31.8.2023 MELONI a Caivano: ‘Qui si è consumato il fallimento dello Stato, no a zone franche’
Un’assunzione di responsabilità e una promessa “impegnativa”.
A Caivano “lo Stato ha fallito”, ma “in tempi brevi ci sarà una bonifica radicale”, dice Giorgia Meloni, provando a tracciare il futuro del Parco Verde, il quartiere maledetto della camorra, dello spaccio e dello stupro delle due cuginette.
Le proteste (o peggio) paventante alla vigilia non ci sono state: sui social, la premier era stata minacciata da chi l’attacca per la stretta sul reddito, ma i contestatori sono rimasti a casa. Come la gente del quartiere, del resto. Pochi i cittadini scesi in strada per salutarla. Chiuse le finestre dei palazzi. Qualche applauso, qualche “Giorgia, Giorgia”, due uomini che hanno urlato “vogliamo il lavoro”. Per il resto, soprattutto uniformi: massiccio il dispositivo delle forze dell’ordine.
Prima tappa della visita della presidente del Consiglio – accompagnata da tre ministri (Piantedosi, Valditara e Abodi), il sottosegretario Mantovano, le autorità locali – è stata la parrocchia di don Maurizio Patriciello, il prete anti-clan che l’ha invitata.
“Meglio di così non poteva andare”, dice il sacerdote al termine di un colloquio di oltre 40 minuti, durante il quale le chiede anche un intervento per “oscurare i siti porno”. “Ha preso degli impegni e noi le crediamo. Abbiamo un desiderio grande di applaudire, ma se le promesse, come accaduto altre volte, non verranno mantenute sapremo anche fischiare”, avverte. Dalla chiesa alla scuola, l’istituto superiore ‘Francesco Morano’, dove Meloni ha presieduto un Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e ha incontrato alcuni studenti e la preside, Eugenia Carfora, figura mitica da queste parti per avere avuto il coraggio di andare casa per casa a riprendersi i suoi ragazzi.
Tema centrale è stato proprio quello della dispersione scolastica. “Bisogna rafforzare le norme per contrastarla”, ha detto Meloni, e secondo Valditara bisogna colpire i genitori: “E’ ridicola un’ammenda di 30 euro per chi priva i figli del loro futuro”. Ma il problema, qui, è dato anche dalla precarietà delle strutture e dalla mancanza dei professori. “Servono insegnanti bravi. I più bravi d’Italia”, chiede Carfora. Le risponde il ministro annunciando uno stanziamento di “un milione e mezzo di euro per quattro scuole, venti docenti in più e istituti aperti anche di pomeriggio”.
La conferenza stampa di Meloni
Per la presidente del Consiglio è tempo di bilanci. Comincia ringraziando don Patriciello, “un uomo straordinario”, e assumendosi la responsabilità di quello che definisce “il fallimento dello Stato a Caivano”: “siamo venuti a qui a dire che ci mettiamo la faccia”. Poi gli impegni: “Questo territorio sarà radicalmente bonificato”, assicura, perchè “non possono esserci zone franche e non intendiamo abbandonare i cittadini nell’illegalità. Presto vedrete i frutti” di questa azione.
“L’obiettivo è che domani Caivano sia un modello: da problema a esempio”. Il primo pilastro di questa azione di rinascita, accanto agli investimenti sulla scuola, è la ricostruzione del centro sportivo Delphinia, il probabile luogo dello stupro delle due ragazzine ed oggi “una discarica a cielo aperto. Vogliamo riaprirlo entro la prossima primavera”. Sarà ripulito dal Genio militare, riqualificato da Sport e Salute e gestito dalle Fiamme oro della Polizia di Stato. Dentro ci saranno anche una biblioteca e una sala lettura. Ventidue milioni l’investimento complessivo. C’è poi il tema della criminalità, la necessità che a Caivano, dice la premier, “si torni a respirare sicurezza”: “forze dell’ordine e magistrati saranno meno soli”, garantisce Meloni, annunciando un rafforzamento della loro presenza e della loro azione.Della carenza dei servizi sul territorio e della possibile assunzione di 30 assistenti sociali la presidente del Consiglio ha parlato col governatore De Luca, assente a Caivano e incontrato a Napoli, mentre sul versante del lavoro ha ricordato che da domani sarà attiva la piattaforma alla quale gli ex percettori di reddito, ma non solo, possono rivolgersi per i corsi di formazione retribuiti e il servizio civile. Per le conclusioni Meloni si affida a Sant’Agostino: “inizia a fare il necessario, poi il possibile, alla fine può darsi che arriverai a fare l’impossibile”. Ma come San Tommaso, invece, la donna affacciata alla finestra del condominio vicino alla chiesa, se non vede non crede: “Ora aspettiamo la prova dei fatti. Lei non è l’unico politico venuto qui, ma in 35 anni non è cambiato niente. Vedremo”. ANSA
Chi è don Maurizio Patriciello, il prete anti Camorra che ha convinto Meloni ad andare a Caivano
Classe 1955, dopo una conversione tardiva, parroco nel degradato Parco Verde di Caivano, Patriciello è impegnato da sempre nella lotta per la tutela del territorio inquinato dalle discariche industriali inquinanti e radioattive (la cosiddetta Terra dei Fuochi) e nella battaglia contro la camorra.
Probabilmente non se l’aspettava, ma almeno ci sperava. Qualche giorno fa don Maurizio Patriciello, il parroco anti-clan di Caivano (Napoli), ha scritto alla premier Giorgia Meloni per invitarla al Parco Verde, il luogo “abbandonato dallo Stato” dove sono state stuprate due cuginette di 11 e 12 anni. E la presidente del Consiglio ha accolto l’invito. Sarà giovedì al parco Verde (lo ha annunciato lo stesso sacerdote parlando con i giornalisti) rione nato dopo il sisma del 1980, costruito con la legge 219/81, e popolato da terremotati e senzatetto provenienti da varie parti delle provincia.
«Penso che Giorgia Meloni verrà qua con delle proposte concrete», ha dichiarato don Patriciello dicendo che ormai non c’è più tempo da perdere. «In questo quartiere le povertà sono tante – ha aggiunto – alla porta della parrocchia c’è anche chi bussa perché non ha la possibilità di acquistare un litro di latte per i propri figli». Lo Stato, ha osservato ancora il sacerdote «qui ci deve essere, con le strutture ed i servizi», servizi mai «realizzati in un quartiere che a mio giudizio non doveva mai nascere».
In prima linea contro la camorra
Don Maurizio è, da anni, in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata. Ed è voce e coscienza di chi si batte contro la camorra. Lo stupro è nato in un contesto di forte degrado. Con abusi cui sono seguite le minacce e i ricatti, utilizzando i file video e i messaggi contenuti negli smartphone degli implicati nell’atroce vicenda. A tutto questo si è aggiunto l’ordine di silenzio, impartito dai capoclan di zona, i responsabili delle piazze di spaccio del Parco Verde. Un velo di omertà si è posato sul quartiere. Tra le poche voci ad alzarsi per chiedere riscatto e unità, quella di don Patriciello. Gli agenti di scorta non lo perdono mai di vista: «Se non fosse per quest’uomo – dice indicando la foto del capitano Antonio Cavallo, alla guida del locale comando dei carabinieri – qui non avremmo più speranze». Ma adesso ammette di essere “preoccupato” per la sua sicurezza e «quella della mia scorta».
Conversione tardiva
Ma chi è questo prete “scomodo”? Don Maurizio Patriciello è nato a Frattaminore, in provincia di Napoli, nel 1955. Paramedico scrupoloso, lavorava a 100 metri da casa. Poi nel 2013 la “conversione”. Un passaggio in auto a un sacerdote francescano, di quelli che per ubbidienza alla povertà, scalzi, viaggiano in autostop, lo aveva incuriosito. Proprio lui, lontano dalla Chiesa da tempo. Alla fine Patriciello a 30 anni si iscrive a Teologia e poi diventa prete.
La missione in periferia
Il vescovo lo invia a Parco Verde di Caivano, nel napoletano, dove si contano 13 piazze di spaccio per un business di 100 milioni di euro all’anno. Da allora è impegnato in prima linea nella lotta per la tutela del territorio inquinato dalle discariche industriali inquinanti e radioattive, la cosiddetta Terra dei Fuochi. SOLE 24 Ore 29.8.2023
Caritas: don Patriciello, “la mia vita sotto scorta nella piazza di spaccio più grande d’Europa”
3.5.2023 «Il connubio tra politica e camorra è una miscela esplosiva, un furto di speranza»
Padre Maurizio Patriciello
“NON CHIEDERE DI CAMPAR CENT’ ANNI. RESPIRA FORTE IL GIORNO CHE TI È DATO. QUANDO VIEN SERA E IL SOLE SI RAFFREDDA, DONA OGNI COSA AL PADRE DELLA VITA. POI, SERENO, POGGIA SUL SUO CUORE IL CAPO … E DORMI.”
Il più bel complimento che puoi fare a un uomo è chiamarlo “ uomo”. Voglio essere uomo. Semplicemente e immensamente uomo. Chiamami uomo e mi farai felice. Prego perché nessuno rinunci alla sua stupenda e, a volte, faticosa dignità di essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio.
A Fernanda Pivano che gli chiedeva:,“ Ma perché sei così disperato? Che cosa vuoi? Che cosa cerchi? Che cosa vorresti? Jack Kerouac rispose: “ Voglio che Dio mi mostri il suo volto”. Grandi scrittori o umili operai, magnati o vagabondi: siamo tutti – sempre e solo – dei poveri mendicanti.
Nel mondo, i rumori di guerre, egoismi e orgogli nazionali; la cinica sopraffazione dei Paesi ricchi su quelli poveri; il doloroso dramma degli aborti ci spronano a continuare a gettare a piene mani semi di Vangelo e di misericordia. La chiave per aprire le porte della pace, della solidarietà, della pietà, dell’amicizia tra i popoli, è custodita nel cuore dell’uomo.
La camorra si nutre e si sviluppa grazie al silenzio dei cittadini. Chi tace acconsente. Gridiamo il nostro “ no” deciso, convinto, coraggioso a ogni forma di prepotenza, di sopraffazione, di camorra, di mafia. Che nessun genitore possa sentirsi dire da suo figlio un giorno: “ È tu, papà, dov’eri, dove ti nascondevi, quando altri rischiavano la vita anche per me?”.
27.3.2022 I vigliacchi fanno sempre così. Si muovono di notte. Al buio. Colpiscono. E si nascondono. Hanno paura della luce. Offendono. Minacciano. Insozzano. Ecco come si presentava il Cristo a Villa Literno domenica mattina. Forse non sanno questi “coraggiosi” di avere offeso solo se stessi e la loro dignità di essere umani. Padre Maurizio Patriciello
DON MAURIZIO PATRICIELLO, IL PRETE CHE NON ASSOLVE CHI INQUINA FRA RIFIUTI TOSSICI E DEGRADO: A TU PER TU CON IL SACERDOTE CHE, NELLA TERRA DEI FUOCHI, SI BATTE PER LA SALUTE DEI CITTADINI. E CHE DELL’ENCICLICA DI FRANCESCO DICE: «È UNA BENEDIZIONE, CI FA RESPIRARE»
Don Maurizio Patriciello nel mirino della Camorra
𝐃𝐎𝐍 𝐏𝐀𝐓𝐑𝐈𝐂𝐈𝐄𝐋𝐋𝐎 𝐒𝐎𝐓𝐓𝐎 𝐏𝐑𝐎𝐓𝐄𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐎𝐏𝐎 𝐋𝐄 𝐌𝐈𝐍𝐀𝐂𝐂𝐄
Parco Verde (Caivano). Bomba carta alla parrocchia di don Maurizio Patriciello
«Smetti di farti lupo». Lettera di un parroco a un fratello camorrista: ti aspetto
Chi è un camorrista? Un fratello. Una persona che, purtroppo, si fa lupo di altre persone. E le umilia, le opprime, le fagocita, le uccide. Il motivo che sta alla base del suo illogico e sciocco comportamento è la bramosia di denaro e di potere. Ne vuole tanto. E per ottenerlo, è disposto a tutto, anche a tradire la parola data, i vecchi amici, la propria terra, i propri figli. Che cos’è la camorra? Una consorteria del male, una sorta di sottobosco, un mondo nel mondo.
Che cos’è il Vangelo? Uno stupendo e inimitabile annuncio di salvezza, di libertà, di ritrovata dignità. Di amore. Per tutti, anche per gli stessi camorristi. Il cristiano riceve e annuncia queste Parole lancinanti e liberanti che mai nessuno prima ha saputo proferire. Parole che lo hanno amma-liato, sedotto, fatto gioiosamente prigioniero. Su quelle Parole ha deciso di scommettere la vita. Il male è un camaleonte. Si camuffa, si trasforma, cambia pelle e colori.
Le sue armi preferite sono l’inganno e la menzogna. Mentre ti pugnala ti sorride. Col male, ha detto il Papa, non si dialoga, lo si respinge. Occorre discernere il falso dall’originale. Il cristiano deve avere il coraggio di non barare con se stesso. L’ipocrisia è stata rigettata finanche da Gesù. Il cristiano, con tutti i suoi limiti, deve guardarsi allo specchio e chiedersi: ‘E tu, da che parte stai?’. Tutto qui. Ed è estremamente bello quando, senza tentennamenti si schiera dalla parte del bene. E se la camorra te lo impedisce? Mi unisco alla folta schiera degli amanti della legalità e resisto, lotto.
E se ti minaccia? Piacere non mi fa, ma continuo per la mia strada. La fede in Gesù, la sete di giustizia, di verità, di dignità sono la nostra seconda pelle. Si combatte. La lotta tra il bene e il male ha radici antiche; ognuno è chiamato a dare il proprio contributo Purtroppo, da vero illusionista, anche il male affascina. Una sirena che prima t’incanta e poi ti divora. Il desiderio del bene, invece, non sbraita, sussurra. Non ti fa provare le vertigini per poi scaraventarti giù, ma ti dona la pace, bella, forte, duratura. I prigionieri del male, per arrivare ai loro obiettivi, insozzano, inquinano, terrorizzano, ammazzano. Gli innamorati del bene amano anche coloro che quel bene calpestano. E separano il grano della persona dalla zizzania delle loro azioni. Un paradosso: chi si affanna per il bene lo fa anche a favore dell’avversario, dei suoi figli, della sua famiglia.
Tu mi uccidi? Io ti amo. Tu vuoi opprimere la mia esistenza? Io lotto per i tuoi diritti. Stai scontando, in carcere, la tua meritata pena? Io vengo a farti visita e resto accanto ai tuoi figli che con la tua scelleratezza hai dovuto abbandonare. Tu piazzi una bomba-carta all’ingresso della mia chiesa per impaurirmi? Io prego per te e per i tuoi cari. Ecco, fratello camorrista, chi è l’uomo che vuoi spaventare: solo un povero prete, innamorato di Gesù, della sua Chiesa, della sua vocazione. Un povero, ma testardo, prete che non si rassegna a benedire le bare bianche dei giovani ai quali tu hai rovinato la vita.
E vorrebbe, in qualche modo, arrivare prima, e riuscire a salvarli. Non è facile, lo so, ma un alpinista guarda alle vette più alte, non alle colline. In questi mesi, diversi nostri giovani, si sono laureati. Mamma mia, che soddisfazione! Altri per non cadere nelle tue trappole, hanno preferito emigrare. Sono contento lo stesso. Non si sono rassegnati a diventare legna da bruciare nel tuo camino. Io sto qua. Di me sai tutto, nome, cognome, data di nascita – ti sei ricordato del mio compleanno – indirizzo. Sai che ogni sera, d’estate e d’inverno, mi trovi, puntuale, all’Altare. Se vuoi farmi male – ma perché dovresti? – è tanto facile.
Un prete, con le braccia alzate a implorare misericordia, è l’uomo più fragile del mondo. Ma – non dimenticarlo – anche il più forte. Sarebbe una vera vigliaccata, non trovi? Lo so, tante volte me lo hai detto, a modo tuo, mi vuoi bene, ma non capisci questa mia ottusa caparbietà nel continuare a immischiarmi in affari che, secondo te, non mi riguardano.
Lo so, me lo hai scritto, perfino in carcere parli bene di me. Però… c’è quel però che non riesci a digerire. Ed è proprio su quel però che bisogna intendersi. Qua la mano. Facciamo pace. Non barare, però. Sappi che la Chiesa, nella quale fosti battezzato, continua ad amarti. E a sperare per te il meglio. La sua più grande gioia sarebbe quella di vederti libero, onesto, inginocchiato ai piedi della croce a chiedere perdono per il male fatto. Un’utopia? E perché mai? Ti aspetto, fratello camorrista. Continuo a sperare. Ti voglio bene, voglio il tuo bene, il bene della nostra gente. Ti prego, prova a volermi bene anche tu. Non fare, non farti, e, se puoi, non farmi male. 16.3.2022
Don Patriciello dopo la bomba carta: non ho paura per me ma per i miei bambini
Don Patriciello: alle armi della camorra oppongo la corona del Rosario
A pochi giorni dall’intimidazione contro la sua parrocchia, il sacerdote continua la sua missione tra la popolazione del Parco Verde di Caivano. “Seguo il Vangelo e dico la verità”, dice don Patriciello
Le ragioni delle intimidazioni Ma perché questa ennesima intimidazione? Sono tre le strade intraprese da don Patriciello che, di sicuro, vanno di traverso alla criminalità. La sua attività contro lo spaccio della droga, e quindi gli affari della camorra al Parco Verde. C’è poi il suo impegno a difesa dell’ambiente e contro il lavoro nero. Ma lui stesso propende per la terza spiegazione, partendo anche da un fatto di qualche giorno prima della bomba carta, un gesto intimidatorio ai danni di Biagio Chiarello, comandante dei vigili urbani di Arzano, in provincia di Napoli, ora sotto scorta. Un annuncio funebre della sua morte comparso in strada. “Proprio nella mia parrocchia, davanti all’altare – prosegue il racconto il parroco – pochi mesi fa abbiamo formato il Comitato di liberazione dalla camorra, nella zona di Napoli nord. È nato qua nella mia parrocchia, ne fanno parte il senatore Sandro Ruotolo, Biagio Chiariello, ci sono io, assieme ad altre persone e comitati che hanno preso parte a tutto questo che, logicamente, dà fastidio ai clan che ora mi stanno dicendo: ‘guarda che sei nel mirino, che il tuo fare ci dà fastidio, che ti teniamo d’occhio’”. In fondo, è una loro abitudine, è la serena constatazione di don Maurizio, che ricorda i preti-antimafia e anti-camorra morti per la loro sete di legalità, come don Pino Puglisi, ucciso a Palermo nel giorno del suo 56° compleanno – era il 15 settembre del 1993 -, o come don Peppino Diana, assassinato un anno dopo, nel giorno del suo onomastico, il 19 marzo. “E nel giorno del mio compleanno, alle 3.40 di notte, è esplosa la bomba carta, per dire: ‘caro prete, fai attenzione. Togliti di mezzo questa è l’unica cosa da fare’”.
“Questa è l’eterna lotta tra il bene e il male – prosegue il parroco – noi siamo qua e continuiamo questa nostra lotta. Certo, ci sono posti più semplici, ma ci sono anche posti più difficili. E questo lo è e ci sto io. Come ho detto ai seminaristi di Palermo pochi giorni fa: quando si va in una parrocchia in questi luoghi, bisogna subito far capire da che parte stai, tra le tenebre e la luce non c’è comunione, c’è poco da fare, non ci sta comunione. Il Vangelo chiama alla conversione tutti, quindi anche i camorristi, ma non può convivere con la camorra. Loro lo sanno molto bene, se vogliono farmi del male non ci vuole molto, io sono una persona armata solamente della mia corona (corona del Rosario ndr) e loro hanno le armi. Però la domanda è: in questo momento conviene uccidere il parroco del Parco Verde? Questi atti intimidatori sono per dire: ‘vediamo un po’ se riusciamo a intimorirlo e a zittirlo’. E se poi non si zittisce? Il futuro è nelle mani di Dio”.
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano VATICANO NEWS 15.3.2022
Sergio Mattarella chiama don Patriciello: solidarietà e vicinanza
Don Patriciello, manifestazione a Caivano: «No alla camorra, siamo tutti padre Maurizio»
Tutti uniti al Parco Verde di Caivano contro la camorra: «Siamo tutti padre Maurizio Patriciello». Questa mattina, la parrocchia San Paolo Apostolo è stata teatro della manifestazione di solidarietà dopo l’esplosione che ha danneggiato il cancello d’accesso al cortile della chiesa. A pochi passi dalle piazze di spaccio, i cittadini anche dei comuni limitrofi hanno gridato al cambiamento. Un urlo di unione avvenuto sotto gli occhi di chi ha reso il rione la centrale dello spaccio del Napoletano e del Casertano. Mancavano pochi minuti alle 4 di sabato mattina, quando è stato fatto esplodere il petardo. Domenica 13 Marzo 2022 di Rosaria Rocca IL MATTINO
«Le nostre vite nel terrore di chi spara per farsi la guerra»
05/03/2022 Le stese a Frattamaggiore e Frattaminore, il fuggi fuggi e la paura della gente che sprofonda nell’angoscia. La riflessione di don Maurizio Patriciello che lancia l’ennesimo appello: «Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità e scendere in campo. Con risolutezza, convinzione, efficacia»
Loro vogliono tutto e subito. E se nessuno glielo dà, se lo prendono con la forza, le intimidazioni, le armi. Le armi, ancora le armi, sempre le armi. In Ucraina – stupide e assassine – in questi giorni tuonano le armi. Anche nei nostri paesi, purtroppo. Sono ritornate mercoledì. Eravamo a Messa, pronti a chinare il capo e ricordare quello che da sempre sappiamo e mai vogliamo ammettere: che siamo e torneremo a essere polvere. Che con Dio, però, possiamo scavalcare i monti dell’orgoglio, della vanità, del delirio di onnipotenza, nostri veri nemici.
Eravamo in chiesa, dunque, quando, a Frattaminore, il paese dove sono nato e dove vivono i miei fratelli, i miei nipoti, tanti miei cari amici, nella piccola piazza che ancora conserva il sapore delle buone cose antiche, sono tornati “loro”. A bordo di una mezza dozzina di potenti motociclette, gridavano come forsennati e sparavano all’impazzata. Una stesa. Il panico. Il fuggi fuggi. Stessa cosa nella vicina Frattamaggiore.
Nelle sere seguenti a Casoria e a Boscotrecase due pregiudicati venivano freddati. Comandare. Controllare il territorio. Essere i primi, gli unici. Arricchirsi. Le antiche tentazioni che da sempre tormentano e schiavizzano l’uomo. Costi quel che costi, qualunque sia il prezzo da pagare, bisogna vincere. Per farlo, innanzitutto, occorre impaurire i buoni, metterli a tacere, rinchiuderli in casa. Hanno i figli? Li tenessero al sicuro. Potrebbero – come accadde alla giovanissima Annalisa Durante – morire sotto i colpi. Per errore. Pistole e mitragliette non sono intelligenti, come non lo sono coloro che ne fanno uso. Al mio paese sono tornati la sera del Mercoledì delle ceneri. Prepotenti. Mascherati. Armati. Tutto, come sempre, è avvenuto alla velocità della luce. Arrivano, sparano, scompaiono. E le famiglie sprofondano di nuovo in quell’angoscia da cui, lentamente, si stavano riprendendo. Almeno qua, la dinamica è chiara e ben conosciuta dagli inquirenti. Due clan della vicina Arzano si stanno facendo guerra. Uno dei due deve soccombere. Spazio per la diplomazia non ce n’è. In un bar, pochi mesi fa, ci fu una sparatoria spaventosa. Colpito a morte, il bersaglio; feriti due dei suoi complici. Purtroppo, sotto i colpi finirono anche due avventori che con questa scia di morte non c’entravano niente. Vivi per miracolo. Ho avuto modo di visionare le foto dello scempio. Cose da archiviare al più presto nella memoria per continuare a credere nell’uomo, nella sua intelligenza, nella sua bontà. È vero, a tutto ci si abitua. Anche alla camorra e alle guerre. Ma non deve succedere. Lotteremo perché non succeda. Il fuoco non si spegne con il fuoco. L’odio riaccende e alimenta l’odio. Cedere alla rassegnazione equivarrebbe a darla vinta al male. Occorre liberare i cittadini che vivono in queste zone della Campania.
Da troppo tempo sono prigionieri di queste bande. Da troppo tempo levano la voce verso coloro che detengono il potere perché anche sul loro suolo prevalga la pace, la democrazia, la civiltà. La camorra è una sanguisuga che non si sazia mai. Un buco nero che attira gli ingenui e li condanna a morte.
La camorra deve essere sradicata, strozzata. E per farlo, la brava gente e le buone intenzioni non bastano. Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità e scendere in campo. Con risolutezza, convinzione, efficacia. 5.3.2022 AVVENIRE
Caivano, bomba esplode davanti alla chiesa di don Patriciello. Il parroco: diamo fastidio al clan
La diocesi di Aversa: «Una vile minaccia tipica degli ambienti camorristici». Pochi giorni fa le minacce di morte al comandante dei vigili urbani di Arzano che con il sacerdote si batte per la legalità in questo territorio. Il sacerdote riceve la visita di Giuseppe Conte
Prima i manifesti funebri con le minacce di morte dirette al comandante dei vigili urbani di Arzano, Biagio Chiariello, che sta conducendo una battaglia contro l’abusivismo e l’occupazione delle case popolari da parte dei clan. Ora un ordigno fatto esplodere nella notte all’ingresso della chiesa al Parco Verde di Caivano, la parrocchia di padre Maurizio Patriciello e il luogo dove è nato il Comitato di liberazione della camorra. Nell’area Nord di Napoli c’è fermento, perché – grazie a iniziative istituzionali e azioni di sostegno della comunità locale – la legalità sta riconquistando quegli spazi che la camorra aveva invaso. E la criminalità risponde con atti intimidatori. Sapendo anche che Patriciello e Chiariello sono uniti non solo nella battaglia contro i clan, ma anche da un vincolo forte di amicizia. Tant’è che il sacerdote ha regalato un rosario al comandante dei caschi bianchi, chiedendogli di tenerlo stretto tra le mani nei momenti più difficili.
La reazione del parroco
«Intimidito? Sono dispiaciuto, questo sì. Dispiaciuto tantissimo, ma per loro che hanno intrapreso queste strade di morte, di sofferenza, di inciviltà e di prepotenza». Così don Maurizio Patriciello, commentando l’esplosione di un petardo all’alba davanti alla sua chiesa. Sull’accaduto sono in corso indagini dei Carabinieri della compagnia di Casoria e della tenenza di Caivano: «I carabinieri stanno indagando, non abbiamo ancora compreso da dove possa arrivare questo gesto. Non riusciamo a capire se sia da quelli del Parco Verde, o magari da quell’altra lotta che stanno combattendo ad Arzano, visto che noi ci stiamo impegnando con il nostro Comitato per la liberazione dalla camorra dell’area nord di Napoli dopo i manifesti funebri per il comandante della Polizia locale Biagio Chiariello. Oppure la mano potrebbe arrivare da Frattaminore, io abito ancora lì e in queste ultime settimane ci sono state 5 stese e l’esplosione di 4 bombe». Quel che è certo, secondo don Maurizio Patriciello, è il tentativo di intimidire: «Cercano di dire di farci i fatti nostri perché quando tutto tace è sempre un bene, quando si alza la voce, e anche con il nostro Comitato lo stiamo facendo, si dà fastidio, c’è poco da fare. Quindi con queste antiche modalità si cerca di intimorire. Io lo so molto bene che, se qualcuno mi vuole fare del male, se hanno deciso di farmi male, potranno anche farlo. Potranno uccidere anche il corpo, ma la profondità del tuo sentire, della tua fede, della tua sete di giustizia e dell’amore verso gli ultimi – conclude – non la toglieranno mai».
Il boato nella notte
Il terzo incomodo, per la camorra, è Sandro Ruotolo. Senatore, amico di don Patriciello e in prima fila con il Comitato e nelle iniziative a sostegno della legalità. É lui che racconta e conferma quanto avvenuto nella notte. «Intorno alle ore 4, un forte boato – dice Ruotolo – una esplosione davanti al cancello della chiesa del Parco Verde di Caivano. Padre Maurizio Patriciello non dorme qui. Ma lui è il parroco di quella chiesa. Siamo tutti preoccupati. Da quando abbiamo alzato la voce in questa area Nord di Napoli, dando vita al comitato di Liberazione dalla camorra che è nato proprio in questa chiesa, lo Stato sta dando risposte concrete nella battaglia per la legalità».
La diocesi di Aversa: minaccia vile della camorra
«L’atto intimidatorio sembra appartenere a quelle vigliacche forme di minaccia proprie dell’ambiente camorristico». È quanto si legge in una nota di solidarietà a padre Maurizio Patriciello, parroco della chiesa San Paolo, da parte della diocesi di Aversa, della quale la parrocchia fa parte. «La Chiesa diocesana di Aversa – si legge nella nota – colpita per la notizia dello scoppio di un ordigno collocato vicino al cancello d’ingresso della Parrocchia San Paolo, esprime la sua grande preoccupazione per un fatto che, qualunque ne sia l’origine e chiunque ne sia l’esecutore, sembra appartenere a quelle vigliacche forme di minaccia proprie dell’ambiente camorristico»
«Andremo avanti»
Don Patriciello, Chiariello e Ruotolo sono membri attivi del Comitato per la liberazione della camorra. «Sapevamo che accendendo i riflettori avremmo indebolito la camorra – insiste Ruotolo – e la camorra cerca di reagire con le minacce. Noi siamo di più e andremo avanti in questa battaglia di liberazione dei nostri territori dalla malavita organizzata. Non ci fermeranno insulti e minacce. Siamo tutti padre Maurizio Patriciello».
Conte (M5S): siamo qui per darti il nostro supporto
A don Patriciello arriva anche la vicinanza dell’ex premier Giuseppe Conte. Il presidente del Movimento 5 Stelle si reca al Parco Verde di Caivano per far visita al parroco della chiesa di San Paolo Apostolo. «La camorra ha pensato di farti gli auguri con un ordigno? Noi siamo qui per darti il nostro supporto e la nostra totale solidarietà», dice Conte a don Patriciello, che proprio oggi festeggia il suo compleanno. Il presidente del M5S proviene da Napoli, dove era stato alla manifestazione di solidarietà all’Ucraina organizzata dal sindaco Gaetano Manfredi in adesione all’iniziativa delle città della rete europea “Eurocities”.
Valente e De Luca (Pd): far sentire la presenza delle istituzioni
«Solidarietà a padre Maurizio Patriciello e a tutta la comunità del parco Verde» arriva anche dalla senatrice del Pd Valeria Valente la quale osserva che «è la seconda intimidazione che colpisce membri del comitato di Liberazione dalla Camorra – Area Nord di Napoli, dopo quella recapitata a Biagio Chiariello, comandante dei vigili urbani di Arzano». «Dobbiamo far sentire la presenza delle istituzioni al fianco dei cittadini e delle cittadine, delle persone che si impegnano ogni giorno – nell’ambito delle proprie funzioni – per costruire una cultura e una pratica della legalità», aggiunge la senatrice Valente. «In questi giorni – conclude la senatrice – in cui la parola guerra è tornata a riempire il nostro quotidiano a causa della dolorosa situazione in Ucraina, dobbiamo ricordarci che nelle istituzioni e nelle organizzazioni della società civile napoletana c’è chi combatte ogni giorno contro la criminalità organizzata. Ognuno di noi deve fare la propria parte, schierandosi al loro fianco». «Padre Maurizio Patriciello conduce da anni una battaglia per la legalità contro la camorra, questa è una minaccia criminale inaccettabile che va condannata al massimo» aggiunge Piero De Luca, vicecapogruppo del Pd alla Camera dei Deputati.
La solidarietà di Fratelli d’Italia
«Solidarietà e vicinanza di Fratelli d’Italia a don Maurizio Patriciello» dichiara la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. «Un fatto estremamente grave che non va sottovalutato e ci auguriamo che i responsabili siano individuati rapidamente» aggiunge. «Siamo certi che don Maurizio non si farà spaventare e che continuerà con ancor più determinazione e forza la sua battaglia contro l’illegalità e la criminalità organizzata. Noi continueremo ad essere al suo fianco» conclude Giorgia Meloni. CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
DON MAURIZIO PATRICIELLO/ Chi è il parroco di Parco Verde di Caivano ospite di Che fuori tempo che fa
8 febbraio 2022 Frattaminore, è faida delle bombe: secondo ordigno in due giorni. Don Patriciello: a pochi passi da casa mia
Sabato esplosione davanti a una sala slot, domenica mattina un’auto crivellata di proiettili, la notte scorsa una bomba carta vicino al portone di uno stabile. Si tratterebbe di episodi collegati tra loro: sullo sfondo lo scontro tra gruppi criminali nel napoletano
È iniziata la faida delle bombe. Il terreno dello scontro è la cittadina di Frattaminore dove, in due giorni, sono esplosi due ordigni e un’auto è stata crivellata di proiettili. Per gli inquirenti si tratterebbe di episodi collegati tra loro. L’ultima bomba in ordine di tempo risale alla notte appena trascorsa. Erano circa le 2:20 quando i carabinieri della compagnia di Giugliano in Campania sono intervenuti in via Sant’Angelo dove, all’altezza del civico 16, è stata registrata l’esplosione di un ordigno che ha danneggiato il cancello di uno stabile. Le forze dell’ordine sono al lavoro per accertare se il messaggio dinamitardo fosse diretto a qualcuno in particolare e scoprire eventualmente a chi. La segnalazione giunta ai carabinieri parlava di un forte boato. Fortunatamente non sono stati registrati feriti.Proiettili nelle auto. Domenica mattina, in via Rossini una vettura è stata raggiunta da diversi proiettili, mentre poche ore prima, in via Turati, attorno alle 22 di sabato, un altro ordigno è stato fatto esplodere davanti alla sala slot Royal Chic Vlt in via Turati che ha fatto registrare danni all’ingresso del locale e a una vetrina accanto alla saracinesca. Il 23 gennaio, invece, sempre in via Turati, all’altezza del civico 20, un’auto è stata crivellata con 15 proiettili. Un raid mirato, secondo i carabinieri che si sono fatti carico delle indagini. Una scia di violenza che, alle spalle, ha lo scontro tra gruppi criminali che si stanno facendo largo sul territorio. Questioni di assetti malavitosi cambiati collegati allo scontro in atto nella vicina Arzano dove le due anime degli scissionisti, una che fa capo a Monfregolo e l’altra che fa capo a Pasquale Cristiano detto «Pickstick», sono entrate in rotta di collisione. Questi ultimi, attraverso un parente di Cristiano, avrebbero spostato il proprio centro d’interesse a Frattaminore e potrebbero aver incontrato le resistenze della mala storicamente radicata nella zona.
Don Patriciello: siamo molto preoccupati. E su Facebook don Maurizio Patriciello, noto per il suo impegno della Terra dei Fuochi, scrive: Al mio amatissimo paese, Frattaminore, nel giro di pochi giorni, la stramaledetta camorra ha fatto esplodere tre bombe. L’ultima, questa notte, a pochi passi da casa mia. Siamo molto preoccupati»
Con Padre Antonio Garau a Palermo al Premio Internazionale Beato Pino Puglisi
17 ottobre 2021 Nella Terra dei Fuochi: gioventù armata e paura. La battaglia di un sacerdote
L’appello di don #MaurizioPatriciello e l’incontro al Quirinale con Mattarella. «Questi ragazzi chiedono e meritano una vita normale». Ricerca Fire sulla criminalità minorile a Napoli
Era in chiesa per la catechesi quando dall’esterno è arrivato il rumore dei primi spari. «È stato tremendo», ricorda don Maurizio Patriciello: «Non la smettevano più. Sono passati diversi mesi, ma resta viva la memoria di quei momenti di paura». È l’8 luglio quando al Parco Verde di Caivano, a Napoli, un raid di camorra interrompe la tranquillità di un pomeriggio estivo. «Erano una ventina di persone, in sella a scooter e moto, armate di pistole e kalashnikov. Hanno iniziato a sparare all’impazzata, sono stati attimi di estremo terrore e quando sono andati via ci siamo sentiti ancora peggio».
Attività sospese La paura che potesse ripetersi, l’ansia che da un momento all’altro sarebbero riapparsi ha preso il sopravvento. Il sacerdote diventato noto per le sue battaglie contro l’inquinamento in terra dei fuochi prosegue in quel ricordo: «Ho subito sospeso le attività estive dell’oratorio, perché non volevo che vivessimo la tragedia della perdita di qualche nostro bambino. Il pensiero è subito corso alla piccola Noemi Staiano (la bimba di 4 anni colpita a Napoli, nel 2017, da una pallottola vagante durante un agguato di camorra e viva per miracolo, ndr) e ho visto il terrore negli occhi dei papà e delle mamme del quartiere». Poi col passare dei giorni la ragione ha avuto la meglio sulla paura e don Maurizio ha iniziato a dire la sua, a far valere le ragioni della «sua gente».
Immediata la reazione anche delle forze dell’ordine che a quella «stesa» di camorra, organizzata per ostentare una presunta superiorità criminale tra gruppi di delinquenti, ha risposto con controlli e presidi. «Dopo un paio di mesi da quell’episodio – prosegue don Patriciello – abbiamo ricevuto una telefonata dal Quirinale: il Presidente Mattarella voleva incontrarci, voleva conoscere la nostra storia. Così con un gruppetto di 5 ragazzi siamo stati ricevuti da lui. È stato un incontro molto sentito, in cui i nostri giovani gli hanno detto solo di voler vivere una vita normale. Perché abitare in un posto in cui per andare a scuola devi attraversare 4 piazze di spaccio non è il massimo della tranquillità».
Da parte del Quirinale massima disponibilità a fare tutto il possibile per assicurare un futuro diverso a questi bambini. Ma il presente non è così e resta molto poco sereno soprattutto se, dati alla mano, si analizzano gli episodi violenti nell’area metropolitana di Napoli. Secondo i risultati del progetto Fire – acronimo di «Fighting Illicit firearms trafficking Routes and actors at European level» – realizzato nel 2017 dal centro universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica di Milano (Transcrime) con il supporto della Commissione europea, Napoli è il luogo dove dal 2010 al 2015 si è verificato il maggior numero di sparatorie e morti violente in tutta Europa. Un fenomeno che coinvolge anche giovani e giovanissimi in età compresa tra i 17 e i 24 anni.
Fenomeno in crescita Di fondamentale importanza per fotografare il fenomeno è stato l’incontro organizzato, nel marzo scorso, dalla Prefettura di Napoli in sinergia con l’università Federico II sulla circolazione delle armi illegali nell’area metropolitana di Napoli. Durante la giornata di studi è emerso con chiarezza il coinvolgimento di minori in fenomeni violenti e criminali. «A preoccupare – secondo gli addetti ai lavori – è la recrudescenza dei crimini commessi dai minori nell’area partenopea. Dal lavoro di ricerca svolto dai Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli con la Guardia di Finanza e la Questura partenopea, balza subito agli occhi il dato dei minori coinvolti sia in nei delitti con l’esplosione di armi da fuoco sia che in operazioni di sequestro di armi. Il picco maggiore lo abbiamo degli anni 2018 e 2019 nella fascia di età compresa tra i 20 e 24 anni. Ad analizzare i numeri ci si rende anche conto che, per esempio, nell’anno 2018 su 239 rapine denunciate nella città di Napoli 39 sono state realizzate da minorenni.
E sempre nel 2018 sono stati cinque i tentativi di omicidio perpetrati da minori su 24 denunciati nella città di Napoli. «Il nostro lavoro- secondo la relazione di Marco Zavattaro, già capitano del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri – è stato quello di censire e mappare, attraverso l’analisi di dati disponibili delle banche date negli archivi delle forze di polizia, l’eventuale incidenza della criminalità giovanile nell’area Metropolitana di Napoli». Un’incidenza purtroppo presente, che, sempre dati alla mano, ha subito una lenta flessione solo durante il picco della pandemia da coronavirus. L’emergenza resta, così come l’esigenza di bloccare un fenomeno che sembra resistere a ogni tipo di contrasto. CORRIERE DELLA SERA di Walter Medolla
“Io don Maurizio Patriciello avevo il cancro. Ma il Signore mi ha salvato la vita”
C’è un tempo per ogni cosa. Credo che sia giunto il momento di rendere pubblico quanto mi accadde nell’estate del 1985. Mi limito a raccontare i fatti come li ho vissuti. Ognuno ha il diritto di interpretarli come meglio crede. Naturalmente lo stesso diritto vale anche per me. Dopo un lungo periodo passato lontano dalla Chiesa cattolica, vi feci ritorno a quasi 28 anni. All’origine vi fu un incontro. Sul mio cammino, a Napoli, nei pressi del bosco di Capodimonte, incontrai un frate francescano, fra Riccardo, al quale diedi un passaggio in macchina. Quell’incontro mi cambiò la vita.
Lavoravo allora in ospedale. Ero entrato come infermiere, ma continuando a studiare, ero diventato capo reparto e mi ero specializzato sulle tossicodipendenze. Niente avrebbe fatto prevedere la svolta che sarebbe arrivata. Con fra Riccardo – oggi fondatore in Africa di due nuove congregazioni francescane – iniziò un serio cammino di conversione. Riccardo era romano. Un giorno lo accompagnai a Roma dai suoi genitori. Fu lì che volle presentarmi la mamma di un suo amico di scuola, mamma di tre figli, che chiamerò Angela. Non aveva ancora 30 anni quando si ammalò di sclerosi multipla. Ben presto finì sulla sedia a rotelle. Soffrì in modo indicibile. Nella sofferenza, però, trovò la fede e la sua vocazione: nel cuore della Chiesa ella avrebbe pregato e offerto il suo dolore soprattutto per i sacerdoti.
Quando arrivai nella sua casa per la prima volta, le allungai la mano per salutarla. Mi accorsi che mi sorrideva senza però darmi la sua mano. Capìì che non poteva e mi chinai per darle un bacio. Nacque tra noi un’ amicizia bella, disinteressata, vera. Intanto, dopo il ritorno al cattolicesimo cominciai a chiedermi seriamente che cosa il Signore volesse da me. Compresi che la mia strada era quella del sacerdozio e la imboccai con gioia. Correva l’autunno del 1984 quando mi misi in aspettativa ed entrai nel seminario teologico di Capodimonte. Rettore, allora, era monsignor Agostino Vallini, attuale Cardinal vicario del Papa. Il primo anno di seminario volò. Gli studi di teologia mi affascinavano. Non vedevo l’ora di essere prete.
Rifiuti tossici e pericolosi, sequestrate discariche
A giugno del 1985 chiesi al mio vescovo di riprendere il lavoro per i tre mesi estivi. Questo mi avrebbe permesso di guadagnare qualcosa da mettere da parte e mantenermi negli studi senza dare fastidio a nessuno. Ritornai nell’ospedale dove avevo lavorato per otto anni. Dopo pochi giorni mi accorsi che qualcosa non andava. Mi stancavo facilmente e non avevo voglia di mangiare. All’inizio pensai che fosse la stanchezza. Poi le cose peggiorarono. Non riuscivo a rendere un buon servizio, me ne mancavano le forze. Parlai con un caro amico medico e subito feci gli esami del sangue. La risposta ci colse di sorpresa. I globuli bianchi erano scesi a 2.800. Pochi.
Scendemmo allora personalmente in laboratorio e rifeci l’esame. Il numero era sempre quello. Il mio amico allora mi consigliò di recarmi subito al reparto di ematologia dell’ospedale Cardarelli. In quel reparto occupava un posto importante il dottore Verdi, un medico, cugino di una collega che già mi attendeva. Fui ricoverato in Day Hospital. Anche qui il numero dei globuli bianchi risultò lo stesso. Fui sottoposto al puntato sternale. Mi aspirarono, cioè, del midollo dallo sterno. La risposta sarebbe arrivata dopo una settimana. Ritornai al Cardarelli per la risposta e dottore Verdi mi disse testualmente:“Maurizio se tu dovessi stare come dice questo esame, sarebbe terribile, perché il midollo è quasi assente. Io credo, invece, che c’è stato un errore nel prelievo. Stavolta te ripeto personalmente”. Secondo puntato sternale. Tornato a casa mi sentivo sempre peggio.
Intanto Sebastiano, mio carissimo amico di seminario, aveva promesso a Gianni, giovane fortemente disabile, di portarlo ad Assisi. Chiese a me di accompagnarlo perché per accudire Gianni occorrevano almeno due persone. Andammo e qui mi resi conto di quanto stessi male. Non avevo la forza di prendere Gianni per metterlo a letto o accompagnarlo in bagno. Non avevo la forza nemmeno di salire la scala dell’albergo. Il ritorno a casa fu un piccolo calvario. Intanto Angela, che spesso da Roma portavo al mio paese, vi fece ritorno senza avvisarmi. Strano. Si fece accompagnare da un amico e se ne venne da Veronica, un’ amica che la ospitava. A me non fece piacere. Non mi andava di farmi vedere in quelle condizione e farla soffrire. Anche i miei fratelli sapevano solo in superficie ciò che mi stava accadendo.
Ritornai al Cardarelli per la risposta del secondo puntato. Stavolta ad attendermi c’era proprio il medico che me lo aveva praticato, il dottore Verdi, il quale subito mi disse che le cose non andavano bene e mi affidò a un suo giovane collega, il dottore Giglio. Seduti uno di fronte all’altro, il medico mi disse testualmente: “Ho troppo rispetto per la sua intelligenza per tentare di nasconderle la situazione. Siamo di fronte a una patologia grave …”. Si accorse che una lacrima mi scendeva dal viso e aggiunse: “Non si deve scoraggiare … si può sempre tentare il trapianto di midollo …”. Chiesi quale fosse il prossimo passo da fare e mi disse: “La biopsia ossea”.
Un solo pensiero mi attraversava la mente: essere ordinato sacerdote. Corsi immediatamente in seminario da monsignor Vallini. Gli raccontai tutto pregandolo, se mi fossi aggravato, di chiedere la dispensa al Papa e farmi ordinare prete prima del tempo stabilito. Decidemmo di lasciare Napoli e recarci dal professor Mandelli a Roma. Prima, però, avrei fatto la biopsia ossea. Quella mattina fu don Nicola, mio fraterno amico ad accompagnarmi al Cardarelli perché già non riuscivo a guidare. Il prelievo fu doloroso. La risposta come sempre sarebbe arrivata dopo una settimana. I giorni passavano. Una domenica mattina mi recai da Veronica, dove alloggiava Angela. Ricordo che Marta, la persona che la accudiva le stava dando da bere un bicchiere di latte. Per Angela bere e mangiare era un autentico tormento perché ingoiava con difficoltà. Avevo la faccia triste per la piega che stava prendendo questa storia. Sapevo bene che Angela, la mia famiglia, la mia comunità, i miei amici, il mio rettore stavano pregando per me.
A un certo punto Veronica mi dice: “Maurizio quando sarai sacerdote … “ Non le lasciai terminare la farse: “Sarò sacerdote? Credo che nemmeno rientro in seminario in queste condizioni …”. Fu allora che accadde una cosa inaspettata, Angela, che fino a quel momento aveva taciuto, si fece rialzare il capo, mi guardò con un sorriso e mi disse, testualmente: “Maurizio tu rientrerai in seminario, diventerai sacerdote e romperai le … a parecchia gente. La grazia è giunta … la battaglia è vinta … “.
Eravamo in quattro in quella minuscola cucina. Ci guardammo in faccia senza parlare. Come interpretare queste parole? Che sarebbe successo pochi giorni dopo? Fra Riccardo mi aveva detto che Angela era una donna tutta di Dio, ma credere ai miracoli non è facile. Feci allora una cosa di cui non mi sono mai pentito. Confidai ai miei fratelli e agli amici più intimi quanto era accaduto. Se di un intervento divino davvero si trattava, volevo che, almeno loro, non avessero avuto, come me, mai dei dubbi. Venne il giorno tanto atteso. Stavolta feci uno sforzo e mi recai al Cardarelli da solo. Ero emozionato e teso. Passavo dall’ angoscia alla speranza. Le risposte non erano ancora arrivate al reparto ma erano pronte nel laboratorio. Andai a prenderle personalmente e le consegnai al dottore Giglio. Il povero medico che una settimana prima mi aveva detto che ero affetto da una grave patologia ematologica, si fece rosso in viso e, ridandomi le carte mi disse: “Le faccia vedere al dottore Verdi … “. Obbedìì.
Il dottore Verdi lesse e rilesse quelle carte cento volte … altrettante volte se le girò fra le mani … stralunava gli occhi … sorrideva … Poi mi chiese: “Maurizio che cosa desideri?”. “ Io? Ritornare a casa …”. “Te ne puoi andare”. Lo guardai. Ci guardammo. La testa mi girava. Non capivo niente. Non gli dissi niente. Non gli chiesi niente. Ritornai in seminario.
Il 29 aprile del 1989 fui ordinato sacerdote. Angela era volata tra gli angeli 3 anni prima. Prima di morire, affidò a Veronica un calice, pregandola di donarmelo per la mia prima Messa. Era suo desiderio essere sepolta al mio paese. Morì tra le mie mani. Riposa nel nostro cimitero. Credo di averla amata come i suoi stessi figli. Martedì 29 aprile celebro dunque il venticinquesimo anniversario della mia ordinazione. Era forse venuto il momento di rendere pubblica questa testimonianza. Per la gloria di Dio e per tenere in vita la speranza. Tutto ciò che ho scritto è la pura verità. Per rispettare la privacy delle persone coinvolte ho solamente cambiati i loro nomi. RESTOALSUD.IT 2014
La riflessione. La memoria di Giuseppe Di Matteo, la speranza per Giovanni Brusca
di MaurizioPatriciello
La scarcerazione dopo 25 anni di carcere del boss di mafia pentito, il suo crimine più atroce, la legge e la fede… Io ci sono stato. E consiglio a tutti di andarci. Quel covo deve essere conservato per raccontare ai giovani, oggi e negli anni che verranno, in quale abisso possono precipitare gli uomini quando ci si lasciano trasportare dall’odio, dalla violenza, dalla sete di vendetta. Quando smettono di volere bene non solo agli estranei, ma ai propri stessi figli. Vi arrivai una mattina di qualche anno fa. Un casolare immerso nella verde campagna di San Giuseppe Jato, diroccato all’esterno; un vero fortino in cemento armato, all’interno. Un bunker minuscolo, senz’aria e senza luce. Il prigioniero da tenere sotto controllo, era un ragazzino. Una vittima innocente alla quale dovranno essere intitolate strade, piazze, scuole, perché i posteri sappiano che, se qualche passo è stato fatto nella lotta alla mafia, lo dobbiamo anche alla sua morte atroce. Quel ragazzo0 si chiamava Giuseppe Di Matteo. È a lui che il mio pensiero corre in queste ore in cui il suo carnefice – quel Giovanni Brusca, la cui storia criminale ancora ci spaventa – viene rimesso in libertà «per fine pena». Sentimenti contrastanti si accavallano nel cuore e nella mente di tutti. Da un lato, avvertiamo come un senso d’ingiustizia: «No, fermatevi, che state facendo? Non può tornare in libertà quest’uomo che ha terrorizzato l’Italia; che ha insanguinato la Sicilia; che ha fatto versare tante lacrime a milioni di persone…». Indignazioni giuste, comprensibili, condivisibili, ma alle quali bisogna opporre resistenza. E accettare, ingoiando bocconi di fiele e di dolore, che se questa è la legge – tra l’altro voluta proprio da Giovanni Falcone – è giusto che venga rispettata. Ed è bene che anche personaggi come Giovanni Brusca, avvertano quanto nobile e civile sia la società che tanto hanno infangata e insanguinata. Ma è su Giuseppe, da lui fatto catturare in provincia di Palermo, e tenuto – per 779 giorni! – prigioniero, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido, che vorrei soffermarmi. Quel rapimento sarebbe dovuto servire a convincere Santino, il padre, collaboratore di giustizia, a fare marcia indietro. Santino, pur sapendo di mettere a repentaglio la vita di suo figlio, quel passo non lo fece. E noi dobbiamo essergli riconoscenti. La storia di Giuseppe gettò l’Italia nello sconcerto. I mafiosi con lo strangolamento di quel giovane innocente – aveva ormai 15 anni – gettarono l’ultima, vergognosa maschera. Ed eccoli là. Meschini, cinici, disumani. Stupidi. La lettura dei verbali del processo per la morte di Giuseppe lascia senza parole. Alla famiglia della vittima nemmeno la consolazione di una tomba fu lasciata. Niente. Di Giuseppe Di Matteo non doveva restare niente. La vendetta fu servita su un piatto di ghiaccio avvelenato. Il mese scorso, il giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia agrigentina nel 1990, è salito agli onori degli altari. La Chiesa lo ha proclamato beato. Insieme a lui e a padre Pino Puglisi, una miriade di persone oneste, giudici, uomini delle forze dell’ordine, semplici cittadini, hanno versato il sangue per la liberazione della Sicilia e dell’Italia dalla trappola mafiosa. Tutti noi dobbiamo inchinarci davanti al loro sacrificio. La storia di Giuseppe, però, è singolare. La sua fu una morte lenta, sconvolgente. Il ragazzo fu ingannato, illuso, deluso, non una ma mille volte. Negli ultimi due anni della sua vita le poche parole che scambiò furono con i suoi aguzzini. Nessuno mai potrà sapere che cosa passò nella sua mente e nel suo cuore in quelle interminabili ore di solitudine. Sono sceso in quel bugigattolo sotterraneo, ho deposto un fiore sulla rete arrugginita dove dormiva. L’ho sfiorata come se fosse la reliquia di un santo. Ho avvertito una sensazione di panico. Intorno a me, un’intera scolaresca col volto pallido e addolorato, con la quale, poi, ho potuto ragionare. Il covo di San Giuseppe Jato deve diventare un luogo della memoria. Giuseppe Di Matteo deve entrare nei libri di scuola. Il suo martirio deve essere studiato e conosciuto. Sarebbe bello se il “pentimento” di Giovanni Brusca andasse al di là della semplice collaborazione di giustizia e potesse essere veramente tale, davanti a Dio e agli uomini. Sarebbe bello se potessimo sentirgli chiedere perdono per tutto il male fatto alla sua terra, alla sua gente, alla sua famiglia, a se stesso. Un nome mi rimbomba nella mente: è quello di Alessandro Serenelli, l’assassino di santa Maria Goretti, che si convertì e per tutta la vita tentò di riparare al male fatto. Caro Giovanni Brusca, ti auguro di percorrere la sua stessa strada. Strada di luce e di speranza. Dopo averci trascinato con te negli orrori dell’inferno, abbi il coraggio, oggi, di volare alto, di respirare aria pura, di godere del prezioso dono della vita pur nella vita nascosta a cui sei inesorabilmente consegnato. Per quanto ti possa apparire strano, sappi che tanti cristiani pregano per te. Anche per te Gesù Cristo è morto e risorto. AVVENIRE 21.6.2021