MAFIA e hotel, ristorazione e alimentazione

6 luglio 2023 Individuati gli hotel dove la mafia voleva coinvolgere la ‘ndrangheta nella strategia stragista


8.5.2023 Il narcotrafficante e il massone: due soci per il ristorante della ‘ndrangheta in Costa Azzurra


4.5.2023 La ‘ndrangheta e i soldi nei ristoranti di Roma: «L’obbligo di Pos ci ha fatto perdere un milione»


PERCHÉ LA MAFIA INVESTE NELLA RISTORAZIONE – INTERVISTA AD ALESSANDRA DOLCI – RESP. DDA MILANO – video


Mafia: 5mila ristoranti in mano alla criminalità

Le infiltrazioni mafiose sono particolarmente preoccupanti per la filiera agroalimentare con la ristorazione indebolita finanziariamente dal crack di 41 miliardi nel 2020 a causa delle conseguenze dell’emergenza Covid. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’ultima Relazione semestrale della Dia, sulla base dei dati Ismea. La criminalità – sottolinea la Coldiretti – è arrivata a controllare cinquemila locali con l’agroalimentare che è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone.
L’allarme contenuto nella Relazione semestrale della Dia trova particolare fondamento nella filiera agroalimentare dove – sottolinea la Coldiretti – pesa la crisi di liquidità generata dalla pandemia in molte strutture economiche che sono divenute più vulnerabili ai ricatti e all’usura Le operazioni delle Forze dell’Ordine – continua la Coldiretti – svelano gli interessi delle organizzazioni criminali nel settore agroalimentare ed in modo specifico nella ristorazione nelle sue diverse forme, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda fino alle pizzerie.
In questo modo la malavita si appropria – sottolinea la Coldiretti – di vasti comparti dell’economia green dai campi agli scaffali, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.
“Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che in questo contesto diventa più urgente l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti”. COLDIRETTI  24.2.2021


22.2.2022 – Hotel e ristoranti nel mirino della mafia: Dia e Confindustria provano a difenderli

La pandemia e la successiva crisi hanno acuito il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata. Un allarme che Italia a tavola ha più volte lanciato negli anni. Ora la Direzione investigativa antimafia e Confindustria Alberghi hanno siglato un accordo per monitorare e prevenire il fenomeno. Un segnale importante a cui si spera diano seguito altre associazioni 


“La mafia commette meno reati a Milano, ma investe in bar e ristoranti”

Le parole della coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia, Alessandra Dolci

Una mafia meno visibile e sempre più infiltrata che ricicla denaro investendolo in bar e ristoranti, soprattutto nelle periferie. Questo il quadro delineato dalla coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia, Alessandra Dolci per quanto riguarda la presenza della criminalità organizzata a Milano.
“Le mafie a Milano reinvestono molto i capitali in attività di ristorazione soprattutto nei quartieri periferici difficili come Rozzano, Comasina, Affori e Barona – le parole di Dolci durante il suo intervento sulle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico milanese,  lunedì 18 luglio, nell’aula di Palazzo Marino -. Contro queste attività è molto importante il ruolo della polizia locale. Rilevare un bar per le mafie significa marcare il territorio. Per questo motivo spesso il mafioso di turno in quel locale ci andrà spesso. Per questo l’intervento della polizia locale può essere fondamentale”, ha precisato poi Dolci.

Mafie a Milano, meno reati, più infiltrazioni

Per prevenire queste situazioni, di recente il Comune ha firmato un protocollo antimafia. “Non basterà però è un passo preciso, sono azioni concrete – ha commentato il sindaco Beppe Sala, a margine del consiglio comunale di lunedì -. Mi pare un’ottima iniziativa e un passo alla volta vedremo di gestire al meglio. La situazione non è particolarmente preoccupante ma lo può diventare anche alla luce di tanti investimenti che stanno arrivando su Milano”.
L’attenzione è alta anche per le Olimpiadi Milano Cortina: secondo Dolci per evitare infiltrazioni mafiose “serve fare un’attività di moral suasion (la persuasione morale che induce a comportamenti moralmente e socialmente corretti, ndr) per i soggetti privati coinvolti. Non possiamo imporre al privato di chiedere ogni volta la documentazione antimafia. Bisogna sensibilizzare gli operatori economici e di categoria sulle conseguenze delle infiltrazioni mafiose”.
“Negli anni ’80 a Milano c’erano più di 100 omicidi all’anno a stampo mafioso – ha spiegato Dolci – ora nel nostro contesto territoriale il numero è zero. Anche i reati spia sono in grandissimo decremento, ci sono pochissime segnalazioni, mentre nel 2015 erano un’enormità. La mafia ha cambiato volto, è diventata di stampo ‘imprenditoriale’. Questo tuttavia non vuol dire che possiamo stare sereni per quanto riguarda il nostro futuro. Esiste il grosso problema delle infiltrazioni”. MILANO TODAY  19 luglio 2022


Le mani della mafia su bar e ristoranti di Milano

La Direzione investigativa antimafia segnala un fenomeno che dalle Province, dove sono stati segnalati 25 gruppi di ‘ndrangheta, si sta diffondendo fino al cuore del capoluogo. Le mafie fanno affari riciclando il denaro sporco o prestando denaro a tassi di usura. Le associazioni chiedono di agevolare il prestito bancario, i gestori fanno rete
Le mafie vogliono prendersi i bar e ristoranti del centro di Milano. È quanto emerge dalla relazione semestrale della Dia, la Direzione investigativa antimafia in merito al primo semestre del 2021. La loro azione è già nota in Lombardia, dove sono stati segnalati 25 gruppi di ‘ndrangheta. Le associazioni criminali sembrano avere gioco facile. Approfittano del fatto che bar e ristoranti vengono da un periodo durissimo causato dall’emergenza pandemica. Molti imprenditori si trovano in difficoltà e fanno fatica a rivolgersi alle banche per accedere ai crediti. Tanti finiscono quindi per trovare i soldi altrove cadendo nelle mani di associazioni criminali che offrono crediti a prezzi di usura fino a soccombere, cedendo l’attività. Un allarme reale che Italia a tavola ha lanciato già nell’aprile di due anni fa e ha riportato a galla più volte, ma che resta per molti un tabù difficile da nominare. Da tempo le associazioni di categoria denunciano queste situazioni. Un’idea per porvi rimedio sarebbe di rendere più accessibile l’accesso al piccolo credito. Intanto baristi e ristoratori per non soccombere rispondono cercando di fare rete e diffondendo la cultura della

La Lombardia quarta per beni confiscati alla mafia

Per le associazioni criminali è facile infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale locale della Lombardia, riciclando e reinvestendo i provvedimenti illeciti. La piaga del fenomeno delle infiltrazioni mafiose nella Regione è spiegata anche dal fatto che è la quarta  per beni sequestrati e confiscati. Sono in tutto 3.256a fronte dei 4.93 della Calabria, dei 6.091 della Campania e dei 14.036 della Sicilia.
È inoltre emerso che nella Regione risultano operativi 25 gruppi di ‘ndrangheta che insistono su 28 Comuni nelle province di Milano (nelle città di Milano, Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro, Legnano), Como (a Erba, Canzo, Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco, Cermenate), Monza-Brianza (a Monza, Desio, Seregno, Lentate sul Seveso, Limbiate), Lecco (a Lecco e Calolziocorte), Brescia (a Lumezzane), Pavia (a Pavia e Voghera) e Varese (a Lonate
Per la mafia è facile fare affare nel settore della ristorazione
Il settore della ristorazione, in particolare a Milano, è fra quelli più a rischio. Molti imprenditori, in difficoltà per i due anni di emergenza pandemica sono allo stremo. I locali sono rimasti chiusi durante il lockdown e poi sono scappati i turisti e gli impiegati (a causa dello smart working). In questa situazione di crisi nera molti finiscono per rivolgersi agli strozzini che propongono prestiti a tassi di usura. Un reato di non facile e immediata rilevazione a detta degli agenti della Dia, perché molti preferiscono tacere.

I ristoratori: «Soltanto uniti potremo contrastare la criminalità»

Per Matteo Scibilia, cuoco del ristorante Piazza Repubblica di Milano e dirigente di Fipe-Confcommercio,  il problema delle infiltrazioni mafiose nei locali meneghini è risaputo. Nei grandi centri urbani viene convogliato un grande flusso di investimenti e non sempre quei soldi sono “puliti”. «Le attività di ristorazione fanno gola sotto molti aspetti alla malavita – ha spiegato –  Oggi è difficile trovare tanti soldi da investire per la propria attività. Così spesso ci si rivolge alle persone o ci si affida ai fornitori sbagliati». Per Scibilia, l’unica possibilità che hanno gli esercenti e i ristoratori per difendersi dalla piaga delle infiltrazioni mafiose è di fare numero, creando un tessuto sociale in grado di respingere le infiltrazioni mafiosi e diffondendo anche la cultura della legalità. «Il 20 aprile Confcommercio organizza la Giornata della Legalità – ha ripreso Scibilia – L’occasione servirà per fare il punto sulla situazione e trovare efficaci contromisure».

Confesercenti: «Bisogna semplificare l’accesso al credito bancario»

Per Claudio Cremonesi, direttore di Confesercenti Milano, il problema delle infiltrazioni mafiose nel territorio di una metropoli come quella meneghina è purtroppo annoso. «Da tempo le piccole imprese hanno difficoltà ad accedere al credito bancario – ha premesso – Di conseguenza provano altre strade. Si affidano ai parenti, agli amici, ai conoscenti e spesso finiscono per finire nelle mani delle associazioni criminali. Per questo chiediamo che vengano semplificate le procedure di accesso al credito bancario. Posso capire le difficoltà burocratiche legate alle grandi pratiche di credito, ma quelle di piccola entità andrebbero facilitate e sbrigate più velocemente».
Anche Apci, l’Associazione professionale cuochi italiani, consiglia ai ristoratori di rivolgersi alle associazioni. «La crisi di liquidità del comparto è un dato di fatto – ha premesso Sonia Re direttore generale di Apci – Le aziende in questo momento sono estremamente fragili. Per questo offriamo supporto e accompagnamento, anche nell’indirizzarli verso fornitori sicuri. Noi diciamo loro sempre queste parole: “Fateci sapere come vi possiamo aiutare, e noi lo faremo”. Nel frattempo la nostra associazione sta facendo leva per chiedere alle istituzioni, come la Regione, fondi, e aiuti per snellire, ad esempio le procedure burocratiche per l’accesso a finanziamenti pubblici»

L’accordo tra Dna, Dia e Confindustria Alberghi 

Nel frattempo le istituzioni e le Forze dell’ordine stanno provando a reagire. Dia, Dna (Direzione nazionale antimafia) e Confindustria Alberghi hanno  siglato un protocollo d’intesa per la tutela del settore alberghiero da rischio di infiltrazioni. In cosa consiste? Nella costituzione di un tavolo permanente per il monitoraggio dei fenomeni e la definizione degli ambiti operativi attraverso la strutturazione di un modello di raccolta e trasmissione di dati relativi ai rapporti economici in essere. Tutto con l’obiettivo di tutelare le imprese, gli operatori economici e il regolare svolgimento delle dinamiche imprenditoriali. ITALIA A TAVOLA 8.4.2022


L’ombra della mafia dietro il virus Le mani su hotel, ristoranti e bar

La pandemia non crea solo paure per la salute e l’economia, c’è il fondato rischio che la criminalità tenti di approfittare della debolezza delle aziende dell’Horeca. Lo segnala anche il ministero degli Interni che accende i riflettori sulle eventuali sommosse e sulla facilità di avere finanziamenti pubblici .

La pandemia non ha creato solo un gravissimo pericolo per salute della gente e per la tenuta dell’economia. Dietro l’angolo c’è infatti il rischio, anzi una certezza, che la criminalità possa approfittare di questa situazione per fomentare disordini sociali (in cui può fare accoliti) e, soprattutto, per mettere le mani su finanziamenti e liquidità a cui altrimenti con difficoltà potrebbe attingere. Quella che rischia di esplodere dopo il Coronavirus è una bomba sociale che potrebbe mettere in crisi quel che resta delle istituzioni e della tenuta del Paese.
C’è poco da scherzare di fronte a quella che è una “cronaca annunciata”. Mafia, ndrangheta, camorra e sacra corona unita operano da sempre in quelle che il Capo della Polizia, Franco Gabrielli, definisce le «pieghe delle criticità sociali». Per restare nel nostro mondo di riferimento, da tempo denunciamo l’infiltrazione criminale nelle produzioni agricole, soprattutto al sud, tanto che si parla di agromafia. Per non parlare del commercio, soprattutto con bar e ristoranti che cambiavano gestione nell’ordine del 15% ogni 3 anni: sono luoghi dove si faceva riciclo di denaro sporco, nonché “luoghi protetti” per incontri fra gli aderenti dei vari clan.
E oggi, con la prevedibile non riapertura di alcuni locali, è assai probabile che la mafia tenti il colpaccio di rafforzare un suo già insopportabile peso rilevando gestioni e affitti per pochi euro. Il tutto, usufruendo magari delle forse un po’ troppe larghe maglie con cui il Governo ha lasciato alle sole banche (dove la discrezionalità in alcuni casi è al limite del lecito) di concedere o meno finanziamenti praticamente illimitati ad ogni impresa. Cosa che a volte i politici sembrano non avere presente quando con foga degna di altri momenti chiedono di dare soldi a tutti. Dai 5 Stelle che vogliono il reddito di emergenza per tutti alla Meloni che propone 1000 euro a tutti, sembra che nessuno valuti che è difficile scremare fra chi ne avrebbe davvero bisogno e chi se ne approfitta e magari è anche un criminale. Senza contare che in caso di finanziamenti pubblici la mafia è la prima ad ottenerli e, come è sua abitudine, al momento di rimborsare eventuali prestiti non ci ha mai pensato due volte a mettere in fallimento la società, con l’aggravante che in questo caso tutto l’onere ricadrebbe sullo Stato, e quindi su noi contribuenti onesti.
Allarme ingiustificato? Mica tanto se si pensa che è lo Stato ad avere il timore che il contesto «economico finanziario risulta appetibile»: i mafiosi lo stanno già pensando da un pezzo. L’obiettivo «di reinvestire flussi significativi di capitali in diversi segmenti del tessuto produttivo e finanziario» sarà, a breve, a portata di mano dei criminali. Una situazione che era già ampiamente diffusa prima grazie alla collusione fra criminali, burocrati e politici. Pensiamo solo allo scandalo di qualche anno fa per la presenza della ndrangheta addirittura nella gestione dei negozi del palazzo della Regione Lombardia a Milano.  
Nella trappola economico-finanziaria criminale rischiano di cadere quindi il comparto turistico alberghiero e della ristorazione, ma anche il controllo dei settori della distribuzione al dettaglio e della piccola e media impresa. Elenco, con ogni probabilità, approssimato per difetto. Non siamo noi a dirlo ma il ministero dell’Interno. Ma il campo è ovviamente più ampio di quello solo legato all’Horeca. Oggi la criminalità si sta infiltrando anche nelle infrastrutture sanitarie e nella conseguente gestione di approvvigionamenti specie di materiale medico.
Purtroppo dobbiamo ricordarci che la mafia ha sempre saputo adeguarsi puntualmente a ogni trasformazione sociale, economia, geo-politica. Sempre secondo il Viminale si è adattata alle nuove piattaforme tecnologiche e comunicative, così come alla «new economy» e ai «diversi scenari finanziari, nascondendosi dietro società apparentemente pulite».
E cosa potrebbe succedere, visto anche il pessimo livello di molti apparati burocratici dello Stato, lo rileva “La Repubblica” con un servizio in cui spiega come, in nome dell’emergenza, in Calabria un panificio interdetto per mafia ha potuto riaprire i battenti su disposizione del Tar, mentre un boss pluricondannato va ai domiciliari per il rischio contrarre il Covid-19. Che poi questo avvenga nella regione che ha un bassissimo numero di contagiati e dove si sopporta in silenzio, o quasi, che ci siano ospedali dove medici e infermieri si sono messi in malattia per non assistere i malati… davvero dovrebbe fare riflettere. ITALIA A TAVOLA 7.4.2021


Le mani delle mafie in aziende, bar e ristoranti: nell’anno della pandemia boom di interdittive e strani passaggi societari

Nello stesso arco di tempo sono cresciuti di quasi il 10 per cento le interdittive antimafia: tra marzo 2020 e febbraio 2021 sono state 902 le interdittive e tra queste 479 società avevano registrato variazioni societarie (il 53 per cento). Nel dettaglio è la ‘ndrangheta a fare la parte del leone, da sola ha portato a quasi 267 interdittive con variazioni societarie imposte dall’associazione criminale, seguita dalla Camorra con 105 interdittive, da Cosa nostra con 70 interdittive e dalla Sacra corona unità con 35 provvedimenti.  Sul fronte delle variazioni societarie anomale, e segnalate dagli organi inquirenti, in testa a livello regionale c’è la Calabria (71) seguita da Lombardia (68), Campania (68), Sicilia (63) ed Emilia Romagna (42).
Dati che dimostrano come nell’anno della pandemia le organizzazioni criminali abbiano rafforzato il loro potere. Non a caso mentre tutti i reati tra il 2019 e il 2020 sono in calo, per effetto dei e dei maggiori controlli sul territorio, l‘unico reato che insieme alle truffe cresce e cresce più di tutti è quello dell’usura, con un più 16 per cento. Anche qui nel mirino soprattutto piccole aziende, bar e ristoranti.
«Il Viminale sta lavorando da più di un anno per rafforzare il cordone di sicurezza intorno alle aziende e alle attività economiche che – dice la ministra Luciana Lamorgese – proprio in questa fase di riaperture ma anche di persistente vulnerabilità finanziaria dovuta a una crisi senza precedenti, sono insidiate su più fronti dalla strategia di espansione delle mafie».
«I report periodici dell’Organismo permanente di monitoraggio ed analisi sul rischio di infiltrazioni nell’economia da parte della criminalità di tipo mafioso – che ho voluto insediare già nella primavera del 2020 – ci consentono di sfruttare al meglio una rete di sensori diffusa in tutto il Paese. In particolare, l’ultimo rapporto, il quinto, accende un faro sul fenomeno delle variazioni societarie durante la pandemia come possibili indizi di contaminazioni, fornendo un indispensabile strumento di analisi per prevenire i tentativi di alterazione del mercato, di inquinamento del tessuto economico e di condizionamento degli appalti e delle gare pubbliche», conclude  Lamorgese a margine del quinto report diffuso dall’Organismo permanente, presieduto dal prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore generale della Pubblica sicurezza.


Mafia: dai polli ai supermarket business da 24,5 mld

Dai polli ai supermercati l’agroalimentare è diventato un settore prioritario di investimento della malavita con un business criminale che ha superato i 24,5 miliardi di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’inchiesta dei carabinieri della Compagnia di Misilmeri e del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Palermo che ha disarticolato i vertici di un clan mafioso che aveva preso di mira l’alimentare, dal settore avicolo alla grande distribuzione.
La malavita comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché – sottolinea la Coldiretti – consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana delle persone. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – continua la Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy.
Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie impongono l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti, o la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie – continua la Coldiretti – alle disponibilità di capitali.
Un fenomeno che –conclude Coldiretti – minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti del caro prezzi provocato dalla guerra che potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari.

COLDIRETTI – 19.maggio.2022


Mafia: dal Whiskey “Cosa Nostra” al caffè Mafiozzo è scandalo

Dal whiskey “Cosa nostra” con tanto di bottiglia a forma di mitra al vino Talha Mafia fino al caffè Mafiozzo ma anche il condimento sale e pepe Two Pig Mafia è allarme “mafia style” per l’agroalimentare italiano con milioni di euro di giro d’affari generati dall’uso di nomi legati alla criminalità. A denunciarlo sono Coldiretti e Filiera Italia che con imprese, cittadini e istituzioni scendono in piazza a Palermo dove è stata esposta per la prima volta un’inquietante “collezione” dei più scandalosi prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di malavita organizzata più odiose, sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell’immagine del Paese. 

Dalla Scozia arriva il whiskey “Cosa Nostra” in una bottiglia a forma del caratteristico mitra con caricatore a tamburo degli anni di Al Capone e Lucky Luciano – spiega la Coldiretti -, mentre in Portogallo si beve vino Talha Mafia “Pistol” con tanto di macchia di sangue stilizzata sulla confezione bag in box da 3 litri.  In Germania si produce il Mafia Coffee Rub Don Marco’s, un condimento per la carne arrosto, come il PorkMafia Texas Gold che non viene però dagli Usa bensì dalla Finlandia.

In Bulgaria si beve il caffè “Mafiozzo” – denuncia Coldiretti – stile italiano, invece gli snack “Chilli Mafia” si possono comprare in Gran Bretagna, mentre in Germania si trovano le spezie “Palermo Mafia shooting”, a Bruxelles c’è la salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e la “SauceMaffioso”, mentre in America, nel Missouri, si vende la salsa “Wicked Cosa Nostra”. In terra tedesca – continua Coldiretti – si beve anche il “Fernet Mafiosi”, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola, sotto la scritta “Stop!”.

Ma c’è anche il vino Syrah “Il Padrino” prodotto nella Santa Maria Valley California da Paul Late “For those who dare to feel” (per quelli che osano sentirsi). Su internet – continua la Coldiretti – è poi possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook” o comprare caramelle sul portale www.candymafia.com.

Una galleria degli orrori che colpisce il vero Made in Italy realizzato grazie all’impegno di centinaia di migliaia di imprenditori onesti che tutti i giorni lavorano per offrire prodotti di altissima qualità come al Villaggio della Coldiretti di Palermo dove nel weekend è possibile toccare con mano i primati dell’agroalimentare nazionale tra le aziende agricole, le imprese di eccellenza di filiera Italia e i cuochi contadini.

Al gravissimo danno di immagine del Mafia Marketing si aggiunge la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy in una situazione in cui la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italiani solo nell’agroalimentare ha ormai superato i 120 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni, e che costa all’Italia trecentomila posti di lavoro, secondo una analisi della Coldiretti. Si tratta di danni economici e di immagine soprattutto nei mercati emergenti dove – rileva la Coldiretti – spesso il falso è più diffuso del vero e condiziona quindi negativamente le aspettative dei consumatori.

“Lo sfruttamento di nomi che richiamano la mafia è un business che provoca un pesante danno di immagine al Made in Italy sfruttando – conclude Ettore Prandini Presidente della Coldiretti – gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, banalizzando fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto il Paese”. Coldiretti 2.12.2022


‘Ndrangheta: dal pesce ai dolci business

Dal pesce alla pasticceria l’agroalimentare è diventato un settore prioritario di investimento della malavita con un business criminale che ha superato i 24,5 miliardi di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’operazione della Direzione Investigativa Antimafia per l’esecuzione di un’ordinanza cautelare del gip di Roma su richiesta della Dda romana nei confronti di persone accusate di far parte di una locale di ‘ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche nel settore agroalimentare, dall’ittico alla pasticceria.La criminalità comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché – continua la Coldiretti – consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – precisa la Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie impongono l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti, o la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie – conclude la Coldiretti – alle disponibilità di capitali. COLDIRETTI  12 maggio 2022


Mafia: mani Stidda su ortofrutta fanno triplicare prezzi

L’ortofrutta è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi arrivano a triplicare dal campo alla tavola anche per effetto delle infiltrazioni della malavita che soffoca l’imprenditoria onesta e distrugge la concorrenza e il libero mercato. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare le significative infiltrazioni di Cosa nostra e della Stidda nelle attività economiche confermate dall’operazione antimafia del Ros che hanno evidenziato la gestione delle mediazione commerciali per la vendita di uva e di altri prodotti ortofrutticoli che rendeva il 3% sulle transazioni per milioni di euro. Così facendo la criminalità non solo si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – sottolinea la Coldiretti – compromette la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy. KsLe mafie – continua Coldiretti – operano attraverso furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, abigeato, estorsioni, o con il cosiddetto pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, caporalato e truffe nei confronti dell’Unione europea. Ma – precisa Coldiretti – viene condizionato anche il mercato della compravendita di terreni e della intermediazione e commercializzazione degli alimenti stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati e ristoranti sviluppando un business criminale stimato – riferisce la Coldiretti – in oltre 24,5 miliardi di euro dall’Osservatorio Agromafie. “Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolosa la criminalità nell’agroalimentare che per questo va perseguite con la revisione delle leggi sui reati alimentari elaborata da Giancarlo Caselli nell’ambito dell’Osservatorio agromafie promosso dalla Coldiretti per introdurre nuovi sistemi di indagine e un aggiornamento delle norme penali”.  COLDIRETTI 2.2.2021


Mafia, il direttore della Dia: “A Milano la ‘ndrangheta ricicla milioni coi ristoranti. Anche la Toscana è a rischio infiltrazione”

 
Questa benedetta linea della palma, che Sciascia nel ’61 descrive dicendo che è oltre Roma, io l’ho vista ratificata qualche mese fa a Milano”, ha detto Giuseppe Governale, citando la famosa la metafora del grande scrittore siciliano sulla penetrazione della mafia al Nord
di F. Q. | 10 OTTOBRE 2019
A Milano continuano ad aprire nuovi ristoranti, nonostante rimangano vuoti. Il motivo? Servono a riciclare i soldi della ‘ndrangheta. Lo ha spiegato Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia, intervenendo alla cerimonia per la firma di un protocollo contro le infiltrazioni mafiose a Firenze. “Questa benedetta linea della palma, che Sciascia nel ’61 descrive dicendo che è oltre Roma, io l’ho vista ratificata qualche mese fa a Milano“, ha detto Governale, citando la famosa la metafora del grande scrittore siciliano sulla penetrazione della mafia al Nord.
Con una battuta Governale ha spiegato che la linea della palma è salita a Milano non tanto “perché in piazza Duomo hanno messo le palme”, ma perché “il procuratore della Repubblica di Milano mi dice che nel 2018 rispetto al 2017 i ristoranti sono aperti con il +38%. Sono pieni? Sono vuoti, ma se la ‘ndrangheta oggi ha 100 milioni di euro da mettere sul piatto, mette in preventivo anche di perderne 50, perché trasforma 100 milioni di euro in nero in 50 milioni di euro che può riuscire a giustificare“.
E sempre a proposito di infilitrazione delle associazioni criminali al Nord, Governale ha definito ‘un rischio che si misura in termini di probabilità”, l’arrivo delle mafie in Toscana. “Brescello – ha ricordato – è distante da Firenze 194 chilometri, Palermo è distante da Catania 210 chilometri: e a Brescello sappiamo cos’è successo, un’infiltrazione rilevante della ‘ndrangheta che è riuscita perfino a disarticolare gli equilibri di compagini di amministrazione locale, approfittando della disattenzione”.
Parlando più in generale della presenza delle mafie, Governale ha invece citato le motivazioni della condanna a 14 anni di Antonello Montante, ex paladino dell’antimafia negli anni al vertice di Confindustria Sicilia. “Stamattina gli organi di stampa parlavano, a proposito di una sentenza che è appena uscita, della mafia trasparente: la mafia oggi è trasparente, com’era prima, negli anni ’60-70 in cui si diceva che la mafia non esisteva, lo si diceva a Palermo, perché era trasparente”. Ma non era trasparente. “Poi abbiamo visto – ha detto ancora Governale – che la mafia è presente: certamente non si presenterà mai con la lupara e la coppola, oggi si presenta con professionisti che hanno abiti firmati da 2000 euro, con belle scarpe, suadenti, con un bel pò di soldi, e le aziende che sono in difficoltà subiscono questo fascino, a volte ingenuamente, a volte perché il denaro non profuma”.

Camorra: mani delle cosche sull’agroalimentare 

Mettendo le mani sulle forniture alimentari la malavita si infiltra in modo capillare nella società civile, condizionando la via quotidiana della persone e affermando il proprio controllo sul territorio con il business delle agromafie che ha superato il valore di 24,5 miliardi di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’inchiesta dei carabinieri e della polizia penitenziaria, coordinata dalla Procura di Napoli che ha al centro la compagine dei Casalesi e Filippo Capaldo, nipote del boss Michele Zagaria ed i loro affari nel settore della distribuzione alimentare.

Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie impongono la vendita di determinate prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente grazie alle disponibilità di capitali ottenuti con il commercio della droga. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – continua la Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani passando per alcuni grandi mercati di scambio fino alla grande distribuzione. Ma – continua Coldiretti – viene condizionata a commercializzazione degli alimenti stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati e della ristorazione, “Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolosa la criminalità nell’agroalimentare che per questo va perseguite con la revisione delle leggi sui reati alimentari elaborata da Giancarlo Caselli nell’ambito dell’Osservatorio agromafie promosso dalla Coldiretti per introdurre nuovi sistemi di indagine e un aggiornamento delle norme penali”.  COLDIRETTI 22.1.2021


Il mafia sounding a tavola è un business milionario

Quello del mafia sounding a tavola è un business milionario che si estende dai ristoranti ai prodotti, dal caffè “Mafiozzo” stile italiano dalla Bulgaria agli snack “Chilli Mafia” della Gran Bretagna, dalle spezie “Palermo Mafia shooting” della Germania fino alla salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e quella “SauceMaffioso” per la pasta scovate a Bruxelles nella Capitale d’Europa.  È quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’apertura di un ristorantino nella capitale francese che si chiama “Corleone by Lucia Riina”. Oltre al caso eclatante della catena di ristoranti spagnoli “La Mafia” (“La Mafia se sienta ala mesa”) in tutto il mondo – sottolinea la Coldiretti – dal Messico a Sharm El Sheik, dal Minnesota alla Macedonia si trovano ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra” mentre a Phuket in Thailandia c’è addirittura un servizio take-away. Ma nei diversi continenti ci sono anche i locali Ai Mafiosi”, “Bella Mafia” e “Mafia Pizza”. E su internet – continua la Coldiretti – è possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook”, comprare caramelle sul portale www.candymafia.com o ricevere i consigli di mamamafiosa (www.mamamafiosa.com) con sottofondo musicale a tema. Si tratta di un business che provoca un pesante danno di immagine al Made in italy sfruttando – conclude la Coldiretti – gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, banalizzando fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto lo Stivale” Coldiretti 9.12.2019


Mafia, le mani della cupola nel piatto per 21,8 mld

Dalle aziende agricole alla grande distribuzione fino ai ristoranti le mani della Cupola nel piatto degli italiani fanno affari per 21,8 miliardi di euro con attività che riguardano l’intera filiera del cibo e impattano sui prezzi e sulla sicurezza alimentare. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare positivamente l’indagine della dda di Palermo che ha disposto il fermo di 46 persone tra cui il nuovo capo dell’organizzazione.
L’interesse della Cupola per l’agroalimentare è confermato dal fatto che tra i 399 provvedimenti interdittivi adottati dalle nove prefetture siciliane negli anni 2017 e 2018 emerge – sottolinea la Coldiretti – la presenza significativa della mafia nel settore agroalimentare dalle corse dei cavalli alla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, dalle attività agro pastorali per l’acquisizione di finanziamenti europei all’eolico e le relative attività di progettazione e la gestione delle acque, dalla grande distribuzione di merci all’ingrosso al settore vitivinicolo, cantine e impianti di trasformazione dei prodotti enologici dell’agricoltura.
Le mafie – spiega la Coldiretti – condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. In questo modo la malavita si appropria – conclude la Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy. Coldiretti 4.12.2018


Mafia: Coldiretti/Eurispes, da riina a casalesi le cosche a tavola

Mozzarella di bufala, extravergine, arance, pane, pizza fino ai ristoranti

Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola mettendo le mani sui prodotti simbolo del Made in Italy. E’ quanto afferma la Coldiretti che, in occasione della presentazione a Roma del quinto rapporto #Agromafie2017 sui crimini agroalimentari in Italia, elaborato assieme ad Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ha allestito una “tavola delle cosche” con i prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan mafiosi, camorristici e ‘ndranghetisti. Solo nell’ultimo anno – ricorda Coldiretti – le forze dell’ordine hanno messo a segno diverse operazioni contro le attività della malavita organizzata, con arresti, sequestri e confische contro personaggi di primissimo piano della mafia che hanno deciso di investire ed appropriarsi – sottolinea la Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato è la moltiplicazione dei prezzi che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, ma anche pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero se non rischi per la salute. Nel febbraio scorso i Carabinieri del Ros – rileva Coldiretti – hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di ‘ndrangheta Piromalli che controllava la produzione e le esportazioni di arance, mandarini e limoni verso gli Stati Uniti, oltre a quelle di olio attraverso una rete di società e cooperative. Nello stesso mese ancora gli uomini dell’Arma hanno confiscato 4 società siciliane operanti nel settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello. Attraverso la gestione occulta di oleifici e aziende, intestate a prestanome, il boss era in grado di monopolizzare il remunerativo mercato olivicolo. Sempre agli inizi di febbraio i carabinieri hanno arrestato Walter Schiavone, figlio capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone. L’accusa – spiega la Coldiretti – è di imporre la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe a distributori casertani e campani, ma anche in altre parti d’Italia, come in Calabria. A novembre 2016 è la Dia a mettere a segno il sequestro dei beni di un imprenditore dei trasporti siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme al fratello di Totò Riina, Gaetano, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura da Roma in giù, grazie anche al controllo del grande mercato di Fondi, nell’agro-pontino. A giugno la Guardia di Finanza mette a segno un blitz – continua la Coldiretti – contro il clan camorristico Lo Russo. La cosca aveva il monopolio della distribuzione di pane e l’imposizione del prezzo di vendita, a grossi supermercati, a botteghe e agli ambulanti domenicali della zona. Non c’è pace neppure nel centro della Capitale dove a maggio 2016 i carabinieri sequestrano beni per 80 milioni di euro tra i quali bar, ristoranti, pizzerie a quattro imprenditori, ritenuti coinvolti in traffici gestiti dalla camorra napoletana. Tutti i locali si trovano nel “salotto buono” di Roma, dalla zona di piazza Navona a quelle cosiddette “bene”. Pochi giorni prima, ad aprile – continua la Coldiretti – le fiamme gialle sequestrano beni per 33 milioni alla cosca di ‘ndrangheta Labate. L’organizzazione criminale aveva il controllo del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio della carne. “Di fronte a questa escalation senza un adeguato apparato di regole penali e di strumenti in grado di rafforzare l’apparato investigativo, l’enorme sforzo messo a punto dalla macchina dei controlli apparirà sempre insufficiente” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “bisogna, al più presto, portare all’esame del Parlamento o valutare l’ipotesi di una decretazione di urgenza, riguardo al testo della Commissione Caselli di Riforma dei reati agroalimentari per accendere il semaforo rosso alla rete criminale che avvolge da Nord a Sud tutte le filiere agroalimentari”.Coldiretti. 14.3.2017


Commercio: l’assalto della criminalità organizzata a bar e ristoranti

In città aprono due esercizi commerciali ogni tre giorni: dietro il boom l’ombra della criminalità organizzata. Con un’apia inchiesta Il Corriere Della Sera apre uno squarcio su un fenomeno grave. L’impero criminale si siede a tavola e investe, sempre di più, nel modo della ristorazione. Lo provano decine di inchieste della magistratura, i sequestri disposti come misura di prevenzione e, di recente, una nuova arma antimafia: la sospensione della Scia, l’equivalente della vecchia licenza. A Milano, motore economico del Paese, lo dimostra anche l’incredibile fioritura di nuovi locali, che in città sbocciano alla velocità di due inaugurazioni ogni tre giorni. Un ritmo che secondo gli inquirenti è accelerato dai milioni della criminalità organizzata. Una volta bar e ristoranti erano soltanto lavanderie per denaro sporco. Oggi per la mafia rappresentano anche la scintilla di uno scatto evolutivo, la proiezione verso nuovi affari e nuovi contatti. “I ristoranti alla moda servono per creare quella rete relazionale che arricchisce il patrimonio di un’associazione criminale con personaggi famosi, sportivi, nomi da spendere”, spiega Alessandra Dolci, capo della Dda di Milano. Il settore in città cresce del 6 per cento ogni anno (nel 2017 7.333 bar, gelaterie e ristoranti contro i 6.911 dell’anno precedente) e addirittura del 35 per cento rispetto al 2011 (dati Camera di Commercio). Per gli inquirenti, tra i tantissimi imprenditori onesti, si celano personaggi legati a vario titolo con il crimine organizzato. Che trasformano il frutto delle attività illegali in casse di riciclaggio, ma anche in vetrine del nuovo potere di relazione, l’antistato mafioso che si è fatto impresa. In città sono cinque i locali che sono stati chiusi negli ultimi mesi. Il caso più eclatante riguarda il ristorante gourmet Unico di via Achille Papa. In questo caso a pesare sono i rapporti tra uno dei proprietari, Massimiliano Ficarra e uomini della potente cosca Piromalli-Molé di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Il locale ha riaperto i battenti dopo che il Tar ha accettato la richiesta di sospensiva avanzata dai legali. Ma si attende ancora una decisione nel merito. Dietro il provvedimento, non c’è nulla di penalmente rilevante (anche se a carico di Ficarra c’è un sequestro che deriva da un’altra indagine su questioni finanziarie), ciò che è in discussione sono i «requisiti morali» costati la revoca della «Scia» da parte del Comune di Milano dopo l’istruttoria della Dia e l’emissione dell’interdittiva Antimafia da parte del prefetto Luciana Lamorgese. Tutto si basa sulla sentenza 565 del 2017 del Consiglio di Stato che ha stabilito come gli accertamenti antimafia un tempo necessari solo in caso di appalti con la pubblica amministrazione vadano invece estesi a tutti i provvedimenti che prevedano un rapporto di qualsiasi tipo con organi dello Stato. Compresa l’emissione di una Scia che di fatto ha sostituito le vecchie licenze per i pubblici esercizi. Sono una cinquantina i provvedimenti sul tavolo del prefetto e ancora non firmati. Dopo “Unico” è scattata la chiusura per altri tre locali, tutti in qualche modo legati agli stessi “soci sospetti”, ossia Francesco Palamara nipote dello storico boss di Africo in provincia di Reggio Calabria “Peppe ‘u tiradrittu”, Aurelio Modaffari considerato vicino alla cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti e Davide Lombardo, coinvolto in una inchiesta sul narcotraffico e con un passato di frequentazioni con uomini della cosca Barbaro-Papalia. Si tratta del bar Gio & Cate café di viale Molino della Armi, della rosticceria notturna Ballarò di piazza 25 Aprile e del locale Dom di corso Como. Tutte vetrine nel centro di Milano e nel cuore della movida. È invece un strettissimo legame familiare ad aver portato ai primi di luglio alla chiusura del bar Pancaffé di via Lodovico il Moro, 159, lungo il Naviglio Grande. Il locale è infatti intestato alla moglie e alla figlia del boss della ‘ndrangheta Rocco Papalia, scarcerato un anno fa dopo 26 anni di carcere e oggi rinchiuso in una casa lavoro a Vasto (Chieti). L’ultima chiusura in ordine di tempo riguarda la pizzeria Frijenno Magnanno di via Benedetto Marcello, un locale molto noto in città, a causa dei presunti rapporti tra il marito della titolare e il clan Guida di Napoli.
AFFARI ITALIANI 14.2.2023


Mafia: agribusiness da 24,5 mld, da pecore a ristoranti

Dall’agricoltura all’allevamento, dalla distribuzione alimentare alla ristorazione, il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a 24,5 miliardi di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare il sequestro di un gregge di 550 pecore da parte della polizia a Gela. La criminalità organizzata in agricoltura – sottolinea la Coldiretti – opera attraverso furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, abigeato, estorsioni, o con il cosiddetto pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, truffe nei confronti dell’Unione europea e caporalato.  Le mafie – denuncia la Coldiretti (www.coldiretti.it) – condizionano anche il mercato della compravendita di terreni e della commercializzazione degli alimenti stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. In questo modo la malavita si appropria – sottolinea la Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy. Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che  “le agromafie vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate dall’apposita commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti”. Coldiretti 16.12.2019


Mafia: dai campi ai supermarket business da 24,5 mld

Dai campi ai supermercati l’agroalimentare è diventato un settore prioritario dio investimento della malavita con un business criminale che ha superato i 24,5 miliardi di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento al sequestro di un patrimonio di 150 milioni di euro nel settore della grande distribuzione alimentare effettuato dal Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda). La malavita comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché – sottolinea la Coldiretti – consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – continua la Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie impongono l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti, o la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie – continua la Coldiretti – alle disponibilità di capitali. Un fenomeno che minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti della pandemia Covid che potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari. “Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie”. COLDIRETTI 18.2.2021



 

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