Undercover operations: l’agente sotto copertura e l’agente provocatore

 

 

Le operazioni sotto copertura suscitano da anni l’attenzione non solo degli operatori del diritto, ma anche di registi e sceneggiatori. Siamo oramai abituati a vedere in film o serie tv questo tipo di operazioni di polizia. Cerchiamo di vedere, con le lenti del giurista, cosa sono e che cosa è consentito fare nel nostro ordinamento a chi effettua le undercover operations.

Innanzitutto, bisogna effettuare una fondamentale distinzione: l’agente sotto copertura o infiltrato, da un lato, e l’agente provocatore, dall’altro. Tale ripartizione si rende necessaria in quanto il primo è lecito e pienamente utilizzabile, mentre il secondo è ritenuto contra ius dalla Corte di Strasburgo[1]e, a cascata, dalla giurisprudenza nazionale.

Cerchiamo di capire il perché analizzando alcune differenze fra queste due figure.

In primo luogo, l’agente sotto copertura si colloca all’interno di un procedimento penale già avviato e, quindi, presuppone l’esistenza di una notizia di reato a monte del suo operato.

Il provocatore, invece, agisce prima e a prescindere dall’acquisizione di una notitia criminis.

Ne deriva che mentre l’infiltrato non fa altro che insinuarsi nel tessuto criminale osservando e disvelando un reato, l’agente provocatore dà origine a un reato che senza il suo intervento di istigatore non si sarebbe mai verificato nella realtà storica.

Oltre agli elementi che li differenziano, agente provocatore ed infiltrato hanno anche dei tratti comuni.

Ad esempio il contesto in cui agiscono, i c.d. reati di criminalità organizzata: entrambi costituiscono, infatti, l’insostituibile fattore umano indispensabile per capire quali siano le intenzioni di un’organizzazione criminale, nonché il relativo radicamento sul territorio, le gerarchie interne, la forma mentis ed il modus operandi degli affiliati.

In genere, ambedue queste figure utilizzano, com’è ovvio supporre, identità e documenti di copertura o fittizi e le operazioni in esame devono necessariamente essere svolte da agenti di p.g. o da loro ausiliari in specifiche operazioni di polizia e per specifici reati previsti ex lege.

Dal punto di vista normativo, il Legislatore ha iniziato ad interessarsi al tema nel 1990 e, segnatamente, con il T.U. in materia di stupefacenti ossia il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 che agli artt. 97 e 98 ha previsto le attività sotto copertura nelle indagini antidroga.

L’ambito operativo di questo tipo di strumenti investigativi è stato ampliato nel corso degli anni fino a ricomprendere: sequestro di persona a scopo di estorsione (L. 15 marzo 1991, n. 82), contrasto al traffico di armi (L. 7 agosto 1992, n. 356), usura e riciclaggio (L. 18 febbraio 1992, n. 172), reati di pedo-pornografia, prostituzione minorile, riduzione in schiavitù e turismo sessuale (L. 3 agosto 1998, n. 269), contrasto al crimine organizzato internazionale e transnazionale (L. 15 dicembre 2001, n. 438) e, infine, alcuni reati contro la p.a. (L. 9 gennaio 2019 n. 3).

Questa l’evoluzione normativa dell’istituto.

Inoltre, è da segnalare la riforma organica effettuata con L. 16 marzo 2006, n. 146 che all’art. 9 delinea compiutamente l’attuale disciplina delle operazioni sotto copertura.

L’attività dell’agente infiltrato deve, quindi, mantenersi allo stato di mero controllo, osservazione e contenimento dell’altrui condotta criminosa in quanto laddove sfociasse in istigazione a commettere delitti si trasformerebbe in quella dell’agente provocatore.

Cosa può fare l’infiltrato? Sicuramente non ha licenza di uccidere.

Le prerogative dell’agente sotto copertura sono tassativamente elencate all’art. 9, L. n. 146/2006 il quale chiarisce che dette condotte sono non punibili solo se effettuate nel corso di specifiche operazioni di polizia e al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti.

In primis, l’infiltrato può omettere o ritardare gli atti di rispettiva competenza. Sugli agenti di p.g. incombe, infatti, l’art. 55 c.p.p. che esprime il concetto di ordine pubblico[2] e l’art. 328 c.p. sull’omissione di atti d’ufficio e, pertanto, se costoro non fossero facoltizzati a ritardare l’arresto non avrebbe senso alcuno l’operazione sotto copertura.

Gli agenti possono, inoltre, dare rifugio o comunque prestare assistenza agli associati ex art. 9, comma 1, lett. a), L. 146/2006.

Particolarmente delicata è la questione concernente un certo tipo di operazioni che gli è consentito svolgere: gli infiltrati acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego[3].

In altri termini: possono commettere reati, rectius azioni che se non fossero espressione di specifiche operazioni di polizia sotto copertura integrerebbero sic et simpliciter condotte meritevoli del disvalore delle fattispecie penali.

Con la legge c.d. “spazzacorrotti” (L. n. 3/2019) il Legislatore ha esteso il raggio d’azione dell’infiltrato[4] anche ad alcuni reati contro la p.a. di particolare allarme sociale (quali corruzione, induzione indebita, concussione, etc.).

A questo punto sorge spontanea un’altra domanda, e cioè se e fino a che punto l’agente provocatore e l’agente infiltrato siano scriminati.

La giurisprudenza ha chiarito che la loro condotta ‘‘è scriminata per adempimento del dovere solo se non si inserisca con rilevanza causale nell’iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui”. [5]

Inoltre la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non può farsi derivare dall’obbligo previsto “dall’art. 55 c.p.p., l’esclusione della responsabilità dell’agente provocatore, poiché è adempimento di un dovere perseguire i reati commessi, non già di suscitare azioni criminose al fine di arrestarne gli autori” (Cass. pen., sez. 4, 21 settembre 2016, n. 47056).

Sinteticamente può, dunque, affermarsi che l’infiltrato è sempre scriminato, ma solo nel caso in cui compia le prerogative tassativamente tipizzate dall’art. 9, L. 146/2006.

Il provocatore, invece, non è espressamente scriminato, ma bisogna segnalare che non è sempre penalmente rilevante ciò che egli ponga in essere: bisogna analizzare caso per caso.

Ad esempio, è stata affermata dalla giurisprudenza la penale responsabilità di agenti provocatori i quali, in operazioni antidroga, non si erano limitati ad acquistare e detenere, bensì avevano venduto la sostanza stupefacente (Cass. pen., sez. 3, 15 gennaio 2016, n. 31415).

Si faccia un altro esempio. Poniamo il caso in cui un agente si finga un imprenditore e faccia una proposta corruttiva ad un politico. [6] Nel caso in cui quest’ultimo non accettasse nulla questio.

Nel caso in cui il politico abbia, invece, accettato l’offerta vi sarebbe la configurazione di un qualche reato? Indubbiamente no.

In particolare, né provocatore né provocato sono punibili in quanto, senza neanche dover scomodare il reato impossibile di cui all’art. 49, comma 2. c.p. per inidoneità della condotta, rientrano nel perimetro del famoso brocardo latino cogitationis poenam nemo patitur. [7]

Non sembra comunque compatibile con l’impostazione dello Stato di Diritto, democratica e liberale, quella di uno Stato intento ad istigare e saggiare sotto mentite spoglie l’onestà dei propri dipendenti pubblici, anche se ben potrebbe utilizzarsi questa tecnica di integrity testing ad esempio a livello giornalistico.

Per quanto concerne il profilo operativo, è necessario porre in evidenza alcuni aspetti essenziali di come si svolgono questo tipo di operazioni di polizia.

In primis, è indispensabile mantenere un costante monitoraggio dell’agente infiltrato per salvaguardarne l’incolumità durante la fase attiva del contatto con il crimine organizzato: anche con prossimità di forze pronte a soccorrere l’agente in caso di emergenza.

Di non poco momento è poi l’importanza di uno specifico addestramento dell’agente in questione.

Il riferimento è tanto ad una specifica preparazione a vivere in contesti criminali particolarmente pericolosi quanto e soprattutto ad una specifica formazione culturale: ad esempio, un infiltrato che voglia fingersi un imprenditore intenzionato a contrattare con la p.a., in indagini per reati corruttivi, necessita di indispensabili conoscenze tecniche e lessicali dell’ambiente nonché di contatti personali, disponibilità economiche, etc.

Quest’ultimo aspetto ci porta ad una questione problematica che riguarda in particolar modo le operazioni sotto copertura per reati contro la p.a.

Come può un agente di polizia fingersi, in modo credibile, un imprenditore che voglia aggiudicarsi un appalto, una concessione o un affidamento diretto di rilevante consistenza economica o addirittura di livello nazionale o europeo? Sembra oltremodo difficile costruire un passato fittizio di imprenditore con tanto di azienda avviata nel settore, da rifilare ad un pubblico ufficiale competente. [8]

Si pensi poi al caso in cui vari imprenditori costruiscano un sistema con il quale corrompono il pubblico funzionario che redige il capitolato di un appalto in modo da avere dei requisiti confacenti alle loro imprese (il c.d. “abito sartoriale” o su misura)[9] creando così una lobby che si spartisce ogni anno il medesimo appalto.

Come sarebbe credibile agli occhi di veri imprenditori un infiltrato la cui azienda in realtà non esiste!? La soluzione è offerta dalla stessa normativa in quanto le udercover operations possono essere svolte non solo da un agente di polizia giudiziaria tout court, bensì anche da un suo ausiliario.

Utilizzando un vero imprenditore o un vero appartenente ad un’organizzazione criminale, mafiosa o di narcotraffico, l’operazione diventa indubbiamente più efficace rispetto a quella di un agente di polizia al quale servirebbero innumerevoli e costosi corsi di formazione e passati virtuali di non sempre facile costruzione.

In conclusione, può affermarsi che mentre l’infiltrato costituisce un irrinunciabile strumento investigativo, soprattutto nell’azione di contrasto per certi tipi di reato, il provocatore è, invece, una figura troppo controversa per essere introdotta nel nostro ordinamento, almeno per il momento.

[1]                    Sul punto, “in the fight against crime cannot justify the use of evidence obtained as a result of police incitement”, cfr. Corte eur. dir. uomo, 9 giugno 1998, Teixeira de Castro c./Portugal; Corte eur. dir. uomo, 27 ottobre 2004, Edward & Lewis c./UK: il quale, ai sensi dell’art. 117 Cost., costituisce principio di diritto vincolante nel nostro ordinamento; a livello nazionale, Cass. pen., sez. 4, 21 settembre 2016, n. 47056.  

[2]                    Art. 55, comma 1, c.p.p.: “la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.

[3]                    Preme sottolineare come queste prerogative, essendo tassative, non sono analogicamente interpretabili.

[4]                    Nel contratto di Governo al punto 15 era prevista l’introduzione dell’infiltrato e “la valutazione della figura dell’agente provocatore”: nella legge definitiva è poi confluito il solo infiltrato.

[5]                    Cfr., Cass. n. 10695/2008; n. 14677/2002; n. 11634/2000; n. 2890/1988; n. 10849/1975; n. 311/1969.

[6]                    Negli USA sono soliti utilizzare gli integrity testing effettuati in undercover operations o in inchieste giornalistiche, vedi P. Davigo, Il sistema della corruzione, Laterza, Bari, 2017, 62.

[7]                    Diversamente opinando si finirebbe per ripristinare la dottrina della colpa d’autore che si sviluppò nella Germania nazista attorno agli anni ’40 del secolo scorso in base alla quale si era colpevoli per la mera propensione al delitto.

[8]                    Così, F. Cardella, Corruzione e sistema mafioso, in Nova Itinera. Percorsi del diritto nel XXI secolo, Nuova scienza s.r.l., Roma, 2017, III, 11.

[9]                    Al riguardo, R. Cantone, E. Carloni, Corruzione e Anticorruzione. Dieci lezioni, Feltrinelli, Milano, 2018, 6

 

A cura di: Lorenzo Pelli, Elsa Perugia IUS IN ITINERE