L’intervista al QdS di Basilio Milio, difensore del generale Mori: “Ci auguriamo che questa sentenza sia anche esempio e monito per casi analoghi che, ahimè, affliggono il nostro sistema giudiziario”
Nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione riguardante il processo “Bagarella e altri”, il cosiddetto processo “trattativa Stato-mafia” i giudici della sesta sezione si sono spinti oltre, annullando senza rinvio la decisione in secondo grado dei colleghi di Palermo e accogliendo in pieno la linea difensiva del “per non aver commesso il fatto” sostenuta dai legali dei Ros.
Una sentenza, quella della Cassazione, che sta facendo discutere perché confermando nel suo insieme l’impianto assolutorio del secondo grado di giudizio ha definitivamente fatto crollare l’impianto accusatorio inziale del primo grado, la cui sentenza condannò i Ros.
Sono stati assolti in via definitiva gli ex carabinieri, ed è stato assolto, come in appello, l’ex parlamentare Marcello Dell’Utri.
Prescritte, invece, le accuse per il boss di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella e per il medico Antonino Cinà, mafioso vicino a Totò Riina, perché il reato per il quale erano stati condannati, rispettivamente a 27 e 12 anni anche in appello, è stato riqualificato in “tentata” violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato, e dunque non più perseguibile per intervenuta prescrizione.
Basilio Milio è il difensore storico del generale Mario Mori, l’avvocato che ha seguito dall’inizio, per 13 lunghi anni, le vicende che riguardano questo processo e segue le vicende giudiziarie del generale Mori, sempre assolto, fin dalla prima inchiesta, quando era ancora un giovanissimo avvocato, che calcava le orme del padre, l’ex senatore radicale e avvocato Pietro Milio, scomparso all’improvviso nel 2010 all’età di 66 anni per un infarto fulminante. QdS l’ha intervistato al suo rientro da Roma.
Avvocato, cosa direbbe oggi suo padre?
“Direbbe che, finalmente, dopo vent’anni d’ingiustizie e persecuzioni, la verità è stata ristabilita. A prescindere di quello che direbbe, so che sarebbe felice, che sarebbe finalmente contento”.
Ha sentito, in questi anni, la mano protettrice e ispiratrice di suo padre sulla sua spalla?
“Sì. Spesso, sia al generale Mori sia al collega Francesco Romito che ha difeso De Donno, l’ho detto. Non solo la mano di mio padre sulla spalla, ma avevamo anche quella dei dottori Falcone e Borsellino, che sono stati più volte uccisi dopo quel tragico 1992 e che avevano riposto la loro fiducia nei Ros sotto processo”.
La sentenza della Cassazione ha permesso non solo di cambiare pagina ma di chiudere un capitolo oscuro. Se lo aspettava?
“Ci speravo. Io e il collega Romito avevamo fatto ricorso contro la sentenza di appello seppur assolutoria nei confronti dei nostri assistiti. Abbiamo deciso di tenere questa scelta riservata per evitare che entrasse nel circuito mediatico. Per far sì che arrivasse direttamente all’attenzione dei giudici di Cassazione senza condizionamenti”.
Perché il ricorso?
“Perché la sentenza di appello ipotizzava che i Ros avessero minacciato il Governo, ossia validava l’accusa che lo aveva portato al processo il generale Mori e che, a fronte di questa ipotesi, dichiarava l’assenza di certezze. Il ricorso presentato era fondatissimo, da qui la speranza di un accoglimento. Questa speranza è diventata più concreta quando i procuratori della Cassazione hanno condiviso le nostre argomentazioni, il 14 aprile, presentando la loro requisitoria. In quel momento, devo dire, la speranza è diventata una certezza, anche se la storia ci insegna che non si possono avere certezze anche a fronte di fatti che sono sotto gli occhi di tutti”.
Questo lungo processo, come altri riguardanti le stragi del ‘92, è entrato all’interno di un “circo mediatico” che ha, inevitabilmente, condizionato sia l’opinione pubblica sia gli stessi giudici popolari.
Quanto è complicato fare il mestiere dell’avvocato in queste condizioni?
“Posso dire che è una fatica immane, anche perché non hai gli strumenti per competere contro quello che lei ha definito giustamente “circo mediatico”. Non puoi competere con le televisioni, con i giornali ma soprattutto non puoi competere chi non legge un solo documento, legge ma non riesce a interpretare una sentenza, con chi non è attrezzato per leggere, e quindi capire, gli atti e si fa condizionare inevitabilmente da un pensiero unico. Soprattutto è faticoso scontrarsi contro determinati pregiudizi e ideologie”.
Cosa ha detto il suo assistito, il generale Mori?
“Il generale finalmente si sente, come noi avvocati, finalmente libero dopo vent’anni di processi. Anche lui, come me, è sempre stato convinto che la verità sarebbe arrivata. Tutto diventa più difficile quando devi sopportare un processo che è durato undici anni che è passato attraverso una condanna a dodici anni di carcere. Questo causa dolori e sofferenze che vanno ben oltre quanto normalmente viene provocate da un processo. Oggi, però, possiamo dire di aver festeggiato la ‘liberazione’ appena due giorni dopo il 25 aprile. Ci auguriamo che ora si possa tacere e che questa sentenza sia anche esempio e monito per casi analoghi che, ahimè, affliggono il nostro sistema giudiziario”.
Roberto Greco QUOTIDIANO DI SICILIA 2.5.2023
DOSSIER Trattativa Stato-Mafia – La Cassazione demolisce le accuse