L’ex pm: “Sono convinto che con questo verdetto ingiustizia sia stata fatta, ma sono consapevole che l’impegno dei magistrati continua”
“Dalla Cassazione arriva il segnale che lo Stato non può processare sé stesso’’. A dirlo, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, è l’avvocato Antonio Ingroiacommentando la sentenza della Corte di Cassazione in merito al processo Trattativa Stato-mafia. Processo che Ingroia istruì quando era procuratore aggiunto a Palermo.
“La sentenza mi sembra più politica che giuridica: ricordo che la Cassazione non è soltanto il luogo di definizione giuridica dei processi, ma anche quello di indirizzo di politica giudiziaria. Dalla Cassazione arriva il segnale che lo Stato non può processare sé stesso’’. Secondo Ingroia “dal ‘Palazzaccio’ di piazza Cavour arriva un segnale chiaro ai magistrati: fate tutti i processi che volete, qui l’esito lo decidiamo noi”. Dal dispositivo dei giudici ermellini, aggiunge l’avvocato entrando nel merito della sentenza, si evince “che il fatto c’è. E il fatto è la minaccia, derubricata a tentata per i mafiosi, e conseguentemente prescritta, con una sorta di perdonismo: gli esponenti dello Stato non sono stati assolti perché il fatto non sussiste, ma per non averlo commesso. Anche se il dispositivo appare contraddittorio: pur non condividendo la sentenza di appello, riconosco che aveva una sua coerenza logica. Qui mi sfugge un po’”, ha commentato. L’ex pm ritiene sia “impossibile” che “abbiano trattato solo i mafiosi”. “Resta aperta la questione di chi ha portato l’ambasciata: ci sono altri responsabili? Leggeremo le motivazioni e mi auguro che arrivino indicazioni utili a fare luce su quella stagione di sangue”. “Sono convinto che con questo verdetto ingiustizia sia stata fatta, ma sono consapevole che l’impegno dei magistrati continua e che le punte più avanzate della ricerca della verità su quella stagione ancora oscura sono le procure di Firenze e Reggio Calabria”, ha aggiunto. “Leggeremo in questi giorni ogni sorta di disquisizione giuridica, ma un fatto è certo: i supremi giudici non potevano non ammettere che la minaccia c’è stata. Temo però che nelle motivazioni la Suprema Corte non risponderà su questo terreno: in questo processo non si valutano le singole infedeltà ma lo Stato attraverso i suoi ambasciatori. E lo Stato dice che non vanno processati”, ha riassunto Ingroia. “Restano intatte tutte le considerazioni legate al piano storico, etico, morale di una stagione di sangue ancora oscura che ha visto tra i protagonisti complicità interne agli apparati istituzionali”.
L’avvocato ha poi risposto a una domanda sui commenti di Fiammetta Borsellino e altri che hanno accusato i magistrati dell’accusa (come Nino Di Matteo e lo stesso Ingroia) di aver “costruito carriere immeritatamente” su processi rivelatesi patacche.
“Direi che le carriere sono quelle non fatte: io sono stato costretto a lasciare la magistratura, Di Matteo è stato esautorato dal sistema Palamara e costretto ad andare via dalla Dna”, ha ricordato Ingroia ribattendo alla Borsellino. “Il tutto di fronte a imputati incoronati come vittime di giustizia”. E a chi parla di “teoremi” rispetto alla trattativa Stato-mafia, l’ex pm ha risposto che non c’è “nessun teorema, ma una serie di acquisizioni processuali compiute nell’arco di decenni e tuttora sviluppate da altre procure italiane. A quei magistrati dico di non lasciarsi distrarre da questa sentenza: la minaccia è stata eseguita con la complicità di uomini dello Stato”.