Chi ha ucciso davvero Paolo Borsellino

 

Francesco Damato 28.9.2023 STARTMAG » Mondo

L’affare Borsellino – Paolo, il magistrato collega e amico di Giovanni Falcone, ucciso il 19 luglio 1992 a Palermo a distanza di 57 giorni da lui in analoghe circostanze, saltando entrambi con le scorte in attentati ad alto potenziale esplosivo – non è più soltanto giudiziario per i depistaggi che ne hanno caratterizzato indagini e processi. È ormai diventato – con aspetti ancora più inquietanti, a mio avviso – anche un affare mediatico. Anzi, un malaffare.

LE AUDIZIONI DI LUCIA BORSELLINO E FABIO TRIZZINO IN COMMISSIONE ANTIMAFIA

Sconcerta, a dir poco, che le clamorose audizioni alla Commissione parlamentare antimafia della figlia di Borsellino, Lucia, e del marito Fabio Trizzino, legale della famiglia, sul sospetto avvertito dal magistrato di essere stato condannato a morte più dai suoi colleghi che dalla mafia, sia finita sulle prime pagine di due soli giornali che possiamo definire di nicchia garantista. Sono L’Unità di Piero Sansonetti e Il Dubbio di Davide Varì, succeduto allo stesso Sansonetti alla guida del quotidiano degli avvocati. Tutti gli altri hanno trovato la faccenda meno meritevole di attenzione, fra l’altro, dello spot della Esselunga sulla mela con la quale una bambina cerca di fare riconciliare i genitori separati.

Eppure nell’aula della commissione parlamentare presieduta da Chiara Colosimo (nella foto) – di cui ora si capisce ancora meglio la forte ostilità riservata per lunghi otto mesi alla sua candidatura di destra anche dal movimento grillino di Giuseppe Conte e di Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo – sono risuonate le parole di Borsellino raccolte dalla moglie pochi giorni prima della morte e riproposte, in particolare, dall’avvocato Trizzino. Eccole: “Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia. Saranno mafiosi coloro che mi uccideranno ma quelli che hanno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri”.

COSA DISSE BORSELLINO

Cinque giorni prima di essere ucciso Borsellino aveva inutilmente chiesto al capo della Procura di Palermo di occuparsi di un voluminoso dossier noto come “mafia e appalti” e redatto dai Carabinieri. Cui, in verità, era interessato ma a Milano anche Antonio Di Pietro, che molti anni dopo ne avrebbe parlato in una intervista all’Espresso raccontando, fra l’altro, ch’egli si occupava sì di Tangentopoli, Bettino Craxi e partiti vari finanziati illegalmente, ma in realtà voleva inseguire l’intreccio segnalatogli da Borsellino. Inseguendo il quale “Tonino” avrebbe potuto cercare di salire ben oltre Craxi, sino a raggiungere l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, già nel mirino di Giancarlo Caselli a Palermo.

Tutto noto, dirà qualcuno facendo spallucce. Ma, grazie all’ostinazione con la quale Giorgia Meloni, spinta alla politica da ragazza proprio dalla tragedia di Borsellino, ha voluto la Colosimo presidente, se ne parla finalmente nella Commissione antimafia. Ci sarebbe di che cosa occuparsi o rioccuparsi meglio, ma l’informazione scritta e parlata, digitale e stampata, preferisce la mela della Esselunga. Povero giornalismo.