotto delegittimazione. Non solo lui, ma anche la sua famiglia e la memoria di suo padre. La porta di casa sua ha preso fuoco e le minacce di morte lo hanno perseguitato. Tuttavia, «il giornalista scomodo», che un tempo era balbuziente, non ha perso la parola perché «non c’è nulla di più forte, di più esplosivo della libertà».
25 aprile 2023 di GIANCRISTIANO DESIDERIO – CORRIERE DELLA SERA
PAOLO BORROMETI Laureato in Giurisprudenza, dal 6 marzo 2023 è condirettore dell’Agenzia Giornalistica Italia – AGI[1], della quale era vicedirettore dal primo ottobre 2019[2]. Inizia l’attività giornalistica nel 2010 collaborando con il Giornale di Sicilia, per poi passare all’Agi ed a Tv2000[3], ed è direttore della testata giornalistica LaSpia.it. Giornalista pubblicista dal gennaio 2013[4] e professionista dal gennaio 2017. Dal 21 dicembre del 2017 è Presidente di Articolo21. Da febbraio 2019 è consigliere della Federazione Nazionale della Stampa.
Il 10 aprile del 2018, nell’ordinanza del Gip di Catania, viene reso pubblico il tentativo di attentato di Cosa Nostra, con particolari agghiaccianti, nei confronti di Paolo Borrometi[5][6]. L’attentato al giornalista, secondo quanto si legge nell’ordinanza che ha condotto all’arresto di quattro persone[7], doveva essere realizzato dal clan Cappello di Catania su richiesta del clan Giuliano di Pachino[8].
Dal primo luglio del 2013 collabora con l’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) per la provincia di Ragusa. Nel settembre del 2013 fonda la testata giornalistica di inchieste online LaSpia.it.
L’attività del sito costa a Borrometi, sin da subito, svariate minacce dalla criminalità organizzata ragusana[9] e siracusana.
Una sua inchiesta giornalistica, pubblicata sulla testata online, contribuisce allo scioglimento del comune di Scicli per infiltrazioni mafiose[10][11].
Il 16 aprile del 2014 viene aggredito da incappucciati, l’aggressione gli provoca una grave menomazione alla mobilità della spalla[12].
Da agosto 2014, a causa delle continue minacce e dopo l’incendio della porta di casa, vive sotto scorta dei Carabinieri[13]. Il Procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, che indaga sulla mafia delle province di Siracusa e Ragusa, nel dicembre del 2017 ha lanciato un ulteriore allarme sui rischi per la vita di Borrometi, in un’intervista a Fan Page[14], dicendo che: “se c’è un giornalista che rischia la vita in Italia questo è Paolo Borrometi”.
Per questa motivazione l’AGI lo ha trasferito da Ragusa a Roma[15]. Anche a Roma continua a ricevere pesanti minacce di morte anche sui social network[16]. Solidarietà gli è stata espressa dalle più alte cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che lo ha ricevuto al Quirinale[17]e dal Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso che ha più volte manifestato la sua vicinanza al giornalista[18] [19] lo ha ricevuto a Palazzo Madama[20], oltre al Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni[21]. Il 29 aprile del 2018, a seguito dell’attentato scoperto di Cosa Nostra ai danni di Borrometi, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata il giornalista, manifestandogli la sua solidarietà ed assicurando la sua preghiera[22][23][24].
Altre sue inchieste hanno riguardato il commissariamento per mafia di Italgas(la prima azienda quotata in borsa ad essere oggetto di questo provvedimento da parte del Tribunale di Palermo)[25], il Mercato ortofrutticolo di Vittoria (il più grande del sud Italia)[26], i trasporti su gomma gestiti dai Casalesi dai Mercati Ortofrutticoli[27]. E poi ancora, la presenza mafiosa nel sudest siciliano di Cosa Nostra[28], fino ad un’inchiesta giornalistica sulle “vie della droga dal Porto di Gioia Tauro fino alla provincia di Ragusa” (che anticiperà di qualche settimana la morte di un presunto boss della ‘ndrangheta, Michele Brandimarte, il 14 dicembre del 2014 proprio nella città di Vittoria)[29][30]. Dal 2016 Borrometi sulla testata giornalistica che dirige pubblica inchieste sulla criminalità mafia siracusana[31][32]. Alcune inchieste hanno riguardato i rapporti mafia e politica, come nel caso del Comune di Pachino[33] ed Avola[34], altre le piazze di spaccio a Siracusa città[35].
Il giornalista Paolo Borrometi è stato finalista, nel 2018, del “Press Freedom Awards[36]” di Reporters Without Borders (RSF).
Borrometi è editorialista del giornale Il Tempo, di Articolo 21 (liberi di…) e di Libera Informazione.
Fa parte del gruppo stampa della Fondazione Caponnetto e della consulta della Legalità della Cgil nazionale. La Cgil gli ha riconosciuto la tessera onoraria al Congresso del 2019[37], così come la Uil[38].
È presidente di Articolo 21, liberi di… dal 21 dicembre del 2017[39][40].
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con un motu proprio gli ha conferito, il 21 dicembre del 2015, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana[41].
Il Presidente della Regione Siciliana, a nome del Governo, gli ha conferito, il 15 maggio del 2017, la Medaglia d’oro di benemerenza della Regione Siciliana. L’onorificenza gli è stata riconosciuta con la motivazione ufficiale: “per il coraggio e la determinazione nel portare avanti la professione malgrado le innumerevoli minacce ricevute dalle cosche mafiose del suo territorio”.[42][43]
Il Presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Eugenio Giani, il 29 settembre del 2017, gli ha conferito il “Pegaso” (onorificenza della Regione) per “l’impegno civile in favore della legalità e contro le mafie”.
È cittadino onorario di Palermo[44][45], di Romentino[46][47] (Novara), di Candiolo[48] (Torino) e di Bracciano[49][50] (Roma), Vinovo (Torino)[51], Alcamo(Trapani)[52][53], Scordia (Catania)[54] e Barberino Tavarnelle (Firenze)[55].
Minacce
Il 4 aprile 2017 il Tribunale di Ragusa ha condannato per minacce gravi e di morte, aggravate dalla violenza privata e dalla recidiva nei confronti di Paolo Borrometi, il boss Giambattista Ventura[56]. Ventura era stato rinviato a giudizio il 26 maggio 2016 dal Giudice per l’Udienza preliminare del Tribunale di Catania, Francesca Cercone (come richiesto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania). Ventura è considerato il reggente del clan “Carbonaro-Dominante” di Vittoria (Ragusa). Il boss Giambattista Ventura, fratello del capomafia Filippo (in carcere per mafia), aveva minacciato più volte di morte Borrometi, affermando pubblicamente: “Ti scippu a testa, d’ora in avanti sarò il tuo peggiore incubo e poi ci incontreremo nell’aldilà. Ci vediamo anche negli uffici della Polizia, tanto la testa te la scippu u stissu”. Ventura è già stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per reati gravissimi come omicidio, concorso in omicidio ed estorsioni[57]. Il 17 giugno 2020 la prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania ha confermato la condanna a un anno e dieci mesi per minacce di morte, tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso nei confronti del vice direttore dell’Agi, Paolo Borrometi[58][59][60]. Il 7 dicembre 2021 la sentenza del boss Ventura è diventata definitiva con la conferma della Corte di cassazione[61].
Il 2 luglio 2018 il Tribunale di Siracusa ha condannato per minacce mafiose, tentata violenza privata aggravata dall’aver favorito la mafia, a due anni e otto mesi Francesco De Carolis[62][63], fratello del boss Luciano (già condannato per mafia quale esponente di spicco del clan “Bottaro-Attanasio” di Siracusa). Francesco De Carolis, il 19 novembre 2017, ha minacciato di morte Borrometi[64], a seguito di una inchiesta giornalistica[65]. Francesco De Carolis ha inviato al giornalista siciliano un audio nel quale affermava “Gran pezzo di m…, carabiniere, appena vedo di nuovo la mia faccia, di mio fratello, in un articolo tuo ti vengo a cercare fino a casa e ti m…”[66]. La Procura Distrettuale Antimafia di Catania ha arrestato De Carolis il 25 novembre 2017 con l’accusa di tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso nei confronti Paolo Borrometi[67][68].
Il 1º febbraio 2018 il capomafia siracusano Salvatore Giuliano ed il figlio Gabriele sono stati rinviati a giudizio dal Gup di Catania Carlo Cannella, per tentata violenza privata e minacce di morte, aggravate dal metodo mafioso e dall’appartenenza al clan, ai danni del giornalista dell’Agi Paolo Borrometi[69][70]. Salvatore Giuliano, già condannato per svariati reati e per mafia nella qualità di capo dell’omonimo clan, aveva più volte minacciato di morte il cronista a seguito di alcuni suoi articoli d’inchiesta[71][72]. “Ti rompo il c…. sono Salvatore Giuliano, non toccare la mia persona e la mia immagine soprattutto”[73]: sono solo una parte delle minacce pubbliche del boss contro il giornalista. Ammesse le parti civili: oltre al giornalista Borrometi, l’Ordine nazionale e quello regionale della stampa, la Federazione nazionale della stampa e l’Assostampa siciliana, assistiti dai legali Vincenzo Ragazzi e Nino Caleca. L’accusa è sostenuta dal sostituto procuratore della Dda di Catania, Alessandro Sorrentino. Il 9 gennaio 2023 il Tribunale di Siracusa ha condannato il capomafia al 41-bis, Salvatore Giuliano ed il figlio Gabriele per minacce aggravate dal metodo e dall’appartenenza mafiosa[74].
Il 7 giugno 2018, il giudice del Tribunale di Ragusa, Filippo Morello, ha condannato (con rito abbreviato) alla pena di quattro mesi di reclusione Giovanni Giacchi, riconosciuto colpevole delle minacce gravi al giornalista Paolo Borrometi[75]. L’uomo è stato condannato anche a risarcire la parte civile con la somma di duemila euro. Il giudice sostiene in sentenza che non vi sia dubbio sul fatto che sia stato proprio Giacchi a minacciare il giornalista dopo un articolo, scrivendo: “Caro amico fatti una risata perché domani si potrebbe parlare di te in chiesa”. Il tenore del messaggio, secondo il giudice costituisce una minaccia grave “perché l’articolo in questione riguarda un soggetto legato alla criminalità organizzata e il commento appare in difesa di questo soggetto”[76]. Sentenza confermata in Appello e in via definitiva.
Il 28 settembre 2018 il Tribunale di Ragusa ha condannato (a un anno e otto mesi) per minacce mafiose con l’aggravante dell’aver favorito la mafia Venerando Lauretta, boss di spicco del clan “Carbonaro-Dominante” di Vittoria[77][78]. Il processo a Venerando Lauretta, già condannato per mafia, prende il via il 30 novembre 2016 quando il pm della direzione distrettuale antimafia di Catania, Valentina Sincero, chiede il rinvio a giudizio con l’accusa di minacce aggravate dal metodo mafioso, dalla continuità e dalla recidiva e formulate attraverso social network. Lauretta, considerato elemento di spicco della “stidda” vittoriese, scriveva: “Metterò il tuo cuore in padella e me lo mangerò, ti verrò a trovare anche a Roma pure che non vali i soldi del biglietto…” e poi “ti accecherò con le mie mani, non ti salverà neanche Gesù Cristo. Ti faccio passare la voglia di vivere, ho preso la mia decisione, di giocarmi la mia libertà. Anche se mi arrestano, c’è chi viene a cercarti”[79]. Il 6 marzo 2017 il gip Anna Maggiore ha disposto il rinvio a giudizio[80]. Federazione nazionale della Stampa e Ordine nazionale e regionale dei giornalisti annunciano la costituzione di parte civile, come pure il Comune di Vittoria. Il 26 maggio 2017 si apre il processo dinanzi al tribunale collegiale di Ragusacomposto dai giudici Vincenzo Panebianco, presidente, a latere Elio Manenti e Francesca Aprile che, appunto, lo condanneranno il 28 settembre 2018 al massimo della pena.
Il 18 settembre 2020 il Tribunale di Ragusa ha condannato per insulti e minacce il pluripregiudicato di Avola (Siracusa) Sebastiano Casto[81]. Quattro mesi di carcere senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, proprio a causa delle sue condanne precedenti. Casto aveva insultato Borrometi a seguito di alcuni suoi articoli sulla mafia ad Avola e nel siracusano. Sentenza definitiva.
Il 9 dicembre 2020 il giudice monocratico presso il Tribunale di Ragusa, Laura Ghidotti, ha condannato per insulti e minacce Maria Concetta Ventura, figlia di Giambattista ‘Titta’ Ventura, il reggente del clan Ventura[82]. Tre mesi di carcere per diffamato, offeso e aggredito il vicedirettore dell’Agi, in cui si affermava che negli articoli ci fossero scritte stupidaggini, che la mafia non esiste e che il giornalista doveva smetterla di scrivere e farsi i fatti suoi.
Il 23 giugno 2021 il Presidente del collegio penale del Tribunale di Ragusa, Vincenzo Panebianco, ha condannato il boss Venerando Lauretta per diffamazione aggravata[83] nei confronti di Paolo Borrometi.
Il 26 giugno 2021 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna di primo grado nei confronti di Damiana Brandimarte, per avere diffamato il giornalista Paolo Borrometi[84], a seguito dei suoi articoli sulla faida di Gioia Tauro, nel Reggino, tra i Brandimarte, indicati dagli inquirenti come ‘ndrina autonoma legata alla cosca Piromalli-Molè, e i Priolo. Damiana Brandimarte è figlia di Michele Brandimarte, ucciso a Vittoria (Ragusa) il 14 dicembre del 2014. La condanna è definitiva.
Il 9 settembre 2021 il giudice monocratico presso il Tribunale di Ragusa, Maria Rabini, ha condannato boss Venerando Lauretta, il figlio Riccardo Lauretta, Francesca Luana Campailla e Alessandro Bellante[85][86][87] per aver diffamato e aggredito il giornalista Borrometi.
Il 7 febbraio 2022 il Tribunale di Ragusa (Giudice Gaetano Dimartino) ha condannato Martina Favata, nipote del capomafia Giambattista Ventura per le reiterate minacce di morte a seguito di articoli d’inchiesta giornalistica sul clan Ventura.
Il 6 aprile 2022 il Tribunale di Ragusa (Giudice Francesca Aprile) ha condannato[88] per minacce il pregiudicato vittoriese Ivan Lo Monaco per aver minacciato di morte Borrometi a seguito di due articoli d’inchiesta che riguardavano il clan Ventura.
Il 30 maggio 2022 il giudice del Tribunale di Ragusa ha condannato la comisanaCristina Cilenti, giudicata colpevole per diffamazione aggravata nei confronti del giornalista.
Il 31 maggio 2022 i giudici del Tribunale di Ragusa hanno condannato l’avoleseGaetano Tiralongo per diffamazione aggravata e minacce. Il giudice ha considerato non solo il tenore diffamatorio dei messaggi ma che, a scriverli, si sia messa in atto “un’azione da ‘branco’, tutti contro uno” e che ha riguardato la sfera personale e professionale del giornalista[89].
Il 17 ottobre 2022 il Tribunale di Ragusa ha condannato Crapula Desirè, figlia del capomafia di Avola Michele, per diffamazione aggravata[90].
Il 15 dicembre 2022 il Tribunale di Ragusa ha condannato il pluripregiudicato Cammalleri Giuseppe per minacce e diffamazione continuata e aggravata.
Il 19 dicembre 2022 il Tribunale di Ragusa ha condannato Alabiso Roberto per diffamazione aggravata, Giugno Serena e Orlando Vincenzo per minaccia. Sentenza passata in giudicato, quindi definitiva, per le gravi minacce di Orlando.
Il 23 dicembre 2022 il Tribunale di Ragusa ha condannato Ventura Maria Concetta (figlia del reggente dell’omonimo clan di Vittoria), Cammalleri Giuseppe, Giliberto Virginia, Refano Giovanni, Refano Salvatore, Bondì Andrea, Diquattro Emanuela, Cilenti Cristina: tutti per minacce gravi e diffamazione aggravata.
Il 16 gennaio 2023 il Tribunale di Ragusa ha condannato Fasalli Aleandro per diffamazione aggravata e minacce. La sentenza è definitiva.
Il 6 febbraio 2023 il Tribunale di Siracusa ha condannato Spataro Salvatore per diffamazione aggravata.
Opere
- Ti amo 1 in più dell’infinito… – Editore “Lombardi Editori” – 2009
- Passaggio a Sud Est – Editore “Lombardi Editori” 2012 con introduzione del Professor Giovanni Antonino Puglisi, Presidente della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO
- Blu Maya – Editore “Lombardi Editori” – 2013
- Io non Taccio – Editore “Cento Autori” – 2015
- Un morto ogni tanto – Editore “Solferino – Corriere della Sera” – 2018
- La Carta di Assisi. Le parole non sono pietre – San Paolo Edizioni – 2019
- Il sogno di Antonio – Storia di un Ragazzo Europeo (con scritti inediti di Antonio Megalizzi) – Editore “Solferino – Corriere della Sera” – 2019
Premi e riconoscimenti
- 2014: Premio nazionale di Giornalismo d’Inchiesta “Domenico Calabrò”
- 2014: Premio “scomodo” della Fondazione Caponnetto
- 2015: Premio nazionale “Gerbera Gialla”, categoria “Giornalismo d’Inchiesta”[91]
- 2015: Premio Internazionale Mediterraneo della “Fondazione Mediterraneo For Peace” per la Legalità[92]
- 2015: Premio Nazionale Paolo Borsellino con il libro “Io non taccio”[93]
- 2015: Premio Articolo 21 Liberi di…
- 2016: Premio Il Campione (City Angels e Comune di Milano)[94]
- 2016: Premio Biagio Agnes[95][96]
- 2016: Premio Arrigo Benedetti (Città di Barga)[97]
- 2016: Premio Mattarella con il libro “Io non taccio”[98]
- 2016: Premio Carlo Nazzaro[99]
- 2017: Premio Giorgio Ambrosoli[100]
- 2017: Premio Tonino Carino[101]
- 2017: Premio Magna Grecia Awards[102]
- 2017: Premio Nazionale Paolo Borsellino[103]
- 2017: Premio “Schiena dritta” Ordine Nazionale dei Giornalisti
- 2017: Premio “Joe Petrosino[104]“
- 2017: Premio Nazionale Legalità in Campania “Città di Calvi Risorta”[105]
- 2017: Premio Mimmo Beneventano[106]
- 2017: Premio Internazionale “Nassiriya per la Pace”[107]
- 2017: Premio A’ Voce d’è Creature[108]
- 2017: Premio nazionale Antonino Caponnetto[109]
- 2018: Premio internazionale “Rocco Chinnici[110]“
- 2018: Premio Ischia Internazionale di Giornalismo[111]
- 2018: Premiolino[112][113]
- 2018: Premio “Carabiniere Marino Fardelli” in memoria dei Caduti della Strage di Ciaculli
- 2018: Premio “Giancarlo Siani, uno di noi”[114]
- 2018: Premio Antiracket Confcommercio Pesaro e Urbino[115]
- 2018: Premio Marcello Torre[116]
- 2019: Premio Mario e Giuseppe Francese[117]
- 2019: Premio FestivaLOVE2019[118]
- 2019: Premio Cimitile con il libro “Un morto ogni tanto”[119]
- 2019: Premio Internazionale “Peter Mackler[120][121]“
- 2020: Premio Antonio Scopelliti[122][123][124]
- 2021: Premio Emanuela Loi[125][126]
- 2021: Premio The May Chidiac Foundation (MCF[127])
- 2022: Premio “Un Giglio per la Pace e la Libertà di Stampa”[128]
Onorificenze
- Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Roma, 21 dicembre 2015. Di iniziativa del Presidente della Repubblica[129]
- Medaglia d’oro di benemerenza della Regione Siciliana. Palermo, 15 maggio 2017. Di iniziativa del Presidente e del Governo della Regione.
- Pegaso della Regione Toscana. Firenze, 29 settembre 2017.
- Cittadinanza onoraria, Comune di Alcamo (TP) Regione Sicilia. Alcamo, 11 novembre 2019.
Note
- ^ Agi: Rita Lofano nuovo Direttore. Paolo Borrometi Condirettore, su Agi. URL consultato il 6 aprile 2023.none
- ^ Paolo Borrometi vice direttore Agi. Grande esperto e combattente contro le mafie, assunto in pianta stabile, su Prima Comunicazione, 29 settembre 2019. URL consultato il 30 settembre 2019.none
- ^ Tv2000, entra in squadra Paolo Borrometi il cronista sotto scorta per inchieste antimafia, in LaStampa.it. URL consultato il 4 settembre 2018.none
- ^ Ordine dei Giornalisti di Sicilia, su odgsicilia.it. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ “Dobbiamo colpirlo. Bum a terra”. I boss volevano uccidere il giornalista Borrometi, in Repubblica.it, 10 aprile 2018. URL consultato il 18 aprile 2018.none
- ^ La mafia voleva uccidere il giornalista Paolo Borrometi, in rainews. URL consultato il 18 aprile 2018.none
- ^ AGI – Agenzia Giornalistica Italia, “Facciamo u iocurifocu!”. Così doveva morire il giornalista Borrometi, su Agi. URL consultato il 18 aprile 2018.none
- ^ Felice Cavallaro, «Io, minacciato di morte dalla mafia. La mia vita sconvolta ma non mollo», in Corriere della Sera. URL consultato il 18 aprile 2018.none
- ^ Avvertimento al giornalista Paolo Borrometi, sfregiata la fiancata dell’auto, su ragusanews.com. URL consultato il 1º febbraio 2016(archiviato dall’url originale il 9 gennaio 2018).none
- ^ Paolo Borrometi, Scicli, “Sono Franco u trinchiti, e qui comando io”. Ecco come tutto iniziò…, su .: La Spia :. contro ogni forma di mafia. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ Il giornalista che ha svelato il clan nella terra di Montalbano, su Corriere della Sera, 31 agosto 2015. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ Ragusa, giornalista aggredito da due sconosciuti. Era già stato minacciato, su Il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2014. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ Giornalisti: tutela a cronista ragusano dopo intimidazioni, su Agi.it. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ La mafia di Siracusa e Avola: non solo droga, i clan impongono ai pub carne equina, in Fanpage. URL consultato il 12 marzo 2018.none
- ^ Stampa Romana, bene l’arrivo Borrometi in Agi a Roma, su Agi.it. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ Ti scippo la testa: le minacce via Facebook a un giornalista che denuncia la mafia, su Valigia Blu. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ Comunicato, su quirinale.it. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ senato.it – comunicati stampa – Il Presidente Grasso su Facebook: Solidarietà al giornalista Paolo Borrometi, su senato.it. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ Mafia: solidarieta’ Grasso a giornalista Borrometi,, su Agi.it. URL consultato il 1º febbraio 2016.none
- ^ senato.it – Senato della Repubblica, su senato.it. URL consultato il 1º febbraio 2016(archiviato dall’url originale il 19 aprile 2018).none
- ^ Minacce della cosca, telefonata di Gentiloni al giornalista Borrometi, in Corriere del Mezzogiorno. URL consultato il 18 aprile 2018.none
- ^ Il Papa ha incontrato Paolo Borrometi – Legalità & Scuola, in ANSA.it, 29 aprile 2018. URL consultato il 30 aprile 2018.none
- ^ AGI – Agenzia Giornalistica Italia, Il Papa ha rivolto un saluto molto particolare al giornalista Paolo Borrometi, su Agi. URL consultato il 30 aprile 2018.none
- ^ Il Papa incoraggia Paolo Borrometi, giornalista sotto scorta, in rainews. URL consultato il 30 aprile 2018.none
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