60º – 30 giugno 1963 – La strage di Ciaculli.

 

L’esplosione di quel 30 giugno 1963 travolse la vita di sette uomini delle forze dell’ordine, lacerando nel profondo il Paese e lasciando una traccia indelebile nella storia di una Sicilia dilaniata dalla lotta interna alla criminalità organizzata. Si è parlato dell’attentato come dell’atto terminale della prima guerra di mafia che vedeva contrapposti i clan Greco e La Barbera, una guerra per la conquista della supremazia nella speculazione edilizia e nel traffico di droga, allora in intensa espansione. Indagini successive ipotizzarono un attacco rivolto ai Carabinieri della Tenenza di Roccella, ed in particolare al loro tenente Mario Malausa, autore dei primi rapporti alla magistratura sul rapporto tra la mafia e la politica locale. Ancora oggi, però, non sappiamo dare un nome al mandante e agli autori della strage.

 

Nel cuore della notte sul 30 giugno 1963, gli abitanti di Villabate, paese alla periferia di Palermo, vennero svegliati da un tremendo boato. Era deflagrata una carica di esplosivo posta su un’autovettura, lasciata di fronte all’autorimessa del mafioso Giovanni Di Peri, parente della famiglia Greco, coinvolta, sin dall’anno precedente, nella c.d. prima guerra di mafia con la famiglia La Barbera. L’attentato provocò il crollo dell’intero primo piano dell’edificio e la morte di due innocenti.

Poche ore dopo, una telefonata anonima, segnalava la presenza in Ciaculli di una Alfa Romeo Giulietta sospetta. Il tenente Mario Malausa, comandante della tenenza di Roccella, comprese subito l’importanza della notizia, perché proprio dove era stata segnalata l’autovettura, abitava Totò Greco, uno dei capi dell’omonima famiglia mafiosa. Inviò quindi sul posto una pattuglia dell’Arma, per il sopralluogo, con l’ordine di “ non toccare assolutamente nulla”.
Portatosi sul posto, con il maresciallo Calogero Vaccaro, Malausa trovò i due carabinieri di pattuglia, Marino Fardelli, appena ventenne, ed Eugenio Altomare, che avevano provveduto, con il maresciallo PS Silvio Corrao, ad isolare la zona. Notato che all’intero della giulietta si trovava una bombola di gas da cui fuoriusciva una miccia, veniva richiesto l’intervento degli artificieri. Gli stessi, il maresciallo Pasquale Nuccio e l’aiuto Giorgio Ciacci, provvidero a disinnescare l’ordigno apparentemente artigianale, dando il “cessato pericolo”.
Malausa e tutti i militari presenti si avvicinarono allora all’autovettura. Poco dopo un boato assordante. La bombola di gas aveva rappresentato solo una trappola. Un seconda carica di tritolo, collegata al portabagagli, era stata involontariamente attivata dal tenente Malausa che lo aveva aperto. L’opinione pubblica e la stampa si resero interpreti dell’orrore per il vile attentato, che costò la vita a sette servitori dello Stato. L’anno successivo venne istituita la commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia.
Sei anni dopo, in pieno centro di Palermo, si verificò uno dei più cruenti regolamenti di conti della storia. Un commando di killer, appartenenti alle famiglie di mafia di Corleone, di Santa Maria di Gesù e di Riesi, fecero irruzione, con indosso divise di agenti di Polizia, negli uffici del costruttore Moncada, ubicati a Palermo, in viale Lazio, covo del boss Michele Cavataio “il cobra”, ritenuto responsabile di aver scatenati la prima guerra di mafia. I killer fecero fuoco su tutti i presenti con pistole, mitra e lupare. Rimasero uccisi Michele Cavataio, che riuscì però a colpire uno dei killer, Calogero Bagarella, tre dipendenti dell’impresa, ed altre due persone estranee ai fatti .
Gen. Angiolo Pellegrini
 
 
 
 

Strage di Ciaculli, storia di un giovane carabiniere ucciso. Il libro del nipote su una delle sette vittime dell’attentato

 

MARINO FARDELLI: I MANDARINI ROSSI DI CIACULLI (GEMMA EDIZIONI, 198 PAGINE, 15,20 EURO) Dopo 60 anni è ancora una strage dai contorni foschi.

 

Nell’esplosione di una Giulietta morirono sette militari, e tra le vittime c’era anche un giovane carabiniere originario di Cassino, Marino Fardelli, che aveva solo vent’anni. E proprio alla storia umana di una vittima minore e dimenticata si ispira il libro del nipote omonimo, coordinatore dei difensori civici delle Regioni, che a quel tempo non era neanche nato. Il volume, presentato alla Fondazione Federico II, è più di un viaggio nella memoria: è una pagina di storia ancora tutta da rileggere, un momento tra i più efferati dello scontro tra la mafia e lo Stato.   È questa anche l’opinione di Pietro Grasso, ex presidente del Senato ma soprattutto ex capo della Procura nazionale antimafia e prima ancora giudice a latere del maxiprocesso a Cosa nostra. “Si è parlato dell’attentato – scrive nella prefazione del volume – come dell’atto terminale della prima guerra di mafia che vedeva contrapposti i clan Greco e La Barbera, una guerra per la conquista della supremazia nella speculazione edilizia e nel traffico di droga, allora in intensa espansione. Indagini successive ipotizzarono un attacco rivolto ai carabinieri, e in particolare al tenente Mario Malausa, autore dei primi rapporti alla magistratura sulle relazioni tra la mafia e la politica locale”. 
La strage di Ciaculli, una borgata dove si producono i famosi mandarini “tardivi”, colpì un’Italia che viveva la fase politica della congiuntura e l’elezione del nuovo papa, Paolo VI.
Rappresentò quel feroce attentato un punto di svolta nella lotta alla mafia. Accelerò la costituzione della prima Commissione parlamentare antimafia e diede un impulso alle indagini sul potere criminale di Cosa nostra: 114 mafiosi tra cui Totò Riina, Tommaso Buscetta, Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti, Salvatore Greco furono processati a Catanzaro. Il processo si concluse nel 1968 con alcune condanne ma solo per associazione a delinquere e varie assoluzioni.


I mandarini rossi di Ciaculli, la prima strage di mafia contro i carabinieri a Palermo

A metà strada tra le memorie personali e le vicende che hanno segnato un’epoca, l’autore Marino Fardelli ripercorre la vita dello zio, giovane carabiniere e vittima innocente di cui porta stesso nome e cognome.

 

È stato presentato all’Oratorio di Sant’Elena e Costantino, sede della Fondazione Federico II, il libro “I mandarini rossi di Ciaculli”. Domani, infatti, ricorrono i 60 anni da quella che viene ricordata come la prima strage di mafia nei confronti delle Forze dell’Ordine, avvenuta a Palermo il 30 giugno 1963: la Strage di Ciaculli, che continua purtroppo a rappresentare una delle tante tragedie impunite della memoria collettiva. A metà strada tra le memorie personali e le vicende che hanno segnato un’epoca, l’autore Marino Fardelli ripercorre la vita dello zio, giovane carabiniere e vittima innocente di cui porta stesso nome e cognome.

Persero la vita sette servitori dello Stato: Eugenio Altomare, Carabiniere; Giorgio Ciacci, Soldato artificiere dell’Esercito; Silvio Corrao, Maresciallo della Polizia di Stato; Marino Fardelli, Carabiniere; Mauro Malausa, Tenente dei Carabinieri; Pasquale Nuccio, Maresciallo artificiere dell’Esercito Italiano; Calogero Vaccaro, Maresciallo Capo dei Carabinieri. Oltre all’autore, erano presenti il Presidente dell’Ars e della Fondazione Federico II, Gaetano Galvagno, il Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, Generale di Divisione Rosario Castello, il Comandante dell’Esercito in Sicilia, Generale di Divisione Maurizio Scardino, il Presidente della Fondazione Occorsio, già procuratore della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi e il Direttore Generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso.

“È un momento importante di memoria in cui ricordiamo i nostri caduti – ha detto a margine della presentazione il Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, Generale di Divisione Rosario Castello -. Fino alla strage di Ciaculli la mafia era un fenomeno sottaciuto, si parlava di guerra fra bande. Fu allora che si capì che c’era un’organizzazione mafiosa e si registrò un momento di riscatto delle Istituzioni. Oggi è cambiata la strategia per contrastare la mafia che va combattuta in modo sistemico”. “Quando ho scritto questo libro – afferma l’autore Marino Fardelli – mi sono posto molte volte il problema se la sua stesura rispondesse ad un’esigenza ipocrita: usare la tragedia di quel Marino Fardelli per fare risaltare la verve di calamo o il percorso di vita meno alto di questo Marino Fardelli. E a quella domanda, che cento volte mi sono posto, ho trovato cento volte la stessa risposta, netta e nitida come il giudizio di un bambino su un dolce: è stato giusto farlo per mettere in guardia gli altri, non conveniente per mettere in luce me”.

“Il libro ha due aspetti di grande interesse – ha detto nel suo intervento il Presidente della Fondazione Occorsio, Giovanni Salvi, già procuratore della Corte di Cassazione -: “il ricordo dello zio, vittima della mafia, che l’autore non ha mai conosciuto ma che ha segnato le sue scelte di vita. L’altro aspetto da sottolineare è la ricostruzione attenta della strage di Ciaculli che oggi risulta utile a evitare che il clima di tranquillità apparente che stiamo vivendo faccia dimenticare che la criminalità organizzata continua a essere una sfida grandissima per la Sicilia”.

“Perpetuare la memoria oggi a 60 anni dalla strage di Ciaculli – ha detto il Direttore Generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso – ci permette di rallentare il passo per stimolare una riflessione sulla società in cui vivevamo allora e viviamo oggi, evidenziando il profondo cambiamento nel contrasto alla criminalità organizzata. Dal volume traspare il travaglio interiore con cui l’autore, familiare di una delle vittime, ha deciso di contribuire alla ricerca e alla ricostruzione della verità: per questo va dato grande merito al all’autore che rimette in ordine le immagini genuine del suo vissuto e dà finalmente voce ai sette servitori dello Stato che persero la vita”. “Una telefonata anonima – scrive nella prefazione Pietro Grasso ricordando quel giorno – segnala una Giulietta abbandonata nella campagna di Ciaculli nella periferia di Palermo. Gli uomini delle forze dell’ordine ispezionano la vettura e disinnescano una carica esplosiva. Non possono sapere che ce n’è un’altra nascosta nel bagagliaio, che esplode non appena viene aperto. Così, per mano mafiosa, muoiono in un istante sette uomini. La strage di Ciaculli provocò grandissimo sdegno nell’opinione pubblica siciliana e nazionale ma sarebbero serviti molti anni e molte altre vittime perché si prendesse piena coscienza della presenza di Cosa nostra e si iniziasse veramente a combatterla”. “La strage di Ciaculli – si legge nella postfazione del Generale di Divisione Pasquale Angelosanto, Comandante del ROS Carabinieri – è rimasta impunita ed è ancora una ferita aperta per le Istituzioni e per l’Arma dei Carabinieri. Ma il tempo ha dimostrato altrettanto certamente quanto disastrosa sia stata, per la mafia, la decisione di porre in atto quell’attentato, qualunque fosse l’obiettivo. Il sistema antimafia italiano, inteso sia come quadro normativo sia come struttura dell’apparato istituzionale deputato al crimine organizzato, è il risultato di un lungo processo evolutivo, scandito dalle sollecitazioni emergenziali conseguenti a eclatanti fatti di sangue, e Ciaculli è uno di questi”. Giornale di Sicilia 30.6.2023

 

 

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco