Il 21 luglio 1979 Cosa Nostra lo uccide con sette colpi di pistola sparati alle spalle
- Chi era
- Un commissario a Palermo
- Sapeva di morire e fu lasciato solo
- Un commissario ucciso dalla mafia
- Documentario su Boris Giuliano
- La storia dell’investigatore ucciso dalla mafia
Così il Dott. Paolo Borsellino ricorderà il Vice Questore Aggiunto Giorgio Boris Giuliano nell’ordinanza di rinvio a giudizio del maxi-processo:
“Deve […] ascriversi ad ennesimo riconoscimento della abilità investigativa di Giuliano se quanto è emerso faticosamente solo adesso, a seguito di indagini istruttorie complesse e defatiganti, era stato da lui esattamente intuito e inquadrato diversi anni prima. Senza che ciò voglia suonare critica alcuno, devesi riconoscere che se altri organismi statali avessero adeguatamente compreso e assecondato l’intelligente impegno investigativo del Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non si sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassini, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati[…]”
da “Il Capo dei Capi” di Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo, pag. 148
Sapeva usare la testa. Boris Giuliano aveva capito una cosa essenziale: bisognava cercare i soldi. Una raffineria si poteva aprire e chiudere. Un chilo, venti chili di eroina potevano scomparire, il denaro no. I dollari lasciavano tracce.
Erano le impronte digitali che la mafia non poteva cancellare. I verdoni erano il filo che lo sbirro voleva seguire e stava seguendo. Come poteva, come sapeva. Da solo. Con una Colt cinque colpi infilata sotto l’ascella e con le informazioni che riusciva a strappare ai silenzi di Palermo.
Quei cinquecentomila dollari trovati nelle valigie di Punta Raisi avevano portato Boris Giuliano alla Cassa di risparmio per le province siciliane.
Un tale Giglio aveva depositato trecentomila dollari in contanti. Chi era Giglio? Il poliziotto lo chiese a Francesco Lo Coco, il direttore dell’istituto di credito. «Non lo so, dottore» rispose. Francesco Lo Coco era cugino di primo grado di Stefano Bontate, ma Boris Giuliano non lo sapeva.
«Tom, ascoltami», disse Boris, «è troppo pericoloso stare dall’altra parte. In questa città anche i muri hanno le orecchie e i muri della questura, poi, hanno occhi, orecchie e bocca».
«Che mi stai dicendo… che hai una spia in questura?» chiese Tom, che cominciava a comprendere l’umore tetro di Boris.
«Non ne sono sicuro, ma mi sembra che abbiano scoperto il gioco. Sanno chi sei. Qualcuno ha parlato».
«Sai chi è?», domandò Tom Tripodi.
Giuliano abbassò la voce: «Non lo so, ma non mi fido di Bruno».
«Contrada? Il capo della squadra mobile? Il tuo capo?».
«Sì, Contrada, il mio capo…».
«Se sanno di me, sanno anche di te?», Giuliano sorrise amaro: «Questo è certo, ma io sono la guardia, loro sono i ladri e questa è la vita».
da “Il Capo dei Capi” di Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo, pag. 149
Erano gli ultimi giorni del giugno 1979. I poliziotti di Palermo tenevano d’occhio due mafiosi. Li videro entrare in un palazzone di via Pecori Giraldi, una traversa stretta del lungomare di Romagnolo. La mattina dopo, all’alba, piombarono nell’appartamento.
Trovarono fucili a canne mozze, Magnum 357 che avrebbero abbattuto un bisonte, chili di munizioni. In un armadio c’erano otto sacchetti d’eroina da mezzo chilo. Intorno c’erano le tracce del proprietario di quel tesoro che – milione più, milione meno – valeva tre miliardi di lire.
I documenti, gli effetti personali, il guardaroba dicevano che l’eroina apparteneva a Leoluca Bagarella, Luchino, uno dei sicari di Totò Riina. Era la prima volta che prendevano i Corleonesi con le mani nel sacco.
La telefonata arrivò il giorno dopo al centralino del 113.
«Dite a Giuliano che morirà presto».
Boris non prese sottogamba la minaccia e rispedì Tripodi in America. Mandò la famiglia in vacanza a Piazza Armerina.
Tre settimane dopo, lo sceriffo era morto.
Era il 21 luglio. Uscì prima del solito quella mattina e, contrariamente al solito, entrò in un bar a bere un caffè. Al Lux, sotto casa. Forse aveva appuntamento con qualcuno che conosceva. Il killer già lo stava aspettando. Leoluca Bagarella, Luchino, il cognato di Totò Riina, gli sparò alle spalle. Al corleonese tremavano le mani. Dovette premere il grilletto quattro volte.
C’erano molti motivi per uccidere Boris Giuliano.
«La minchia la scassa soltanto lui, gli altri o li abbiamo in mano o fanno i buoni o fanno finta di non capire. Astutamulu» avevano deciso in commissione. Furono tutti d’accordo – i Palermitani di Stefano Bontate e i Corleonesi di Totò Riina – a spegnere il poliziotto che aveva studiato a Quantico. Anche perché non c’era solo l’affare della droga. C’era dell’altro. A Palermo aspettavano visite, visite importanti.
Il fiuto e l’intelligenza investigativa di Boris Giuliano
Secondo le dichiarazioni di Buscetta, che sono da considerarsi pienamente attendibili, perchè riscontrate in generale da Contorno Salvatore e, in particolare, dalle numerose indagini sulla droga, fra i traffici più lucrosi di “Cosa nostra” vi era all’inizio, il contrabbando di tabacchi (anch’egli vi è stato coinvolto, con Giuseppe Savoca e Gaetano Scavone nel 1959. Ai vertici del contrabbando erano Nunzio La Mattina, Tommaso Spadaro e il napoletano Michele Zaza (Michele “o pazzo”), i quali agivano con proprie e distinte organizzazioni. In seguito, anche per i contrasti insorti tra costoro, e col pretesto di disciplinare il contrabbando di tabacchi in maniera più razionale, “Cosa nostra” si era praticamente impossessata del controllo del contrabbando di tabacchi, tanto che sia il La Mattina che Lo Spadaro erano divenuti “uomini d’onore” della “famiglia” di Pippo Calò (Porta Nuova), la stessa, cioè, del Buscetta in un secondo tempo, anche lo Zaza era divenuto “uomo d’onore”, alle dirette dipendenze di Michele Greco, capo della “commissione” di Palermo.
Nel contrabbando erano interessate tutte le “famiglie”, ivi compresa quella di Stefano Bontate, e quest’ultimo soleva ricordare al Buscetta, sorridendo, le astuzie dello Zaza al fine di eludere le regole dettate dalla “Commissione” per disciplinare il contrabbando, e, in particolare, lo sbarco nelle coste italiane.
Anche “Cosa nostra”, per altro, al pari degli organi statuali, aveva sottovalutato il fenomeno del contrabbando di tabacchi, non considerando cioè, che lo stesso avrebbe portato i germi per lo snaturamento di alcune caratteristiche essenziali di questa organizzazione.
E difatti, la possibilità per ciascun “uomo d’onore” di allearsi con chiunque, ivi compresi gli estranei a “Cosa nostra”, e gli ingenti guadagni derivanti dal contrabbando di tabacchi avevano prodotto, da un lato, il progressivo venir meno della rigida compartimentazione a livello gerarchico e della segretezza, che caratterizzavano la struttura delle “famiglie” sia pure coordinate tra loro attraverso la “commissione”, dall’altro, avevano determinato un’accentuata disponibilità di mezzi finanziari, che, unitamente a quelli provenienti da altre illecite attività, aveva spianato la strada per l’ingresso in grande stile nel mercato dell’eroina.
Entrambe queste conseguenze, a giudizio di Buscetta, hanno creato i presupposti per lo snaturamento di “Cosa nostra”, e sarebbero state ulteriormente aggravate dalla gestione del traffico di stupefacenti che aveva, sì, inondato la mafia di danaro, ma ne avrebbe, prima o poi, determinato la dissoluzione.
Quanto riferito da Buscetta, per averlo personalmente constatato nel periodo (secondo semestre 1980) trascorso a Palermo prima di espatriare nuovamente per il Brasile, si è rivelato estremamente preciso. Secondo il Buscetta, l’ingresso massiccio della organizzazione mafiosa nel mercato dell’eroina, in concomitanza col progressivo declino del contrabbando di tabacchi, sarebbe avvenuto nel 1978 e sarebbe stato propiziato, soprattutto, da Nunzio La Mattina, in virtù dei suoi contatti, determinati proprio dal contrabbando, con le fonti di produzione della droga.
In seguito, l’approvvigionamento della morfina-base per i laboratori siciliani era divenuto appannaggio esclusivo, oltre che del La Mattina, di Tommaso Spadaro e di Giuseppe Savoca, i quali, però, lavoravano ognuno per conto proprio e mantenevano gelosamente custodito il segreto sulle proprie organizzazioni. Successivamente, anche Antonino Rotolo era divenuto, secondo quanto riferitogli dal Bontate, un elemento-cardine per l’acquisizione della morfina-base.
Accanto ai soggetti che gestivano l’approvvigionamento della droga, altri ve n’erano che curavano la trasformazione della morfina base in laboratori clandestini, mentre altri ancora si occupavano del trasporto e dello smercio dell’eroina nei paesi consumatori.
Al riguardo, Buscetta ha fatto i nomi delle famiglie dei Cuntrera e dei Caruana per il Canada e, quale massimo esportatore di eroina per gli Usa, di Giuseppe Bono, il quale, mentre in un primo tempo curava direttamente anche il trasferimento dell’eroina, successivamente, divenuto il terminale negli Usa della droga esportata da “Cosa nostra”, ne curava la vendita in quel Paese tramite Ganci Filippo. In buona sostanza, dunque, all’interno di “Cosa nostra”, si sono create strutture autonome, ma funzionalmente collegate, addette alle varie fasi in cui si articola il complesso traffico di stupefacenti, mentre, gli “uomini d’onore” che non hanno responsabilità operative nel traffico, possono contribuirvi finanziariamente, condividendone, in varia misura, gli utili ed i rischi. Si è riprodotta, in sostanza, la stessa situazione del contrabbando di tabacchi, ma in misura molto maggiore e con profitti enormemente più alti.
Anzi, secondo il Buscetta, per chi partecipa solo finanziariamente al traffico di stupefacenti, vi è una duplice possibilità: o ritirare la propria quota del prodotto finito (eroina) e provvedere con i propri mezzi allo smercio della droga; o attendere che la stessa sia esportata negli Usa ed ottenere, quindi, un maggiore utile, partecipando, però, ai rischi di perdita del prodotto per effetto di sequestri da parte della Polizia.
Queste affermazioni del Buscetta hanno trovato riscontri notevolissimi e ricalcano quanto un fedele e sventurato servitore dello Stato ( il dirigente della Squadra Mobile di Palermo, dottor Giorgio Boris Giuliano) aveva già scritto diversi anni addietro.
Nell’ormai lontano 1979, il dottor Giuliano, in esito ad indagini accurate e fruttuose, aveva scritto, proprio in un rapporto di denunzia per traffico internazionale di stupefacenti contro Giuseppe Savoca ed altri, che “dal lavoro investigativo da cui è scaturito il presente rapporto è emerso, per come da tempo sospettato, che la mafia siciliana è rientrata nel traffico internazionale di stupefacenti con larga disponibilità di uomini e di mezzi, sfruttando, soprattutto, i canali delle grandi reti contrabbandiere di tabacchi lavorati esteri che operano nel sud-Italia e nelle isole sotto la ferrea guida di grossi nomi della mafia”.
Nel procedimento sorto a seguito del rapporto di denunzia del dottor Giuliano, sono stati condannati da questo Tribunale, 1’11.6.1985, perché colpevoli di traffico di stupefacenti, Savoca Giuseppe, Savoca Rosolino, Pirrone Giacomo ed alcuni greci, mentre Scavone Gaetano è stato assolto per insufficienza di prove.
Deve dunque ascriversi ad ennesimo riconoscimento dell’abilità investigativa di Boris Giuliano, se quanto è emerso faticosamente solo adesso, a seguito di indagini istruttorie complesse e defatiganti, era già stato da lui esattamente intuito ed inquadrato diversi anni prima.
L’indicazione, dunque, di Giuseppe Savoca trova riscontro nelle indagini di Boris Giuliano, da cui è emerso, appunto, un ruolo del Savoca nel traffico degli stupefacenti corrispondente a quello riferito dal Buscetta. Ma anche in ordine agli altri personaggi indicati da quest’ultimo, l’istruttoria consente di affermare che gli stessi sono coinvolti nel traffico di stupefacenti, nei termini riferiti dal loro accusatore.
Una parte di questa sentenza è dedicata al ruolo di Tommaso Spadaro nel contrabbando di tabacchi, prima, e nel traffico di stupefacenti, poi; e la fondatezza delle conclusioni raggiunte è stata autorevolmente riconosciuta dal Tribunale di Firenze, che ha condannato lo Spadaro per un episodio della fase di distribuzione, costituente soltanto un aspetto del più vasto traffico emerso nel corso del presente procedimento. DOMANI