Il boss Belnome confessa: “Mi sono pentito per non rovinare altri giovani”
Abitava e lavorava a Inverigo Antonino Belnome, “padrino” dell’organizzazione e principale pentito dell’operazione Infinito contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia.
Quarantenne, famiglia originaria di Guardavalle in Calabria, ma nato a Giussano, aveva creato piccole imprese edili che lavoravano in proprio “su terreni miei”, ha precisato parlando sotto protezione, in collegamento da un luogo non identificato per motivi di sicurezza, durante il processo per i tre omicidi di ‘ndrangheta, in corso nell’aula bunker di San Vittore a Milano.
Arrestato il 13 luglio 2010, ha deciso di iniziare a collaborare con la Dda di Milano a ottobre successivo, aprendo una finestra dettagliata non solo sui tre delitti oggetto del processo, ma anche sulla strutturazione delle locali, e sulle dinamiche che reggevano gli equilibri delle struttura criminali calabresi nel Comasco.
I delitti sono innanzi tutto quello di Antonio Tedesco, detto l’americano, ucciso il 27 aprile 2009, all’interno del maneggio La masseria di via Carcano, a Bregnano. Il suo corpo sarà ritrovato solo grazie alle rivelazioni di Belnome.
A questo si aggiunge Carmelo Novella, capo della Lombardia e della locale ‘ndranghetista di Guardavalle, ucciso il 14 luglio 2008 a San Vittore Olona, e il presunto omicidio di Rocco Stagno, che sarebbe avvenuto il 29 marzo 2012 a Bernate Ticino, ma il cui corpo non è mai stato trovato.
Nella sua deposizione al processo, Belnome ha spiegato come nel Comasco fossero radicati alcuni tra i rappresentanti della criminalità calabrese, tenuti in maggiore considerazione: quelli con le “doti” più importanti.
Li indica, con nome e cognome: Rocco Cristello e Claudio Formica.
Status che era stato riconosciuto anche a lui: “Dopo l’uccisione di Novella – spiega — fui federalizzato in Calabria, e successivamente ebbi anche la dote di vangelo.
Quindi ho fatto una scalata vertiginosa, nel giro di pochi anni ho raggiunto la dote di padrino”.
Non era solo: “Mi recai in Calabria, e con me c’erano anche Claudio Formica e Rocco Cristello… gli feci dare il tre quartino”.
Quest’ultimo, 50 anni di Cabiate, cugino e omonimo del Rocco Cristello ucciso a Verano Brianza nel marzo 2008, è a processo in concorso con Formica – 47 anni di Mariano Comense – con l’accusa di aver ucciso Rocco Stagno per vendicare il cugino.
Belnome rivela riti e dinamiche delle affiliazioni, degli affari, e soprattutto spiega i motivi della sua decisione: “Non volevo essere la causa della rovina della mia famiglia, e di tutti quei ragazzi che pensano di aver un futuro e ricchezze con la ‘ndrangheta o le altre mafie”.
di Paola Pioppi. IL GIORNO 11.11.2012
E il primo pentito comasco confessò l’omicidio del capo delle cosche lombarde. Mille pagine di dichiarazioni e un memoriale: la storia di Antonino Belnome
«Mi chiamo Antonino Belnome. Voglio cambiare la mia vita, per il bene mio e della mia famiglia. Non voglio più queste cose qua, non voglio più. Voglio essere dalla parte vostra».
Comincia così la lunga confessione del primo pentito comasco di ’ndrangheta.
Sono le 10.28 del 13 ottobre 2010.
Da un lato del tavolo sono seduti Ilda Boccassini, procuratore distrettuale antimafia di Milano e un maresciallo dei carabinieri.
Di fronte gli sguardi si incrociano con quelli dell’avvocato Gianluca Crusco e dell’assistito di quest’ultimo: Antonino Belnome.
Capo della locale di Giussano, «riattivata – spiegano i magistrati – nella primavera 2008».
Belnome abita a Inverigo ed è un uomo molto importante nella struttura di comando delle famiglie di mafia calabresi trapiantate in Lombardia.
È lui che il 14 luglio 2008, a San Vittore Olona (Milano), spara assieme a Michael Panajia, ben 19 colpi di pistola contro Carmelo Novella, in quel momento numero uno della ’ndrangheta lombarda, aprendo la strada al totale rinnovamento dell’organigramma delle ’ndrine milanesi e dell’hinterland metropolitano.
Arrestato il 13 luglio 2010 nel maxiblitz dell’Operazione Infinito, Belnome è infatti il primo tra gli affiliati nordisti della mafia calabrese a vuotare il sacco. E a fare luce su una lunghissima stagione di sangue.
Il racconto di Belnome è dettagliato, preciso, circostanziato.
Proviene infatti da un “padrino”, il capo di una “locale”, l’unico che conosce nomi e volti degli sgarristi.
Dalle confessioni di Belnome scaturisce l’Operazione Bagliore, che nell’aprile 2011 porta in carcere un altro pezzo importante della ’ndrangheta lombarda.
Belnome è un fiume in piena. I magistrati della Dda lo ascoltano ben 14 volte. I verbali degli interrogatori riempiono un migliaio di pagine.
Il pentito consegna anche un memoriale scritto a mano. Una cinquantina di fogli intitolato «Memorie di un padrino ’Ndrangheta».
Il racconto dell’omicidio Novella sembra un racconto giallo. Ma è “soltanto” una storia vera. Dura. Di morte.
Belnome Ci siamo ritrovati quel lunedì famoso a Cormano, perché da lì doveva iniziare diciamo…
Pm Però le chiedo precisione, “Ci siamo ritrovati”, mi deve dire chi.
B. Io, Michele Panajia, poi c’era Amedeo Tedesco, Tarantino Luigi e Silvagna Cristian è arrivato diciamo in un secondo momento,
cioè stava sopraggiungendo.
Pm Dove vi siete ritrovati?
B. Al bar lì da questo Latella Domenico, Xavier mi sembra che si chiami. E, niente, da lì aspettavamo la segnalazione di Tonino Carnovale.
Pm Cioè segnalazione che significa, che vi avrebbe avvisato appena Novella Carmelo andava al bar?
B. Sì, perché solitamente lui stava un’oretta, quindi c’era il tempo, diciamo, con la moto in venticinque minuti si arrivava lì, anche se era un po’ distante, però non abbiamo l’altra strada che c’era il casello.
Pm Quindi eravate tutti lì.
B. Sì, eravamo seduti che bevevamo una birra.
Pm Lei era già vestito con la tuta da motociclista?
B. Non avevamo una tuta da normale, i giubbotti avevamo.
Pm Quindi pantaloni normali e il giubbotto da motociclista.
B. Solo i giubbotti erano da…
Pm Lei e Natale?
B. No.
Pm Lei e?
B. Michele Panajia.
Pm E la moto era lì vicino al bar già parcheggiata?
B. Sì.
Pm Quindi cosa succede? Arriva l’okay, immagino, da parte di Carnovale?
B. Sì.
Pm Com’è arrivato l’okay, su quale cellulare?
B. Quelli che le raccontavo io, quelli con le schede dei cinesi.
Pm Quindi non è arrivato sul suo cellulare?
B. No, no.
Pm Ed è arrivato a lei l’okay?
B. No, il telefono ce l’aveva Michele. Va be’, o io o lui.
Pm Quindi è arrivato l’okay e vi siete mossi.
B. Sì.
Pm In che modo?
B. Abbiamo preso la moto, io guidavo, perché … abbiamo preso il viale Zara, insomma.
Pm Faccia tutto il percorso. All’ora, lei guidava la sua moto?
B. Sì.
Pm E dietro c’era Panajia?
B. Con me, sì.
Pm Mi indichi il percorso.
B. E dietro c’era Amedeo con lo scooterone. Dovevamo uscire a Lentate Sud però a un certo punto ho perso Amedeo, lui poi mi disse che si è perso nel traffico, ma la strada la sapeva e quindi io ho pensato “Si è spaventato, non ce l’ha fatta”, insomma. L’ho aspettato per cinque minuti a Lentate Sud, poi abbiamo visto che non veniva e ce ne siamo andati solo noi due. Abbiamo tagliato per Misinto, insomma sono uscito a Turate e ho preso la tangenziale che va per Legnano. Poi siamo usciti da lì e ci siamo diretti verso Olgiate Olona, poi siamo arrivati lì a … La moto l’abbiamo parcheggiata su un marciapiede. Belnome e Panajia entrano nel bar, scorgono Novella.
B. Eravamo senza caschi. Non ce li avevamo, li avevamo lasciati sulla moto
Pm Quindi lei entra nel bar in- sieme a Panajia, va verso il bancone e che cosa fa?
B. Abbiamo fatto finta di ordinare un cappuccino
Pm Poi che cosa succede?
B. Poi avevamo visto dov’era seduto e siamo usciti fuori.
Pm E quindi, una volta usciti fuori, che cosa succede?
B. Una volta usciti fuori, abbiamo estratto le pistole e abbiamo sparato.
Pm Chi ha sparato per primo?
B. Michele.
Pm Quanti colpi?
B. Tre, tre o quattro, mi sembra. Insomma, lui l’ha scaricata tutta, ecco.
Pm E poi perché anche lei ha sparato? Era ancora vivo, o gli ha voluto dare il colpo di grazia?
B. Non so se era ancora vivo, ne ho sparati due o tre anch’io e siamo andati via.
Pm Quando era già a terra Novella lei ha sparato?
B. Sì.
Così le cosche hanno fatto fuori il loro capo
CORRIERE DI COMO 27.10.2012
5.1.2023 – La ‘ndrangheta in Brianza e le tre vite di Antonino Belnome: calciatore, padrino e pentito
I confinati, i primi sequestri, i legami tra Seregno e Guardavalle. Il peggio del Sud unito al peggio del Nord
Lo scorso 30 settembre ad Arcore al cinema locale sullo schermo si assiste ad una proiezione particolare. È in programma il docufilm “Il padrino e lo scrittore-Storie di ‘ndrangheta in Brianza”.
La storia è quella del capo della Locale riunificata di Seregno e Giussano, Antonino Belnome, pentito di alto rango che da tempo dialoga con lo scrittore locale Camillo Costa per costruire un libro pedagogico di memorie.
Il documentario realizzato dal regista brianzolo Marco Tagliabue è stato trasmesso dalla Tv svizzera ma salvo proiezioni militanti non è stato diffuso da nessun canale o piattaforma italiana.
Benvenuti in Brianza. Terra ampia estesa oltre la nuova provincia di Monza, nell’immaginario abitata da sciur Brambilla e oggi approdata grazie al cavalier Berlusconi in serie A con la squadra di Galliani.
La ‘ndrangheta la si immagina a Milano, posizionata nella metropoli a conquistare Borsa e affari. Invece tutto nasce grazie al controllo di comuni medi che non superano i 40mila abitanti come Seregno e Giussano.
Il fenomeno è arrivato con qualche confinato, c’è sempre l’emigrazione dei muratori, quella che negli anni Sessanta dilata la popolazione. Poi iniziarono i sequestri di persona.
Nel 1983 a Seregno rapirono Isabella Schiatti e Giovanni Cesana, l’antivigilia di Natale del 1982 fu amara invece per Pierantonio Colombo, all’epoca 39 anni, cummenda della “Seven salotti” di Giussano. L’anno dopo nello stesso paese rapiscono un altro titolare di mobilificio, Ambrogio Elli.
Le buone ricerche sociologiche nate dopo le numerose inchieste della Dda hanno recuperato la figura di Erminio Barzaghi, sindaco di Giussano, che ha le antenne giuste per comprendere che la Brianza sta cambiando. Da presidente del locale ospedale rifiuta anche i regali di Natale, è sindaco quando rapiscono l’Ambrogio Elli. Il giorno dopo organizza una fiaccolata con 4mila persone e 30 sindaci della zona. Organizzerà altre mobilitazioni con l’obiettivo di creare coscienza civica contro le mafie di zona. Vede lungo il sindaco democristiano che all’epoca sosteneva: «In Brianza il pericolo serio è che il peggio del Sud si sposi con il peggio del Nord».
Quando esce di scena il ricambio non sarà della stessa matrice.
Chi comanda in Brianza
Ma chi comanda in Brianza? Attenti a non fare equazioni a paese calabrese corrisponde Comune da conquistare.
Ad esempio a Giussano prevalgono quelli di Francica, vibonesi arrivati in zona nel 1952, ma il locale era giurisdizione dei Gallace di Guardavalle nel Catanzarese che dista 60 chilometri da Vibo. Nella vicina Seregno invece per lungo tempo il dominus è Rocco Cristello di Mileto del Vibonese. Gente tosta capace in un circolo sportivo di Paina di Giussano di minacciare con coltelli il fratello di un consigliere comunale di Seregno per farsi restituire una somma di denaro di un loro socio e prendersi tutto il mobilio di casa per chiudere il lodo.
Nella stessa zona nel 2006 viene rinvenuto un arsenale di kalashnikov e bombe a mano in una casa di Salvatore Mancuso originario di Limbadi ma residente a Giussano.
Calciatore, padrino e pentito
Ma Antonino Belnome, il padrino pentito del film, di dov’è? Figlio di un siciliano sposato ad una donna di Guardavalle. Nei giornali del Sud dicono che il suo soprannome è “u fagiolino”. Ma a Giussano dove è nato nel 1972 lo chiamavano “nome”.
Cresce al parco pubblico delle Romanelle. Comitiva locale che affronta quelli dei quartieri confinanti. D’estate va in Calabria in vacanza. Pugni, moto e pallone. E’ bravo al calcio. Inizia in zona. Arriverà a giocare con il Catania e il Teramo lasciandosi alle spalle l’apprendistato di muratore e montatore di mobili. Un incidente stradale stronca la carriera. Torna a Giussano.
All’Ortomercato di Milano grazie ad un cugino incontra Andrea Ruga, uomo di panza di Monasterace che in un banco lavora in regime di semilibertà. Si prendono in simpatia. Sembrano padre e figlio. Lo accompagna ai summit. Nulla è come prima. Non viene da famiglia di ‘ndrangheta Belnome, anche se la mamma è di Guardavalle, ma viene introdotto dai Cristello di Seregno.
Al quartiere Crocione in un piccolo prato circondato da siepi viene affiliato come sgarrista. Poi in una villa disabitata di Caulonia, con due omicidi di alto calibro, gli viene data la nomina di padrino. In copiata ci sono Commisso, Alvaro e Iamonte. È diventato uno che conta il capo della Locale di Giussano. È lui ad aver ucciso Carmelo Novella, il boss autonomista che voleva attuare la secessione della Lombardia dalla Calabria. Belnome è uno che non è nato in Calabria. Arrestato nell’operazione Infinito. In carcere produce un memoriale di 49 pagine in cui esorta i giovani a non commettere i suoi errori.
La ‘ndrangheta ha deturpato la Brianza
Il 14 marzo del 2012 nell’aula bunker di San Vittore “nome” collegato in videoconferenza si mostra con i capelli rasati, occhiali da sole calzati in testa e maglietta rossa dietro una scrivania bianca. Parla per 8 ore di seguito aggiungendo particolari ai suoi copiosi verbali.
Racconta tutto quello che sa della ‘ndrangheta in Brianza. Direttori di banca, uomini delle istituzioni, politici, omicidi. Antonio Tedesco detto l’Americano, freddato il 27 aprile 2009 in un maneggio di Bregnano (Como) attirato nella trappola di una finta affiliazione e Rocco Stagno, ucciso e dato in pasto ai maiali nella porcilaia di Bernate Ticino.
Non mancano retroscena di una vita vissuta al di sopra di tutti. Al Noir di Lissone dove consumavano champagne delle migliori marchesenza pagare. Dei locali notturni, pub, ristoranti controllati dai loro clan.
La ‘ndrangheta a Seregno non era solo quella del quartiere Crocione, solito falansterio di case popolari nate come la via Gluck di Milano dove prima c’era la campagna brianzola.
La ‘ndrangheta ha deturpato la Brianza di Berlusconi. Vicino alla villa di Arcore trovi «una distesa di centri commerciali e megaparcheggi, di carcasse di cemento prefabbricato con appartamenti che perennemente non trovano compratori» come scrive la ricercatrice Silvana Carcano. È il ciclo del cemento, delle licenze facili, degli appalti pilotati, dei padroncini del movimento terra.
Collabora con la giustizia anche l’altro killer di Novella, Michele Panajia, anche lui affiliato di Seregno. Al Molo 13 di Guardavalle riceve il ringraziamento dei tre boss di riferimento che avevano bloccato la secessione lombarda.
Guardavalle richiama vecchie stragi.
L’Italia inorridiva nel 1974 sentendo che un ragazzino di 13 anni in quel paese sconosciuto era rimasto ucciso in una faida tra due famiglie. Cinque morti e dieci feriti in poche ore. “Legami con gli agrari del posto” scriveva Franco Martelli sull’Unità. I cognomi dei morti e dei fermati uguali ai fatti di Brianza.
Il 4 agosto del 1991, si consuma una ennesima “strage di Guardavalle”.
Come le connetti queste vicende barbare, poco comprese all’epoca, con l’inchiesta sull’amministrazione comunale di Seregno, commissariata dopo l’arresto del sindaco Edoardo Mazza e le successive dimissioni di Giunta e Consiglio? Mazza, avvocato civilista e sindaco dal 2015, è accusato di corruzione per avere favorito un imprenditore legato alle cosche, Antonino Lugarà, in cambio di voti.
Tra gli interessi del noto costruttore edile della provincia brianzola c’è la convenzione per la costruzione di un centro commerciale nel comune lombardo.
Al processo per corruzione hanno chiesto 5 anni per il sindaco e 7 anni e 4 mesi per il costruttore. In molti ricordano, soprattutto le ricerche di Mattia Maestri commissionate da Assolombarda e quella di Silvana Carcano, sostenuta dal senatore Gianmarco Corbetta, che ricordano che, nel pieno della campagna elettorale a sostegno di Mazza, il vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani partecipò all’aperitivo organizzato da alcuni candidati consiglieri, il 27 maggio 2015 a Seregno, presso il bar-panificio «Tripodi».
Un evento che rimbalzò sulla stampa nazionale e locale, dal momento che esso si teneva presso un locale gestito da una famiglia di ‘ndrangheta. A quell’aperitivo parteciparono numerose persone invitate da Lugarà e tra queste vi erano soggetti appartenenti alla criminalità calabrese e alte cariche della sanità lombarda. Aveva visto giusto il sindaco Barzaghi. Il peggio del Sud si sposerà con quello del Nord. Gli emigrati di Santa Agata d’Esaro sono gemellati con i cittadini di Seregno. Non hanno dato mai problemi a nessuno.
Antonino Belnome vive in località protetta. Pensa ai suoi gol, agli omicidi, al pentimento. Attendiamo di leggere la sua storia scritta da uno scrittore brianzolo. (redazione@corrierecal.it)
“Ho visto in faccia il diavolo! Padrino della ’ndrangheta a 38 anni”
Antonino Belnome, ex boss della Locale di Giussano e primo pentito della Brianza, si racconta: in un’intervista col regista seregnese MarcoTagliabue le parole che svelano i segreti delle cosche
“Io ho fatto cose per le quali una persona normale non ci dormirebbe la notte. Ero arrivato al punto di decidere chi doveva vivere e chi doveva morire. Devi andare all’inferno e tornare indietro. Io il diavolo l’ho visto in faccia parecchie volte! E sono tornato. E la ‘ndrangheta mi ha aspettato a braccia aperte. Ero già un padrino a 38 anni”.
Queste e altre cose ha detto Antonino Belnome in un’intervista in esclusiva per un docufilm per la tv svizzera (Rsi) concessa al regista di origine brianzola (è di Seregno!) Marco Tagliabue, che con grande fatica e un’epidemia di mezzo è riuscito a intervistare l’allora giovane, rampante padrino della ‘ndrangheta.
Il primo pentito di ‘ndrangheta del territorio brianzolo. Quello che, ancora giovanissimo, era diventato il boss della Locale di Giussano macchiandosi di diversi reati: primo fra tutti l’omicidio di Carmelo Novella, il boss secessionista, “fatto fuori” con l’aiuto del compare Michael Panajia in un bar di San Vittore Olona il 14 luglio del 2008.
Novella era stato stato condannato a morte dalla casa madre in Calabria perché aveva tentato di mettersi in proprio; Belnome era stato premiato invece per quell’omicidio ritrovandosi al vertice della Locale di Giussano. Arrestato nel 2010, aveva deciso però di vuotare il sacco, aiutando a ricostruire almeno quattro omicidi insoluti e svariati crimini.
“Condannato a una pena che scadrà soltanto nel 2039”, come ricorda lo stesso Belnome, il collaboratore di giustizia vive oggi in una località protetta.
La sua vita però, dopo aver deciso di diventare collaboratore di giustizia e denunciare di fatto gran parte dei suoi stessi parenti, è segnata.
“Non volevo che i miei figli crescessero senza un padre come di fatto era accaduto al sottoscritto” ha confidato, prima al sostituto procuratore Ilda Boccassini della Dda di Milano e poi nel documentario del regista brianzolo.
Il documentario , intitolato “Il padrino e lo scrittore”, trasmesso in Svizzera la scorsa primavera, approda ora in Italia e verrà trasmesso in anteprima nazionale venerdì sera proprio a Seregno, alle 21, nella sala civica Monsignor Gandini di via XXIV Maggio.
Alla presenza dello scrittore Michele Costa, della direttrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci, della presidente della Commissione Antimafia Lombardia Monica Forte, del giornalista Mario Portanova, moderata dal referente di Libera Monza e Brianza, Valerio D’Ippolito.
“Ci abbiamo dovuto lavorare per due anni – racconta Tagliabue -: abbiamo incontrato Belnome per tre giorni di fila nella centrale di protezione di Roma.
Ci ha raccontato tanto: cosa volesse dire far parte della ‘ndrangheta, quali fossero i rapporti di potere all’interno di questa organizzazione criminale. Ci ha addirittura consegnato quello che era una sorta di dizionario della ‘ndrangheta, con i suoi rituali e parole d’ordine”.
Cosa ne esce? “Belnome ha raccontato tutto, da quando era bambino, cresciuto in Calabria dopo che suo padre era stato arrestato e sua madre lo aveva affidato a uno zio che venne poi ucciso, perché era egli stesso un boss. E poi i suoi cugini uccisi in giovane età all’interno di faide che si auto alimentavano, la sua scalata al potere, l’omicidio Novella, a cui partecipò anche per vendicarsi di quello che riteneva uno dei responsabili dell’uccisione dell’amato zio…
Ci sono tante cose nel materiale che abbiamo girato, tante che alcune sono state escluse dal documentario, come quando Antonino Belnome era una promessa del calcio a Catania“.
Un giorno sarebbe diventato “dominus assoluto” della ‘ndrangheta in Brianza. È davvero pentito? “Non me lo sono mai chiesto, di sicuro è stato un collaboratore di giustizia credibile, che ha contribuito a molti processi.
La sua vita è cambiata nel momento in cui ha deciso di parlare; la sua famiglia, che si è sentita “tradita”, lo ha disconosciuto e dalla ‘ndrangheta gli sono già arrivate minacce esplicite che si porta dentro, come quella di decapitare suo figlio non appena avrà compiuto i 18 anni”. IL GIORNO 19 gennaio 2022
Belnome, superpentito dello Stilaro cresciuto all’ombra di Andrea Ruga
Il boss di Guardavalle, 50enne, è la più temuta “gola profonda” della ’ndrangheta
Antonino Belnome, detto “u fagiolino”, reo confesso dell’omicidio di Carmelo Novella, è stato in Brianza il capo della locale di Seregno-Giussano dalla primavera del 2008 ed è finito in carcere il 13 luglio 2010, caduto nella rete della maxi operazione “Infinito”. Dopo circa un semestre dall’arresto, Belnome decise di saltare il fosso, diventando così uno dei più importanti pentiti della ‘ndrangheta. Fornendo particolari importanti sulla locale Seregno-Giussano e sugli affiliati.
Dopo gli omicidi nel 1989 del boss Cosimo Priolo, in Calabria, di Rocco Cristello, freddato sotto casa sua a Verano Brianza nel 2008 e di Rocco Stagno, vittima di lupara bianca a marzo 2010, si scatenò una faida e la locale di Giussano, “riattivata” proprio da lui con la benedizione dei vertici calabresi e lombardi frustrò le aspirazioni egemoniche del boss Antonio Stagno. Ma la sua ascesa non fu gradita al boss Carmelo Novella, originario di Guardavalle. Il capo della Lombardia, fautore del secessionismo dalla cupola calabrese, vedeva nel “locale” giussanese un distaccamento di “fedelissimi” al suo nemico dichiarato Vincenzo Gallace, capo dell’omonima cosca di Guardavalle. Non a torto.