21 Febbraio 2020 di: Andrea Cinquegrani LA VOCE DELLE VOCI
Un po’ alla volta si alza il sipario sul più grande depistaggio nella storia del nostro Paese, quello sulla strage di via D’Amelio. Un depistaggio istituzionale: implicati magistrati, poliziotti e investigatori di casa (o cosa?) nostra.
Un ulteriore tassello per la ricostruzione di quel depistaggio arriva dalla fresca testimonianza di Ilda Boccassini al processo di Caltanissetta, che vede alla sbarra tre poliziotti. Mentre a Messina prosegue l’inchiesta a carico di due magistrati che hanno condotto le prime, decisive indagini sulla strage, vale a dire Anna Maria Palma e Carmelo Petralia.
Vediamo di ricostruire, passaggio per passaggio, la testimonianza resa dalla Boccassini nel corso dell’udienza del 20 febbraio.
Al centro della verbalizzazione c’è l’attendibilità del super pentito Vincenzo Scarantino, dalle cui accuse – poi rivelatesi del tutto infondate – sono scaturiti i primi processi Borsellino che hanno portato alla condanna a 18 anni di galera di sette imputati, tutti mafiosi però non mai macchiatisi di quel crimine.
Un pupazzo, Scarantino, servito solo per sbattere i mostri in prima pagina ed ottenerne una condanna; ma anche sviando le indagini, depistando e facendo così in modo che i veri colpevoli – killer e mandanti – se la potessero godere (come ancora oggi se la godono) in beata libertà. Alla faccia di ogni scampolo di giustizia e dei periodici j’accuse dei familiari di Paolo Borsellino, in particolare la figlia Fiammetta che un mese sì e l’altro pure continua a puntare l’indice contro i magistrati che hanno depistato e anche contro l’icona antimafia Nino Di Matteo, il quale l’ha passata liscia perché è entrato nel pool sulla strage di via D’Amelio solo in un secondo momento.
BOCCASSINI SUL PENTITO TAROCCATO
Torniamo alle parole della Boccassini pronunciate davanti alle toghe di Caltanissetta. Parole che non hanno avuto alcuna eco – incredibile ma vero – sui grandi media.
16 striminzite righe relegate a pagina 22 del Corriere della Sera del 20 febbraio, mentre Repubblica non dedica neanche un rigo, e scrive un’intera paginata sulle ultime prodezze griffate Mario Balotelli. Ai confini della realtà
Ecco Boccassini – un vero fiume in piena – su Scarantino.
Partiamo da alcune espressioni che restano subito impresse. “Non era credibile”; “i dubbi c’erano fin dall’inizio”; “era un mentitore”; “si doveva capire subito che era inattendibile”, “tutti potevano capire che diceva sciocchezze”, “era un poveraccio”.
Basta e avanza perché anche un alunno delle elementari sia in grado di intendere la musica: Vincenzo Scarantino era un teste non credibile. Ci hanno potuto credere solo quei magistrati e quegli investigatori che volevano crederci. Anzi, che lo hanno costruito – loro stessi – a tavolino.
Il ragionamento portato avanti in diverse ore di testimonianza resa da Ilda Boccassini non fa una piega. Suona come una pesantissima accusa nei confronti di toghe e 007. E non potrà non incidere su un’altra inchiesta portata avanti dalla procura di Messina: sotto i riflettori proprio Palma e Petralia, accusati di calunnia nei confronti di coloro i quali hanno passato 16 anni di galera da innocenti.
Continuiamo con il j’accuse firmato Boccassini.
“La prova regina della non credibilità di Vincenzo Scarantino proviene dalla sua collaborazione, perché man mano che si andava avanti negli interrogatori si vedeva che stava dicendo delle sciocchezze”.
“Quando Scarantino arrivava in procura a Caltanissetta si chiudeva in una stanza da solo con il procuratore capo Giovanni Tinebra. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava per l’interrogatorio”.
“Quando io sono arrivata alla procura di Caltanissetta, anche parlando con i colleghi che già c’erano e con il capo dell’ufficio e lo stesso dottor Arnaldo La Barbera (che guidava il team dei poliziotti ora sotto inchiesta per depistaggio, ndr), i dubbi su Scarantino già c’erano, i dubbi su una persona che non era di spessore. Il suo quid, se possiamo così chiamarlo, era una parentela importante in Cosa nostra, però io sin dall’inizio avevo delle perplessità”.
Sui colleghi. “Se avessero seguito le mie indicazioni, sia pm che avvocati avrebbero avuto il tempo e la professionalità per capire che Scarantino non era credibile”.
“Io, purtroppo, non ho svolto un ruolo nelle indagini sulla strage di via D’Amelio”.
LA LETTERA SPARITA
C’è poi il mistero della lettera inviata, insieme al collega Roberto Sajeva, a tutti i magistrati che operavano per la strage di via D’Amelio, lettera in cui indicavano in Scarantino un pentito non credibile e del tutto inattendibile. Una lettera che poi misteriosamente sparirà.
“La relazione che io e il collega Roberto Sajeva facemmo sulla non credibilità di Scarantino era sparita da Caltanissetta ma io ne avevo diverse copie – denuncia Boccassini – Fino alla fine dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo e che Scarantino andava preso con le molle. Vedendo che c’era questa voglia che io andassi via da Caltanissetta, scrissi la seconda relazione. Soltanto con il pentimento di Gaspare Spatuzza nel 2008 ricevetti una telefonata dall’allora procuratore della repubblica di Caltanissetta che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Sajeva. Erano sparite. Io e Sajeva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo”.
Prosegue Boccassini: “Io sono qui per la quarta volta a ripetere sempre le stesse cose, sentendomi quasi in colpa per avere scritto quelle relazioni che avrebbero potuto dare una scossa diversa a quei processi”.
Relazioni e lettere fondamentali per capire, appunto, la genesi del depistaggio e inchiodare inquirenti ed investigatori alle loro responsabilità. Che non dovranno emergere solo dal processo di Caltanissetta, ma anche e soprattutto dall’inchiesta di Messina, che vede sotto i riflettori le toghe che, di tutta evidenza, hanno pilotato quei poliziotti oggi alla sbarra, ossia Mario Bo, Enrico Mattei e Michele Ribaudo, all’epoca guidati dall’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera. Il quale, dal canto suo, non può più rispondere di alcuna accusa, essendo passato quindici anni fa a miglior vita.
Fa totalmente a pugni, la ricostruzione effettuata da Ilda Boccassini, con quella fornita sia da Anna Maria Palma che da Carmine Petralia. Questi ultimi, ad esempio, hanno cercato di scaricare responsabilità investigative, o meglio non-investigative, proprio su Boccassini.
VERBALIZZAZIONI CONTRO
Ecco, per fare un solo esempio, cosa ha affermato Petralia nel corso del suo interrogatorio: il ruolo di Boccassini “è stato preminente nelle indagini su via D’Amelio e con un ruolo attivo sia per gli aspetti di valorizzazione degli elementi gravemente indiziari su Scarantino che per la genesi della sua collaborazione”.
Boccassini – la quale ha totalmente smentito indagini su via D’Amelio – avrebbe dunque avuto un ruolo chiave addirittura nella “genesi” della scellerata (e taroccata) collaborazione di Vincenzo Scarantino!
Un altro tassello della story. Quello relativo alla pista che ha inizialmente portato le indagini verso Castel Utveggio, situato in cima alla collina di Palermo che affaccia su via D’Amelio.
Lì vi era una sede del Cerisdi, una longa manus – si diceva all’epoca – dei Servizi Segreti. E guarda caso il centro studi del Cerisdi per un certo periodo venne guidato dal celebre radiologo siculo Adelfio Elio Cardinale, l’ex ministro della Sanità e marito di Anna Maria Palma. Una pista poi abbandonata, ma evocata – nella sua verbalizzazione – da Ilda Boccassini.
Una chicca, poi, per la strage “sorella”, quella di via Capaci.
“Il sopralluogo a Capaci era stato fatto male”, queste le sue parole, scolpite nella pietra. “Quando arrivai, la prima decisione fu quella di rifare il sopralluogo a Capaci, perché leggendo le carte, e non solo la ricostruzione, mi resi conto che era stato fatto male. Mancava una regia”.
Può bastare?