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Antimafia, dopo gli scontri del 23 maggio si apre il “cantiere” per 19 luglio. La Cgil: “A Palermo non c’è margine per compromessi”
Mafia, lettera aperta dei docenti: “La censura del corteo di Palermo una ferita alla Costituzione e alla scuola”
Siamo docenti che fanno attività educativa antimafia nel contesto del No Mafia Memorial e in molti altri ambiti. Giornalmente ci battiamo affinché i nostri giovani maturino un pensiero critico e autonomo ed esercitino la libertà di espressione nel rispetto della diversità di opinioni.
Esprimiamo il nostro totale sdegno e disappunto per il maldestro tentativo politico che ha costretto le forze di polizia ad intervenire contro gruppi e associazioni che in maniera pacifica, e con semplici creazioni satiriche hanno provato a far riflettere su alcuni comportamenti politici. Immaginiamo facilmente che a nessuno piaccia essere criticato, ma una classe politica che non affronti il libero diritto alla critica da parte dei propri cittadini, non possiede la maturità necessaria per guidare una comunità sia essa locale, regionale o nazionale. Questo tipo di censura esercitata il 23 maggio 2023, decostruisce la partecipazione e lo stesso senso della cittadinanza che la scuola italiana coltiva seguendo la Costituzione, e immagina una comunità divisa in tifosi di chi governa “contro” tifosi di chi ha idee diverse, spaccando in due una società civile che deve concorrere allo stesso obiettivo: combattere la mafia e chi l’accetta direttamente o indirettamente nelle sue forme culturali, politiche, produttive, valoriali.
Da educatori chiediamo alle autorità che si sono assunte la responsabilità di inviare le forze di polizia contro i manifestanti antimafia invece che contro i delinquenti reali, di riflettere su quanto accaduto, evitando, in ogni modo e per amore del nostro Paese, che i fatti del 23 maggio divengano l’inizio di una nuova fase in cui il diritto a manifestare il proprio pensiero sia solo riservato ad una parte.
I giovani che hanno trovato la loro strada sbarrata non hanno ben compreso perché lo Stato li abbia considerati non come la cura per cambiare e sradicare la società ancora mafiogena in cui viviamo, ma come la malattia da trattare con durezza perché pericolosa per la stessa classe politica. Questo può generare in loro un senso di frustrazione che potrebbe inasprire il conflitto e indebolire la partecipazione non-violenta alla vita civile. Se c’è un nemico che dobbiamo combattere non è il pluralismo dentro la società civile, ma la presenza di sacche di mafiosità diffuse dentro un Paese che non riesce a investire le proprie risorse ed energie migliori contro il suo vero nemico: la mafia e i suoi intermediari, sempre pronti a tradire la propria comunità in nome di interessi loschi e criminali.
Tutti sappiamo che l’unico modo per sconfiggere le mafie, soprattutto in questa nuova fase di infiltrazione “sommersa”, è far crescere la consapevolezza dei valori di democrazia e il rispetto delle leggi e delle altre persone della comunità. Queste consapevolezze devono crescere a cominciare dall’educazione e in tutte le regioni del Paese perché le infiltrazioni delle mafie non hanno limiti geografici. Bisogna che il sistema educativo e le istituzioni riparino a ferite come quelle del 23 maggio e costruiscano spazi di vera partecipazione.
La libertà di espressione del proprio pensiero è il centro di tali valori ed è ciò che storicamente – dopo i fatti più tragici della nostra storia – ha consentito il superamento delle omertà e della paure e ha dato al Paese tanti risultati nella lotta alle mafie. Su questo non si può tornare indietro.
Il ricordo della strage del 23 maggio è sempre stato vissuto dalla città – con ragazzi e ragazze in prima linea – come uno spazio finalmente liberato dallo strapotere delle mafie, dopo gli anni terribili delle stragi. Uno spazio non solo di commemorazione, ma anche di gioia e di entusiasmo per tutto quello che ancora le nuove generazioni possono immaginare e costruire. Vedere le istituzioni che impediscono ai giovani di esprimere le loro idee ci addolora e ci fa sentire traditi.
Ferdinando Siringo, Fabio D’Agati, Mario Valentini, Renata Colomba, Rosaria Melilli, Anna Maria Balistreri, Antonella Sannasardo, Viviana Conti, Valeria Prezzemolo, Ida Pidone, Isabella Albanese, Rosaria Cascio, Mirella Buttitta, Carmela Di Benedetto, Riccardo Caramanna, Grazia Rita Luparello, Lorenzo Palumbo, Carlo Baiamonte, Teresa Vasi, Rosa De Caro, Erika Li Volsi, Elvira Rosa, Giulia Cordone, Maria Rosalia Miosi, Antonietta Troina, Gloria Patti, Patrizia Monterosso, Lidia Mulé, Elena Scalici Gesolfo, Antonia Neri, Silvia Emma, Giuseppe Messineo, Gabriella Fiore, Pietro Giammellaro, Chiara Buccheri, Maria Teresa Montesanto, Marta Clemente, Nino Termotto, Lia Valenza, Daniele Tomaselli, Paola Visconti, Rosana Rizzo, Marisa Cuffaro, Dario Librizzi, Giovanni Puma, Maurizio Carollo, Antonella Caronia, Gianpiero Tre Re, Adriana Saieva, Emilia Nicosia, Nino Rocca, Roberto Lopes, Benita Vasi, Antonella D’Anna, Augusto Cavadi, Valeria Accetta, Orietta Sansone, Rossana Maragioglio, Caterina Ferro, Claudia Vassallo, Giovanna Somma, Nicoletta Scapparone, Andrea Inzerillo, Chiara Amoruso, Raffaella Plaja, Ignazio Librizzi, Marisa Burrascano, Vito Pecoraro, Giusi Vitale, Giuseppina Salerno, Maria Palumbo, Clelia Lombardo, Anna Maria Catalano, Daniela Musumeci, Marina Sferruzza, Paola Miano.
Il “Coordinamento 23 maggio”, in riferimento ai fatti di ieri 23 maggio 2023.
- Il comunicato della Questura ricostruisce parzialmente e forzatamente la vicenda determinatasi ieri nel corso della manifestazione del 31° anniversario della strage di Capaci. Per evitare equivoci, premettiamo che non vi è nulla di più falso che affermare che il “corteo non è stato autorizzato”. Segue, per ciò, la ricostruzione dei fatti punto per punto:
- 1. La prima comunicazione ufficiale del corteo è avvenuta tramite PEC in data 05 aprile 2023, all’interno della quale vi era scritto il percorso del corteo che sarebbe salito “presso Via Emanuele Notarbartolo in direzione dell’Albero Falcone fermandosi all’incrocio di Via Emanuele Notarbartolo e Via Giacomo Leopardi”
- 2. In data 16 maggio 2023, inoltre, sempre tramite PEC, abbiamo specificato il tipo di amplificazione dell’impianto audio e abbiamo comunicato che vi sarebbe stato anche un Fiorino nel mezzo del corteo, sul quale sarebbe stata installata “una scenografia artistica (un quadro) di dimensioni: 2×1,5m”
- 3. In data 17 maggio 2023 un nostro portavoce è stato convocato in Questura per sottoscrivere la PEC inerente al Fiorino con l’aggiunta del seguente accordo scritto a mano: “Il Fiorino targato G*****K svolterà in Via Notarbartolo e si allontanerà imboccando la Via Petrarca al termine del corteo”.
- 4. In data 22 maggio 2023, alle ore 11:30 (c/a), due nostri referenti sono stati convocati in Questura per confermare alcuni dettagli logistici del corteo già concordati tramite PEC. Un incontro formale in cui da parte della Questura non vi era alcun ostacolo al corteo o problema da questionare.
- 5. Sempre in data 22 maggio 2023, alle ore 13:00 c/a, siamo stati nuovamente convocati dalla Questura – questa volta d’urgenza – per parlare di una “questione”. Durante il colloquio in Questura ci è stato riferito che era giunta un’ordinanza del Prefetto che confermava l’autorizzazione del corteo prescrivendo però che doveva “concludersi entro le ore 17.30 in Via Duca della Verdura prima dell’incrocio con Via Libertà altezza Piazza Alberico Gentili”. Una comunicazione che ha modificato la destinazione del corteo a sole 24 ore dalla manifestazione.
- 6. Solo nella giornata di ieri, intorno alle 13:00, abbiamo ricevuto l’ordinanza del Questore con cui si prescriveva – tra le altre cose – il cambio della conclusione del corteo.
- 7. Successivamente, alle ore 16:45 c/a, durante la tappa del corteo in Piazza Castelnuovo alcuni funzionari della Questura di Palermo ci hanno comunicato che vi erano nuove disposizioni all’ultimo minuto in vista delle quali abbiamo concordato di addivenire alle richieste delle forze dell’ordine. Ovvero di interrompere il corteo, all’incrocio tra Via Libertà e via Notarbartolo; di spegnimento l’amplificazione e di posizionare il Fiorino che trasportava la riproduzione di una opera satirica in coda al corteo. Quindi, rispettare l’ordinanza della Questura. L’accordo prevedeva comunque di dare la possibilità ai manifestanti di proseguire e defluire liberamente lungo Via Notarbartolo, senza prevedere dunque uno sbarramento di Polizia.
- 8. Una volta giunti all’incrocio tra Via Libertà e Via Notarbartolo abbiamo concluso il corteo con un discorso al microfono, riponendo il carretto con l’amplificazione in un angolo e spegnendo il gruppo elettrogeno e l’impianto.
- 𝗣𝗥𝗢𝗠𝗢𝗧𝗢𝗥𝗜:
- – Our Voice
- – Attivamente
- – Associazione Radio Aut
- – Officina del popolo
- – Sindacato studentesco Kiyohara Parlatore
- – Sindacato studentesco Regina Margherita
- – Rappresentanti degli studenti dell’I.S. Majorana
- – Collettivo Studentesco Mario Rutelli
- – Rete degli Studenti Medi – Palermo
- – Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato
- – Cgil Palermo
- – Casa del Popolo Peppino Impastato
- – A.Si.D.A. 12 Luglio
- – UDI Palermo
- – La Casa di Giulio
- – Stra Vox
- 𝗔𝗗𝗘𝗦𝗜𝗢𝗡𝗜:
- – WikiMafia
- – Agende Rosse
- – I Siciliani
- – Casa di Paolo
- – Anpi
- – Mediter
- – ANTIMAFIADuemila
- – Telejato
- – Rete antimafia Brescia
- – Comitato referendario “Ripudia la guerra”
- – Comitato “Generazioni Future”
Maria Falcone sugli scontri del 23 maggio, “Contro ogni violenza, la questura? Non so niente di ordine pubblico”
“Io sono contro ogni forma di violenza. Mi dispiace che siano avvenuti questi scontri di cui non mi sono resa conto dal palco dove mi trovavo per commemorare la morte di mio fratello”. Lo dice Maria Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992 in merito agli scontri tra alcuni manifestanti e la polizia. Negli scontri sono rimasti feriti tre agenti. “Sono decisioni della questura non ho che dire. Non so niente di ordine pubblico”, aggiunge Maria Falcone.
Le polemiche e gli scontri
Scontri, tensioni, un funzionario di polizia e due agenti feriti, anche se in modo lieve, e probabilmente manifestanti presto denunciati per il contatto con il cordone di polizia. Tensione e scontri non solo verbali all’ingresso di via Notarbartolo nel giorno del XXXI anniversario della strage Falcone. Il giorno della memoria e del ricordo diventa il giorno del ‘cattivo esempio’ di una parte della società che si definisce civile.
La nota della Polizia
Fra le diverse iniziative promosse si è registrata anche la presentazione di un preavviso per un corteo, promosso da svariate sigle, che ha registrato la presenza al proprio interno di gruppi riconducibili a frange antagoniste che, partendo dalla Facoltà di Giurisprudenza in via Maqueda, sarebbe dovuto arrivare nei pressi dell’“Albero Falcone”
Considerata la potenziale interferenza che si sarebbe potuta ingenerare dalla concomitanza nel medesimo luogo delle iniziative promosse dalla Fondazione Falcone ed il citato corteo, in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica si è ritenuto inopportuno far giungere il corteo nei pressi dell’ “Albero Falcone”.
I motivi della limitazione al corteo
“La ragione di tale valutazione in termini di inopportunità – spiega la questura – risiede nell’esigenza di assicurare garantire il diritto Costituzionalmente garantito della Libertà di Manifestazione del Pensiero ad entrambe le parti attraverso un bilanciamento delle contrapposte esigenze considerati i luoghi, il numero di persone partecipanti alle due iniziative, la presenza di diversi striscioni dal contenuto ingiurioso, nonché la presenza di veicoli dotati di strumenti di amplificazione sonora tra cui un mezzo furgonato.
La predisposizione dei servizi di Ordine e Sicurezza Pubblica ha visto un impegno delle Forze dell’Ordine con uomini e mezzi in diversi punti della città, finalizzati a garantire il fluido svolgimento delle diverse iniziative intraprese, la Libertà di Manifestazione del Pensiero ed anche il Diritto al Ricordo, alla Memoria dei caduti che in questa giornata si commemorano.
Per questi motivi è stato individuato come punto di arrivo del corteo Piazza Alberico Gentili, a meno di 500 metri dal luogo inizialmente pensato dai promotori, scelta notificata agli stessi attraverso le prescrizioni del Questore di Palermo, frutto delle ponderazioni e valutazioni maturate in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica”.
Le trattative per arrivare all’albero Falcone e il contatto
“Una volta giunto in questo punto il corteo, cui hanno preso parte circa 1000 manifestanti, si sono intessute una serie di interlocuzioni tra i promotori e le Forze di Polizia che presidiavano il luogo al fine di non consentire il prosieguo del gruppo lungo via Notarbartolo fino all’Albero Falcone considerata la presenza dei mezzi amplificati che avrebbero gravemente interferito con le iniziative della fondazione Falcone nonché una gigantografia issata sul mezzo furgonato il cui contenuto palesava il chiaro fine di dileggio del corteo nei riguardi dell’altra iniziativa.
È stato proprio durante questo dialogo, in cui si prospettava un ulteriore avvicinamento all’Albero Falcone qualora fossero stati spenti gli strumenti di amplificazione che avrebbero turbato la cerimonia promossa dalla Fondazione Falcone, che un gruppo di circa 100 manifestanti ha forzato il presidio di polizia, causando il ferimento di 1 Funzionario della Polizia di Stato ed altri 2 poliziotti che hanno riportato prognosi che vanno dai 10 ai 15 giorni. Successivamente il corteo è avanzato senza creare turbative e con gli strumenti di amplificazione spenti grazie all’impegno massimamente profuso dalle Forze dell’Ordine, nei pressi dell’Albero Falcone dove ha atteso le ore 17:58 per poi sciogliersi”.
Scatteranno denunce
È in corso l’analisi delle immagini che hanno ripreso le citate scene al fine di ricostruire puntualmente i fatti, delineare i profili di responsabilità penalmente rilevanti ed individuare i responsabili dei disordini che hanno portato al ferimento di 3 poliziotti, proprio nel giorno in cui tutto il Paese fa memoria e ricordo di 3 poliziotti caduti per fare il loro dovere.
C’è chi rivendica di aver forzato il blocco
Ma dal Partito della Rifondazione Comunista rivendicano come un risultato l’aver forzato il blocco pur non parlando minimamente di violenze “Il tentativo di tenere lontano un pezzo importante della città dalle fronde dell’albero Falcone è fallito. I cordoni delle forze dell’ordine sono stati attraversati da un fiume in piena variamente composto” dicono Frank Ferlisi Segretario della Federazione e Ramo La Torre Segretario cittadino di Rifondazione Comunista Palermo. “Uomini, donne giovani e meno giovani, bambine e bambini, rappresentanze di forze sociali e associazioni, hanno potuto adagiarsi sulla melodia del silenzio fin sotto il ficus di via Notarbartolo per gridare subito dopo a voce alta e per diversi minuscontriti “Fuori la mafia dallo stato”, quando alcune pattuglie delle forze dell’ordine avevano già abbassato lo scudo e scalzato il casco. Non hanno ancora un nome coloro che si sono adoperati in depistaggi funzionali a coprire collusioni e responsabilità. Trent’anni sono troppi e le istituzioni democratiche sono ancora pervase da personaggi che a vario titolo sono entrate in collusione col potere affaristico mafioso. Le nostre voci si uniscono a quello di tutti e tutte coloro che ancora gridano verità”. BLOG SICILIA
La tensioni durante il corteo del 23 maggio
La manifestazione degli studenti ha visto uno scontro con le forze dell’ordine. La replica delle questura di Palermo
I manganelli sui manifestanti. Sullo sfondo la foto di Falcone e Borsellino sorridenti. Gli scontri tra la polizia e i manifestanti del corteo organizzato da Cgil e le sigle del coordinamento 23 maggio hanno segnato questo 31esimo anniversario della strage di Capaci.
I manifestanti erano partita dalla facoltà di giurisprudenza per un’antimafia più attenta alle emergenze sociali. Per loro inizialmente off limits l’albero Falcone.
L’altro corteo è quello degli studenti, promosso dalla Fondazione falcone, partito dalla cosiddetta “porta dei giganti”, ai piedi dei murales dedicati ai giudici assassinati nel ’92.
I due cortei si sono ritrovati sotto l’albero Falcone alle 17:58, quando 31 anni fa esplosero le cariche di tritolo.
Il giorno dopo l’Anniversario, la questura di Palermo ha reso noto un comunicato nel quale si parla di un corteo che ha registrato “la presenza al proprio interno di gruppi riconducibili a frange antagoniste”. Sulle motivazioni che hanno spinto a non autorizzare il corteo fino all’Albero Falcone, si legge: “Considerata la potenziale interferenza che si sarebbe potuta ingenerare dalla concomitanza nel medesimo luogo delle iniziative promosse dalla Fondazione Falcone ed il corteo, in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica si è ritenuto inopportuno far giungere il corteo nei pressi dell’Albero Falcone”.
Su piazza Alberico Gentili, è cominciato un dialogo tra manifestanti e forze dell’ordine. Ed è qui che sono partiti gli scontri. Nella nota della questura, si parla del ferimento di un funzionario della polizia e di due poliziotti, con prognosi da 10 a 15 giorni.
È in corso l’analisi delle immagini che hanno ripreso gli scontri per ricostruire eventuali responsabilità. RAI NEWS 24.5.2023
“La politica che convive con ambienti in odore di mafia non partecipi al ricordo della strage di Capaci”: la lettera del cognato di Falcone
Il ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non sia macchiato dalla “rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia“. È una lettera durissima quella inviata da Alfredo Morvilloall’edizione palermitana di Repubblica, proprio alla vigilia del trentunesimo anniversario della strage di Capaci. Una lunga analisi in cui il magistrato, fratello di Francesca Morvillo e dunque cognato di Falcone, si scaglia contro una parte della città di Palermo: quella che continua a beneficiare di appoggi mafiosi. “Falcone e Borsellino – scrive Morvillo – appartengono soltanto a una piccola parte di Palermo, quella Palermo che porta avanti con grande impegno i loro ben noti ideali. I nostri cari indimenticabili Giovanni e Paolo non appartengono certamente alla Palermo che convive col ‘puzzo del compromesso morale‘, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Questa Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni: non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia”.
A chi si riferisce Morvillo? L’ex procuratore capo di Trapani non fa nomi ma parla di” squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città”. E spiega che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Un passaggio che sembra un evidente riferimento ai recenti avvenimenti politici di Palermo e della Sicilia, con Roberto Lagalla e Renato Schifani eletti sindaco e governatore con l’appoggio fondamentale di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, rispettivamente condannati in via definitiva per concorso esterno e favoreggiamento alla mafia.
All’inizio della sua analisi Morvillo ricorda una frase di Borsellino: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. E quindi il cognato di Falcone commenta: “Attuare un comportamento eticamente disdicevole, come quello di fare accordi con la mafia, dovrebbe comportare, al di là della sanzione penale, una valutazione negativa del consesso sociale, a patto che quest’ultimo creda in quei principi etici violati”. Poi però Morvillo si pone una domanda retorica: “A Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole? Aver fatto accordi con la mafia dovrebbe significare aver tradito la propria terra, le proprie origini; chi lo ha fatto dovrebbe essere considerato un traditore. Accade tutto questo a Palermo? Aggiungeva Paolo Borsellino che, in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai numerosi arresti originati dalle dichiarazioni di Buscetta, Giovanni Falcone gli disse: La gente fa il tifo per noi. Oggi, nel 2023, nella terra delle stragi, nella terra dove Cosa nostra ha ucciso tanti uomini delle istituzioni, tutti eccezionali servitori dello Stato, tanti comuni cittadini, persino un bambino e addirittura un sacerdote, possiamo ritenere che la gente faccia il tifo per Falcone e Borsellino, cioè per l’antimafia? Consentitemi di avere seri dubbi”.
Secondo il fratello di Francesca Morvillo “Palermo, per la sua storia che tutti conosciamo, dovrebbe essere la capitale dell’antimafia, la capitale di una vera cultura antimafiosa. Invece continua a essere, nonostante i grandi risultati raggiunti da forze dell’ordine e magistratura, la capitale del solito squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città. Che fine ha fatto ‘la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità’? Credo che se ne sia persa la traccia. Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Il magistrato sottolinea che “la cultura mafiosa non riguarda solo la mentalità dei criminali, degli uomini di Cosa nostra, ma ha un’accezione più ampia poiché con essa si intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e di gruppi, quella rete di rapporti stratificata nel tempo fatta di scambio di favori, appoggi elettorali, gestione del potere amministrativoindirizzata al perseguimento di interessi di singoli o di gruppi, a discapito degli interessi della collettività. In questo cammino nella strada dell’antimafia i cittadini dovrebbero trovare nelle istituzioni, che essi stessi hanno voluto, una guida indiscussa e autorevole, che voglia e sappia indicare loro la direzione da seguire. Purtroppo, invece, troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia. Non c’è alcun segnale che in questa terra sia di primaria importanza liberarsi della cappa mafiosa, a qualunque costo. Dalle nostre parti l’unica cosa che conta è raggiungere il potere, a qualunque costo”.
Strage di Capaci, 31 anni dopo | Polemica tra Alfredo Morvillo e Maria Falcone: “Segnali di convivenza con ambienti mafiosi”, “Basta antimafia per fare carriera”
Il trentunesimo anniversario della strage di Capaci non è e non sarà come gli altri. Oltre alle commemorazioni quest’anno c’è la polemica, forte. Mentre Palermo è pronta a vivere come sempre il 23 maggio, tra celebrazioni e incontri istituzionali, sulle pagine di Repubblica il cognato e la sorella del giudice ucciso dalla mafia sono protagonisti di un botta e risposta durissimo sul significato stesso dell’antimafia. “In questa città aver fatto accordi con la mafiaviene ritenuto da tutti un fatto disdicevole?” è la domanda posta, sulle pagine del dorso siciliano di Repubblica, da Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, cognato di Giovanni Falcone. “È il tempo di andare avanti – scrive MariaFalcone, sorella di Giovanni, sempre sullo stesso quotidiano – di perseverare nella ricerca della verità e al contempo smettere di usare l’antimafia per fare carriera, per fare passerella”. Ad accendere il dibattito su posizioni diverse tra i familiari di due delle vittime della strage di Capaci c’è il sostegno alla giunta di centrodestra di Palermo del sindaco Roberto Lagalla da parte di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, politici condannati per fatti di mafia.
“Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia” dice Morvillo, ex procuratore di Trapani. Chiaro il riferimento critico proprio a Maria Falcone, che durante la campagna elettorale dell’anno scorso si scagliò contro gli impresentabili (“La politica non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono”) e che quest’anno ha firmato un accordo con Lagalla per realizzare un nuovo museo dell’antimafia. La risposta della sorella del giudice è sullo stesso tono polemico: “È il tempo di non abbassare la guardia – spiega su Repubblica – e al contempo costruire ponti tra le diverse componenti sociali, pretendere impegni da chi vuole unirsi allo sforzo del cambiamento, senza criticare a priori, magari rianimati da una certa nostrana acida propensione alla presunzione“.
Lo scontro a distanza era stato aperto ieri con una lettera inviata da Alfredo Morvillo a Repubblica Palermo, in cui il fratello della moglie del giudice ha sottolineato che il ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non deve essere macchiato dalla “rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia“. A chi si riferiva Morvillo? L’ex procuratore capo di Trapani non ha fatto nomi ma ha parlato di” squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città”. E ha spiegato che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Oggi, poi, è arrivata la risposta altrettanto dura di Maria Falcone.
Un botta e risposta, quindi, che non solo cade nel trentunesimo anniversario della strage di Capaci, ma anche nel giorno in cui si insedierà la commissioneparlamentare antimafia. Il centrodestra spinge per nominare presidente la deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, mossa che ha provocato la reazione delle opposizioni e soprattutto dei parenti delle vittime di mafia, che contestano alla rappresentante meloniana i suoi rapporti del passato con personaggi organici alla destra eversiva. “Se la maggioranza dovesse insistere su Colosimo, il Movimento 5 Stelle non parteciperà al voto in segno di totale contrarietà alla scelta che si vuole portare avanti” dicono i membri M5S della commissione Antimafia, spiegando che “le polemiche di questi giorni rischiano di compromettere la credibilità e l’autorevolezza di un’istituzione delicata e importante per la nostra democrazia“. Il tutto nelle ore in cui, trentuno anni fa, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta venivano uccisi dal tritolo di Cosa Nostra.
Da Falcone ai manganelli. La giornata storica della nuova antimafia
di Attilio Bolzoni
Evidentemente Falcone e Borsellino non sono più di tutti. Sono diventati proprietà di quelli che se ne stanno zitti quando sul palco salgono gli amici dei condannati per mafia.
Palermo ormai non sa più neanche che cosa è Palermo fra tutti quei pennacchi e quei manganelli, fra maschere di cera e un po’ di sangue. Ce lo ricorderemo a lungo questo anniversario, in lontananza le foto di Falcone e Borsellino sorridenti e giù in strada i poliziotti che caricano studenti e sindacalisti che sfilano per ricordare i due giudici. Evidentemente loro non sono più di tutti, diventati solo proprietà di qualcuno, quelli che se ne stanno buoni e zitti quando sul palco salgono gli amici dei condannati per mafia. L’antimafia è morta, l’antimafia è viva. Palermo, 23 maggio 2023.
Ce la ricorderemo veramente a lungo questa giornata di vergogna e di resa dei conti, lugubre, sinistra, che cancella ogni ambiguità su ciò che è l’antimafia ufficiale oggi in Sicilia e anche a Roma dopo il golpe di San Macuto, l’elezione di una presidente che non sarà mai la presidente di tutti.
Per chi come me scrive da una decina di anni che una parte di quella antimafia è una farsa (e, a volte, anche un affare) e soprattutto per chi come me ha sempre avuto un’adorazione per i poliziotti di Palermo (avendoli conosciuti uno per uno fra le stanze di quel monumento che è la squadra mobile), le scene viste e riviste nei filmati pochi minuti prima delle 17:58, l’ora esatta della strage di Capaci, mi hanno confermato che fra via Libertà e via Notarbartolo è stato toccato il punto più basso, più ignobile dall’estate del 1992.
Una bella medaglia
Non era mai accaduto prima, né a Palermo né altrove in Sicilia, che una piazza di pacifici manifestanti in un momento di memoria dedicata alle vittime delle mafie – una ventina di sigle e con loro i rappresentanti della Cgil – fosse oggetto di attenzione di agenti in assetto antisommossa. Per ritrovare qualcosa di simile bisogna catapultarsi negli anni Cinquanta, quando i contadini occupavano i feudi dei baroni e dei marchesi e si ritrovavano a sbarrare loro il passo i reparti di pubblica sicurezza del famigerato ministro Mario Scelba insieme ai campieri mafiosi. Una bella medaglia e un bel titolo per il ministero dell’Interno: carica della polizia contro un corteo antimafia. Palermo, 23 maggio 2023.
Ma il questore e il prefetto, hanno solo una vaga idea delle ferite e delle cicatrici che segnano Palermo ancora dopo trentuno anni? Con un maldestro colpo di penna hanno fatto ripiombare la Sicilia nel suo passato più oscuro.
Il “controcorteo” inesistente
“Non manganellate, non manganellate”. Questa è la voce che ha sentito un mio amico che era lì, P. F., ieri l’altro, da una radiotrasmittente della polizia mentre il corteo – e non “controcorteo”, come è stato definito in maniera subdola – voleva raggiungere l’albero Falcone per riunirsi a quell’altro più gradito e mansueto nei confronti di chi dice che la “mafia fa schifo” ma prende volentieri il sostegno di quelli che la mafia l’hanno favorita. Troppo tardi, le manganellate erano già partite. Non sappiamo esattamente se l’ordine di vietare, e “per motivi di sicurezza”, l’afflusso degli studenti e dei sindacalisti fin li lì sia arrivato dalla prefettura o dalla questura, ma poco importa. È solo un dettaglio burocratico, perché l’ordine è stato impartito in realtà dall’aria che tira in Sicilia e non solo.
Dalla manifestazione negata a Palermo all’elezione di Chiara Colosimo alla commissione parlamentare Antimafia, due vicende che s’intrecciano in un’Italia dove stato e politica sulla questione mafia mostrano il loro volto e avvertono sul futuro che ci aspetta.
L’antimafia ammaestrata
Per certi versi è stata una giornata storica che marchia per sempre un’antimafia ubbidiente e ammaestrata e che, in qualche modo, segna la nascita di un’antimafia che si vuole liberare dai lacci del potere, lontana dalle convenienze, disinteressata a fare cassa con costosissimi “progetti educativi” e “percorsi di legalità” utili solo a mantenere in piedi associazioni e club che per troppo tempo hanno fatto la questua fra comuni e ministeri per spremere contributi. Una giornata che, nel bene e nel male, è diventata confine. Da una parte un’antimafia che si è istituzionalizzata e che ha perso il contatto con chi avrebbe voluto e dovuto rappresentare, intruppata in un variegato circo popolato da tribuni e guru di varia specie. Dall’altra un piccolo popolo che non ci sta, che nonostante tutto ancora ci crede.
Il ricordo ufficiale di Giovanni Falcone nel trentunesimo anniversario è stato affidato all’immagine della sorella Maria sul palco accanto a Roberto Lagalla, proprio lui, il candidato sindaco preferito da Totò Cuffaro e da Marcello Dell’Utri. Sotto, confusi fra la folla, il procuratore capo della Repubblica Maurizio de Lucia e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Non si sono voluti mischiare agli altri.
Di mattina, la posa simbolica della prima pietra per il museo prossimo venturo intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a palazzo Jung, quasi di fronte all’orto botanico che è a pochi passi dalla Kalsa, il quartiere dove sono nati e cresciuti i due giudici. Presente sempre la sorella Maria, di fianco il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il governatore sotto processo per associazione a delinquere Renato Schifani. Palermo, 23 maggio 2023.
24.5.2023 Meglio gli studenti delle inutili passarelle
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di Giorgio Bongiovanni AD
“A Palermo è più facile che un mafioso passi per la cruna di un ago che un anti mafioso entri nel regno dei cieli”. Con queste parole Saverio Lodato, sulle pagine di questo giornale, analizzava lo “stato dell’arte” della lotta alla mafia a Palermo.
Una battaglia che trentuno anni dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio non può essere delegata alla sola autorità giudiziaria (magistrati e investigatori) impegnata nel contrasto e nella ricerca della verità sulle stragi.
Oggi più che mai la questione giustizia è inestricabilmente connessa con la questione sociale ed anche per questo, sempre come ricordava Lodato, “forse sarebbe giunta l’ora che i bilanci pubblici di quelle associazioni che da anni percepiscono fondi statali per aiutare le iniziative antimafia, venissero facilmente e comprensibilmente resi noti, con relativi rendiconti, per un bisogno di trasparenza che non va mai trascurato”.
Oggi c’è una buona fetta di Palermo (e non solo) che non ne può più di “cerimonie, sfilate e passerelle”.
Lo si è visto in maniera chiara e limpida il 23 maggio quando giovani studenti, semplici cittadini e rappresentanti di varie sigle riunite in un coordinamento (Cgil, Our Voice, Agende Rosse, ANTIMAFIADuemila e altre associazioni tra organizzatori ed aderenti) sono scesi in piazza al grido “Fuori la mafia dallo Stato”.
Una manifestazione “fastidiosa” per la cosiddetta “cerimonia ufficiale”, al punto da generare un “provvedimento fascista” (disposto dalla Questura su input prefettizio) che ordinava il divieto di ingresso in via Notarbartolo, di fatto impedendo ad “eretici” e “dissidenti” di onorare i martiri (Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo) e far sentire la propria voce.
Il tutto in nome di discutibili motivi di ordine pubblico, nonostante accordi presi, prima e durante il percorso.
Quei giovani e quei cittadini che si sono fatti largo al primo cordone per far valere quei diritti sanciti dalla Costituzione all’articolo 17 (“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”) e all’art.21 (“la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” e “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”), sono stati fermati e manganellati in maniera scandalosa.
Così come scandalosa era la partecipazione alle commemorazioni di soggetti sostenuti da condannati per mafia comi e Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri(entrambi hanno scontato la pena). Un argomento che era stato proprio denunciato dall’ex giudice Alfredo Morvillo, fratello di Francesca.
Appena un anno fa, quando la città di Palermo respirava ancora il clima delle elezioni amministrative, la posizione di entrambi gli uomini politici era stata pubblicamente ritenuta idonea da qualche eminente professore universitario.
Un fatto, caduto nel disinteresse generale, ma che vale la pena ricordare.
Nei giorni scorsi, a sua volta, l’ex presidente della sezione Gip di PalermoGioacchino Scaduto, intervenuto su La Repubblica, in maniera chiara e netta rappresentava come fosse inaccettabile dare patenti di verginità politica a uomini compromessi con la mafia.
Nelle sue parole veniva messo in evidenza il “corto circuito” istituzionale che si è creato nel corso del tempo laddove l’impegno contro la mafia è stato sostituito dalle “passerelle”, cioè “la sfilata in bella vista di varie autorità, locali e non solo, non sempre portabandiera di valori antimafiosi” in cui “troppo spesso, si pavoneggiavano soggetti che, finita la guerra e sconfitta quella stragista, mostravano con i loro comportamenti di non essersi pienamente affrancati da quell’altra più subdola mafia”.
“Come è possibile immaginare – si chiedeva ancora Scaduto – che quella parte di società civile che ha effettivamente militato e si è sottratta alla cultura e subcultura mafiosa possa accettare, senza manifestare il suo dissenso, che un sindaco, eletto con l’appoggio, mai rifiutato, di Salvatore (Totò) Cuffaro, condannato per favoreggiamento di Cosa nostra, e di Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, salga sul palco a commemorare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta?”. Di fronte a certi fatti “non basta certo rifugiarsi dietro l’affermazione del ‘dovuto rispetto per le istituzioni’. Le istituzioni non sono, infatti, un’entità astratta ma sono o dovrebbero essere lo specchio dell’anima di un popolo”.
L’analisi di Scaduto era stata preceduta da un intervento di un gruppo di palermitani che, dopo aver commentato i fatti del 23 maggio, con grande schiettezza rivolgevano proprio a Cuffaro un invito: “Collabori in pieno con lo Stato nella ricerca della verità e racconti poi pubblicamente, a coscienza aperta, quali tentazioni ha provato, quali gravissimi sbagli ha commesso e quali non vorrebbe mai più commettere in merito al rapporto quanto mai insidioso tra l’esercizio di un ruolo politico e la pressione nefasta degli interessi mafiosi”.
Il Paese ha bisogno di una coscienza critica rinnovata. Ed anche per questo va rivisto tutto.
Tuttavia, di fronte agli scandali, l’antimafia si divide tra chi fa finta di non vedere e quella che, diversamente, vuole schierarsi per portare avanti un vero cambiamento.
Oggi, intervistato da Il Fatto Quotidiano, Vittorio Teresi, ex magistrato e Presidente del Centro Studi Paolo e Rita Borsellino di Palermo, da una parte ha lanciato l’allarme sul rischio di chiusura del centro, fortemente voluto proprio da Rita Borsellino. Dall’altra ha sottolineato la necessità di un’antimafia critica, distante dalle parate istituzionali: “L’antimafia ha bisogno di una voce critica di chi si è sempre opposto alla logica mafiosa e soprattutto di chi fa antimafia nel territorio. Quando nell’antimafia si sono infiltrate le istituzioni a dire la loro sull’antimafia sociale c’è stata una distonia, quando invece è rimasta alle associazioni le cose sono andate bene”. E poi ancora: “La retorica antimafia è figlia delle passerelle, produce un’attività vuota che non lascia traccia. E non solo… Temo che incida negativamente sulle coscienze, dando dell’antimafia un’immagine episodica e soltanto evocativa di fatti del passato”.
Esattamente ciò che non sembra aver capito Maria Falcone e che non sembra capire anche Gian Carlo Caselli, quando, sempre qualche giorno fa, pur affermando il proprio “basta” alle cosiddette “zone grigie”, invitava Morvillo e la signora Falcone a “superare le tensioni”. Il problema è ben più vasto del “ritrovarsi” in un “comune sentire su temi di fondamentale importanza per il futuro della democrazia”. L’impegno contro il “malaffare” (così come lui l’ha chiamato) non può essere lasciato alle sole parole.
E quei tanti giovani scesi in piazza lo scorso 23 maggio hanno ricordato a tutti proprio questo aspetto.
A proposito cosa pensa Gian Carlo Caselli (con cui in passato abbiamo condiviso tante battaglie e percorsi) delle manganellate fasciste ricevute da studenti e cittadini a Palermo nel giorno della memoria di Falcone?
Forse ci è sfuggito il suo commento e ci auguriamo che possa presto far sentire la propria voce anche sul punto aggiungendosi a quelle voci che hanno condannato quell’azione di censura all’espressione del libero pensiero.
Perché, come ha detto il pm Nino Di Matteo, con quelle manganellate è stato “mortificato un sogno di giustizia e verità”.
Sul punto si sono espressi anche ex magistrati, ex giudici, familiari vittime di mafia, giornalisti, insegnanti. Persino l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso seppur con qualche giorno di ritardo dai fatti, ha espresso la propria solidarietà affermando “che non bisogna impedire di manifestare nel nostro Paese anche il dissenso”.
L’ex Procuratore generale di Palermo, ed oggi Senatore, Roberto Scarpinato, ha ufficialmente presentato un’interrogazione parlamentare e precedentemente aveva sottolineato la gravità del fatto (“Quello che è successo ieri, cioè l‘elezione di Chiara Colosimo alla presidenza della commissione Antimafia, è stato il pendant di quello che è accaduto a Palermo. Non era mai successo che la polizia caricasse dei giovani e degli studenti che volevano arrivare fino all’albero di Giovanni Falcone per evitare che potessero disturbare autorità che parlavano sul palco, come il sindaco di Palermo Lagalla, che è stato eletto coi voti di Dell’Utri”).
Ancora condividiamo quanto scritto da Saverio Lodato in questo giornale: “Ben vengano le divisioni” in questo tempo.
Perché “in una città intrisa di mafia come Palermo, che trasuda politica clientelare e affaristica da tutti i suoi pori, pronta a salire sul carro vincente del momento, abituata a fare spallucce di fronte a ogni idea di radicale cambiamento, vivere tutti, uniti e contenti, non significa altro che condannare la città al suo ruolo di città, socialmente parlando, terminale e irriscattabile”.