«Paolo Borsellino disse: “A uccidermi saranno i miei colleghi”. Bisogna indagare sugli ambienti della Procura di Palermo del 1992»

 

L’audizione alla commissione parlamentare Antimafia di Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino,

«In tutti questi anni nella testimonianza resa dalla vedova Agnese Piraino (moglie di Borsellino), in cui Borsellino dice: “mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri”, è stato costantemente espunto il riferimento ai «miei colleghi». Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in cui si dice che Borsellino definisce il suo ufficio un nido di vipere allora dobbiamo andare a cercare dentro l’ufficio della procura di Palermo, per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino, che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli omicidi eccellenti a Palermo». Così il Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, in audizione alla commissione parlamentare Antimafia.

Le accuse a Giammanco

Per Trizzino «è quindi gioco forza andare a vedere se già nel 1992 vi erano elementi sulla cui base ricostruire le dinamiche comportamentali che avevano potuto giustificare quella affermazione incredibile. È un dolore incommensurabile avere scoperto che già dal luglio del 1992 esistevano dei verbali e delle audizioni dei magistrati della procura di Palermo in cui vuoi per la vicinanza rispetto alla strage o vuoi perché in quella procura vi era un malessere che covava da tempo, i magistrati di allora furono sinceri e privi di qualunque freno inibitorio nel racconto delle dinamiche che, messe in atto dal procuratore Giammanco, resero di fatto impossibile la vita di un magistrato valoroso come Borsellino. La cosa gravissima è che il dottor Pietro Giammanco (all’epoca procuratore di Palermo – ndr) non è mai stato sentito nell’ambito dei procedimenti per strage».

Il mea culpa

«Anche la magistratura – ha detto ancora Trizzini – deve essere pronta a guardare dentro di sé e a quello che ha combinato in quel frangente della storia repubblicana. Tutti dicono che Borsellino, dopo la morte di Falcone, sarebbe andato a fare il procuratore nazionale antimafia ma nessuno sa che il plenum del Csm tra il 15 e il 20 giugno del 1992 bloccò qualunque richiesta di riaprire i termini del concorso, disse che Borsellino non aveva titoli e che non avrebbe sopportato l’ingerenza del potere esecutivo rispetto ad un concorso che era già sotto delibazione o quasi definito. Non ho visto in questi anni la magistratura ragionare su come abbia in qualche modo abbia cannibalizzato i suoi figli migliori, non ho mai sentito un ‘mea culpa, “abbiamo sbagliato”, ‘cosa abbiamo combinato?’ o “non abbiamo capito niente”».

La figlia Lucia

«Ci siamo convinti – ha invece detto Lucia Borsellino sempre in audizione alla commissione parlamentare Antimafia – che le altre piste che sono state solcate non hanno del tutto o per niente considerato atti e documenti e prove testimoniali che potessero fornire elementi indispensabili per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione che lui ha vissuto nella sua vita. Ciò che chiediamo, nel massimo rispetto delle istituzioni senza voler sostenere alcuna tesi perché non siamo tecnici, è di offrire una ricostruzione operata su una mole di atti e testimonianze. Vorremmo rassegnare elementi suscettibili di ulteriore approfondimento per il rigore logico che questi elementi meritano