Dossier Mafia-appalti. Borsellino disse: “A volere la mia morte saranno i miei colleghi”

 

TP 24 6.10.2023

 “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Questa frase del giudice Paolo Borsellino l’abbiamo letta un milione di volte in questi ultimi decenni. Oggi però scopriamo che la frase completa è questa: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi ed altri”.

“I miei colleghi”. Un particolare non da poco, che però è stato costantemente censurato. Ne ha parlato nei giorni scorsi, insieme a tantissime altre cose interessanti, l’avvocato dei figli del giudice Borsellino, Fabio Trizzino, sentito dalla Commissione parlamentare antimafia nazionale, presieduta dall’onorevole Chiara Colosimo.

Nell’audizione era presente anche Lucia Borsellino, figlia del giudice e moglie do Trizzino, che ha chiesto che “le componenti statuali facciano piena luce su particolari dettagli della vita di mio padre in quei 57 giorni” tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.

Protagonista di questa ricostruzione è il dossier Mafia-appalti, alla base delle due stragi. Argomento meno conosciuto rispetto all’ipotesi della trattativa Stato-mafia, bocciata definitivamente in termini giudiziari, ma ancora presente nella percezione di tanti.

L’audizione si è svolta in due giornate, per più di quattro ore complessive. Qui cercheremo di sintetizzarne alcuni punti, rimandando per maggiori approfondimenti alle due videoregistrazioni che trovate QUI e QUI.

IL CONTESTO DEL DOSSIER MAFIA-APPALTI

 L’esatta frase di Borsellino, di cui abbiamo parlato all’inizio, fa il pari con il “nido di vipere”. È  così che il giudice aveva definito il suo ufficio. Nella ricostruzione dell’avvocato Trizzino, l’ipotesi è che nella procura di Palermo si misero in atto “condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione e indicazione come obiettivo nei confronti di Paolo Borsellino. Che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre preceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”.

E sarebbe un valso storico il fatto che Borsellino non conoscesse l’indagine Mafia-appalti. La conosceva molto bene invece, proprio come Giovanni Falcone. “Segui i soldi”. E nell’ambito dei grandi appalti di soldi ce n’è sempre tanti.

Il 1992 è ricco di avvenimenti, che il penalista mette in fila uno dietro l’altro. Il 12 marzo 1992 muore Salvo Lima; il 4 aprile 1992 viene ucciso il maresciallo Guazzelli; il 5 aprile la Lega Nord ottiene il 25% in Lombardia ed il 9% su base nazionale; il 28 aprile si dimette Cossiga, picconatore del sistema, perché sa che “Mani pulite” sta diventando uno tsunami; il 23 maggio muore Falcone nella strage di Capaci; il 28 giugno si insedia il governo Amato; il 10 luglio, con un decreto notturno, viene disposto un prelievo forzoso (lo 0,006%) da tutti i conti correnti degli italiani, per impedire la fuoriuscita dell’Italia dal sistema monetario europeo.

Chissà cosa sarebbe successo, ha sottolineato Trizzino, se gli italiani “avessero saputo che i politici usavano la spesa pubblica come una gallina dalle uova d’oro, da cui ricavare gli elementi per il sostentamento di un sistema degenerato e arricchimenti personali”.

Sì, perché i comitati d’affari c’erano prima della mafia,gli accordi tra politici e grandi imprese precedono il co protagonismo di Cosa nostra”. Poi, questa comincia a partecipare alla “spartizione della torta” e passa da un ruolo parassitario “ad una infiltrazione sempre più preponderante”.

Si arriva dunque ad un momento in cui “c’erano ragioni serie di allarme per reagire nei confronti di magistrati che volevano scoprire il malaffare”.

Nel giro di pochi mesi, dalla mazzetta di poche decine di milioni di lire del febbraio 1992, si arriverà alla mega tangente Enimont. “Ma il rapporto mafia-appalti – spiega il penalista – era molto di più che una mazzetta. Adeguatamente sviluppato, avrebbe mirato al cuore del sistema”.

In quel periodo, Totò Riina “vedendo che il sistema dei partiti sta crollando, pretende attraverso i grandi imprenditori, di raggiungere le sedi del potere”. Un potere che “in Sicilia, dagli anni ’70 fino alle stragi del 1992, andava bene a tutti”. Tra i documenti che Trizzino consegna alla Commissione, c’è anche “un’intercettazione tra Domenico La Cava, del consiglio di amministrazione della Sirap ed Emanuele Macaluso, in cui si parla dello studio in via Sciuti a Palermo di Vito Ciancimino, in cui tutti si recavano a prendere la loro parte di tangente”.

“E ridono!” aggiunge l’avvocato.

RAUL GARDINI E IL GRUPPO FERRUZZI

 

Tra le società legate a Totò Riina, c’erano quelle del gruppo Ferruzzi. Borsellino lo sapeva. Glielo aveva detto il pentito Leonardo Messina: “La Calcestruzzi Spa è di Riina”.

Una cointeressenza contenuta in un’indagine proveniente da Massa-Carrara, in cui un sostituto procuratore di nome Augusto Lama era riuscito a dimostrare il collegamento tra le società del gruppo Ferruzzi ed altre società riconducibili a Nino Buscemi, esponente mafioso della mafia di Passo di Rigano, che ritroviamo appunto nel dossier mafia-appalti. Buscemi aveva una copertura istituzionale all’interno della procura della Repubblica: godeva dell’appoggio di un certo magistrato. Lo dice Giovanni Brusca in uno dei suoi verbali.

Ma l’indagine di Augusto Lama viene archiviata nel giugno del 1992 e le intercettazioni verranno smagnetizzate e distrutte.

Cosa c’era in quelle intercettazioni?

Il dottor Lama, in un’intervista giornalistica, racconta che si comprendeva piuttosto bene come all’interno delle aziende del gruppo Ferruzzi si sapesse (difficile dire grazie a quali canali informativi) che c’era in corso un’indagine giudiziaria sui collegamenti mafiosi nel gruppo Sam ed Ime e che risultava chiaro che dietro vi fosse Nino Buscemi. C’era la volontà della Calcestruzzi Ravenna Spa di cedere le partecipazioni azionarie di Ime e della Sam.

Ma per quell’intervista, Augusto Lama subirà un procedimento disciplinare su Input  di Raul Gardini, che era amico di Martelli.

Gardini (era il periodo della Milano da bere) era preoccupato e voleva chiudere gli affari con i mafiosi. Insomma, questi sapevano che c’era un’inchiesta giudiziaria in corso.

BORSELLINO VOLEVA FARE ARRESTARE IL PROCURATORE GIAMMANCO

Borsellino ad un certo punto, aveva scoperto “cose tremende” sul conto del suo ex capo della procura di Palermo. Tant’è che aveva organizzato un incontro segreto con Mario Mori, allora colonnello del Ros dei carabinieri, ed il capitano De Donno. Cose tremende che lo avevano convinto che Pietro Giammanco fosse un infedele, molto coinvolto nell’azione di insabbiamento  del dossier Mafia-appalti. È per questo che Borsellino stava raccogliendo elementi per farlo arrestare.

Come sappiamo, non solo Giammanco non verrà arrestato, ma rimase al suo posto e di queste cose nessuno gli chiese mai nulla fino alla sua morte, avvenuta cinque anni fa. 25 anni dopo la strage di Via d’Amelio.

LE 39 ANNOTAZIONI DEL DIARIO DI GIOVANNI FALCONE

Anche Giovanni Falcone era molto interessato a Mafia-appalti. E anche in questo caso, nella diffusione delle definizioni, troviamo un’imprecisione significativa: Falcone non parlava di una “centrale mafiosa degli appalti”, ma diceva che esisteva una “centrale unica degli appalti”, in cui sono coinvolti tutti. E lo diceva nel marzo del 1991.

Le annotazioni del suo diario non sono 14, come abbiamo sempre saputo, ma 39. E alcune di queste riguarderebbero proprio il rapporto Mafia-appalti depositato dal Ros. Falcone mette nero su bianco le proprie lamentale sul fatto che “i fedelissimi di Giammanco affermino come quel rapporto fosse carta straccia”. Trizzino ha spiegato alla Commissione Antimafia che a scrivere per la prima volta delle annotazioni del magistrato su questo dossier, fu Giuseppe D’Avanzo, il giornalista di Repubblica scomparso nel 2011. Mentre la conferma della loro esistenza arriva dalla pm Enza Sabatino che assistette personalmente ad un  episodio annotato poi da Falcone: quando Giammanco tolse a quest’ultimo il fascicolo sull’omicidio del colonnello Russo e del professore Costa, assegnandolo proprio alla Sabatino. E’ proprio quel giorno che Falcone decide di lasciare Palermo.

L’avvocato Trizzino racconta alla Commissione: “Non poteva competere con gli appoggi di Giammanco, legato a Lima, e questo è un elemento che non è entrato neanche nel processo di Capaci. Disse ai colleghi: andate via anche voi, altrimenti sarete complici di questo sistema”.

“Annotazioni – ha aggiunto Trizzino – di cui il popolo italiano non ha avuto mai disponibilità”.

Colpiscono, nella seconda giornata di audizione, le parole di Fabio Trizzino: “Io ho un conflitto d’interesse di tipo emotivo, perché sono convinto che quella morte poteva essere evitata. Ma cerco di essere freddo, razionale, soprattutto attento lettore deli atti connotantesi per attendibilità e consacrati in sentenze definitive in cui quell’attendibilità è stata sancita”.

Ma colpiscono anche le parole dell’onorevole Chiara Colosimo, in chiusura: “Credo che il conflitto emotivo non riguardi solo lei, ma la comunità nazionale, che in questi anni ha eletto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ad eroi”. E ancora: “Credo che noi dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui ci avete posto. E lo avete fato con sofferenza e amore che ci avete trasmesso. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani. E quindi vorrei che di questa Commissione non si abbia mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare“.

Oggi alle 9,30, Trizzino tornerà davanti la Commissione per rispondere alle domande dei commissari.

Egidio Morici