8 giugno 1992 – Il Governo vara il decreto antimafia Scotti-Martelli


Lunedì 8 giugno 1992

 Il Consiglio dei ministri approva il Decreto antimafia Scotti-Martelli:

  • Il tempo massimo delle indagini preliminari viene portato ad un anno (prolungabile di altri 12 mesi per le inchieste più complesse) per i delitti di mafia ed i reati connessi.
  • Vengono inasprite le pene per chi si rende colpevole di falsa testimonianza di fronte alla AG.
  • Vengono introdotte le norme di attuazione di una legge sui pentiti del gennaio 1992 sulla protezione di chi abbandona l’organizzazione criminale. Altre norme del decreto-legge consentono di evitare, salvo che sia assolutamente necessario, ripetute audizioni dello stesso testimone nei vari processi collegati. Saranno acquisiti i verbali di testimoni ascoltati all’ estero e quelli di altri procedimenti.
  • Vengono limitati i permessi per i detenuti di mafia.
  • La polizia giudiziaria deve riferire senza ritardo all’AG una notizia di reato acquisita e non più entro 48 ore, può accogliere successivamente altri elementi utili alle indagini anche senza l’autorizzazione del PM.
  • Non sarà più necessario dimostrare in ogni processo di mafia l’esistenza dell’associazione criminale Cosa Nostra in quanto ci si potrà rifare a sentenze già passate in giudicato che abbiano riconosciuto tale organizzazione.
  • Viene introdotto nell´ordinamento penitenziario l´articolo 41bis, il regime di carcere duro riservato ai detenuti per reati di mafia: “Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica anche a richiesta del ministro degli interni, il ministro di grazia e giustizia ha altresi´ la facolta´ di sospendere, in tutto od in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell´articolo 416 bis, l´applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.”  Ma non solo. Il testo limita notevolmente i diritti dei detenuti protagonisti di atti eversivi. A parte i collaboratori di giustizia, tutti gli altri potranno ottenere i benefici “solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita´ organizzata o eversiva.” Esclusa ovviamente qualsiasi possibilita´ di concessione delle misure “quando il procuratore nazionale antimafia od il procuratore distrettuale comunica, d´iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l´ordine e la sicurezza pubblica, l´attualita´ di collegamenti con la criminalita´ organizzata.”

Dopo aver elencato alcune nuove disposizioni in materia di colloqui a fini investigativi con detenuti di ufficiali di polizia giudiziaria, del procuratore nazionale antimafia e di funzionari dell´Alto commissariato per la lotta alla mafia, il decreto stabilisce l´aumento di duemila unitá dell´organico del Corpo di polizia penitenziaria. Con questo provvedimento, che contiene fra l´altro l´aumento di duemila unita´ dell´organico del Corpo di polizia giudiziaria, il governo pone le premesse per un duro giro di vite nelle carceri, che scattera´, tuttavia, solo dopo il sacrificio di Paolo Borsellino.[15]

 I primi risultati concreti del decreto governativo non sono incoraggianti: complessivamente vengono ricondotti in carcere 240 soggetti che per la maggior parte godevano dell’istituto della semilibertà (52 in Calabria, 37 in Sicilia, 32 in Sardegna e 39 in Lombardia). Si tratta quasi esclusivamente di “soldati”, nessun boss di spicco compare nella lista.

Il decreto non contiene nulla in merito alla riapertura dei termini per il concorso a Superprocuratore nazionale antimafia, problema che verrá affrontato sotto forma di emendamento al decreto stesso quando sara’ discusso in Parlamento per la conversione in legge. Nel frattempo, il 30 giugno, la Corte costituzionale affrontera’ il conflitto sorto tra Csm e ministro della Giustizia e la soluzione giuridica che verra’ trovata sara’ utilizzata per allargare anche ad altri giudici, oltre a Cordova e Lojacono, la rosa dei candidati alla carica di Superprocuratore antimafia. Il quotidiano Corriere della Sera indica ancora Paolo Borsellino come candidato prescelto dal governo.[16]
Dagli USA arrivano in Italia i riconoscimenti al lavoro di Falcone. Da Washington giugne a Roma il direttore del FBI William Sessions, che incontra il ministro Martelli e poi visita l´ufficio al ministero che fu del direttore generale degli Affari penali assassinato nella strage di Capaci. Il direttore del FBI annuncia che l´amministrazione Bush senior ha deciso di dedicare a Falcone una lapide commemorativa; verra´ sistemata nello stesso ufficio di Washington dove, proprio alla presenza di Falcone, fu istituito il gruppo di cooperazione italoamericano per la lotta alla criminalita´ mafiosa.[17]

Si insedia a Caltanissetta il pool di magistrati che collaborera’ alle indagini sulla strage di Capaci. Si tratta dei sostituti Paolo Giordano e Carmelo Petralia, provenienti dalla Procura della Repubblica di Catania, e di Pietro Vaccaro, che prestava servizio in quella di Messina: affiancheranno il collega Francesco Polino, unico sostituto rimasto a Caltanissetta, sotto le direttive del Procuratore Salvatore Celesti, titolare dell’ inchiesta. Uno dei sostituti sara’ inviato a Palermo per seguire da vicino gli sviluppi dell’ indagine.


pLa Prima Sezione della Corte di Cassazione presieduta da Carnevale annulla i mandati di cattura per Mario Battaglini e Francesco La Ruffa affermando che l’articolo 416-bis non è applicabile nel caso un cui sia accertato solo uno scambio di voti fra mafia e politica senza che questo si sia tradotto in un concreto aiuto dei politici per le cosche.

 

 

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LA STAMPA 8 giugno 1992

Mafia mani libere alla polizia

Mafia, mani libere alla polizia Varato il pacchetto: sconti ai pentiti, confìsca dei beni, più tempo per le indagini Mafia, mani libere alla polizia Eper i boss in carcere cancellati tutti i benefici.
L’hanno già battezzato «super-decreto», contiene le nuove norme antimafia, il Consiglio dei ministri l’ha approvato ieri «nel suo impianto generale». I capitoli del «super-decreto» sono essenzialmente tre: la modifica delle norme sulle inchieste di mafia e sui processi; il trattamento dei «pentiti»; l’esecutività della pena in modo da rendere effettivi gli anni di carcere inflitti da corti d’assise e tribunali. La polizia avrà le mani molto più libere nelle indagini sulle cosche mafiose. Poliziotti e carabinieri potranno infatti interrogare testimoni e indiziati, raccogliere dichiarazioni spontanee ed effettuare confronti senza la presenza del giudice. Nuovi benefici. sono contenuti nel «super-decreto» in modo da favorire i collaboratori della giustizia: sconti di pena e ulteriori misure di sicurezza. I benefici saranno quasi interamente cancellati per coloro che resteranno legati alle cosche. Novità anche per quanto riguarda le misure patrimoniali contro i boss: si potrà sospendere temporaneamente l’amministrazione di beni se si scopre che questa serve ad «agevolare l’attività dell’organizzazione criminale». Giovanni Bianconi A PAGINA 7

Un super-decreto per battere la mafia

Oggi l’annuncio del testo che prevede benefici ai pentiti: sconti di pena e misure di sicurezza Un super-decreto per battere la mafia Polizia più libera nelle indagini contro la Piovra.
L’hanno già battezzato «super-decreto», contiene le nuove norme antimafia, il Consiglio dei ministri l’ha approvato ieri «nel suo impianto generale». Ma dopo la riunione i ministri della Giustizia Martelli e dell’Interno Scotti sono tornati al lavor ro con i loro tecnici, per apportare alcune ulteriori modifiche e definire altri dettagli. L’annuncio ufficiale della risposta del governo alla sfida lanciata dalla mafia con l’omicidio di Giovanni Falcone è slittato ad oggi. Solo in quel momento si scioglieranno dubbi e interrogativi che ancora avvolgono alcune misure.
I capitoli del «super-decreto» sono essenzialmente tre: la modifica delle norme sulle inchieste di mafia e sui processi; il trattamento dei «pentiti»; l’esecutività della pena in modo da rendere effettivi gli anni di carcere inflitti da corti d’assise e tribunali. La polizia avrà le mani molto più libere nelle indagini sulle cosche mafiose! Non sarà reintrodotto il fermo di polizia nella stessa forma adottata ai tempi del terrorismo, ma gli investigatori avranno la possibilità di svolgere il loro lavoro senza essere vincolati dal continuo intervento del magistrato. Poliziotti e carabinieri potranno infatti interrogare testimoni e indiziati, raccogliere dichiarazioni spontanee ed effettuare confronti senza la presenza del giudice. I tempi delle indagini «coperte» sono-stati allungati da sei mesi ad un anno, prorogabile fino a due. Un’altra arma in mano agli investigatori è quella dei «colloqui riservati» in carcere. E’ un potere che era stato affidato all’exAlto commissario Sica ai tempi del rafforzamento di quella struttura, ma poi fu fatta marcia indietro……. Ora si tornerà ad utilizzare gli informatori per tentare di interloquire con Nostra che continuano ad essere tessuti anche dalle galere. Nella riforma del processo penale rientrano le norme che permetteranno di utilizzare nei dibattimenti in aula le dichiarazioni rese da testimoni e «pentiti». Questo servirà ad evitare l’«usura della prova», come le ritrattazioni, le intimidazioni o, peggio, l’eliminazione di testimoni o rei confessi. Il reato di falsa testimonanza potrà essere punito anche quando questo sia stato commesso durante gli interrogatori alla polizia. La possibilità di utilizzare i verbali di testimoni e «pentiti» servirà pure ad eliminare le ripetizioni di audizioni ed interrogatori davanti a corti e tribunali sulle stesse circostanze, e ciò agevolerà la protezione dei «collaboratori» che non saranno più costretti e comparire in continuazione nei processi pubblici. A coloro che romperanno l’omertà per raccontare tutto quello che sanno su Cosa Nostra lo Stato tenderà nuovamente la sua mano. Nuovi benefici sono contenuti nel «super-decreto» in modo da favorire i collaboratori della giustizia: sconti di pena e ulteriori misure di sicurezza.
Il decreto contiene alcune norme di attuazione dell’ultima legge sui «pentiti» approvata nel gennaio di quest’anno, senza le quali quelle misure non potevano entrare pienamente in vigore. Se ai mafiosi che decidono di vuotare il sacco saranno concessi nuovi benefici anche in termini di pena da scontare in carcere, questi saranno quasi interamente cancellati per coloro che resteranno legati alle cosche: niente più arresti domiciliari, semilibertà, permessi e altre agevolazioni previste dalla riforma dell’ordinamento carcerario, la «legge Gozzini». Inoltre, a coloro che commetteranno reati mentre usfruiscono dei benefici, questi saranno immediatamente revocati.
Tutto ciò per ridare efficacia all’esecuzione della pena, una materia sulla quale si sono spesso appuntate le critiche dei magistrati anti-mafia. Novità anche per quanto riguarda le misure patrimoniali contro i boss: si potrà sospendere temporaneamente l’amministrazione di beni mobili e immobili se si scopre che questa serve ad «agevolare l’attività dell’orr ganizzazione criminale», e gli stessi beni potranno essere sequestrati’ quando esiste il pericolo di una «alienazione di comodo», cioè la vendita a dei prestanome. Si è parlato anche, nel Consiglio dei ministri, della possibilità ditrasformare la «presunzione diinnocenza» dell’imputato in «presunzione di colpevolezza» dopo una doppia sentenza di condanna (un argomento sollevato recentemente anche dal presidente della Repubblica Scalfaro), ma nel decreto-legge non ci sono norme che incidono sull’attuale sistema «protetto» dalla Costituzione. Sulla riapertura dei termini per il concorso alla carica di Procuratore nazionale antimafia, invece, il governo ha deciso di non intervenire ora, ma di inserire un ememdamento nel momento in cui il «super-decreto» passerà il vaglio del Parlamemto per diventare legge.
Al termine della riunione di ieri il ministro della Pubblica Istruzione Misasi ha espresso «riserve e rammarico» per la mancata istituzione di un collegio di tecnici e magistrati per l’assegnazione degli appalti pubblici. Giovanni Bianconi Chi è fedele ai clan escluso dai vantaggi della legge Gozzini Possibile sospendere l’amministrazione dei beni ai boss  pene aggravate per i mafiosi che non collaboreranno con i giudici, produrranno testimonianze false, depisteranno gli inquirenti. A loro non saranno più concessi i benefici della legge Gozzini. PENTITI avranno sconti di pena. Per evitare ritrattazioni e pericoli per la loro incolumità, verrà ridotta l’«usura delle fonti di prova», facendo in modo da non sentire più volte lo stesso testimone, ma adottando in più processi una stessa deposizione. INDAGINI la polizia avrà più poteri e tempi più lunghi per le indagini preliminari e la consegna delle notizie sul reato alla magistratura. Non sarà invece reintrodotto il fermo di polizia. PROVE i giudici, nelle inchieste di mafia avranno non più 6 mesi, ma un anno (prorogabile a due) di tempo per le indagini preliminari. COSTI il pacchetto antimafia costerà almeno 50 miliardi, variabili a seconda del numero di assunzioni di agenti di custodia.
 

Falcone, arrivano i rinforzi

A Caltanissetta tre nuovi giudici  e il direttore dell’Fbi da Martelli
Delitto Falcone, è l’ora dell’ottimismo. Il procuratore di Caltanissetta Salvatore Celesti, dice: «Le indagini stanno andando avanti molto intensamente e con buone speranze. Stiamo facendo un buon lavoro e speriamo che arrivino i frutti desiderati – assicura ancora Celesti – grazie anche alla sensibilità della gente che mai come in questa occasione sta preziosamente collaborando con la giustizia». Quest’ultima ha il valore di una conferma: la disponibilità di fornire indicazioni utili agli inquirenti era emersa fin dalle prime indagini dopo il terribile attentato di sabato 23 maggio sull’autostrada A29 a pochi chilometri da Palermo (quel giorno – ma la notizia è stata diffusa soltanto ieri – i detenuti del carcere di Firenze brindarono alla morte del giudice). Intanto sono arrivati i rinforzi mandati dal Csm. I sostituti procuratori della Repubblica Pietro Vaccaro proveniente da Messina, Paolo Giordano e Carmelo Petralia di Catania da ieri mattina sono ufficialmente «applicati» presso la procura di Caltanissetta, non a caso classificata fra le più scalcinate d’Italia per il suo ridottissimo organico a fronte di un incessante superlavoro dovuto anche alle scottanti inchieste antimafia a essa assegnate per effetto della remissione degli atti decretata dalla Cassazione nei processi con vittime o comunque protagonisti magistrati dei distretti vicini. I tre nuovi arrivati a Caltanissetta non sono certo alle prime armi, anzi hanno una discreta esperienza.
Giordano in particolare si è occupato finora dei delitti e degli attentati mafiosi a Misterbianco, teatro di gravissimi episodi. Qui il 28 settembre scorso, in un agguato davanti al municipio, fu assassinato il segretario della sezione de Paolo Arena, forse il politico più influente di Misterbianco. Tutti e tre, ad ogni modo, sono stati scelti fra i magistrati che si sono spontaneamente offerti di partecipare attivamente alle indagini per risalire ai mandanti e ai killer di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Mondilo e dei tre agenti della scorta Vito Schifano, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. Sia Giordano sia Petralia e Vaccaro da quando sono state costituite hanno fatto parte delle rispettive procure distrettuali antimafia. Subito per i sostituti (Celesti è da anni superscortato) sono scattate misure di protezione eccezionali, anche per Polino che non era scortato. Guardie armate sono presenti un po’ in tutto il palazzo di giustizia e vetture blindate sono state messe a disposizione dei magistrati incaricati di rendere giustizia a Falcone e alle altre quattro vittime. Uno dei sostituti lavorerà maggiormente a Palermo (dove ieri un’auto rubata è stata incendiata davanti agli uffici del commissariato di polizia) per essere a più diretto contatto con lo staff inquirente di polizia carabinieri e guardie di finanza. Per lui è già pronta una stanza nel palazzo di giustizia palermitano. Ieri intanto il direttore dell’Fbi William Session si è incontrato a Roma con il ministro Martelli. Session ha visitato l’ufficia di Falcone e ha annunciato che l’America dedicherà al giudice ucciso una lapide. [a. r.]
 

In questura la talpa della «famiglia»

Carabinieri arrestano un poliziotto a Niscemi Informava i mafiosi sulle operazioni dei giudici
Un giovane poliziotto di Niscemi informava la mafia sugli sviluppi delle indagini sui boss. E’ stato arrestato ed è in cella di isolamento a Palermo. Nessuna indiscrezione sulla sua identità, anche se gli investigatori hanno ammesso che il suo nome è incluso fra i 54 destinatari degli ordini di custodia cautelare emessi dalla magistratura di Caltagirone il 27 maggio e che hanno permesso a carabinieri e «Fiamme Gialle» di eseguire una vasta operazione in Sicilia, Lombardia, a Dortmund e a Liegi. Un colpo forse decisivo per il clan dei tre fratelli Russo di Niscemi, che avrebbero ricevuto soldi e favori dal deputato regionale de e membro della commissione antimafia dell’assemblea siciliana Filippo Butera. L’uomo politico è stato arrestato l’altro giorno per reati elettorali. Interrogato ieri per due ore nel carcere di Ernia, Butera avrebbe ribadito la sua innocenza, ma non è stato creduto. Diversamente da Butera, arre¬ stato nell’ambito di uno stralcio dell’inchiesta sul «clan Russo», la «talpa» è finita dietro le sbarre durante l’operazione del 27 maggio che ha portato in prigione una ventina di boss e gregari accusati di traffico di droga e armi, associazione mafiosa e, alcuni, anche di omicidi, tentativi di omicidio e lupare bianche. Gli altri erano già in cella, sempre accusati per mafia. E ci sono 3 latitanti.
Le indagini furono estese dopo che quattro mesi fa, sotterrate in una serra per la produzione di primizie a Niscemi, i carabinieri trovarono armi e munizioni fra cui alcuni kalashnikov. Si sospettò che i mafiosi niscemesi più volte fossero riusciti a beffare la polizia, prevenendo di poco ricerche e irruzioni, anche grazie a informazioni precise con le quali erano stati messi in condizione di farla franca. Sulla «talpa» sta indagando Anna Canepa, sostituto procuratore di Caltagirone, che ha richiesto al gip Edoardo Gari di emettere i provvedimenti re¬ strittivi contro la cosca di Niscemi alcuni componenti della quale, come il boss Vincenzo Russo, erano già stati arrestati nei mesi scorsi dopo il primo avvio dell’inchiesta. Il nome di Anna Canepa, giovane magistrato fra i più attivi nel distretto di Catania, era stato fatto recentemente da un «pentito» che l’aveva indicata come «candidata» a morire insieme con il tenente colonnello Umberto Pinotti, allora co mandante del gruppo di Calta rassetta dei carabinieri. I due sa rebbero dovuti saltare in aria come Falcone la moglie e i tre poliziotti della scorta, nello scoppio di un potente ordigno radiocomandato. L’attentato fu poi sospeso, forse per l’incalzante serie di arresti che fin dall’inizio aveva portato in carcere alcuni elementi-chiave del clan, Anna Canepa sta riservando adesso parecchia attenzione alla «talpa». Cerca di scoprire quale ruolo abbia avuto, magari anche al di là di quello del semplice informatore, la. r.]

Non è reato chiedere voti alle cosche

Carnevale boccia Cordova, liberi 2 politici calabresi. Coloro che ambiscono a diventare membri di associazioni elettive possono rivolgersi, per ottenere voti, alle cosche poiché, per la Cassazione, in questo non si può configurare reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. La conclusione è della prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale. A fruire di quest’interpretazione dell’art. 416 bis (quello che ipotizza il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso) sono due esponenti di spicco nell’arcipelago socialista calabrese, Mario Battaglini, 61 anni, presidente dimissionario del Coreco di Reggio Calabria, e Francesco La Ruffa, 35 anni, ex consigliere comunale di Rosarno, per i quali Carnevale non solo ha deciso l’annullamento del provvedimento restrittivo, ma lo ha fatto non prevedendo il rinvio per il riesame. I due si trovavano in stato di detenzione dal marzo scorso quando, contro di loro, il Gip del tribunale di Palmi (la cui procura è retta da Agostino Cordova) aveva emesso ordinanze di custodia cautelare in carcere con l’accusa di avere legato le sorti elettorali loro e di persone ad essi vicine ad un accordo con esponenti delle cosche Pesce di Rosarno (oggi forse la più potente dell’intera ‘ndrangheta) e Pisano di San Ferdinando, e di aver subordinato l’appoggio all’erogazione successiva di favori quando si sarebbe trattato di spartire appalti e subappalti. Per Carnevale, ha detto il difensore di Battaglini e La Ruffa, l’aw. Carlo Taormina, dopo essere venuto a conoscenza del pronunciamento della Cassazione, la decisione è giuridicamente ineccepibile poiché, tra le finalità del 416 bis, non è compreso l’accaparramento di voti. Appalti e concessioni sono separati da un tempo troppo lungo dalle elezioni, ha detto ancora Taormina, per poter essere messi in relazione con esse. «Seguendo la logica del teorema Cordova – ha detto Taormina – il delitto di associazione per delinquere potrebbe essere contestato a qualsiasi lobby o partito». L’inchiesta che aveva portato all’arresto di Battaglini e La Ruffa era la stessa che, nel dicembre dello scorso anno, aveva scosso la Calabria politica, ipotizzando l’esistenza di un asse tra esponenti dei partiti e cosche della ‘ndrangheta, finalizzato alla creazione di un sistema di cointeressenze tra mafia, politica e affari. Quello che per l’aw. Taormina è il «teorema Cordova» sta tutto in questo: la contrattazione di voti contro favori tra esponenti politici (soprattutto socialisti) e ‘ndrangheta. Quell’inchiesta tenne banco per settimane perché, soprattutto da parte socialista, fu vista come un attacco ingiustificato ed in- giustificabile proprio contro il psi. Attacchi moltiplicatisi quando, dalla procura di Palmi, partirono richieste di autorizzazioni a procedere, sempre per associazione per delinquere di tipo mafioso, contro il sen. Sisinio Zito (il fratello Antonio, pure lui socialista, vicepresidente del Consiglio regionale, figura tra gli inquisiti) e 1 on. Sandro Principe, figlio dell’ex parlamentare Francesco, più volte sottosegretario ed ex presidente della giunta regionale calabrese. Per tutti e due, la giunta dell’autorizzazio¬ ne a >procedere trovò, ^unanimità per respingere la richiesta. Quando Battaglini e La Ruffa si erano rivolti al Tribunale della Libertà, il responso del collegio di riesame era stato durissimo. In quasi duecento pagine i giudici avevano confermato punto per punto gli elementi posti a base dell’ordinanza di custodia cautelare dicendo come lo sfruttamento delle risorse finanziarie di emanazione pubblica implica anche il «controllo, diretto e indiretto, dell’attività amministrativa in tutte le sue esplicazioni o il suo condizionamento». Condizionamento che può seguire due strade: o inserendo propri elementi nelle Amministrazioni, o colludendo con essi. Quindi lo scambio di voti contro l’impegno e la disponibilità degli amministratori. Per il Tribunale della Libertà non ci sono dubbi su questo tipo di accordi, definiti di tipo «corruttivo-collusivo», che sono alla base di mi sistema di potere che la ‘ndrangheta ha costruito e non certo solo per la forza delle sue minacce. Diego Minuti Agostino Cordova (sopra) candidato alla Superprocura. A sinistra il presidente della prima sezione di Cassazione, Carnevale
 
 
9/06/1992

 

Nette d’inferno per la mala Nette d’inferno per la mala Maxi blitz anche nelle regioni del Nord

 
Da Milano a Palermo, passando per le zone «calde» della Puglia, del Lazio, della Calabria e della Campania, una maxi-retata ha riempito le caserme di mezza Italia. E’ la prima, macroscopica conseguenza del nuovo decreto governativo, entrato in vigore alla mezzanotte di lunedì. Più di 1200 pregiudicati, la maggior parte sospettati di far parte di organizzazioni mafiose, sono stati «fermati» e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria che dovrà vagliare le singole posizioni.
I giudici, in pratica, dovranno stabilire quanti dei «fermati» potranno continuare ad usufruire dei benefici concessi dalla legge Gozzini. I «fermati», infatti, sono quasi tutti detenuti o imputati che si trovavano in regime di semilibertà, agli arresti domiciliari, in libertà condizionale o che usufruivano di permessi speciali o, ancora, che stavano in affidamento ad assistenti sociali. La loro posizione potrebbe cambiare e tornare quella di detenuti «normali»: dipenderà dall’atteggiamento che assumeranno nei confronti delle autorità.
Chi non collaborerà sarà rispedito in carcere. E la detenzione si annuncia particolarmente dura. L’operazione di polizia si è svolta in gran segreto, per evitare che molti potessero fuggire prima dell’entrata in vigore del decreto. Il maggior numero di «fermati», com’è naturale, è concentrato nelle regioni cosiddette a rischio: in Campania (175), in Calabria (247), in Sicilia ( 151 ) e in Puglia ( 134). Ma anche in alcune regioni del Nord e nel Lazio polizia e carabinieri hanno accompagnato in caserma decine di pregiudicati. L’esito dell’operazione, tuttavia, è legata alle decisioni della magistratura. I primi segnali che arrivano non sembrano del tutto univoci. Nel Napoletano e a Palermo, forse per via di un rodaggio ancora incerto, si registrano atteggiamenti contrastanti. Campania. E’ la regione maggiormente interessata alla maxiretata. Ed è anche la regione dove il decreto sembra aver creato qualche problema. Su 127 fermati a Napoli, la magistratura sembra orientata ad applicare quasi in blocco le nuove nonne. Lo stesso non accade a Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, dove i 50 fermati sembra siano stati tutti rispediti a casa. La situazione è resa più complicata dall’atteggiamento degli avvocati che sono insorti contro l’iniziativa del governo, proclamando uno sciopero. I pe¬ nalisti avevano già protestato, nalisti avevano già protestato, promuovendo una raccolta di firme per il «ripristino del codice Rocco». In Campania, tuttavia, si è registrato anche il primo successo della «filosofia» che ispira le nuove norme. Tre dei fermati, di fronte alla possibilità di perdere i benefici concessi dalla legge Gozzini, si sono detti disposti a collaborare. Sono tre camorristi: due, accusati di associazione mafiosa, stavano agli arresti domiciliari. Un terzo, imputato di traffico di, stupefacenti, godeva degli arresti domiciliari. Tra i fermati anche tre condannati all’ergastolo per omicidio che stavano anche: loro agli arresti domiciliari nv attesa del processo di appello e molti camorristi, tra i quali tre del clan «Nuzzo»: Michele Scudiero, Igino Caporale e Domenico Fortunato. Una cinquantina i fermati a Caserta: «colpito» il clan dei «Caselesi». Sicilia. A Palermo i «fermati» sono 56: 30 stavano agli arresti domiciliari, 26 in semilibertà. Il provvedimento è stato confermato per 15 del gruppo di semiliberi. Nel capoluogo, però, non ci sono boss che godono della legge Gozzini: tutti – quelli non . latitanti – erano stati portati in carcere dopo l’omicidio di Libe- carcere dopo l’omicidio di Libero Grassi. Retate anche a Catania, Messina e Trapani. Calabria. Sono state controllate 247 persone: 112 a Reggio e provincia, 96 a Catanzaro e una quarantina a Cosenza. La Procura di Palmi ha già emesso 13 provvedimenti di fermo su 50 richiesti. Puglia. Sotto pressione i mafiosi della «Sacra Corona Unita». I fermati sono un centinaio e, secondo il prefetto Rossi, vicecapo della polizia, tanti «avrebbero manifestato l’intenzione di collaborare». L’operazione ha interessato anche il Lazio, la capitale (60 fermati), la Lombardia, l’Umbria e il Piemonte dove la magistratura sta vagliando la posizione di una cinquantina di persone. Francesco La Licata Presi i pregiudicati affiliati ai clan che godevano della legge Gozzini Solo chi collabora potrà evitare di tornare subito in carcere Alcuni dei fermati nel blitz anticamorra. Gli agenti hanno fatto i controlli nella caserma Nino Blxio a Napoli 
 
 

«Come in guerra contro la Piovra»

 
Dopo il «super-decreto antimafia» retate in tutta Italia: catturati 1200 presunti boss «Come in guerra contro la Piovra» Martelli: ispirati dalle parole della vedova Schifani Ma a Palermo è polemica: «Sono leggi intrise di sangue»
Lo Stato si ispira a Rosaria Schifani, la giovane vedova di uno dei tre poliziotti trucidati dalla mafia insieme a Giovanni Falcone e a Francesca Morvillo. «Io vi perdono, ma voi vi dovete inginocchiare», aveva detto la donna durante i funerali delle vittime della strage di Capaci. Il ministro della Giustizia Martelli ha ripetuto ieri quelle parole che hanno commosso l’Italia per illustrare la filosofia del «superdecreto» antimafia: massime agevolazioni per chi si pente e decide di collaborare con la giustizia, carcere sempre più duro per chi invece rispetterà la legge dell’omertà mafiosa. Agli «irriducibili» di Cosa Nostra, insomma, la vita sarà resa difficile. E non solo col carcere che non sarà più un «grand hotel», ma anche con la modifica del proceso penale in modo da dare a polizia e magistratura armi più efficaci per combattere la guerra alle cosche. Il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti parla in termini molto espliciti: «Porte aperte ai pentiti. Ma quando la mafia fa saltare in aria Falcone, io non posso rispondere come un signorino, andando molto per il sottile. Se costoro impongono misure di guerra, bisogna tenerne conto». Proprio su questo, sulja reazione arrivata solo dopo l’omicidio dell’uomo-simbolo della lotta a Cosa Nostra, s’è già aperta la polemica dei magistrati. In prima fila Giuseppe Ayala, oggi deputato del pri, che commenta così il super-decreto: «La direzione è quella giusta. Il problema è che c’è voluta ancora una strage per recuperare terreno da quella caduta pseudo-garantista che è stata la politica repressiva dello Stato negli ultimi anni Ottanta». Anche i giudici di Palermo criticano i ritardi del governo (Roberto Scaripinato ha dichiarato: «Queste leggi sono sporche di sangue, provocano indignazione»), e con loro si schiera il presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Ma l’aria e il piglio di Martelli e Scotti non sono quelli di chi si preoccupa delle polemiche. I tecnici della Giustizia e dell’Interno hanno lavorato per quasi due settimane, e ieri mattina i due ministri si sono presentati ad una conferenza stampa popolata anche da molti giornalisti stranieri per illustrare il decreto-legge che rappresenta la risposta del governo alla sfida delle cosche. Il contenuto delle nuove norme è quello già ampiamente anticipato nei giorni scorsi, e l’aspetto più rilevante oltre ai maggiori poteri d’indagine concessi alla polizia – resta quello del nuovo invito al pentimento, alla collaborazione con la giustizia. Un esempio: per chi deciderà di vuotare il sacco sarà varato un particolare piano di protezione che prevede anche la custodia fuori dalle carceri, e sarà possibile ottenere ogni genere di beneficio penitenziario, dai permessi premio agli arresti domiciliari; per chi viceveresa non collaborerà, non solo non ci saranno benefici e permessi (aboliti da oggi per i mafiosi dall’articolo 15 del super-decreto), ma potrà essere ripristinato il carcere duro già fatto scontare ai terroristi. Sarà reintrodotto, in presenza di «particolari esigenze di ordine e sicurezza», il famigerato articolo 90 del vecchio ordinamento penitenziario: isolamento, sospensione dei colloqui, controllo della corrispondenza. «Si tratta di un doppio regime speculare – spiega Martelli – che, ove applicato con professionalità, potrà consentire la rottura di quel muro di omertà che da sempre ha caratterizzato le organizzazioni criminali più agguerrite». A protezione dei pentiti oltre che delle prove, è stato anche modificato il codice di procedura penale nelle norme che riguardano l’ascolto delle dichiarazioni dei testimoni e degli imputati. Sarà possibile acquisire nei processi i verbali di deposizioni rese in altri processi, e il giudice disporrà nuovi interrogatori «solo se lo ritiene assolutamente necessario». Se un pentito protetto risiede all’estero, sarà possibile interrogarlo «anche a distanza, ove siano disponibili adeguati mezzi tecnici». Un collaboratore che si trova negli Stati Uniti, quindi, potrà essere ascoltato da una Corte d’assise in teleconferenza, basterà un poliziotto oltreoceano che ne accerti l’identità. Per il resto, la polizia giudiziaria avrà più poteri «autonomi» nelle sue indagini, ci saranno controlli sul tenore di vita dei sospettati, misure patrimoniali e confisca dei beni. E i falsi testimoni verranno puniti con pene più severe, anche quando tacciono ciò che sanno alla polizia. Giovanni Bianconi Il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, che ieri ha illustrato le nuove misure con il collega Martelli