Con AUTO BLU e LAMPEGGIANTE (spento?) per RIFORNIRSI DI COCA…

 

 

GIANFRANCO MICCICHÈ 

 

“Escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso” ADNKRONOS

“Magari quel giorno li ha accesi perché ha imboccato la corsia preferenziale di via Libertà in senso contrario” OPEN

 


«PALERMO, ARRESTATO LO CHEF DI FERRO: SPACCIAVA COCAINA A MICCICHÈ. L’EX PRESIDENTE DELL’ARS COMPRAVA LA DROGA IN AUTO BLU E LAMPEGGIANTE»

 

Il 4 aprile, i poliziotti della squadra mobile avevano fermato in centro città lo chef Mario Di Ferro, gestore del ristorante di Villa Zito, mentre cedeva una dose di cocaina a un burocrate a contratto dell’Assemblea regionale siciliana, Giancarlo Migliorisi.
Si era subito capito che quel blitz era parte di un’indagine
molto più ampia.
Oggi, è arrivata la conferma: Mario Di Ferro è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di essere lo spacciatore di tanti vip. Uno, soprattutto: Gianfranco Miccichè, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana ed ex senatore, che non è indagato, ma è al centro dell’indagine che ha portato all’ordinanza di custodia cautelare della gip Antonella Consiglio, emessa su richiesta della procura diretta da Maurizio de Lucia.
Un’indagine nata per caso, i poliziotti con il procuratore aggiunto Paolo Guido e il sostituto Giovanni Antoci indagavano su altro, e si sono imbattuti nell’intraprendente chef.
Miccichè era uno dei più assidui clienti di Mario Di Ferro, che aveva avviato una florida attività parallela. La polizia ha arrestato anche due spacciatori che lo rifornivano, Gioacchino e Salvatore Salamone, ora sono rinchiusi in carcere. Obbligo di firma, invece, per tre collaboratori dello chef: si tratta di Pietro Accetta, Gaetano Vara e Giuseppe Menga.
Ad incastrarli sono state le intercettazioni e i pedinamenti fatti dalla squadra mobile diretta da Marco Basile e dalla nuova “Sisco”, la sezione investigativa del Servizio centrale operativo.
Per mesi, i poliziotti hanno sentito i clienti che chiedevano allo chef dosi di cocaina, utilizzando le espressioni più colorite. Pensavano così di dissimulare l’acquisto di droga, ma l’attività di spaccio non è sfuggita a chi indagava.
Non è stato facile provarla, Di Ferro e i suoi complici erano sempre molto prudenti, ma per far fronte alle tante richieste i pusher andavano direttamente a Villa Zito.
E sono stati immortalati dalle telecamere piazzate dalla polizia all’esterno, nella centralissima via Libertà.
Dopo ogni telefonata di Miccichè, Di Ferro chiamava i pusher e li convocava a Villa Zito. Poco dopo arrivava l’esponente politico, in auto blu e lampeggiante. Con tanto di autista. di Salvo Palazzolo LA REPUBBLICA 29.6.2023
 
 
 
 
 

MICCICHÉ : aver intitolato a FALCONE BORSELLINO l’aeroporto di Palermo è stato un errore. Ricorda la mafia ai turisti. Va cambiato 

 
 

“A Villa Zito tutti sapevano dello spaccio di cocaina”: i timori e i malumori dei dipendenti

 

I dipendenti di Villa Zito erano “consci dell’intensa attività di spaccio di sostanze stupefacenti di cui era teatro proprio la cucina del ristorante”, così scrive il gip Antonella Consiglio nell’ordinanza che ha riportato agli arresti domiciliari il titolare del locale, Mario Di Ferro. Insomma – questa è la ricostruzione dei magistrati – che si smerciasse cocaina nel ristorante sarebbe stato un fatto noto a tutti. E, il 14 febbraio scorso, quando la polizia aveva compiuto un controllo ispettivo nell’attività, i timori che la situazione potesse precipitare e comportare dei problemi anche per i lavoratori sono stati captati dalle microspie.

Un’impiegata diceva chiaramente: “Ehi Mario… Pusher” e poi si metteva a cantare: “E sale, sale e salirà questa coca che porta e quando sale salirà…” parafrasando probabilmente il noto brano di Irene Grandi e Pino Daniele “Se mi vuoi” del 1995. Un comportamento che, secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido ed il sostituto Giovanni Antoci che coordinano l’inchiesta della squadra mobile, renderebbe lampante che a Villa Zito tutti avrebbero saputo dello smercio di cocaina.

Ma è dopo il controllo che “venivano colti i malumori di alcuni dipendenti i quali, consci dell’intensa attività di spaccio di sostanze stupefacenti di cui era teatro proprio la cucina del ristorante, avevano ravvisato nell’improvvisa incursione delle forze dell’ordine l’imminente e quanto mai probabile rischio di conseguenze che avrebbero nociuto anche a loro”, sottolinea il gip. Nella notte del 17 febbraio, all’1.33, è stato registrato un dialogo tra due lavoratori stranieri “i quali – scrive ancora il giudice – si esprimevano sul rischio derivante dalla presenza di cocaina in quel posto e si mostravano critici nei confronti di Di Ferro che, per la loro condizione di lavoratori extracomunitari, avrebbe fatto passare loro dei veri e propri guai”.

Uno dei dipendenti diceva infatti: “Io qualche volta mi arrabbio per come si comporta pure Mario, io una volta ho chiamato a… Polizia qua… cocaina, perché se qualcuno viene e ti fai…. Perché a me mi fa male, mi fa male”. E l’altro rispondeva: “Ti ricordi quando ci stavamo litigando con le mani? A me il polso non me lo tocca nessuno… Solo qua le vedi queste cose!”. PALERMO TODAY 1.7.2023


L’altra versione di Miccichè sulla cocaina: «Se la uso? Sono fatti miei. L’ho ammesso in passato, adesso no»

 

Gianfranco Miccichè non ci sta a passare per cocainomane. Ma dice anche che l’uso di sostanze stupefacenti da parte sua sarebbero in ogni caso fatti suoi. Nell’intervista di ieri al Corriere della Sera ha ammesso di aver fatto uso di droga in passato. Nel colloquio con l’edizione palermitana di Repubblica cambia in qualche modo versione. L’ex presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana premette: ««Ho sempre ammesso di aver fatto uso di cocaina in passato. Ma non l’ho mai fatto da presidente dell’Ars. A 70 anni, se sniffassi, sarei già nella tomba. Quando sono stato intercettato, ero senatore. Non sono accusato di nulla e non sono indagato. Il mio nome non si poteva e doveva scrivere. Dicono che andavo a Villa Zito per comprare droga ma non c’entro niente con questa vicenda. È stato uno sputtanamento che sta facendo soffrire mia moglie e le mie figlie».

«Ci andavo solo per pranzare»

Poi nel colloquio con Giusi Spica va al punto: «Non devo dimostrare niente a nessuno. Se anche domani mi facessi un tiro di cocaina, non è reato e sarebbe solo un problema mio.   (Ma l’utilizzo di autista e auto di Stato per recarsi dal puscher non costituirebbe  comunque reato ?)Queste iniziative sono solo demagogia. Sono una persona onesta, ho la coscienza a posto. Non ho mai rubato un euro e faccio bene il mio lavoro. Quand’anche una volta ogni tre mesi mi offrissero un tiro, sarebbero solo fatti miei». E sui precedenti ribadisce: «Ho sempre dimostrato la mia estraneità. Nel caso di Alessandro Martello, i carabinieri dei Ros mi chiesero scusa quando si scoprì che la cocaina che aveva portato al ministero non era per me. E anche stavolta molte circostanze descritte nell’ordinanza non sono vere». Miccichè nega anche di essersi recato a villa Zito per rifornirsi di cocaina: «Ci andavo solo per pranzare». Dice che al contrario di quello che sostiene l’ordinanza a Milano ci è andato davvero dal 20 al 26 novembre. Quindi quella non era una scusa per rifornirsi.

L’auto blu e il lampeggiante

Sull’auto blu e il lampeggiante Miccichè è ancora più drastico: «Al mio autista ho vietato di usare il lampeggiante. Magari quel giorno li ha accesi perché ha imboccato la corsia preferenziale di via Libertà in senso contrario».
E la macchina? «L’auto blu spetta per regolamento a ex presidenti di Camera e Senato per dieci anni e nessuno ha mai sollevato il problema. All’ex presidente dell’Ars spetta per i cinque anni successivi al mandato e solo se viene rieletto deputato.
Dov’è lo scandalo se un ex presidente va in auto blu anziché in autobus? Non nego che la scelta di optare per il seggio a Sala d’Ercole invece che per i Senato è stata dettata anche da questa possibilità. Spostarsi a Roma in taxi è molto costoso e incide sul bilancio familiare». OPEN 30.6.2023


Micciché e lo chef amico arrestato per la cocaina: «L’ho usata in passato, ma non sniffo più. I giorni al telefono? Avverto se non vado al ristorante»

«Non ci provo nemmeno a smentire» dice Gianfranco Miccichè, il presidente dell’Assemblea regionale siciliana non indagato ma finito nelle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto dello chef Mario Di Ferro. Nelle oltre 300 pagine dell’indagine, si dice che l’ex senatore di Forza Italia si rvilgesse allo chef con tanto di auto blu e parole in codice per rifornirsi di cocaina. Al Corriere della Sera, Micciché ammette di aver fatto uso della droga, come aveva già detto in passato: «Io, da sempre onesto, non ho mai fatto del male a nessuno. Solo un errore, commesso contro me stesso. Sarei in imbarazzo se avessi rubato. Invece sono a posto con la coscienza. Lo dissi vent’anni fa in diretta durante una trasmissione di Giuliano Ferrara. Solo in studio con lui. Ammisi. Tornai a casa, guardato storto da mio padre: “Me lo potevi dire prima”». Oggi però Micciché dice di non volersi sottoporre a nessun test: «Non sniffo più, ma il test no. Non devo dimostrare nulla a nessuno».
A proposito delle intercettazioni in cui si parlava di giorni che, secondo gli inquirenti, indicavano il numero di dosi ordinate, il dirigente di Forza Italia insiste sulla sua estraneità a proposito di «intercettazioni malamente interpretate. Sono più di cinque, parlo di giorni. Dal 20 al 26 novembre 2022». Micciché ricorda come tutti sapessero della sua amicizia di Di Ferro e del fatto che frequentasse il suo ristorante, dove mangiava ogni giorno: «Forse non tutti sanno che c’è sempre un tavolo per me. E quando lascia Palermo avverto. Per evitare che gli resti un tavolo vuoto. Accadde quel novembre. Devo aver detto “cinque giorni”. Ma riferiti a una partenza per Milano, a un soggiorno a Gardone Riviera, Villa Paradiso, camera 142. Ecco la fattura dell’albergo, per fortuna conservata, trovata dalla mia segretaria. E sulle carte scrivono che non partivo mai».
Micciché si interroga se quelle intercettazioni si potessero proprio fare, visto che all’epoca era senatore: «È una cosa da Paese civile? Perché esce il mio nome? Io non sono indagato e non potevo essere intercettato. Se poi tutto serve a sputtanare». L’ammissione dei suoi trascorsi con la cocaina e la frequentazione del locale però rischia di sembrare una conferma del traffico, gli fa notare Felice Cavallaro che lo intervista: «La mia ammissione è solo una prova di onestà. Tanti non lo dicono. Io sì. Parlando di un peccato che, semmai, faceva male solo a me. Forse affondato in un passato che pesa». OPEN 29.6.2023

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“Non andavo da Di Ferro per la droga, ho commesso errori”

 

“Non andavo da Di Ferro per comprare droga, certamente. Non andavo lì per rifornirmi. Non capisco come si possa affermarlo. Escludo di avere usato macchine con lampeggianti per queste cose, comunque”.Gianfranco Miccichè ha appena letto gli articoli che lo riguardano. Tra i presunti clienti dello chef arrestato ci sarebbe stato anche lui. E’ una storia che sta mettendo sottosopra Palermo.
Dunque?
“Andavo lì per stare bene con gli amici, per rilassarmi, con persone di enorme simpatia. Non per comprare droga”.
Ha mai assunto sostanze stupefacenti?
“L’ho già detto, è capitato, in minima quantità. Non lo nego, sono sbagli che si fanno. Sono errori e a tutti capita di commettere errori”.
Errori del presente o del passato?
“Del passato”.
Non negherà che leggere il suo nome tra i presunti assuntori fa impressione: è normale che sia così.
“Io sono una persona specchiata. Non ho mai rubato. Non ho mai fatto del male a nessuno. La droga? Non nego il passato. Ma ho settant’anni e non ne faccio uso. Certo, questo trambusto non lo avevo messo nel conto. Ma mi prendo le mie responsabilità”.
Che derivano dal suo essere un personaggio pubblico, oltretutto.
“Nella vita sono stato molto attento e sono una persona onesta. Considero molto peggio quelli che hanno impegnato la loro esistenza per rubare e fare del male”.
E la droga, insisto?
“Un problema che è stato mio e che non lo è più. Un errore che ha fatto male a me, non ad altri. Sono contento di questo, anche se, ripeto, sono consapevole del mio sbaglio. Il mio è un peccato. E chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. (rp) LIVE SICILIA 29.6.2023


Le frasi in codice, la cocaina, l’auto blu di Miccichè: cosa c’è nell’inchiesta su Mario Di Ferro e lo spaccio di droga alla «Palermo bene»

 

Sarebbe andato a comprare la cocaina con l’auto blu della Regione Sicilia, con tanto di lampeggianti accesi, l’ex presidente dell’Ars – ed ex volto regionale di Forza Italia – Gianfranco Miccichè. È quanto emerge dall’indagine sullo spaccio di droga nella «Palermo bene», per cui oggi il gip di Palermo Antonella Consiglio ha disposto sei misure cautelari. Tra i principali indagati c’è Mario Di Ferro, ristoratore palermitano e presunto pusher di Miccichè – che però non risulta iscritto nel registro degli indagati – e altri vip e politici della città. «Prima di poter dire qualcosa, devo capire cosa c’è nell’inchiesta in cui non sono indagato», ha precisato all’Ansa l’ex presidente dell’Ars. Micciché ha poi aggiunto: «Posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro: è un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga».

La telefonata tra Di Ferro e Miccichè

L’ordinanza di misura cautelare disposta oggi dal gip Antonella Consiglio contiene alcuni dettagli sulla presunta attività di spaccio di sostanze stupefacenti al ristorante Villa Zito. La sera del 18 novembre scorso, per esempio, Miccichè chiama Di Ferro per avvisarlo che l’indomani sarebbe partito per Milano e ci sarebbe rimasto per cinque giorni. Secondo gli investigatori, si tratterebbe di un linguaggio in codice. E i «cinque giorni» sarebbero in realtà il numero di dosi che l’ex presidente dell’Ars avrebbe dovuto acquistare. A quel punto, Di Ferro coglie il riferimento nascosto e lo rassicura sulla fornitura richiesta: «Vabbe, siete cinque, cinque giorni, va bene ciao», dice il ristoratore. Subito dopo questa telefonata, Di Ferro contatta il suo fornitore, Gioacchino Salamone – già arrestato nel 2018 per riciclaggio di denaro proveniente da un traffico di droga gestito da clan mafiosi – che si impegna a fargli avere la cocaina.

I filmati di videosorveglianza

«All’una meno un quarto puntuale, da me al bar. Va bene?», chiede Di Ferro. E a quell’ora Micciché viene immortalato dalle telecamere di sorveglianza. L’ex politico di Forza Italia arriva al ristorante Villa Zito, scende dall’auto blu – lasciando il suo autista in attesa -, entra nel locale ed esce dopo 25 minuti.
Una scena che, secondo quanto scritto nell’ordinanza emessa oggi, si sarebbe ripetuta più volte secondo lo stesso copione tra novembre e dicembre del 2022. Per esempio il 30 novembre, quando il sistema di video sorveglianza davanti all’ingresso secondario del locale riprende sia l’arrivo del politico sia il successivo incontro tra Di Ferro e Salamone. In quell’occasione, Salomone viene immortalato mentre consegna una bustina – secondo i pm, una sostanza stupefacente – attraverso il cancello. Gli investigatori sospettano che almeno in un’occasione, il 6 dicembre, Miccichè sarebbe anche andato a prendere la cocaina direttamente a casa di Di Ferro. E anche quel caso, il ristoratore avrebbe chiamato subito dopo il suo fornitore: «Verso le quattro devi avvicinare, perché minchia siamo assai, qualche tredici siamo, hai capito?». 29.6.2023 OPEN


Palermo, arrestato chef ‘pusher dei vip’ Di Ferro. Gianfranco Miccichè: “Ho coscienza a posto”

 

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Finisce agli arresti domiciliari lo chef palermitano Mario Di Ferro. Il gip di Palermo, Antonella Consiglio, ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del ristoratore, gestore del ristorante Villa Zito, e di altre cinque persone. Sono accusati a vario titolo di diversi episodi di cessione di droga a clienti della Palermo bene. Tra questi ci sarebbe anche l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, che non risulta comunque indagato. Di Ferro era finito nei guai già ad aprile scorso: sorpreso a vendere cocaina a un ex burocrate dell’Ars all’epoca nella segreteria tecnica del presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gaetano Galvagno, che dispose l’immediato licenziamento. A maggio il Tribunale del Riesame, accogliendo la richiesta dell’avvocato dello chef, aveva revocato l’obbligo di dimora a Palermo, mantenendo quello di presentazione alla polizia giudiziaria. Adesso per lui sono scattati i domiciliari. Finiscono in carcere, invece, i due spacciatori che rifornivano il gestore di Villa Zito, obbligo di firma, infine, per tre dipendenti del ristoratore.

Escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso. È un errore che ho fatto nella vita di cui sono pentito. Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto.
L’importante è essere a posto con la propria coscienza, ed io lo sono”. A dirlo è Gianfranco Miccichè, dopo l’indagine. ADNKRONOS


 

La cocaina viaggiava in auto blu, arrestato il pusher di Miccichè

La cocaina viaggiava con le auto blu della Regione Siciliana, con tanto di autista. Lo hanno immortalato gli investigatori del Sisco e della squadra mobile di Palermo in mesi di pedinamenti, intercettazioni audio e video.
Uno dei destinatari era l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana e uno dei leader di Forza Italia in Sicilia Gianfranco Miccichè che si riforniva dal ristoratore Mario Di Ferro, arrestato questa notte e messo ai domiciliari. In carcere sono finiti invece i due spacciatori che rifornivano il gestore di Villa Zito: Gioacchino e Salvatore Salamone. Altri tre indagati hanno invece l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria: si tratta dei collaboratori di Di Ferro a Villa Zito Pietro Accetta, Gaetano Vara e Giuseppe Menga. Lo chef palermitano Mario Di Ferro è agli arresti domiciliari. La gip Antonella Consiglio ha disposto una misura cautelare per sei persone alle quali vengono contestati, a vario titolo, diversi episodi di vendita e cessione di droga a clienti della “Palermo bene”. Tra gli indagati c’è appunto lo chef di Villa Zito Mario Di Ferro, accusato nel provvedimento di aver procurato e ceduto cocaina, tra gli altri, all’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè che però non è indagato. I primi approfondimenti hanno rivelato che Di Ferro era protagonista di un’intensa attività di vendita di cocaina a una selezionata clientela. 29 giugno 2023 • EDITORIALE DOMANI


Arrestato il pusher dei vip. Trenta cessioni a Miccichè a bordo dell’auto blu

AGI – Sarebbero una trentina le cessioni di sostanza stupefacente avvenute tra lo chef Mario Di Ferro, posto oggi agli arresti domiciliari, e l’esponente forzista Gianfranco Miccichè. È quanto emerge dal provvedimento emesso dal gip di Palermo, Antonello Consiglio che ha disposto la misura cautelare su richiesta della procura di Palermo nei confronti di sei persone, compreso Di Ferro, gestore di Villa Zito e volto noto della mondanità palermitana. L’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana non risulta indagato. Lo era, invece, Di Ferro in un altro procedimento per cui sono state avviate le intercettazioni a suo carico. È lo stesso gip a sostenerlo nella misura cautelare eseguita dagli investigatori della Squadra mobile.

Sono oltre 68 i contatti registrati tra Mario Di Ferro e Giovanni “Gianfranco” Miccichè nel periodo in cui il primo è stato intercettato, a partire da novembre 2022 al 20 gennaio 2023 e poi successivamente con il secondo filone di indagine su cui avviene ora la parziale discovery.
Miccichè, secondo quanto appurato dalle indagini, si sarebbe recato diverse volte personalmente da Di Ferro per ritirare quanto richiesto, sia presso l’abitazione privata dello chef sia presso Villa Zito, a bordo di una Audi scura con lampeggiante e autista, venendo anche immortalato negli obiettivi degli investigatori della Mobile.

Anche se lui oggi assicura: “Escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso”. Lo chef Di Ferro era già sotto indagine in un altro procedimento poiché sarebbe stato contattato da un esponente di spicco di Cosa nostra per un appuntamento riservato e su cui vige ancora il segreto investigativo. “L’attività consentiva – si legge – di disvelare come il predetto, gestore di Villa Zito a Palermo, fosse altresì il protagonista di una frenetica attività di vendita di cocaina in favore di una selezionata clientela e avesse avviato in quel luogo un centralissimo ed esclusivo punto di spaccio di droga”.
Spiega la gip: “Per l’ordinazione di stupefacenti e l’indicazione del numero di dosi è stato spesso utilizzato un banale linguaggio in codice, mediante il riferimento al numero di ‘giorni’ in cui l’assuntore Miccichè si sarebbe dovuto recare fuori sede”. Dove i giorni sarebbero stati le quantità di stupefacente richiesto. 


“Miccichè in auto blu al ristorante per comprare la cocaina”

 

 

PALERMO – “Che mi puoi portare da mangiare”?, chiedeva Gianfranco Micciché. E Mario Di Ferro rispondeva: “Ci penso io”. Subito dopo il ristoratore contattava Gioachino e Salvatore Salamone. Nelle conversazioni con l’ex senatore li chiamavano “rappresentanti”.
I magistrati della Dda ritengono che ci sia corrispondenza tra le criptiche indicazioni relative alle dosi di cui parlava con il politico (discutevano di “giorni” relativi a una partenza) e le conversazioni fra Di Ferro e i Salamone. “Senti, dovresti avvicinare da me al locale, ma siamo assai, qualche dieci, siamo dodici, una cosa di queste siamo”, diceva Di Ferro a Salamone dopo aver saputo da Miccichè che sarebbe mancato “dieci” giorni.  
Decine le foto che immortalano Gioacchino Salamone mentre arrivava al ristorante di Di Ferro all’ingresso principale di via Libertà o in quello secondario in via Gioacchino Di Marzo. Poi passava una busta, attraverso le grate del cancello, al ristoratore. Alla consegna seguiva l’arrivo di Miccichè immortalato dal sistema di videosorveglianza. Giungeva a bordo della sua Audi col lampeggiante acceso.   Una scena che si è ripetuta più volte tra novembre e dicembre 2022. Come il 26 novembre. Alle 20:29 Di Ferro, in compagnia di Miccichè, chiamò Salvatore Salamone: “eh … avvicina”. Alle 20:43 Salamone, in bici, entrava a Villa Zito dall’ingresso principale per andarsene poco dopo. Il 6 dicembre Miccichè sarebbe andato a prendere la cocaina a casa di Di Ferro. Prima del suo arrivo il ristoratore ancora una volta avrebbe chiamato il fornitore dicendogli: “Verso le quattro devi avvicinare perché minchia siamo assai, qualche tredici siamo, hai capito?“. Riccardo Lo Verso 29.6.2023

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Palermo, arrestato lo chef dei vip Mario Di Ferro: “Spacciava cocaina”. Tra i clienti anche Miccichè. La droga viaggiava in auto blu

Forniva cocaina alla “Palermo bene“, ma adesso è agli arresti insieme ad altre cinque persone. Mario Di Ferro, gestore del ristorante Villa Zito frequentato dai vip siciliani, è finito nell’inchiesta condotta dal procuratore del capoluogo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Tra i suoi clienti più conosciuti figura anche il nome dell’ex presidente dell’assemblea siciliana e senatore di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, che non risulta indagato. Dalle indagini, tra le altre cose, risulta che la droga veniva fatta viaggiare a bordo delle auto bludella Regione Siciliana, che arrivava al ristorante Villa Zito con tanto di lampeggiante acceso.

Droga in auto blu – Il gip Antonella Consiglio ha così deciso di disporre la misura cautelare per sei persone alle quali vengono contestati, a vario titolo, diversi episodi di vendita e cessione di droga. Il procedimento nasce da un’intercettazione disposta nell’ambito di un’altra indagine e che ha portato gli investigatori ad avviare gli approfondimenti che hanno poi rivelato l’intensa attività di vendita di cocaina del ristoratore a una selezionata clientela, attività che svolgeva nel suo locale. Da qui, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire diversi episodi di cessione di droga che il ristoratore, secondo le accuse, ha portato a termine con l’aiuto di altre persone come Gioacchino e Salvatore Salamone, già condannati per spaccio in un processo sui traffici dei clan mafiosi palermitani. Di Ferro, si apprende, si è rivolto a loro per rifornirsi dello stupefacente e ha anche usato tre suoi dipendenti come pusher, anche questi indagati. A Di Ferro sono stati dati i domiciliari, ai Salamone la custodia cautelare in carcere, ai tre dipendenti di Villa Zito, Pietro Accetta, Gaetano Vara e Giuseppe Menga, è stato imposto l’obbligo di firma. Tra i particolari della vicenda c’è quello secondo cui le partite di droga viaggiavano a bordo di auto blu della Regione siciliana con tanto di autista, a conferma dei legami dello chef con certi ambienti della politica locale.
Lo dimostrano le immagini raccolte dagli investigatori del Sisco e della Squadra Mobile di Palermo in mesi di pedinamenti e intercettazioni audio e video: più di una volta le auto blu arrivano al ristorante del pusher con tanto di lampeggiante acceso.

L’autodifesa di Micciché – Interpellato dall’Ansa, Miccichè ha dichiarato che “prima di potere dire qualcosa devo capire cosa c’è nell’inchiesta in cui non sono indagato, ma posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro. È un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga“.
Secondo gli inquirenti, però, i rapporti tra i due riguardavano anche la fornitura di droga. A dimostrarlo anche alcune intercettazioni nelle quali Miccichè e Di Ferro si scambiano informazioni in codice: in una telefonata, il politico dice che l’indomani sarebbe partito alla volta di Milano dove si sarebbe trattenuto per cinque giorni.
Un gergo che, secondo gli inquirenti, indica le dosi che l’ex presidente dell’Ars avrebbe dovuto acquistare. Di Ferro, secondo gli investigatori, coglie il riferimento nascosto e si informa sull’orario del volo. Saputo che Miccichè sarebbe partito intorno alle 14, l’indagato lo rassicura che sarebbe riuscito a farcela e gli dà appuntamento telefonico al mattino seguente “Vabbè, siete cinque, cinque giorni, va bene ciao” dice. Subito dopo Di Ferro contatta il suo fornitore, Gioacchino Salamone: “All’una meno un quarto puntuale, da me al bar, va bene?”, gli dice Di Ferro. Alle 13.55 Gianfranco Miccichè viene immortalato dalle telecamere di sorveglianza mentre arriva al ristorante Villa Zito. Una scena che si ripete più volte secondo lo stesso copione tra novembre e dicembre del 2022. Come il 26 novembre. L’ex senatore sente Di Ferro al telefono e gli annuncia che sta arrivando. “Tra una mezzoretta vengo lì”, dice. Alle 20.29 Di Ferro, in compagnia di Miccichè, chiama Salvatore Salamone e gli chiede di raggiungerlo. Alle 20.43 Salamone, in bici, entra a Villa Zito dall’ingresso principale per andarsene poco dopo. E ancora il 30 novembre il sistema di videosorveglianza davanti all’ingresso secondario del locale riprende oltre all’arrivo del politico, anche il successivo incontro tra Di Ferro e Salamone che, dopo averlo atteso, alle 14.32 gli consegna una bustina, la sostanza stupefacente secondo i pm, attraverso il cancello. Secondo l’accusa poi in una occasione, il 6 dicembre, Miccichè sarebbe andato a prendere la cocaina a casa di Di Ferro. Prima del suo arrivo il ristoratore ancora una volta avrebbe chiamato il fornitore dicendogli: “Verso le quattro devi avvicinare perché minchia siamo assai, qualche tredici siamo, hai capito?”.

Schifani a cena dello spacciatore dei vip dopo l’arresto – Non è però la prima volta che Di Ferro finisce al centro di indagini per spaccio. Ad aprile fu sorpreso a vendere cocaina all’ex funzionario dell’Ars Giancarlo Migliorisi, all’epoca nella segreteria tecnica del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gaetano Galvagno. Interrogato dalla polizia, Migliorisi, sospeso dopo che la vicenda divenne pubblica, spiegò di aver telefonato al ristoratore chiedendogli di riservargli un tavolo per tre persone per il pranzo: “Ho fatto riferimento al fatto che avrei voluto realmente pranzare con tre presone presso il suo ristorante. Il riferimento alle tre persone è stato poi incidentalmente utilizzato come riferimento al numero di dosi che intendevo acquistare”. Ma poi ammise di aver comprato cocaina da Di Ferro in passato, pur sostenendo di non sapere da chi questi si rifornisse. Dopo questo episodio, fece scalpore la decisione di Renato Schifani, ex presidente del Senato e governatore della Sicilia, di recarsi comunque a cena nel ristorante del noto chef. L’inquilino di Palazzo d’Orleans è indicato come un cliente abituale del Villa Zito, che è tra i ristoranti preferiti di molti altri big di Forza Italia. Quell’ultima cena aveva scatenato polemiche tra l’opposizione. Curiosità, invece, aveva destato l’intervento pubblico di Miccichè, che 15 giorni fa aveva fatto sapere di aver trovato un dispositivo gps sotto la sua auto: “Vorrei sapere anche io chi ha messo il gps e a che cosa servisse. L’ho aperto e dentro c’era una sim. Chi l’ha comprata? Chi l’ha usata? Perché?“. La risposta magari è contenuta nelle indagini antidroga della procura di Palermo. | 29 Giugno 2023


“A casa mia è pieno zeppo di neve?”. “Per quanti giorni parti?”. “Mangio da te”. Così Miccichè ordinava droga allo chef-pusher

Bottiglie di vino, giorni di viaggio, sale, perfino la più banale “neve”. Sono parole in codice quelle usate tra lo chef di Villa Zito, Mario Di Ferro, e i suoi clienti: non venivano da lui soltanto per cenare ma anche per acquistare droga. Tra gli acquirenti spicca per “assiduità” e per notorietà, l’ex presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, storico viceré di Silvio Berlusconi in Sicilia fino a pochi mesi fa. Proprio con l’ex ministro – che non è indagato – Di Ferro, da oggi ai domiciliari, usa la metafora della neve: “Ma ti stai imbarcando per Palermo?”, chiede. “Si, Sì, mangio da te? Mangio da te?” chiede Micciché con insistenza. “No, sono chiuso. Sono a Piano Battaglia sulla neve, torno domani”, chiarisce Di Ferro, che dopo aver preso accordi per l’indomani aggiunge: “Ora ti mando una bella foto di dove sono per ora, c’è pieno zeppo di neve”. E Micciché insiste: “Ma dov’è pieno zeppo di neve? Anche a casa mia? Hai notizia anche a casa mia? No?”. E ridono. Evidentemente alludendo alla possibilità di ricevere alcune dosi di “neve”, ossia di cocaina, dopo averle insistentemente
richieste a Di Ferro”, scrive la gip Antonella Consiglio.

L’origine dell’indagine – Una conversazione del 3 marzo che “spicca”, tra le numerose telefonate intercettate tra Di Ferro e Micciché, come annota la giudice disponendo il nuovo arresto dello chef, dopo il precedente dell’aprile scorso. Sono 411 chiamate in tutto, intercettate dal novembre del 2022 allo scorso 4 aprile, quando Di Ferro è stato colto in flagranza mentre cedeva tre grammi di coca in cambio di 300 euro a Giancarlo Migliorisi, fino a quel momento capo della segreteria tecnica del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, esponente di Fratelli d’Italia. Migliorisi era notoriamente un collaboratore di Miccichè, predecessore di Galvagno, ex senatore e in passato anche viceministro dell’Economia e ministro della Coesione territoriale nei governi Berlusconi. Di Forza Italia Miccichè è stato il leader in Sicilia, almeno fino ai dissidi con l’attuale presidente della Regione, Renato Schifani. Che proprio nei giorni successivi al primo arresto di Di Ferro, nell’aprile scorso, decise di andare a cena a Villa Zito, sollevando inevitabili polemiche. Adesso, quasi tre mesi dopo, la gip di Palermo ha disposto il nuovo arresto dello chef, ai domiciliari, e dei due fratelli Salomone, Gioacchino e Salvatore, ritenuti i fornitori di droga.

A comprare droga con l’autoblu – L’indagine della polizia di Palermo, coordinata dal procuratore capo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, ha svelato come nel cuore di Palermo avvenisse la cessione di droga. Un’indagine scattata perché un esponente di spicco di Cosa nostra aveva contattato lo chef per un incontro riservato. Per questo gli investigatori hanno monitorato il Villa Zito, il ristorante preferito della “Palermo bene”. In questo modo le indagini hanno svelato come la villa settecentesca, nel centro del capoluogo siciliano, è stata il cuore dello scambio di droga. Secondo le carte una trentina di cessioni di stupefacenti erano a favore di Micciché, che arrivava spesso a villa Zito con la sua autoblu e tanto di lampeggianti accesi. Soste brevi, come nel caso del 6 gennaio, quando l’Audi del politico si ferma, lui scende e dopo venti minuti risale in macchina. Visite quasi sempre anticipate da una telefonata di Di Ferro a Salomone. Perfino poche ore prima dell’arresto di Di Ferro, lo scorso aprile, Micciché aveva sentito al telefono il pusher. Dal momento dell’arresto quelle conversazioni si interrompono. E dire che il rapporto tra i due era assiduo, spesso molto informale, tanto che in una chiamata del 20 gennaio, Micciché chiede allo chef dove si trovi. Lui risponde così: “”Al locale, cretino! Sempre cretino sei … sei cretino … “. Da parte sua Miccichè si è difeso con queste parole: “Prima di potere dire qualcosa devo capire cosa c’è nell’inchiesta in cui non sono indagato, ma posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro: è un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga”.

Il linguaggio in codice – Dalle carte delle inchiesta, però, emerge che Di Ferro e Miccichè avrebbero usato un linguaggio in codice: per indicare le dosi avrebbero fatto riferimento, ad esempio, al numero dei giorni in cui il politico si sarebbe dovuto recare fuori sede. Conversazioni che hanno subito insospettito gli inquirenti anche per il tenore delle frasi pronunciate. “Ma quanti giorni sono?” chiedeva Di Ferro durante un discorso totalmente diverso. E Miccichè rispondeva: “Va beh uno, che c… ne so io, tu esagera”. In altre conversazioni che avevano a oggetto presunti viaggi, invece, sarebbe stato lo stesso politico a mostrarsi all’oscuro della sua partenza. “Quanti giorni ti fermi fuori?”, chiedeva Di Ferro, provocando l’immediata risposta di Miccichè: “Dove?”. Dopo le telefonate con il politico il ristoratore avrebbe chiamato i suoi due fornitori di cocaina, indicati con il nome in codice “il rappresentante“. “Telefonate – si legge nell’ordinanza – a cui ha sempre fatto seguito l’immediato approvvigionamento di stupefacente destinato a Miccichè. In altri casi, invece, il politico faceva riferimento al cibo. “Che mi puoi portare da mangiare”? chiedeva. E Di Ferro: “Ci penso io”. D’altronde, come scrive la giudice, Micciché è un “contatto telefonico assiduo” di Di Ferro “e frequentatore abituale del ristorante Villa Zito e della sua abitazione”. Tra i due si ascoltano telefonate a “tratti surreali”, come le definisce la gip, e “alle quali ha sempre fatto seguito l’immediato approvvigionamento di stupefacente destinato a Micciché”. Il 19 novembre, il 26, il 30, poi ancora il 3 dicembre, il 27 e il 30, e ancora a gennaio. Sono tanti gli episodi riportati nell’ordinanza in cui Micciché non risulta indagato. Il 26 novembre, per esempio, il berlusconiano sente Di Ferro al telefono e gli annuncia che sta arrivando. “Tra una mezzoretta vengo lì”, dice. Alle 20.20 Di Ferro, in compagnia di Miccichè, chiama Salvatore Salamone e gli chiede di raggiungerlo: “Avvicina”, gli dice. Alle 20.43 Salamone, in bici, entra a Villa Zito dall’ingresso principale per andarsene poco dopo. E ancora il 30 novembre il sistema di videosorveglianza davanti all’ingresso secondario del locale riprende oltre all’arrivo del politico, anche il successivo incontro tra Di Ferro e Salamone che, dopo averlo atteso, alle 14.32 gli consegna una bustina, la sostanza stupefacente secondo i pm, attraverso il cancello. Così Villa Zito era diventata “un centralissimo ed esclusivo punto di spaccio di droga”. Circostanza che preoccupava perfino i dipendenti: “Io qualche volta mi arrabbio per come si comporta pure Mario, io una volta ho chiamato a … inc … Polizia qua cocaina, perché se qualcuno viene e ti fai … inc … ( … ) perché mi fa ~ male, a me mi fa male!”, dicevano la notte del 17 febbraio due dipendenti stranieri, preoccupati della loro condizione di lavoratori extracomunitari.

Il figlio del pusher: “Sei un coglione” – Anche il figlio dello chef, Berardo Di Ferro, dopo il primo arresto del padre è preoccupato e lo redarguisce: “lo ti sto dicendo che ‘ste cose lo sai quanto mi fanno schifo e solo tu sei così coglione da poter fare un favore a della gente ancora più merda di non so che cosa perché ovviamente i politici sono la merda per eccellenza ( … ) e sei un coglione! ( … ) perché servi tramite cazzate, perché è una grandissima cazzata questa cioè …. Neanche un mongoloide, cioè capito che tu … ti definisci intelligente furbo e poi fai delle … ( … ) cose così stupide come questa e non solo, per giunta la persona a cui fai il favore è per giunta una persona di merda perché ti incula pure e afferma pure … mettendoti nella … nelle …. Ancora di più nella merda di quanto ( … ) tu da solo non abbia fatto”. Ma Di Ferro è tranquillo: “Sono nato per servire ( … ) mi hanno liberato? Poi ci sarà il processo e non farò neanche un giorno di galera, non farò un cazzo ma vaffanculo!”. di Manuela Modica| 29 Giugno 2023 FQ


Gli ordini di cocaina come giorni di vacanze e bottiglie di vino. Miccichè allo chef: «Mi puoi mandare da mangiare?»

C’era un vero e proprio protocollo per le ordinazioni della cocaina da servire ai clienti della Palermo bene da parte dello chef Mario Di Ferro. Famoso tra i fornelli non solo per la gestione di prestigiosi locali, ma anche per essere stato l’unico ad avere cucinato per due papi: Benedetto XVI e Francesco. Nel caso scoppiato oggi a Palermo, però, l’ingrediente principale è la polvere bianca. Cocaina ordinata dai clienti al telefono, facendo riferimento a bottiglie di vino o tavoli da riservare al ristorante ricavato all’interno di villa Zito, lungo viale Libertà, a Palermo. C’era poi chi, come l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè, per indicare le dosi da acquistare avrebbe usato i giorni da trascorrere fuori Palermo. Miccichè, però, dal capoluogo siciliano non si allontanava. In compenso è emerso un via vai continuo, compreso l’utilizzo delle auto blu per andare a comprare la droga. Nell’ordinanza – in cui Miccichè non risulta indagato (leggi la replica) – sono sei le persone destinatarie di misura cautelare su richiesta della procura.

Un’inchiesta nata quasi per caso da un’intercettazione telefonica, inserita in un altro procedimento, in cui lo chef Di Ferro veniva contattato da un esponente di spicco di Cosa nostra per un faccia a faccia riservato. Così sarebbe emersa quella che viene definita dagli inquirenti «una frenetica attività di spaccio di cocaina nei confronti di una clientela riservata». Per il proprio business parallelo, lo chef avrebbe beneficiato delle forniture di stupefacenti da parte di due pusher, indicati nelle intercettazioni come «rappresentanti»: Gioacchino e Salvatore Salamone. A collaborare sarebbero stati anche alcuni dipendenti del locale: Pietro Accetta, Gaetano Di Vara e Giuseppe Menga.

«Mi puoi mandare da mangiare?». Con queste parole, intercettate al telefono, l’ex esponente di Forza Italia il 2 dicembre 2022 avrebbe chiesto all’amico chef delle dosi di cocaina a domicilio. Il ristoratore si mette in contatto con Gioacchino Salamone, invitandolo ad «avvicinare» a villa Zito. Un passaggio necessario, secondo la ricostruzione degli inquirenti, per affidare a un dipendente del ristorante la dose di cocaina da recapitare a Micciché in piazza Politeama. Quattro giorni dopo, altre intercettazioni che rimandano a nuovi ordini di droga da parte del politico: «Io parto cinque giorni», diceva allo chef, che attivava la solita prassi. «Verso le quattro devi avvicinare perché, minchia, siamo assai. Siamo tredici», diceva al pusher. Circa 40 minuti dopo gli agenti immortalano l’arrivo di Micciché, sempre in auto blu con autista, a casa di Di Ferro. Pochi istanti e il politico si allontana. Copione identico a pochi giorni da Capodanno, quando è lo chef a chiedere a Miccichè: «Sono dieci giorni all’incirca, giusto?». Solita telefonata e, poco dopo, l’arrivo di Miccichè a bordo del mezzo istituzionale. Stessa macchina utilizzata in un’altra occasione, ma con il solo autista che avrebbe fatto da fattorino per l’ex presidente. Uno scenario che rimanda a quanto messo nero su bianco in una vecchia inchiesta della procura di Roma. Correva l’anno 2002, Miccichè è viceministro alle Finanze e viene indicato come il destinatario di una consegna di cocaina da parte di un giovane pusher palermitano. Circostanza che però Micciché ha sempre smentito.

Tra i clienti dello chef c’era anche Gaetano Migliorisi, capo della segreteria (poi sospeso, ndr) del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno. Il funzionario viene intercettato il 4 aprile 2023 mentre chiede a Di Ferro di riservargli un tavolo per tre persone al ristorante. Un messaggio in codice, secondo gli inquirenti, per l’acquisto di 3 grammi di cocaina dietro il pagamento di 300 euro. Qualche mese prima, come riportato nelle carte dell’inchiesta, Migliorisi invece ordina al telefono «quattro bottiglie di vino». Le forniture non si sarebbero interrotte nemmeno quando lo chef era indisponibile. Il 9 febbraio scorso l’influenza lo aveva messo ko costringendolo a casa, ma la richiesta di Migliorisi veniva comunque esaudita attraverso la presunta intermediazione di Accetta: «Stasera devi chiamare gli amici, perché sono tre a cena. Il prezzo quello solito, paga quello che mangia», spiegava lo chef. Le telecamere quella sera immortalano l’arrivo di Migliorisi al ristorante. Appena tre minuti e il funzionario si allontana a bordo di una macchina blu con lampeggiante sul tettuccio. 29/06/2023 di , MERIDIONEWS


Di Ferro: “Non sono spacciatore, un favore per qualche amico”

 

 “Dispiaciuto” per quanto accaduto. Per la sua famiglia, per se stesso e per chi lo conosce. “Pronto a spiegare tutto”, soprattutto a ribadire che “no, non sono uno spacciatore, non ho mai guadagnato un euro”. La droga? Mario Di Ferro non nega le cessioni di stupefacenti. Ne sminuisce la portata, riducendole ad “una cortesia, un favore per qualche amico, quattro, cinque persone”. Un fatto di cui si pente: “Ho sbagliato”.
Amici che, come lui, sono dei consumatori. Di Ferro dice di avere iniziato un percorso di recupero, di essersi lasciato il passato alle spalle. I trenta e più episodi di cessione di stupefacenti contestati dalla Procura farebbero parte, appunto, del passato. Ha deciso di cambiare vita lo scorso aprile, in occasione dei primi guai giudiziari.  
Tutto questo, che il ristoratore fa sapere tramite il suo legale, l’avvocato Claudio Gallina Montana, Di Ferro lo ribadirà la prossima settimana nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari. Da ieri si trova agli arresti domiciliari.  
Non ci sono altri segreti, almeno così dice. Resta da chiarire il motivo dell’incontro riservato con “un esponente di spicco di Cosa Nostra” emerso in un’altra inchiesta. Di cui nulla si sa. Al gip spiegherà i suoi rapporti con i fratelli Salamone,

in carcere con l’accusa di essere i fornitori della droga, e con gli amici-consumatori?

Di Ferro, la “neve” e i segreti: “Incontro col boss

 

La Palermo delle ville liberty custodisce due segreti. I nomi degli “altri clienti” della droga e il “personaggio di spicco di Cosa Nostra” che ha avuto “un incontro riservato” con Mario Di Ferro. Ci sono due filoni che proiettano l’inchiesta oltre l’arresto del ristoratore e dei fratelli Gioacchino e Salvatore Salamone che gli avrebbero fornito la droga poi ceduta ad altre persone, fra cui ci sarebbe Gianfranco Miccichè.

Tra le tante conversazioni dell’inchiesta ce n’è una recentissima, del 3 marzo 2023, nel corso della quale Di Ferro, trovandosi in montagna commentava ironicamente l’abbondanza di “neve”. Micciché chiedeva: “Anche a casa mia? Hai notizie anche a casa mia? No?”. Faceva riferimento, secondo l’accusa, alla consegna di droga.
“Mario Di Ferro ha sistematicamente ceduto cocaina a diversi soggetti, identificati e non”, scrive il giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio. Che girasse droga nel ristorante all’interno di Villa Zito era cosa nota, almeno così emerge dalle conversazioni di alcuni dipendenti del locale di via Libertà: “… io qualche volta mi arrabbio per come si comporta pure Mario… io una volta ho chiamato a… polizia, cocaina… perché se qualcuno viene… perché mi fa male, a me mi fa male”.
Alcune intercettazioni, secondo il gip, mostrano il lato “insensibile” di Di Ferro, “tendente alla minimizzazione della gravità delle sue condotte”. Poche ore dopo l’arresto in flagranza di reato dello scorso aprile, quando fu sorpreso mentre vedeva tre grammi di cocaina in via Petrarca ad un burocrate dell’Ars, Di Ferro chiamò un amico: “Ho fatto una cazzata è vero… ho fatto una cazzata da spacciatore? Lo sanno tutti che m… volete ma vaffanculo perché alla fine ho fatto una cazzata… l’ho fatto anche più di una volta”.
Il ristoratore si era preso anche il rimprovero del figlio a cui, così diceva, “fanno schifo queste cose”. Di Ferro ha avuto la colpa di fidarsi “dei politici”. Lo chef, da qualche ora agli arresti domiciliari, minimizzava: “Sono nato per servire… mi hanno liberato? (il riferimento era alla misura meno afflittiva decisa in sede di convalida ndr) ci sarà il processo e non farò neanche un giorno di galera… ho fatto un favore, una cazzata”. Ed invece, sulla base delle indagini della squadra mobile, le “cazzate” non sarebbero state isolate. Sono una trentina le cessione che gli vengono contestate.
C’è poi la questione dell’incontro, scoperto in “un diverso procedimento penale, tuttora coperto dal segreto investigativo”. Di Ferro sarebbe stato contattato da “un esponente di spicco di Cosa Nostra per un riservato appuntamento”. Chi è il mafioso misterioso e di cosa doveva parlare con il noto chef? I Salamone (GUARDA LE FOTO DEL LORO ARRIVO AL RISTORANTE) in passato sono stati condannati per questioni di droga.
Allora si muovevano in un contesto contiguo alla famiglia mafiosa di Resuttana. Qualche anno fa sono stati condannati a pochi mesi di carcere in continuazione con una precedente sentenza. Hanno rischiato grosso perché la Procura aveva chiesto pene pesantissime. Potrebbe essere proprio di Resuttana il boss del mistero, tenendo conto che la zona dove ha sede il ristorante ricade sotto la competenza “mafiosa” di quel mandamento.

Riccardo Lo Verso


Nega di essersi recato a Villa Zito per rifornirsi di cocaina: “Ci andavo solo per pranzare.

Ho fatto degli errori in passato, ora non più”. Poi dice che non si sottoporrà mai al test del capello per dimostrare che non assume droghe: “È solo demagogia. Anche se facessi un tiro ogni tre mesi, sarebbero solo problemi miei. Quel che conta è che non ho mai rubato”. Gianfranco Miccichè, già ministro del governo Berlusconi ed ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, nega di essere un “cliente” dello chef palermitano Mario Di Ferro, arrestato per spaccio: “Il mio nome non doveva essere scritto, non sono indagato”.
Onorevole Miccichè, per i magistrati lei andava a Villa Zito per acquistare droga. Perché si recava così spesso in quel locale?
“In quel periodo avevo il doppio ruolo di senatore e deputato regionale. Andavo lì a pranzare quasi tutti i giorni, come tantissimi palermitani. Ho incrociato spesso anche Maria Falcone. Nell’ordinanza si legge che una volta ci sono rimasto un’ora e mezza. Mi sembra un po’ troppo solo per ritirare la dose”.
“Ho sempre ammesso di aver fatto uso di cocaina in passato. Ma non l’ho mai fatto da presidente dell’Ars. A 70 anni, se sniffassi, sarei già nella tomba. Quando sono stato intercettato, ero senatore. Non sono accusato di nulla e non sono indagato. Il mio nome non si poteva e doveva scrivere. Dicono che andavo a Villa Zito per comprare droga ma non c’entro niente con questa vicenda. È stato uno sputtanamento che sta facendo soffrire mia moglie e le mie figlie”.
Perché, giusto per eliminare ogni sospetto, non si sottopone al test del capello con il quale dimostrerebbe di non avere assunto droghe?
“Non devo dimostrare niente a nessuno. Se anche domani mi facessi un tiro di cocaina, non è reato e sarebbe solo un problema mio. Queste iniziative sono solo demagogia. Sono una persona onesta, ho la coscienza a posto. Non ho mai rubato un euro e faccio bene il mio lavoro. Quand’anche una volta ogni tre mesi mi offrissero un tiro, sarebbero solo fatti miei”.
L’intervista di Giusi Spica su Repubblica Palermo 1.7.2023

 

 

16.6.2023 Gps piazzato sotto l’auto di Miccichè, l’ex presidente Ars: “So chi l’ha fatto mettere”

Ad accorgersi del dispositivo sono stati gli uomini dello staff dell’ex leader di Forza Italia in Sicilia che era appena tornato a Palermo dopo aver partecipato ai funerali di Berlusconi. L’episodio è stato denunciato alle forze dell’ordine

L’ex presidente dell’Ars ed ex leader in Sicilia di Forza Italia Gianfranco Miccichè ha denunciato alla polizia dell’aeroporto Falcone Borsellino di aver trovato un gps, dispositivo in grado di tracciare gli spostamenti, piazzato sotto la scocca della sua auto. Ad accorgersene sono stati gli uomini del suo staff ieri sera, quando Miccichè è tornato a Palermo dopo aver partecipato nei giorni scorsi ai funerali di Silvio Berlusconi.
L’apparecchio, secondo quanto riporta BlogSicilia, era attaccato alla macchina con un magnete. Dopo la denuncia a Miccichè non è stato consentito l’utilizzo dell’auto per tornare a casa, il politico è stato accompagnato dagli agenti per ragioni di sicurezza. “Per fortuna non era un ordigno”, spiega Miccichè. A notte fonda, l’apparecchio è stato “restituito” all’ex presidente dell’Ars.
L’ex coordinatore azzurro denuncia un clima di “terrore” e aggiunge: “Sono stato in cinque governi nazionali e per venti anni sono stato al governo. Alcuni meccanismi li conosco, so come funzionano queste cose. E so pure chi lo ha fatto mettere”, dice riferendosi al gps. PALERMO TODAY

 

 
 

I precedenti…

9.5.2012 “In auto una busta con la cocaina di Miccichè”: indagato autista del sottosegretario

Un articolo de L’Espresso torna a tirare in ballo l’allora leader di Grande Sud: “Era conservata dentro una busta con scritto: ‘On. Miccichè”. Ernesto D’Avola sarebbe coinvolto in un’inchiesta della Procura di Palermo su un giro di droga e festini

Ernesto d’Avola, autista del sottosegretario Gianfranco Miccichè, sarebbe stato trovato in macchina con 5 grammi cocaina chiusi in una busta con scritto: “On. Miccichè”. E dunque D’Avola sarebbe coinvolto in un’inchiesta della procura di Palermo su un giro di festini e cocaina.

Lo scrive L’Espresso in un articolo pubblicato sul numero di venerdì 10 maggio. ”Con registrazioni e pedinamenti – si legge sul settimanale – gli investigatori hanno ricostruito la rete di spacciatori e consumatori che di fatto finanziano il traffico, e scoperto che uno dei destinatari della droga è Ernesto D’Avola, autista di Miccichè, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio e tra i più fidati consiglieri di Silvio Berlusconi”. (da Palermo Today)



1.9.2012 Micciché : «Droghe? Le ho provate da giovane»

I ricordi di ragazzo e le proposte politiche di oggi. Gianfranco Micciché, leader di Grande Sud e candidato alla presidenza della Regione Sicilia, intervistato su Radio 24 nel programma La Zanzara , confessa: «Da giovane ho fumato qualche canna, ma una volta mi andò via la testa a tal punto da spaventarmi quindi dissi basta. Da allora fumo solo sigarette, ma sono a favore della legalizzazione delle droghe leggere. Una legalizzazione controllata toglierebbe forza alla mafia e allo spaccio». Alla successiva domanda, «Ma lei ha mai provato droghe pesanti?», risponde: «Da giovane sì, mentre quella storia che uscì fuori quando ero al ministero (fu accusato di farsi recapitare periodicamente della cocaina presso gli uffici del ministero delle Finanze, in cui all’epoca ricopriva il ruolo di viceministro, ndr ) risultò completamente falsa. Non rinnego nulla di quello che ho fatto, ma oggi direi ai ragazzi di non farlo».
A ruota libera, Micciché rivela poi di non essere «mai andato ad escort, Berlusconi invece qualche volta credo di sì. Fosse per me legalizzerei anche la prostituzione, inimmaginabile che oggi ci sia ancora questo spettacolo con poca sicurezza per chi vi lavora e che è in mano alla criminalità». Sull’accordo raggiunto con il presidente della Regione Raffaele Lombardo, che ha deciso di sostenere la sua candidatura, il leader di Grande Sud osserva: «Abbiamo litigato spesso, è vero, ma anche Pd e Udc se ne sono date di santa ragione e adesso sono insieme. Lo hanno fatto tutti i partiti politici nella storia italiana. Non vedo il problema, gli elettori se ne fregano di queste cose.  1 settembre 2012 CORRIERE DELLA SERA
 
 
 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco