E’ quanto meno “imbarazzante” che dal 2014, l’Unione Europea, con apposito provvedimento legislativo consenta a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali: come il traffico di stupefacenti, il contrabbando di sigarette e la prostituzione . “Grazie” a questa opportunità, “gonfiamo” la nostra ricchezza.
La mafia è nella finanza e vale il due per cento del Pil
IL RAPPORTO
La mafia “vale” il 2% del PIL: ecco che affari fa e dove è più radicata
Il fenomeno criminale quanto frena lo sviluppo economico nel lungo periodo?
«Questi dati sono un freno pesantissimo allo sviluppo economico del Paese. Anche dal punto di vista psicologico. Pensiamo a quanta serenità viene tolta agli imprenditori sotto usura quando vengono minacciati. Questi fenomeni, purtroppo, hanno anche un forte impatto sociale, perché rubano sogni e futuro. Non fanno pensare al lungo periodo».
In quali settori si verificano i maggiori ricavi?
«Il commercio e il turismo, senza dimenticare che le peggiori estorsioni colpiscono le piccole e medie imprese, facendo soffrire molto questo settore, tanto che alcune categorie si sono dovute organizzare. SOS Imprese, per esempio, nata da Confesercenti cerca sempre di dare il suo supporto alle persone sotto ricatto e a tutti quegli imprenditori che hanno storicamente pagato un prezzo anche di vite umane».
La presenza mafiosa non è circoscritta nelle province del Mezzogiorno, ma incide anche al Centro Nord (in particolare Roma, Genova e Imperia), i territori con una minore presenza della criminalità sarebbero, invece, Triveneto, Valle d’Aosta e Umbria. Quali sono le condizioni che rendono più favorevole la presenza delle mafie nei territori?
«Dobbiamo essere molto chiari su questo aspetto. Non ci sono regioni esenti dalla criminalità organizzata. Mentre pensavamo questo, la vicenda Aemilia di Reggio Emilia (processo contro la ‘ndrangheta al Nord, ndr)ci ha dato un bello schiaffo. Solo quando arrivò il Prefetto Antonella De Miro (a Reggio tra il 2009 e il 2014, ndr) furono attivate le interdittive antimafia, anche se il territorio si opponeva perché si definiva “vergine”. Peccato, però, che poi si è svolto un processo che ha visto più di 400 imputati. Per tutti, in quelle aree la mafia non era presente. Per molti anni la criminalità si è mossa sottotraccia ed è entrata in politica e nelle imprese. Bisogna, quindi, usare grande attenzione anche sui territori “vergini” perché i mafiosi preferiscono operare dove l’asticella dei controlli è molto bassa. Guai a distrarsi in quelle aree».
Anche le infiltrazioni nelle imprese sono concentrate soprattutto nel Mezzogiorno, ma una quota rilevante riguarda territori al di fuori dai confini tradizionali delle mafie: oltre il 30% delle imprese confiscate alle mafie in passato erano localizzate al Centro Nord…
«Tutto questo è la conferma di quanto abbiamo detto in precedenza».
Le imprese che ritengono “abbastanza” o “molto probabile” che si siano verificati fenomeni legati alla criminalità organizzata durante il periodo di emergenza pandemica sono passate dal 9% del 2019 al 16% nel 2020, con un aumento maggiore per i reati di natura finanziaria (acquisizioni e/o finanziamenti insoliti) rispetto a quelli violenti (intimidazioni, minacce e tentativi di estorsione). Gli ultimi due anni quanto e come hanno favorito le mafie?
«Insieme all’ex Procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho e al Prefetto Franco Gabrielli abbiamo lanciato l’allarme su un possibile arricchimento delle mafie nel periodo pandemico. Ci siamo scontrati con due grandi problemi: uno di carattere economico e uno di carattere sociale. Per quanto riguarda il primo, l’usura è arrivata in un momento in cui molte famiglie e imprese non avevano liquidità. Chi possedeva denaro? Le mafie, pronte a immetterlo tentando di far capire alle persone che erano pronte ad aiutarle “a differenza dello Stato”. Nei mesi caratterizzati dal Covid-19 alcune aziende hanno rischiato la chiusura o il fallimento, altre sono state costrette a chiudere definitivamente. Così i proprietari sono diventati le teste di legno della criminalità organizzata. Stesso discorso per la parte sociale. Il più grande rischio che abbiamo avuto era il “mafioso benefattore”. Grazie alle operazioni delle forze di polizia si è scoperto che le famiglie mafiose portavano la spesa a chi aveva bisogno. Questo faceva scattare un circolo vizioso: questi aiuti dovevano essere ricambiati. È stato un momento davvero pericoloso».
In quale settore si è registrato l’incremento del rischio di infiltrazione mafiosa?
«Durante la pandemia tutti i settori erano il bersaglio delle mafie, ma ricordo soprattutto quello turistico legato a storiche regioni del centro nord che hanno subito un tracollo con il rischio che la malavita si comprasse pezzi di Paese».
Il tetto al contante salirà a 10 mila euro. Cosa ne pensa?
«Ritengo che la soglia di 10 mila euro sia alta. Rischia di attivare troppi meccanismi illegali»
Con la sentenza del Tribunale di Patti sono state emesse 91 condanne e inflitti oltre 6 secoli di carcere al maxiprocesso dei Nebrodi per le truffe ai danni dell’Unione europea sulla mafia dei pascoli. Su quella parte di territorio della provincia di Messina le truffe hanno costituito la principale fonte di arricchimento sia del gruppo mafioso dei Batanesi sia del gruppo dei Bontempo Scavo. Determinante il Protocollo che porta il suo nome. Quanti milioni sono stati tolti alle mafie in questi anni?
«Intanto tengo a precisare che questa vicenda non è legata solo al Parco dei Nebrodi e nemmeno circoscritta alla Sicilia o all’Italia, ma è un fenomeno molto diffuso, è ben radicato e si sta cercando di contrastare sulla base della nostra esperienza anche in altri Paesi dell’Europa. In maniera inverosimile, nel corso degli anni, si sono finanziati i mafiosi attraverso i fondi pubblici. Prima del 2014, le aziende agricole (spesso legate alla mafia rurale) prendevano in affitto i pascoli per chiedere, in un secondo momento, i fondi agricoli europei. Sotto la soglia dei 150 mila euro bastava una semplice autocertificazione. L’affare era molto conveniente. Così abbiamo studiato un protocollo, nato in Sicilia e sottoscritto da tutti i Prefetti della regione. Nel 2017 è diventato legge nazionale e la Commissione europea ha consigliato la sua applicazione come strumento eloquente di lotta alla mafia».
Un percorso lungo e difficile, con molti ostacoli da superare. Quali sono state le conseguenze?
«Questo viaggio ci ha fatto capire che avevamo scoperchiato una delle più importanti fonti di finanziamento delle mafie. È stato doloroso e ha visto tante vittorie, ma anche molte sofferenze».
Quali?
«Un attentato di mafia cambia la vita non solo a chi lo subisce, ma anche alla famiglia. Perdere la libertà è una delle cose più brutte che possa succedere. Ma, nello stesso tempo, ti fa essere riconoscente allo Stato che è stato rappresentato da quattro meravigliosi uomini della Polizia. La vicenda si è concretizzata con un’indagine colossale dei carabinieri del Ros e della Guardia di Finanza e grazie al Protocollo il 20 gennaio del 2020 si è svolta una delle operazioni più importanti con 101 arresti e 151 aziende sequestrate per mafia. Tutto ciò si è concluso con uno storico maxi processo di soli 20 mesi. La magistratura, che ha svolto un lavoro egregio, ha condannato nove indagati su dieci a più di 600 anni di carcere. Una storia a lieto fine che ha visto una grande vittoria: degli agricoltori e degli allevatori onesti, perché è inaccettabile che in un Paese nel quale si commemorano le stragi di Capaci, via D’Amelio (nella quale morì il giudice Paolo Borsellino il 19 luglio 1992, ndr) e molte altre, si lasci “mano libera” ai mafiosi di incassare soldi pubblici. Non è normale pensare che alcuni terreni dell’aeroporto di Palermo “Falcone e Borsellino” o della base MUOS di Niscemi, a Caltanissetta, venissero spacciati per agricoli. È stato un segnale importante del Paese perché la magistratura ha dimostrato una grande efficienza».
Per ottenere grandi risultati nella lotta alla mafia serve anche una magistratura efficiente. Quali sono, oggi, i punti critici del settore?
«La vertà è molto semplice: ci vogliono i magistrati. Bisogna aumentare il numero dei posti messi a concorso. Parallelamente c’è bisogno di più amministrativi. Serve una grande squadra. Un altro fattore che può far cambiare rotta è la digitalizzazione degli atti. Con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) si possono portare avanti questi obiettivi. Il punto di partenza è l’ampliamento dell’organico. Credo sia questa la “grande riforma” che serve al nostro Paese» Mario Catalano IL BOLLETTINO
IL RAPPORTO
Mafia: quanti miliardi “fattura” ogni anno e in quali settori
La criminalità organizzata ha un giro d’affari per almeno 40 miliardi di euro, con attività illegali concentrate in alcune zone d’Italia
L’economia criminale riconducibile alla mafia, dunque gestita da organizzazioni criminale, conta un volume d’affari annuo stimato in ben 40 miliardi di euro. Pari al 2% del nostro Pil. Un giro d’affari inferiore solo al fatturato di Gse, Eni ed Enel. Il dato, tra l’altro, è sottostimato, visto che non è possibile calcolare i proventi che arrivano dall’infiltrazione delle mafie nell’economia legale. Questi numeri sono emersi da uno studio condotto dalla Cgia Mestre.
L’associazione denuncia il provvedimento legislativo dell’Unione Europea, definito “imbarazzante”, che dal 2014 permette ai Paesi membri di conteggiare nel Pil anche attività illegali come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette. Nel 2020, leggendo l’ultimo dato disponibile, abbiamo “gonfiato” la nostra ricchezza nazionale di quasi un punto, ovvero 17,4 miliardi di euro.
Si tratta di una decisione “eticamente inaccettabile“, spiega ancora la Cgia Mestre, visto che da un lato lo Stato combatte le mafie, dall’altro riconosce alle organizzazioni criminali un ruolo attivo nell’economia. Come a dire che il sommerso prodotto dalle attività illegali sia una componente “positiva” e “buona e accettabile” del prodotto interno lordo.
Quali sono le aree geografiche del nostro Paese in cui la mafia è più presente
La presenza più diffusa a livello territoriale delle organizzazioni economiche criminali si registra al Sud, ma ci sono “inquietanti” evidenze della presenza della mafia nelle aree economicamente più avanzate del Centro e del Nord. La letteratura specializzata, spiega la Cgia, evidenzia che dove l’economia locale è fortemente condizionata dalla spesa pubblica, il livello di corruzione della Pubblica Amministrazione è molto elevato. E dunque le organizzazioni criminali hanno più potere.
Ci sono aree geografiche più a rischio, e sono quelle dove sono presenti dei reati spia denunciati alle autorità.
- Estorsione e racket.
- Usura.
- Contraffazione.
- Lavoro nero.
- Gestione illecita del ciclo dei rifiuti.
- Scommesse clandestine.
- Gioco d’azzardo.
Secondo la Banca d’Italia buona parte del Sud, ma anche Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna sono le aree più a rischio per la penetrazione territoriale della “Mafia Spa”. Meno colpite, ma comunque con forti criticità, sono anche le province di Torino, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Milano, Lodi, Brescia, Savona, La Spezia, Bologna, Ferrara, Rimini, Pistoia, Prato, Firenze, Livorno, Arezzo, Viterbo, Ancona e Macerata.
Sarebbero meno interessate dal fenomeno le province del Triveneto, seppur con segnali in controtendenza a Venezia, Padova, Trento e Trieste. Valle D’Aosta e Umbria presentano un livello di rischio molto basso. Gli unici territori completamente immuni dalle mafie sarebbero invece le province di Matera, di Chieti, di Campobasso, di Olbia-Tempio, di Sassari e di Oristano.
Non solo 40 miliardi di euro prodotti dalle mafie: a quanto ammonta il sommerso
Oltre ai 17,4 miliardi di euro prodotti dalle sole attività illegali, come il traffico di droga, il contrabbando di sigarette e la prostituzione, nel nostro Pil nazionale ci sarebbero altri 157 miliardi di euro così divisi.
- Evasione fiscale (79,7 miliardi di euro).
- Lavoro irregolare (62,4 miliardi di euro).
- Altre voci, come le mance e gli affitti in nero (15,2 miliardi di euro).
L’economia sommersa arriva dunque a 174,4 miliardi di euro complessivi, interamente conteggiati nel nostro prodotto interno lordo nazionale. Anche una parte importante delle ultime voci è riconducibile alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. A dimostrazione che i 40 miliardi di euro dell’analisi dalla Cgia Mestre sono una stima al ribasso.
Qua vi abbiamo parlato di quanto valgono le infiltrazioni mafiose nel settore agroalimentare. Il Ministero dell’Interno, all’arrivo dei fondi del Pnrr, ha lanciato l’allarme sui tentacoli della mafia nel settore della sanità pubblica, come spiegato qua. E come se non bastasse i titoli della mafia sono quotati in borsa. Qua la nostra analisi. 22 Gennaio 2023 QUI FINANZA
Il business della mafia vale 40 miliardi l’anno
Si tratta di una cifra pari al 2% del PIl. Secondo la Cgia, “I dati relativi alle attività economiche criminali sono certamente sottostimati”
La mafia produce un volume di affari stimato in 40 miliardi di euro all’anno, pari ad oltre il 2% del Pil dell’Italia. Nella settimana dell’arresto del super latitante ritenuto il vertice di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, l’ufficio studi della Cgia ha calcolato il valore dei traffici commerciali e finanziari gestiti dalla criminalità organizzata.
I dati relativi alle attività economiche criminali, annota la Cgia, sono certamente sottostimati, in quanto “non siamo in grado di dimensionare anche i proventi ascrivibili all’infiltrazione di queste organizzazioni malavitose nell’economia legale”.
Una stima difficile da elaborare
Per evidenziare come sia difficile elaborare una stima puntuale dei guadagni della criminalità organizzata, Cgia ricorda che oltre ai 17,4 miliardi di euro prodotti dalle attività illegali (tra traffico di droga, contrabbando di sigarette e prostituzione), “il nostro Pil nazionale assorbe altri 157 miliardi di euro, di cui 79,7 sono nascosti dalla sottodichiarazione, 62,4 miliardi dal lavoro irregolare e 15,2 miliardi dalla voce tra affitti in nero e mance”.
L’analisi fa notare con rammarico che “se a parole tutti siamo contro le mafie, nelle azioni concrete non sempre è così”. La Cgia definisce “quanto meno imbarazzante che dal 2014, l’Unione Europea, con apposito provvedimento legislativo consenta a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali: come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette”.
Secondo l’analisi dell’associazione: “Grazie a questa opportunità, nel 2020 (ultimo dato disponibile) abbiamo gonfiato la nostra ricchezza nazionale di 17,4 miliardi di euro (quasi un punto di Pil)”. L’associazione annota: “È come se sul piano statistico ammettessimo che anche una parte dell’economia illegale riconducibile a ‘Mafia Spa’ è buona e accettabile”.
La penetrazione aumenta al Centro-Nord
A livello territoriale la presenza più diffusa delle organizzazioni economiche criminali si registra nel Mezzogiorno, ricorda lo studio, anche se ormai molte evidenze segnalano la presenza di queste realtà illegali nelle aree economicamente più avanzate del Centro-Nord. La letteratura specializzata evidenzia che, storicamente, i territori dove l’economia locale è fortemente condizionata dalla spesa pubblica e il livello di corruzione della pubblica amministrazione è molto elevato sono più vulnerabili dal potere corruttivo delle mafie.
Nei territori dove il numero di denunce all’autorità giudiziaria per estorsione/racket, usura, contraffazione, lavoro nero, gestione illecita del ciclo dei rifiuti, scommesse clandestine e gioco d’azzardo è molto alto, la probabilità che vi sia una presenza radicata e diffusa di una o più organizzazioni criminali di stampo mafioso “è molto elevata”.
L’associazione riporta anche una pubblicazione della Banca d’Italia sulla penetrazione territoriale delle mafie che indica un indice di presenza “molto preoccupante” anche realtà del Centro-Nord, in particolare nelle province di Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna. Meno colpite ma comunque con forti criticità anche Torino, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Milano, Lodi, Brescia, Savona, La Spezia, Bologna, Ferrara, Rimini, Pistoia, Prato, Firenze, Livorno, Arezzo, Viterbo, Ancona e Macerata.
AGI 23 gennaio 2023
Mafia Spa: se il Pil italiano lo gonfia la criminalità
«Le provincie italiane con un più alto indice di presenza mafiosasono concentrate in Calabria, in particolare Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia». Una frase lapidaria nella sua durezza che diventa ancora più significativa se si pensa che non è della Dia o del Viminale. E nemmeno del ministero di Giustizia o della Dna. A pronunciarla, infatti, è stata la Banca d’Italia nel dossier del dicembre del 2021 La criminalità organizzata in Italia: un’analisi economica. Nei giorni scorsi il documento è tornato alla ribalta grazie alla Cgia di Mestre, che ha inteso stigmatizzare alcuni aspetti legati al Pil e al fatturato di quella che viene definita “Mafia spa”. Già, perché, stando ai dati e numeri di Bankitalia, il fatturato annuo delle mafie italiane, stimato al ribasso in 40 miliardi di euro all’anno, entra nei numeri dello Stato, concorrendo addirittura ad aumentare il prodotto interno lordo.
Mafia Spa, un giro d’affari inferiore solo ad Eni ed Enel
Si legge infatti nel documento della Cgia di Mestre: «In massima parte questo business, e relativo fatturato, è gestito dalle organizzazioni mafiose e conta un volume d’affari pari a oltre il 2 per cento del nostro Pil. Stiamo parlando dell’economia criminale riconducibile alla “Mafia spa” che, a titolo puramente statistico, presenta in Italia un giro d’affari inferiore solo al fatturato di Gse (gestore dei servizi energetici), di Eni e di Enel». Numeri di per sé degni di nota, ma «che sono certamente sottostimati, in quanto non siamo in grado di dimensionare anche i proventi ascrivibili all’infiltrazione di queste organizzazioni malavitose nell’economia legale».
Il Paese soffre ma dice di arricchirsi
La Cgia di Mestre non usa troppi giri di parole per condannare questo tipo di contabilità: «È quanto meno imbarazzante che dal 2014 l’Unione Europea, con apposito provvedimento legislativo, consenta a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette». Basti pensare che «grazie a questa opportunità, nel 2020 (ultimo dato disponibile) abbiamo gonfiato la nostra ricchezza nazionale di 17,4 miliardi di euro (quasi un punto di Pil)». Uno stratagemma utile per far quadrare i conti, forse, ma anche «una decisione eticamente inaccettabile».
La distribuzione delle mafie sul territorio nazionale
Misurare l’intensità del fenomeno mafioso è complesso perché le azioni e le attività delle mafie sono nascoste per definizione. Sfuggono spesso alle attività investigative, figurarsi alle rilevazioni statistiche. Inoltre, hanno confini labili che rendono difficile individuare le singole fattispecie criminali. Ecco perché per questo genere di analisi si punta su «un approccio multidimensionale, che consente di estrarre informazioni da indicatori diversi e di catturare le diverse modalità con cui le mafie agiscono su un territorio». L’indice della presenza mafiosa si calcola, quindi, considerando quattro diversi domini, ciascuno, a sua volta, composto da quattro diversi indicatori elementari.
Il dossier passa, poi, ad analizzare la distribuzione della mafie nel Paesesecondo criteri geografici. Ed è qui che emerge il peso della criminalità organizzata nella punta meridionale dello Stivale. «Le provincie con un più alto indice di presenza mafiosa sono concentrate in Calabria (in particolare Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia)». Sono comunque in “buona” compagnia. L’elenco dei territori più a rischio comprende, infatti, anche la Campania (Caserta e Napoli in particolare), la Puglia (principalmente il Foggiano) e Sicilia (specie la parte occidentale dell’isola). Ritenere che il fenomeno riguardi soltanto il Mezzogiorno sarebbe, però, fuorviante. Nel Centro Nord, ad esempio, spiccano per indice di “mafiosità” dell’economia locale Roma, Genova e Imperia. I territori dove la presenza della criminalità organizzata si sente meno sarebbero, invece, le province del Triveneto, la Valle d’Aosta e l’Umbria.
Mafia Spa: più criminalità, meno crescita
La presenza della criminalità organizzata in un territorio ne condiziona in misura profonda il contesto socioeconomico e ne deprime il potenziale di crescita. Scrive, infatti, Bankitalia «che le province che sono state oggetto di una più significativa penetrazione mafiosa hanno registrato, negli ultimi cinquanta anni, un tasso di crescita del valore aggiunto significativamente più basso». Inoltre, andando oltre la sfera economica, la presenza di attività illegali inquina il capitale sociale e ambientale.
Ci sono studi – Peri (2004), ad esempio – che mostrano come la presenza delle 20 organizzazioni criminali (approssimata con il numero di omicidi) sia associata a un minore sviluppo economico. Altri – Pinotti (2015) – sostengono che «l’insediamento di organizzazioni mafiose in Puglia e Basilicata nei primi anni Settanta avrebbe generato nelle due regioni, nell’arco di un trentennio, una perdita di Pil pro capite del 16 per cento circa».
I risultati, insomma, mostrano un’associazione negativa tra l’indice di penetrazione delle mafie a livello provinciale e la crescita economica negli ultimi decenni. In particolare, le province con un maggiore livello di penetrazione mafiosa (quindi Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia) hanno registrato un tasso di crescita dell’occupazione più basso di 9 punti percentuali rispetto a quello delle province con indice di presenza mafiosa inferiore. Anche la crescita della produttività risulta inferiore nei territori in questione. In termini di valore aggiunto, lo stesso esercizio produce unacrescita inferiore di 15 punti percentuali, quasi un quinto della crescita media osservata nel periodo.
Mafia Spa e pubblica amministrazione
Oltre a ridurre la quantità e qualità dei fattori produttivi, la presenza mafiosa incide negativamente sulla loro allocazione e quindi sulla produttività totaledei fattori. In primo luogo essa genera distorsioni nella spesa e nell’azione pubblica. «I legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazionecondizionano la spesa pubblica che viene ri-orientata verso finalità particolaristiche, a discapito dell’interesse generale. In secondo luogo, la presenza mafiosa crea distorsioni anche nel mercato privato. L’infiltrazione mafiosa nell’economia legale, infatti, impone uno svantaggio competitivo per le imprese sane. L’impresa infiltrata da un lato può beneficiare di maggiore liquidità e risorse finanziarie (i proventi delle attività criminali), dall’altro può condizionare la concorrenza usando il suo potere coercitivo e corruttivo, sia nei confronti delle altre imprese sia nei confronti della pubblica amministrazione».
Le conclusioni della banca centrale italiana
Banca d’Italia non ha dubbi: gli effetti delle mafie sull’economia sono «una delle principali determinanti della bassa crescita e dell’insoddisfacente dinamica della produttività nel nostro paese». Basti pensare che proprio Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia hanno registrato negli ultimi 50 anni una crescita dell’occupazione e del valore aggiunto più bassa. Un effetto, questo, connesso alle distorsioni nel funzionamento del mercato: «La corruzione e/o l’uso del potere coercitivo sono in grado di condizionare i politici locali e distorcere l’allocazione delle risorse pubbliche; d’altro canto, l’infiltrazione nel tessuto produttivo distorce la competizione nel settore privato, con le imprese mafiose in grado di conquistare quote di mercato significative sfruttando una maggiore disponibilità di risorse economiche, la maggiore propensione a eludere le regole e, non ultimo, il potere coercitivo»
Come uscirne? Non esistono ricette semplici. Banca d’Italia una sua idea, però, la ha: «La misurazione e comprensione del fenomeno mafioso, l’analisi delle determinanti e degli effetti della presenza della criminalità organizzata e un’efficace azione di contrasto richiedono infatti dati granulari e la possibilità di incrociare e integrare, attraverso opportune chiavi identificative, più fonti informative. Ne gioverebbero sia la comunità scientifica, con la possibilità di spostare più avanti la frontiera della conoscenza, sia le autorità investigative che potrebbero sfruttare tali risultati per rendere più efficace la loro attività di contrasto». I CALABRESI 23.3.2023