Cimitero Mediterraneo …

Lorefice

 

Naufragio nell’Egeo, Lorefice: “Politiche in Europa favoriscono la mafia internazionale delle migrazioni”

 

L’arcivescovo dopo la strage nel mar greco: “La linea rigorista dei nostri governi nazionali e dell’Ue è una industria di morte di innocenti”

 

“Nessuno può dirsi cristiano se non si indigna e non si impegna ad una urgente conversione delle nefaste scelte politiche migratorie dei paesi europei. Non soccorrere chi rischia la vita, non salvare esseri umani è un crimine. La linea rigorista dei nostri governi nazionali e della comunità europea è una industria di morte di innocenti che condanniamo a morire due volte. Una politica che non previene le stragi ma le determina consapevolmente tradisce la costitutiva missione della costruzione della polis umana”. Così l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice sulla strage di migranti a Pylos, nelle acque dell’Egeo.  

“Se le nostre città europee perdono il dovere umano di accogliere quanti sono disposti ad affrontare la morte pur di fuggire dalla disperazione e dalla guerra – prosegue Lorefice – non avranno altro futuro se non quello di nuove città di Babele in preda all’empietà e alla violenza I cuori che si raffreddano diventano insensibili, indifferenti, sospettosi, e violenti. Non soccorrere chi rischia la vita, non salvare esseri umani – 750 persone, membri della famiglia umana – è un crimine. Non educare all’accoglienza significa formare alla violenza. Ci indigniamo come cittadini e come cristiani e chiediamo prontamente scelte concrete per una politica migratoria libera da populismi e da interessi di parte, intelligente, accogliente e inclusiva”.  

“Non aprire vie legali di approdo dei migranti e di redistribuzione solidale nei paesi europei – continua l’arcivescovo – equivale a un sostegno diretto e consapevole alle industrie mafiose internazionali che hanno messo le mani sull’affare migrazioni da povertà economica e conflitti bellici determinati e fomentati ipocritamente da noi occidentali. Significa ‘consacrare’ respingimenti, naufragi e reclusione nei tanti lager dei paesi di frontiera – in primis della Libia – lager di cui tutti abbiamo consapevolezza grazie alle testimonianze di quanti vi sono tristemente rinchiusi o alle immagini inviate dai reporter”. 
PALERMO TODAY


Migranti, una strage mai vista

 

Le autorità greche ritengono che siano almeno 500 forse 600 i morti nel tragico naufragio di un barcone di migranti, avvenuto ieri al largo delle coste della Grecia, a 75 chilometri a sud-ovest di Pylos, nel Peloponneso. La terribile stima si basa sui racconti dei 104 sopravvissuti, così come sulle valutazioni della Guardia costiera ellenica sul numero di persone che affollavano la nave. «Secondo le dichiarazioni delle persone che si trovavano a bordo, il numero dei passeggeri era di 750», ha dichiarato il governatore della regione del Peloponneso, Panagiotis Nikas. Il naufragio del peschereccio è avvenuto a 47 miglia nautiche a sud-ovest di Pylos. «È possibile ci siano fino a 600 morti», ha confermato Manolis Makaris, il medico che ha accolto i superstiti nell’ospedale di Kalamata, ribadendo che la stima si basa sulle testimonianze dei sopravvissuti che ha assistito: «Tutti mi hanno detto che sulla barca c’erano 750 persone, tutti mi hanno parlato di questo numero». Si sono salvati I sopravvissuti hanno descritto un tentativo di soccorso della Guardia costiera prima del naufragio. «Tre superstiti ci hanno raccontato che l’incidente è avvenuto quando la Guardia Costiera greca ha agganciato il peschereccio con una corda e stava provando a trainarlo. Allora, senza un apparente motivo, il peschereccio si è ribaltato», ha dichiarato all’Ansa, Kriton Arseni, rappresentante di Mera25, il movimento politico fondato da Yanis Varoufakis, dopo avere incontrato alcuni superstiti del naufragio sistemati in un magazzino nel porto di Kalamata. Nella stiva del peschereccio, sempre secondo la testimonianza di un superstite, ci sarebbero stati «almeno 100 bambini». Gli stessi superstiti hanno dichiarato di aver pagato tra i 4 e i 6 mila dollari ciascuno per il viaggio. La Grecia ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. L’agenzia di frontiera dell’Ue Frontex ha dichiarato di aver avvistato la barca nel primo pomeriggio di martedì e di aver immediatamente informato le autorità greche e italiane. Le autorità greche avrebbero arrestato alcuni scafisti tra i sopravvissuti. ITALIA OGGI 16.6.2023


I dati del Governo


Migranti, cimitero Mediterraneo: 26mila morti in dieci anni

 

È l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) a tenere il conto delle vittime. La rotta che collega Libia e Tunisia all’Italia è la più letale in tutto il mondo

Il numero continua a salire e tocca ormai quota 26mila in dieci anni. Già 225 nel solo 2023, calcolando quelli del naufragio di oggi davanti alle coste crotonesi. Erano stati 2.406 nel 2022. Sono le vittime dei viaggi della speranza. Migranti partiti dall’Africa e dall’Asia col sogno di raggiungere l’Europa. Ma annegati durante la traversata, prima di toccare terra. A volte a pochi metri dalla meta. come è accaduto per l’ultimo barcone partito dalla Turchia. Ed il Mediterraneo diventa così un vero e proprio cimitero che inghiotte i corpi senza più restituirli per la sepoltura o l’identificazione. E’ l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) a tenere il conto delle vittime con il Missing migrant project, attivo dal 2014.

I naufragi “invisibili”

Il progetto prende in considerazione tre rotte: Mediterraneo Centrale, Occidentale e Orientale. La prima, che collega Libia e Tunisia all’Italia, è la più letale in tutto il mondo. Oltre 17mila tra morti e dispersi registrati dal 2014 ad oggi. E c’è evidenza che molti naufragi restano “invisibili” – appaiono imbarcazioni senza nessuno a bordo, oppure affiorano resti di barche – sfuggendo così al conto dell’Oim. Il numero delle tragedie è dunque sottostimato. Le cause dell’alta mortalità di questa rotta? È la più frequentata, ma c’è anche da considerare che i trafficanti di uomini impiegano gommoni e barche spesso fatiscenti. Ed a guidarle sono non di rado gli stessi migranti che vengono brevemente addestrati in modo sommario prima della partenza. Alla rotta occidentale sono attribuiti 2.300 morti, mentre 1.700 sono stati registrati in quella orientale.

Dalla Turchia un quinto degli arrivi

Proprio dalla Turchia, da Smirne, era partito il barcone affondato in Calabria. E da quell’area proviene circa il 20% degli arrivi in Italia. I trafficanti turchi utilizzano barconi in legno di più grandi dimensioni rispetto a quelli che partono da Libia e Tunisia, ma anche barche a vela. Il viaggio è infatti più lungo, c’è un migliaio di chilometri da percorrere e non si possono usare gommoni o barchini. La qualità delle unità messe in mare, che non di rado vengono condotte da scafisti russi e ucraini, è tuttavia frequentemente modesta. L’Unione europea ha concesso 6 miliardi di euro alla Turchia per fermare il flusso di migranti che arrivavano in Europa via terra, dai Balcani. Quel flusso è così drasticamente calato negli ultimi anni, ma una parte dei migranti che affollano la Turchia tenta la fortuna via mare puntando proprio verso l’Italia.

Le stragi maggiori

La strage maggiore del Mediterraneo centrale, almeno tra quelle conosciute, risale al 19 aprile del 2015: un peschereccio partito da una spiaggia ad una cinquantina di chilometri da Tripoli si ribalta nel canale di Sicilia. Un numero certo di quanti fossero a bordo non c’è, ma molte testimonianze concordano che fossero circa 850 persone, tra cui una cinquantina di bambini. I sopravvissuti furono solo 28. Due anni prima all’alba del 3 ottobre 2013, l’orrore si era materializzato a due passi dall’isola dei Conigli, la spiaggia paradiso di Lampedusa. Un barcone di 20 metri partito da Misurata, in Libia, si rovescia a mezzo miglio dall’isola. Il bilancio è di 368 morti accertati ed una ventina di dispersi. Otto giorni dopo, altra tragedia, nota come la “strage de bambini”: affonda un barcone con a bordo circa 200 persone, tra cui una sessantina di minorenni.

Da Mare Nostrum a Triton

Proprio in seguito a questi eventi il Governo presieduto da Enrico Letta lancia la campagna Mare Nostrum, imponente missione di salvataggio in mare come navi ed aerei di Marina Militare ed Aeronautica. La sostituisce un anno dopo la missione a guida europea Triton. Si fa però strada il concetto di “pull factor”: assetti di salvataggio in mare, è la teoria, condivisa da molti nel Governo attuale, costituiscono un fattore attrazione delle partenze di migranti verso l’Europa. C’è stato quindi un progressivo depotenziamento dell’attività di soccorso Ue nel Mediterraneo.  


SOCCORSO IN MARE

Una lunga storia, un futuro da scrivere

L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, nasce all’indomani della Seconda Guerra Mondiale con il compito di assistere i cittadini europei fuggiti dalle proprie case a causa del conflitto. Una struttura temporanea, nei programmi iniziali: tre anni per completare il compito, poi la chiusura. Era una previsione ottimistica, ora lo sappiamo.

Settant’anni dopo, continuiamo a lavorare ogni giorno accanto ai rifugiati: in un mondo in cui ogni due secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti o persecuzioni, il nostro compito è più importante che mai

Il mandato iniziale e le prime emergenze

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituisce l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) il 14 dicembre 1950, con un mandato di tre anni in cui completare gli interventi per i cittadini europei sradicati dalla guerra.

Il 28 luglio 1951 viene adottata la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, base giuridica dell’assistenza ai rifugiati e guida dell’attività dell’UNHCR.

Nel 1954 l’Agenzia viene insignita del Premio Nobel per la Pace per il suo innovativo lavoro nell’assistenza ai rifugiati d’Europa, mentre il mandato viene esteso fino alla fine del decennio.

Nel 1956 l’UNHCR affronta la sua prima emergenza importante, l’esodo seguito alla repressione della rivoluzione ungherese da parte delle forze armate sovietiche, 200.000 persone in fuga verso l’Austria.

Da quel momento svanisce l’idea che l’Agenzia possa chiudere presto perché non più necessaria.

Dagli anni Sessanta ad oggi

Negli anni ’60, il processo di decolonizzazione in Africa crea la prima delle numerose crisi di rifugiati del continente che richiede il nostro intervento.

Nel corso dei due decenni successivi siamo impegnati nelle crisi che coinvolgono spostamenti forzati di popolazione in Asia e America Latina.

Nel 1981 l’UNHCR riceve nuovamente il Premio Nobel per la Pace per l’assistenza ai rifugiati di tutto il mondo, con una menzione agli ostacoli politici che l’organizzazione deve affrontare.

Alla fine del secolo si verificano nuovi esodi di rifugiati in Africa e anche in Europa, come a chiudere il cerchio, con le ondate di persone in fuga dai conflitti  balcanici.

L’inizio del ventunesimo secolo ci vede impegnati in diverse crisi di rifugiati in Africa – ad esempio in Repubblica Democratica del Congo e Somalia – e in Asia, in particolare per l’Afghanistan.

Nuovi compiti, nuove forze

Nel corso degli anni al mandato originario si aggiungono nuovi ambiti di intervento.

  • Dal 1972 ci occupiamo anche di assistere le persone sfollate all’interno del proprio Paese a causa di conflitti, un problema che riguarda numerose zone del mondo.
  • Nel 1974 ci viene affidata anche l’assistenza agli apolidi, milioni di persone che rischiano di vedere negati i propri diritti fondamentali perché non possiedono la cittadinanza di alcuno Stato. La loro condizione non ha molta visibilità, ma può creare conseguenze pesanti sulle loro vite.
  • In alcune parti del mondo, come in Africa e America Latina, il mandato del 1951 viene rafforzato con accordi che creano nuovi strumenti giuridici a livello regionale.

Nel 1950 l’UNHCR operava con 34 addetti, oggi può contare su oltre 16,000 membri del personale, tra locali e internazionali, fra il quartier generale di Ginevra e i 134 Paesi del mondo in cui siamo presenti.

Ogni anno il 14 dicembre ricordiamo l’anniversario dell’Agenzia, con l’amara consapevolezza che le necessità di assistenza umanitaria sono lontane dall’essere debellate.