TRIZZINO E LA NUOVA PISTA SALVA TUTTI – Fatto Quotidiano 8.10.2023

 
Si ritorna a Mafia e appalti. Come era prevedibile, l’audizione davanti alla commissione Antimafia di Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e avvocato dei figli del giudice, riporta le indagini su via d’Amelio alla pista preferita da Mario Mori e dal centrodestra.
La coalizione di Chiara Colosimo, infatti, ha sempre sostenuto che Borsellino sia stato ucciso solo perché interessato al dossier del Ros dei carabinieri sugli affari miliardari tra Cosa Nostra, politica e imprenditoria.
Una tesi investigativa che ha due effetti: esclude la “pista nera”, quella che collega via d’Amelio alla strategia di destabilizzazione cominciata a Capaci. E cancella pure quanto ipotizzato in alcune inchieste poi archiviate: quelle che legano la morte del magistrato a informazioni che lo stesso Borsellino poteva aver avuto sui legami tra Cosa Nostra e l’entourage di Silvio Berlusconi.
Il finto clamore, “mafia e appalti” o “corvo 2”
Il lungo intervento di Trizzino in Antimafia è stato raccontato da alcuni quotidiani come “un’audizione choc”, una “sconvolgente testimonianza”, una “clamorosa relazione”.
Eppure, fermo restando il rispetto dovuto ai familiari delle vittime, va detto che Trizzino non ha riportato a San Macuto alcun elemento inedito.
Anche quando ha raccontato dell’incontro “segreto” avuto da Borsellino con Mori e Giuseppe De Donno il 25 giugno del ’92 alla caserma Carini.
Negli ultimi 20 anni, per la verità, di quel faccia a faccia si sono occupati numerosi processi: ancora oggi non è mai stato chiarito se Borsellino volle vedere i carabinieri per discutere di Mafia e appalti, come sostengono gli stessi militari, o se invece – come ha raccontato il maresciallo Carmelo Canale, che quell’incontro l’aveva organizzato – per parlare del Corvo 2, un anonimo che narrava di un fantomatico summit tra Calogero Mannino e Totò Riina, rivendicato pure dalla Falange Armata.
Quello che è stato chiarito, invece, è la gestione dell’inchiesta su Mafia e appalti. Coordinata da Giovanni Falcone e condotta da Mori e De Donno fin dal 1989, l’indagine è alla base dell’antica frattura che – tra veleni e fughe di notizie – ha contrapposto il Ros ai pm di Palermo. Si basa su un rapporto consegnato dai militari alla procura nel febbraio del 1991, integrato poi da informative successive. Le date, come vedremo, sono importanti.
La principale contestazione avanzata dai carabinieri e ora rilanciata da Trizzino è che i pm archiviarono l’inchiesta il 13 luglio del 1992, dopo aver arrestato solo 7 persone. Sei giorni dopo viene ucciso Borsellino: il rapporto del Ros viene dunque insabbiato. “A noi questa archiviazione è sembrata veloce, è sembrata un’accelerazione, non so perché, questo lo dovete vedere voi”, ha detto Trizzino in commissione.
In realtà – come ha fatto notare il senatore Roberto Scarpinato, che di quel fascicolo è stato titolare – l’indagine sugli appalti non si concluse solo con 7 arresti alla vigilia della strage di via d’Amelio, ma si allargò negli anni successivi a 120 persone.
Nell’inchiesta finirono personaggi come Antonino Buscemi, fratello del capomafia di Passo di Rigano e socio occulto di imprese riconducibili al gruppo Ferruzzi-Gardini, imprenditori di primo piano (Vincenzo Lodigiani, Claudio De Eccher, Filippo Salamone), politici regionali e nazionali, da Mannino a Severino Citaristi.
Se l’indagine continuò, allora cosa venne archiviato nel luglio ’92?
Fasi dell’inchiesta, telefonata del vicerè del “divo”
All’epoca i pm avevano già stralciato il fascicolo sulla Sirap, un ente regionale che gestiva appalti per mille miliardi di lire. Le posizioni archiviate, invece, erano relative a indagati sui quali non c’erano abbastanza elementi.
O meglio: gli elementi c’erano (e infatti negli anni successivi molti di quei personaggi saranno arrestati), ma la procura non li conosceva. “Nelle 900 pagine depositate dal Ros nel febbraio ’91 non si faceva mai riferimento a personaggi importanti come Mannino, Salvo Lima, Rosario Nicolosi, De Michelis”, ha detto Scarpinato in commissione.
Questi riferimenti arriveranno solo a settembre ’92 quando il Ros depositerà un’altra informativa, quella sulla Sirap. Dentro ci sarà, per esempio, una telefonata tra Lima e un dipendente dell’ente regionale: il viceré di Giulio Andreotti in Sicilia spiega di essere in buoni rapporti con Cataldo Farinella, imprenditore mafioso, uno dei famosi sette arresti già compiuti dalla procura. Quell’intercettazione risale all’aprile del ’90, ma nel primo dossier del Ros, del febbraio ’91, non c’è.
Non salta fuori nemmeno quando viene arrestato Farinella, nel luglio del ’91, e neanche quando viene ucciso Lima, a marzo del ’92: come mai? Nel 1998 la procura lo chiederà al maresciallo Carmine Iannetta, responsabile degli ascolti: elementi come quella telefonata – risponderà il carabiniere – non erano stati inclusi nell’informativa “per valutazioni operate dai miei superiori che li ritennero irrilevanti”.
L’accelerazione dell’attentato: l’enigma resta
Non è l’unica anomalia di Mafia e appalti e non è neanche una novità: di tutta questa vicenda il Parlamento è a conoscenza da quasi 25 anni.
Già nel 1999 l’allora procuratore Gian Carlo Caselli depositò una dettagliata relazione sulla gestione dell’indagine alla Commissione Antimafia.
Colosimo potrebbe ripartire da lì. E magari chiedersi in che modo il dossier Mafia e appalti ha inciso nell’accelerazione della strage di via d’Amelio.
L’8 agosto del ’92, infatti, il Parlamento avrebbe dovuto convertire in legge il decreto sul 41bis, il carcere duro per i mafiosi.
Secondo le cronache dell’epoca si era formata una maggioranza “garantista” che avrebbe fatto decadere il provvedimento.
Poi però viene ucciso Borsellino e lo Stato non può fare altro che reagire: che senso ha dunque per Cosa nostra la strage di via d’Amelio? Se davvero Borsellino muore solo per Mafia e appalti, cos’è che avrebbe potuto fare nei giorni successivi al 19 luglio?
La gestione di un’inchiesta – per quanto dirompente come quella del Ros – è un iter lungo: non si risolve in pochi giorni.
Ma allora perché Riina ordina di uccidere subito su Borsellino? E ancora: quale è il movente del depistaggio sulla strage?
A far deragliare l’indagine verso una falsa pista sono le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, che inizia a collaborare nel 1994.
All’epoca, però, politici e imprenditori coinvolti in Mafia e appalti erano già quasi tutti o morti (Raul Gardini, Lima) o in caduta libera, di sicuro non abbastanza potenti per intervenire su uninchiesta delicata come quella su Borsellino: per quale motivo, dunque, vennero depistate le indagini?
Per coprire chi? La verità su via d’Amelio passa anche da queste domande.
(da Il Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2023)