MAFIA e HOTEL

 

12.5.2023 Restano chiusi due alberghi in odore di mafia

Rischia di sfumare definitivamente la stagione dei due alberghi chiusi dal Comune di Rimini per il sospetto di infiltrazioni di natura criminale. L’ordinanza di Palazzo Garampi era stata notificata l’11 aprile scorso a seguito del provvedimento adottato dalla Prefettura, che ha applicato l’interdittiva antimafia nei confronti della società di gestione che ha in affitto i due hotel, il Gin e il Morolli, strutture a tre stelle di Viserba. La società, per il tramite dei propri legali, aveva presentato un ricorso urgente al Tar, chiedendo di sospendere immediatamente l’interdittiva antimafia della Prefettura e di revocare la chiusura degli hotel imposta dal Comune. Ieri il Tribunale amministrativo regionale ha respinto la richiesta di sospensiva, rinviando all’11 ottobre prossimo la discussione sul merito, evidenziando come “la delicatezza e la complessità delle valutazioni sottoposte al Collegio” impongano di riservarne la decisione ad una trattazione più approfondita. “Presenteremo ricorso al Consiglio di Stato – dice il legale della società, l’avvocato Giancarlo Migani –. È facile immaginare quali possano essere le conseguenze, anche sul piano economico, di uno stop per tutta la durata dell’estate, trattandosi di due attività in prevalenza stagionali. Nelle ultime settimane sono continuate ad arrivare disdette. Per il momento la società si è impegnata a garantire il contratto dei lavori dipendenti, ma se la situazione non dovesse sbloccarsi potrebbe configurarsi il rischio di licenziamenti”.


20.2.2023 “I tentacoli della mafia su hotel e ristoranti”

L’allarme del referente provinciale di Libera: “Teniamo alta la guardia, aumentano le segnalazioni di infiltrazioni criminali nel tessuto economico”.

C’è una correlazione nefasta tra la crisi economica che si ripercuote sulle imprese e la presenza pervasiva del malaffare. Un incrocio che dà i suoi frutti velenosi proprio laddove, come nel nostro territorio, il tessuto produttivo è articolato e ricco, benché non del tutto attrezzato contro i rovesci economici e di congiuntura, e dunque fa gola. Si spiega anche così il bilancio di Linea Libera, il servizio (numero verde 800.58.27.27, linealibera@libera.it ) pensato per chi vuole segnalare condotte corruttive o essere accompagnato alla denuncia di reati di stampo mafioso. Dal 2018 al 2022, da tutta Italia, sono arrivate a Linea Libera – che è un’emanazione della rete Libera di associazioni contro le mafie – 862 segnalazioni. L’Emilia-Romagna ne ha messo in fila 77, seconda solo alla Lombardia (96) e al Piemonte (79) e ben distante dalla Toscana (42), dalle Marche (17), dalla Liguria (23), dalla Valle d’Aosta (5) e dall’Umbria (6) per restare al nord Italia. Un fenomeno sotto osservazione da diversi anni parte dei volontari di Libera, nella nostra provincia coordinati da Franco Ronconi. Ronconi, cosa denunciano i cittadini che fanno riferimento a Linea Libera? “Episodi opachi, condotte corruttive o di stampo mafioso, clientelismo e cattiva amministrazione, situazioni… CORRIERE DELLA ROMAGNA di Elide Giordani 


7.10.2021 ‘Ndrangheta, gestivano fittiziamente cinque hotel a Rimini. Scattano sequestri ed arresti

I finanzieri di Rimini, Cosenza e Taranto stanno eseguendo otto misure cautelari nelle tre rispettive regioni nei confronti di otto presunti appartenenti alla ‘ndrangheta Sei società, di cui cinque relative a strutture alberghiere e una di allestimenti fieristici, sono state sequestrate dalla Guardia di Finanza tra Rimini, Forlì-Cesena e Siena, nell’ambito dell’operazione “Popilia” contro le infiltrazioni malavitose nell’economia. I finanzieri di Rimini, Cosenza e Taranto stanno eseguendo otto misure cautelari nelle tre rispettive regioni nei confronti di otto presunti appartenenti alla ‘ndrangheta. Secondo quanto emerso, il gruppo, composto da calabresi pregiudicati, gestiva alcuni hotel di Rimini, un chiringuito sulla spiaggia nonchè un’azienda che si occupa di stand fieristici. Per alcuni di loro si contesta, oltre ai reati di intestazioni fittizia di beni, l’estorsione e il porto illegale di armi. In corso oltre 20 perquisizioni domiciliari. Secondo quanto emerso, alcuni componenti del gruppo non lesinavano di rivolgere minacce a mano armata rivendicando la loro appartenenza alla cosca ‘ndranghetista. CORRIERE DEL SUD

 


22.8.2022 “Rincari bollette, hotel e ristoranti nel mirino della mafia”

«Turismo e ristorazione nel mirino della mafia per i rincari alle stelle». A riflettere su uno scenario da tempesta perfetta è l’avvocato Davide Grassi, che ha fatto parte della rete legale di Sos Impresa (associazione nazionale antiracket) per la quale si è costituito parte civile in numerosi processi. Ed è stato coautore con Davide Maria De Luca di “San Marino Spa” libro inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna.

Avvocato Grassi, il caro bollette che attanaglia albergatori e ristoratori con incrementi fino al 500% può aprire spiragli a nuove infiltrazioni della criminalità organizzata? Dati alla mano, molti hotel sono a rischio chiusura o già esposti al valzer di nuove gestioni.

«È appurato che quando c’è una crisi economica trovino terreno fertile queste dinamiche. Dopo l’emergenza sanitaria e il conflitto in Ucraina, gli imprenditori fanno i conti con mancanza di liquidità, debiti e difficoltà nell’accesso ai crediti. Il rischio è che diventino vittime di soggetti legati a ambienti criminali e pronti a offrire grosse somme, allettanti per chi non riesce a ripianare un debito. Senza giustificare nessuno, bisogna mettersi nei panni di chi ha un’attività e si ritrova schiacciato da bollette stratosferiche e poche prenotazioni. Occorre definire maggiori sostegni per tutelare dal punto di vista economico e prevenire l’acuirsi del fenomeno».

Sarà una mannaia che colpirà senza distinzioni o la sorte peggiore toccherà alle conduzioni a gestione familiare, fulcro della storia turistica locale?

«Le grandi catene hanno più probabilità di restare in piedi, a fronte di grande liquidità, mentre le piccole realtà sono più a rischio».

Altra questione dietro l’angolo: i lavori pubblici sovvenzionati dai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per la gestione in trasparenza degli appalti, basterà in un momento storico senza precedenti come questo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa contro la regola del massimo ribasso?

«Pur non essendo un tecnico, ritengo che l’attenzione che la Procura mantiene su cambi di gestione, attività e appalti sia altissima. È altresì evidente che in qualsiasi regolamento o bando non si riesca mai a creare una struttura perfetta, sebbene si voglia evitare di incappare in certi personaggi, tuttavia il lavoro svolto dal tavolo in Prefettura e dall’autorità giudiziaria ha rilevato molte anomalie, integrando i controlli».

Quanto agli hotel sono state adottate 18 comunicazioni interdittive antimafia dopo il Protocollo siglato a settembre 2020 con i Comuni.

«Il problema nel settore turistico alberghiero è annoso ma oggi si può contare su tale strumento. Fermo restando che la criminalità organizzata è molto preparata sul fronte normativo e abile nel creare strutture societarie difficili da smembrare, le operazioni condotte restano capillari».

Si intensificherà il riuso dei beni confiscati che spesso agevola cittadini disabili o disagiati?

«In proposito il problema sono le ipoteche che gravano sugli immobili da parte degli Istituti bancari, con cui occorrono più tavoli di confronto».

Cosa fare perché i giovani siano cittadini consapevoli?

«È essenziale che la scuola formi gli studenti con lo studio dell’Educazione civica nonché collaborazioni con l’Osservatorio della legalità, in modo che i ragazzi si affaccino sul mondo del lavoro in modo diverso, conoscendo diritti e doveri».

Nel 2013 ha scritto, assieme a Davide Maria De Luca, “San Marino spa” un testo inerente alle infiltrazioni delle cosche nella nostra regione e sul Titano dove il denaro veniva “ripulito” in alcuni Istituti bancari. Cosa è cambiato da allora? Quale invece la costante?

«Riscontro una maggior partecipazione della società civile, mentre rimane fortissimo l’impegno della Procura, da sempre in prima linea». CORRIERE DELLA ROMAGNA


22.2.2022  Hotel e ristoranti nel mirino della mafia: Dia e Confindustria provano a difenderli

La pandemia e la successiva crisi hanno acuito il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata. Un allarme che Italia a tavola ha più volte lanciato negli anni. Ora la Direzione investigativa antimafia e Confindustria Alberghi hanno siglato un accordo per monitorare e prevenire il fenomeno. Un segnale importante a cui si spera diano seguito altre associazioni

La pandemia si è abbattuta sulle nostre vite come un uragano, mettendo a rischio la nostra salute, fisica e mentale, e cambiando le prospettive. Il virus ha spalancato le porte a una crisi durissima e anche se all’orizzonte sembra finalmente esserci la luce in fondo al tunnel, gli strascichi li porteremo dietro per mesi, più probabilmente anni.  A finire nel frullatore sono stati, loro malgrado, anche turismo e ristorazione, due settori che hanno pagato a caro prezzo chiusure e limitazioni. I due anni di Covid hanno lasciato in eredità numerose ferite. Un contesto in cui rischia di avere buon gioco la mafia, che da sempre si infiltra nelle pieghe della crisi e approfitta delle fragilità. Un allarme reale che Italia a tavola ha lanciato già nell’aprile di due anni fa e ha riportato a galla più volte, ma che resta per molti un tabù difficile da nominare.  Dna (Direzione nazionale antimafia), Dia (Dipartimento investigativo antimafia) e Confindustria Alberghi hanno firmato un protocollo d’intesa per il monitoraggio e la tutela del settore. Un primo importante segnale, nella speranza che presto venga replicato da altre associazioni di categoria

Mafia, turismo e ristorazione: i numeri 

Crollo dei fatturati, mancanza di liquidità, difficoltà nell’accesso al credito, aperture, chiusure, limitazioni, Green pass, assenza di turisti e chi più ne ha più ne metta. Ogni giorno da due anni bar, ristoranti e alberghi devono fare i conti con tutto questo e lottano per sopravvivere. In un contesto del genere, le mafie hanno buon gioco e riescono a infiltrarsi con facilità. Certo, il settore più colpito resta ancora quello dell’agricoltura (15,9% dei casi), seguito dal commercio al dettaglio (15,2%) ma la ristorazione non ride di certo (13,8%). 

Gli ultimi numeri disponibili sono drammatici. Si parla infatti di 40mila imprese a forte rischio di infiltrazioni e di un giro d’affari per le mafie da 2,2 miliardi soltanto nel turismo, di cui il 40% nelle regioni del Mezzogiorno (dati Demoskopika). Sono sei i sistemi turistici regionali a presentare i rischi più elevati di infiltrazione criminale nel tessuto economico: Campania, Sicilia, Lazio, Calabria, Lombardia, Puglia. Sul versante opposto, sono quattro le regioni a presentare una minore vulnerabilità: Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.

Comanda la ‘ndrangheta, poi tutte le altre 

C’è anche una stima sulle mafie più “pesanti” per turismo e ristorazione. Comanda la ‘ndrangheta con un giro d’affari di 810 milioni di euro. Poi arriva la camorra che si prende il 33% dei già citati 2,2 miliardi, seguita a sua volta da Cosa nostra (20%) e Sacra corona unita (10%). 

Perché turismo e ristorazione 

Il problema c’è, i numeri lo fotografano in maniera chiara. Ma perché proprio turismo e ristorazione? Detto delle criticità che gli operatori del settore stanno attraversando per uscire interi dalla pandemia, ad attirare l’attenzione delle mafie ci sono anche i risvolti positivi. Nella prospettiva di medio periodo infatti il settore turistico alberghiero si caratterizza per le alte aspettative di piena ripresa e rilancio e il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina al comparto importanti risorse economiche finalizzate all’attività di ristrutturazione riqualificazione dell’offerta. Insomma, piatto ricco mi ci ficco. E non soltanto in relazione all’acquisizione e gestione di strutture turistiche ma anche con riferimento all’ingresso nel sistema delle forniture di beni e di servizi.

L’accordo tra Dna, Dia e Confindustria Alberghi 

L’allarme, come detto, noi lo abbiamo lanciato da tempo. Il tema è caldo e qualcuno ha deciso di intervenire. Dna, Dia e Confindustria Alberghi hanno infatti siglato un protocollo d’intesa per la tutela del settore alberghiero da rischio di infiltrazioni. In cosa consiste? Nella costituzione di un tavolo permanente per il monitoraggio dei fenomeni e la definizione degli ambiti operativi attraverso la strutturazione di un modello di raccolta e trasmissione di dati relativi ai rapporti economici in essere. Tutto con l’obiettivo di tutelare le imprese, gli operatori economici e il regolare svolgimento delle dinamiche imprenditoriali. «Il nostro settore, duramente colpito dalla pandemia, sta attraversando un momento di estrema fragilità e molte strutture oggi, oltre ad essere appetibili agli occhi degli investitori speculativi, rischiano di cadere vittime delle infiltrazioni mafiose – ha sottolineato Maria Carmela Colaiacovo, presidente di Confindustria Alberghi – Il dialogo aperto con le massime Istituzioni preposte è volto a garantire continuità alle imprese che nel Pnrr potranno trovare una soluzione utile alla ripartenza, garantendo una ripresa del mercato e supportando tutti quegli operatori in difficoltà che altrimenti rischiano di cadere vittime di chi nel Pnrr spera di trovare un sistema per rimpinguare realtà legate alla criminalità organizzata».  ITALIA A TAVOLA

 

7.10.2021  “Siamo la ‘ndrangheta”: pistole e prestanome a Viserba

“I tuoi stipendi arretrati noi non te li paghiamo” e il dipendente dell’hotel di Rimini si vede puntata in faccia una 7,65. “L’affitto del tuo albergo noi non te lo paghiamo, siamo della ‘Ndrangheta, non ci puoi toccare”. ha presso le mosse da episodi come questi l’indagine della Guardia di Finanza di Rimini, svolta con la collaborazione dei Comandi Provinciali di Cosenza e Taranto, che alle prime luci dell’alba di oggi ha portato a una vasta operazione di polizia, nome in codice “Popilia”, in Emilia Romagna ed in contemporanea in Calabria ed in Puglia, per stroncare tentativi di infiltrazioni di soggetti di origine calabrese, quasi tutti pregiudicati, nel settore turistico delle province di Rimini, Forlì-Cesena e Siena. 50 militari della Guardia di Finanza, coordinati e diretti dalla Procura della Repubblica di Rimini, hanno dato esecuzione oggi nelle provincie di Rimini, Forlì-Cesena e Taranto – a  20 perquisizioni e ad un’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Rimini che ha disposto misure cautelari nei confronti di 8 persone (5 agli arresti domiciliari e 3 obblighi di firma) per i reati di estorsione, detenzione e porto illegale in luogo pubblico di un’arma calibro 7,65 e intestazione fittizia di beni. I reati di estorsione sono aggravati, per alcuni, dalle minacce arma in pugno e facendosi vanto di essere affiliati alla mafia calabrese. E fra i precedenti degli indagati, tutti fra i 30 e i 60 anni, c’è di tutto, dagli stupefacenti alla violenza sessuale, oltre a una sfilza di reati tipici di “imprenditori” disinvolti: dalla gestione irregolare dei rifiuti all’indifferenza alle regole del lavoro e della sicurezza. Solo millanterie o qualcosa di più? E’ su questo filone che le indagini vanno ancora avanti. Finora il reato di associazione mafiosa non è stato contestato. Però alcuni degli indagati sono effettivamente parenti di un boss della ‘ndrangheta che si trova in carcere. Fra gli indagati due fratelli che risiedono tutt’ora in provincia di Cosenza e le Fiamme Gialle oggi si sono recate anche a Rende a caccia  di indizi. Finora sono state intercettate oltre 40 utenze, analizzati i flussi finanziari su decine di conti correnti e altri rapporti finanziari. Quanto finora emerso ha permesso al G.I.P. di ordinare sequestri preventivi per un totale di 1,5 milioni, nelle province di Rimini e Forlì – Cesena, delle quote sociali e dei beni aziendali di ben 6 società, intestate a prestanome e operanti nelle province di Rimini, Forlì-Cesena e Siena: negli ultimi tre anni hanno gestito in successione una serie di alberghi di medie dimensioni a Chianciano Terme, Castrocaro e poi a Cesenatico e Rimini. In particolare gli hotel, tutti presi in affitto, si trovano a Viserba, compresi quelli dove si sono verificate le estorsioni ai danni del dipendente  e del proprietario non pagati. E sempre a Viserba si trova il chiringuito anch’esso affittato e gestito dai pregiudicati per interposta persona; ha lavorato a pieno ritmo anche quest’estate. Inoltre una delle società operava negli allestimenti in occasione di eventi, ma sempre fuori dalla Fiera di Rimini. Esclusi i due residenti in Calabria, tutti gli altri si erano trasferiti in riviera da molto tempo. La denuncia del dipendente minacciato con la pistola risale al 2018 e almeno da allora sono stati 5 gli hotel gestiti con questi metodi. Gli stessi che venivano applicati a soci riminesi, del tutto estranei ad attività illecite, che non si vedevano riconosciuti le loro quote. Nessuno nessuno dei prestanome con la fedina penale pulita è di origine locale. Un “secondo livello” costituito da soggetti anch’essi di origine campana e pugliese, reclutati all’occorrenza per ragioni di parentela o vicinanza dai singoli indagati.
Le indagini hanno reso possibile documentare le fasi evolutive del gruppo, che in breve tempo, è riuscito a:

• infiltrarsi nell’economia legale della Romagna, controllando diverse attività economiche;
• commettere estorsioni con l’uso delle armi ed evocando la loro appartenenza all’ndrangheta;
• intestare a terzi ingenti patrimoni e attività commerciali.

In particolare, è emerso che gli indagati, nonostante risultassero pressoché nullatenenti, spendevano e spandevano soldi – come chiarito dalle intercettazioni telefoniche e ambientali – che arrivavano dalla loro partecipazione occulta in numerose società operanti nel turistimo ricettivo, intestate a prestanome, e dalle estorsioni commesse. CHIAMACICITTA’


20.7.2021 Così la ‘ndrangheta affossa le principali mete turistiche della Calabria

Le ‘ndrine fatturano ogni anno centinaia di milioni di euro infiltrandosi nell’economia delle località più gettonate per le vacanze. Dal recente caso di Scilla a quelli più datati, un tour tra le coste joniche e tirreniche e i clan che le sfruttano per i loro affari 
Un recentissimo studio condotto da Demoskopika ha quantificato in 2,2 miliardi di euro la stima dei proventi della criminalità organizzata derivante dalla infiltrazione economica nel comparto turistico italiano. Di questi, ben 810 milioni sarebbero ad appannaggio della ‘ndrangheta: il 37% degli introiti complessivi. A seguire la Camorra con 730 milioni (33%) e la mafia con 440 (20%) e criminalità organizzata pugliese e lucana con 220 (10%).
 
 
 
ndrangheta-turismo

I dati elaborati da Demoskopica mostrano il peso della criminalità organizzata nell’economia turistica  Più volte, nei convegni, nella letteratura sul tema, si sono dette o lette le frasi, più o meno testuali, «la ‘ndrangheta penalizza il turismo» oppure «la ‘ndrangheta frena lo sviluppo della Calabria». Sembrano frasi vuote. Da cultori della materia. E anche studi come quelli di Demoskopika appaiono ai più numeri vuoti. Quasi teorici. Ma non è così. Perché la ‘ndrangheta è riuscita e riesce a condizionare l’economia turistica delle principali mete calabresi. Da Tropea e Pizzo Calabro, passando per Diamante e Praia a Mare, fino ad arrivare a Soverato e Isola Capo Rizzuto.

Il caso Scilla

L’ultimo caso, emblematico, è di pochi giorni fa. Un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, denominata “Lampetra” ha documentato il controllo asfissiante che le famiglie Nasone e Gaietti avevano sull’economia illegale e legale di Scilla. Una perla sul mar Tirreno in provincia di Reggio Calabria. Lì, le due cosche che, da sempre, si dividono il territorio non solo gestivano il mercato della droga e il giro delle estorsioni. Ma, cosa ancor più inquietante, si infiltravano nell’economia legale. Dagli atti dell’inchiesta, infatti, emerge l’interesse degli affiliati per le assegnazioni delle concessioni degli stabilimenti balneari. Una circostanza non di poco conto.
Per svariati motivi. In primis, perché Scilla è stata quasi sempre vista e dipinta come una sorta di isola felice, dove lo strapotere della ‘ndrangheta non raggiungeva i picchi delle roccaforti storiche. E poi perché gli stabilimenti balneari sono uno degli aspetti più importanti dell’economia scillese, che si alimenta e vive grazie a quei tre o quattro mesi estivi in cui si può far valere la spinta turistica. Insomma, la ‘ndrangheta va quindi ad attingere al polmone vitale del sostentamento della comunità. E sono molteplici gli episodi che dimostrano l’interesse e l’ingerenza delle cosche vibonesi sui due luoghi più iconici del turismo calabrese: Pizzo Calabro, ma, soprattutto, Tropea. Un ruolo egemone, ovviamente, è rivestito, da sempre, dal potente casato dei Mancuso. Ma in quei luoghi, il turismo viene strozzato anche dai La Rosa, che ai Mancuso sono federati. Fin dal 2012 vengono, ciclicamente, effettuate operazioni di polizia che certificano l’ingerenza delle cosche nel settore turistico. Un controllo che può essere esercitato attraverso il metodo più “classico” e basico, quello dell’estorsione, ma anche attraverso meccanismi più raffinati, come quelli della intestazione fittizia. Nel 2016, l’inchiesta “Costa Pulita” poi scaturita in un processo che, in primo grado, ha portato a numerose condanne. Dagli hotel ai villaggi vacanze, passando anche per la gestione dei traghetti turistici. Le cosche non lasciavano nemmeno le briciole in quei luoghi: da Parghelia a Briatico. Purtroppo, a distanza di tre anni dalla sentenza di primo grado, il processo d’appello è iniziato appena un mese fa.  E, invece, la ‘ndrangheta corre. Corre veloce, quando c’è da fare affari e denaro. Tra le numerose condotte che il maxiprocesso “Rinascita-Scott” sta ricostruendo c’è la rete di relazioni, anche di natura massonica, su cui la cosca Mancuso poteva contare. Anche per il progetto di un enorme complesso turistico alberghiero da costruire a Copanello di Stalettì, considerata la perla dello Jonio catanzarese. E poi, gli interessi su un villaggio Valtur di Nicotera Marina, nel cuore della Costa degli Dei, a poca distanza proprio da Tropea.

Gli uomini giusti al posto giusto

Per raggiungere i propri obiettivi, la ‘ndrangheta sempre più spesso punta su professionisti, uomini cerniera, colletti bianchi. Per sbrogliare la vicenda nel Catanzarese, i Mancuso si affidano allavvocato ed ex senatore di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, considerato un uomo forte della massoneria deviata. Nell’ambito dell’inchiesta “Imponimento”, sono stati inoltre sequestrati i villaggi Napitia a Pizzo Calabro e Garden Resort Calabria a Curinga. In quell’indagine, in cui è finito anche l’ex assessore regionale al Lavoro, Francescantonio Stillitani, sarebbe stata documentata l’ingerenza delle cosche Anello e Fruci di Filadelfia. Il focus della Guardia di Finanza si è concentrato sulle aziende che avrebbero fatto da schermo alla ‘ndrangheta, per permetterle di gestire quelle strutture di lusso. La recente inchiesta “Alibante”, condotta sempre dalla Dda di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri, avrebbe invece dimostrato la rete di protezioni di cui godeva la famiglia Bagalà nel Medio Tirreno Catanzarese. «Opachi legami» è scritto nelle carte d’indagine, che avrebbero consentito ai Bagalà di crescere a dismisura negli affari. Puntando anche sul settore turistico. Grazie a un cospicuo numero di prestanome, i Bagalà avrebbero messo le mani su una serie di strutture e villaggi turistici. Soldi, tanti. Ma anche location per svolgere summit di ‘ndrangheta o nascondere latitanti. E, anche in questo caso, viene documentata la presenza di uomini giusti al posto giusto, nelle amministrazioni comunali, per superare eventuali ostacoli o lungaggini burocratiche. E da altre indagini emergono anche gli appetiti sui porti turistici di Soverato e Badolato, sempre nel Catanzarese.

«Solo qui ho avuto problemi»

Il meccanismo non si discosta molto da territorio a territorio. A svelare le dinamiche del territorio crotonese è il pentito Dante Mannolo, coinvolto nell’inchiesta “Malapianta” e Infectio. Mannolo ha raccontato come funziona lo sfruttamento dei villaggi turistici. Da Porto Kaleo a SerenèAste pilotate e investimenti delle varie famiglie del Crotonese. Su tutte, ovviamente i Grande Aracri di Cutro. Che poi impongono anche i fornitori. «Ho villaggi turistici in tutta Italia e solo qui ho avuto problemi» ha detto in aula l’imprenditore Fabio Maresca, proprio con riferimento al villaggio Serenè. Ma, anche in questo caso, si tratta solo delle vicende più recenti. Perché gli affari dei Grande Aracri o degli Arena nel settore turistico crotonese hanno radici profonde. E le inchieste hanno documentato i desideri, spesso realizzati, su opere importanti. Quali porto turistico di Le Castella, ma anche su Capo Colonna, tesoro archeologico a Isola Capo Rizzuto. L’inchiesta “Borderland”, di alcuni anni fa, ha dimostrato come i Trapasso di San Leonardo di Cutro, costola dei Grande Aracri, riuscissero a estendersi fino alla confinante Botricello (in provincia di Catanzaro) per rastrellare le estorsioni sui villaggi turistici affacciati sul tratto di costa ionica compreso tra Crotone e Catanzaro.

Terre di confine

Il settore turistico è da sempre un terreno privilegiato per i grandi clan. Non solo per gli introiti che fa incassare, ma anche per il prestigio che porta essere i padroni delle strutture più esclusive del territorio di competenza criminale. Lo insegna Franco Muto, il “re del pesce” di Cetraro, che per trent’anni ha inquinato il settore turistico e inondato di droga l’Alto Tirreno Cosentino. Il suo ruolo, già esplicitato, negli anni, da numerosi collaboratori di giustizia, viene tratteggiato a tutto tondo con l’inchiesta “Frontiera”, che mostra lo strapotere sulle attività ricettive, ma anche la forza monopolistica sul mercato ittico, che, ovviamente, coinvolgeva la distribuzione nei ristoranti e che si spingeva addirittura fino al Cilento. La droga commercializzata dal clan Muto scorreva a fiumi nelle zone turistiche e balneari del Cosentino: da Diamante a Praia a Mare, passando per Scalea. Terre di confine, Scalea e Praia a Mare. In estate, nelle bellissime spiagge di fronte all’Isola di Dino è più facile sentir parlare napoletano che calabrese. Anche sotto il profilo criminale. A Praia a Mare, ‘ndrangheta e camorra convivono tranquillamente. Storica la presenza dei Nuvoletta, uno dei clan più noti della camorra, in passato alleati anche dei Corleonesi. Così, quindi, si arriva a quelle cifre e quelle percentuali messe nero su bianco da Demoskopika. Perché quei rapporti sono il frutto delle attività concrete, vive, della ‘ndrangheta sul territorio. Quel territorio devastato e abbandonato. Come gli edifici in costruzione, che dovevano essere strutture ricettive, ma che sono stati bloccati dalle indagini ancor prima di sorgere per l’infiltrazione ‘ndranghetista. O come villaggi e resort abbandonati dopo il sequestro dalla parte della magistratura. Un abbandono che alimenta il falso mito sulla ‘ndrangheta che “dà posti di lavoro”. E intanto, centinaia di chilometri di spiagge incontaminate e mare cristallino, come nella Locride, risultano abbandonate, allo stato brado. Non un lido, non un camping o un villaggio. Chilometri e chilometri di nulla. Terra bruciata. I CALABRESI


25.1.2021 La denuncia di Saviano: “La mafia sta acquistando hotel a Rimini”

Secca la replica di Emma Petitti: “Nel nostro territorio esistono le sinergie per contrastare la criminalità”

La denuncia è arrivata nel corso della trasmissione “Che tempo che fa” dove, domenica sera, Roberto Saviano non ha usato mezzi termini nel sostenere come la malavita organizzata stia mettendo le mani sull’economia della Riviera e, in particolare, acquistando strutture ricettive nel riminese. Nello studio di Fabio Fazio lo scrittore ha spiegato che la nuova strategia della mafia è quella di “non chiedere soldi come per i racket ma distribuire soldi”. “La mafia si presenta con un altro imprenditore che ti vuole aiutare. Non ti chiede interessi da usura, entra con una quota minima nell’azienda. Dopo qualche mese inizia chiedere il rientro e da quel momento iniziano a portarti via l’azienda”. “A Rimini – dice Saviano – ad esempio ai gestori dei grandi alberghi che ormai erano in affanno, sono arrivati direttamente i segmenti criminali ad offrire danaro oppure proposte di acquisto. I grandi hotel sono riusciti a difendersi. Le mafie non si sono presentati con i loro soldati per minacciare gli imprenditori che non vogliono vendere ma hanno deciso di comprare spiagge, pensioni, Bed & Breakfast, li stanno drogando con i loro soldi, crescono per essere pronti per fare concorrenza agli hotel che non hanno voluto vendere”. Il messaggio è chiaro secondo Saviano: “Se non vendete noi siamo pronti a farvi concorrenza togliendovi clienti”. Secca la replica di Emma Petitti, presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, che in una nota stampa ha replicato allo scrittore spiegano che “Nei momenti di crisi la criminalità organizzata si insinua nelle situazioni di disagio. Il modus operandi è collaudato e con la pandemia in atto, per le organizzazioni malavitose è ancora più facile trovare varchi aperti. E questo, purtroppo, accade ovunque, non solo a Rimini, come ha recentemente denunciato Roberto Saviano nella trasmissione “Che tempo che fa” su Rai Tre. Certo, non ne esce una bella immagine del nostro territorio: lo scrittore ha evidenziato che le mafie, finanziando le aziende in difficoltà sostituendosi allo Stato, hanno preso di mira gli imprenditori riminesi, in particolare quelli del settore turistico. Ma non dimentichiamoci che il nostro territorio, attraverso gli enti e le istituzioni presenti, in questi anni ha affrontato il problema mettendo in campo tutti gli strumenti più opportuni. Ricordo fra tutti il protocollo per la legalità e lo sviluppo del settore turistico-alberghiero sottoscritto nel 2013 dalle associazioni di categoria, i Comuni della provincia e la Prefettura con l’obiettivo di mettere sotto la lente di ingrandimento tutti i passaggi di proprietà delle strutture turistico-ricettive. Protocollo che lo scorso mese di settembre è stato aggiornato ed esteso anche al settore delle discoteche. Nell’ottica di un lavoro sinergico, l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna e l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati alle mafie puntano a rafforzare la collaborazione con la prospettiva di sottoscrivere un Protocollo d’intesa per coordinare al meglio la gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati nel territorio regionale”. “Ne ho parlato a novembre con il direttore dell’Agenzia, il prefetto Bruno Corda – aggiunge la Petitti. – Ferma restando l’evoluzione della situazione sanitaria, è intenzione organizzare un’iniziativa ad hoc per firmare il Protocollo, in occasione della “Settimana della Legalità”. L’auspicio, è che la Regione Emilia-Romagna possa fare da apripista anche per le altre Regioni. Il Protocollo d’intesa getterà le basi per costruire un lavoro di rete tra enti locali e associazioni e potenziare i sistemi di raccolta dei dati relativi ad assegnazione, destinazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati nel territorio regionale. Il tutto è in coerenza con la legge regionale 18 del 2016 che tra le varie azioni già prevede lo scambio d’informazioni tra soggetti pubblici e privati, al fine di creare un sistema informativo delle aziende sequestrate o confiscate nel territorio, e promuove la costituzione di cooperative di lavoratori finalizzate alla gestione dei beni confiscati. Valorizzare la sinergia tra legalità e partecipazione è il punto di forza di questo progetto”. “Tutto ciò – conclude il presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna – è reso possibile grazie ad una nuova visione degli amministratori pubblici che, da un lato, non hanno negato il problema esistente, dall’altra, si sono dotati di osservatori locali in grado di valutare in modo competente, completo, sistematico le azioni di prevenzione intraprese. Grazie al testo unico regionale, sul contrasto alla criminalità organizzata, è stato possibile promuovere azioni ed interventi che integrano i diversi strumenti preventivi, a seconda dei differenti problemi da affrontare. Quel che conta per garantire efficacia alle strategie di prevenzione è infatti il mix dei diversi interventi, l’attenzione al territorio e alla sua rigenerazione, il controllo da parte delle forze di polizia, ma anche le misure di prevenzione comunitaria e sociale. I protocolli, gli interventi nelle scuole, la mappatura dei beni confiscati sono l’altra faccia della Riviera, la vera sfida delle nostre città che possono ora dar vita ad un processo stabile in grado di coinvolgere tutti gli attori in maniera consapevole. Nei giorni in cui si ricorda Leonardo Sciascia, va ricordato il suo pensiero: che la lotta alla mafia si fa nel nome del diritto, senza leggi eccezionali, senza stati di assedio e dando ai cittadini quella sicurezza che devono avere”. RIMINI TODAY

 
 

 

RISTORAZIONE E MAFIA

 
 
 
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