18.9.1997 – Secondo i PM DI MATTEO, PALMA E PETRALIA, BRUSCA non era un vero pentito

 

«Noi non gli crediamo nella maniera più assoluta». Vuole arrivare alla revisione del maxi-processo?  

“Brusca non è un vero pentito”
i PM di Caltanissetta é solo un abile depistatore

 

La procura di Caltanissetta boccia il «dichiarante» Giovanni Brusca.
Nell’udienza preliminare del processo Borsellino-ter – che s’è conclusa ieri sera con il rinvio a giudizio di ventisei imputati, compreso Brusca, accusati di aver deliberato ed eseguito la strage – i pm Carmelo Petralia,  Nino Di Matteo e Anna Palma hanno definitivamente espresso il loro parere negativo sull’aspirante pentito considerato solo un abile depistatore.

E questo nonostante a Palermo il «dichiarante Brusca venga citato come teste dell’accusa al processo Andreotti e si permetta, al processo Mangano, clamorose esternazioni che tirano in ballo persino Berlusconi e i servizi segreti.
Il «caso Brusca», dunque, sembra ancora lontano da una soluzione.  L’ex padrino di San Giuseppe Jato, intanto, ha incassato un altro rinvio a giudizio per strage.
Nella loro esposizione, durante l’udienza preliminare, i pm hanno valutato come ì «inattendibili» le dichiarazioni di Brusca, che ha sempre respinto ogni responsabilità nella strage di via D’Amelio.

«Noi i non crediamo a Brusca nella maniera più assoluta – hanno dichiarato i pm

La nostra sensazione è che uno dei suoi obiettivi sia quello di annullare la valenza processuale del teorema Buscetta».
Il rischio paventato è, insomma, che le dichiarazioni di Brusca possano essere finalizzate alla revisione del maxi-processo, obiettivo che la maggior parte dei pentiti ha indicato come primario nelle strategie politico-giudiziarie di Cosa nostra.
«Bruscahanno proseguito i pm tenta di dimostrare in tutti i modi che all’interno di Cosa nostra la collegialità della decisione degli eventi più importanti, come appunto la strage di via D’Amelio, non esiste più e tende a ricondurre la responsabilità dell’eccidio ad un gruppo ristretto».
I pm hanno richiamato, a fondamento del loro giudizio, anche i verbali con le «bugie» di Brusca che, all’inizio della sua presunta collaborazione, fecero scattare la denuncia per calunnia da parte delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze.
Il reato contestato all’aspirante pentito è quello di calunnia continuata e aggravata e la motivazione dell’incriminazione risiede nella circostanza che il «dichiarante», nell’iniziale tentativo di depistaggio, sembrava orientato a destabilizzare alcuni processi. a demolire la credibilità di alcuni collaboratori, a favorire alcuni imputati.
«Chissà che l’intento di favorire alcuni imputati – si sono chiesti oggi i pubblici ministeri del processo Borsellino-ter non fosse rivolto a quei componenti della commissione provinciale accusati proprio dell’omicidio di Paolo Borsellino».
Nei confronti di Brusca, i magistrati di Caltanissetta hanno finora tenuto un atteggiamento che denota il più totale scetticismo.
Al processo per la strage di Capaci, i pm Paolo Giordano e Luca Tescaroli hanno chiesto per il «dichiarante» la condanna a trent’anni, rinunciando ad invocare l’ergastolo solo in virtù dell’ammissione di colpevolezza, ma senza riconoscergli né la qualità di collaboratore, né gli sconti previsti per i pentiti. Per quanto riguarda la strage Chinnici, nonostante la sua parziale ammissione dei fatti, i magistrati nisseni hanno emesso nei confronti di Brusca un’ordinanza di custodia cautelare perché ritengono che «non abbia detto tutta la verità». Sandra Rizza Giovanni Brusca sotto processo a Caltanissetta per il Borsellino-ter

 

Appena tre giorni dopo la sua cattura, alle cinque di pomeriggio del 23 maggio 1996, a distanza di quattro anni dalla Strage di Capaci, il boss di San Giuseppe Jato manifestò la propria volontà di collaborare con i giudici[19]. Tuttavia, nella fase iniziale si distinse per una lunga serie di bugie, le quali miravano a salvare da conseguenze penali numerose persone a lui legate, come Vito Vitale e Giovanni Riina, e a minare la credibilità di diversi “pentiti[20]. La verità venne alla luce quando il fratello Enzo svelò ai giudici i piani di Giovanni, rivelando di essersi accordato con lui affinché anch’egli si fingesse pentito e sostenesse quello che il fratello dichiarava[21].

Dopo essere stato scoperto, Brusca rischiò di essere espulso per sempre dal programma di protezione e di passare l’intera vita in carcere. Per questo motivo decise di porre fine ai tentativi di depistaggio e cominciò a collaborare sul serio. Da quel momento Brusca ammise le proprie responsabilità, confessando ai giudici di aver commesso o ordinato all’incirca centocinquanta omicidi, tra i quali quelli del magistrato Rocco Chinnici, del bambino Giuseppe Di Matteo e di Giovanni Falcone[22]. I nuovi interrogatori vennero ritenuti attendibili e portarono alla condanna di decine di mafiosi in diversi procedimenti penali. Per questo motivo l’8 marzo del 2000 gli venne riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia e ottenne rilevanti sconti di pena nei processi che lo videro imputato[23]. WIKIMAFIA

 


 

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