Per la prima volta in 31 anni un’esponente istituzionale ha avvertito il dovere di invocare perdono alla famiglia di Paolo Borsellino: Chiara Colosimo, presidente della Commissione antimafia.
Per la prima volta in 31 anni un’esponente istituzionale ha avvertito il dovere di invocare perdono alla famiglia di Paolo Borsellino. E’ stata Chiara Colosimo, presidente della Commissione nazionale antimafia, che, a conclusione delle audizioni dei figli del giudice e dell’avvocato Trizzino marito di Lucia Borsellino, ha dichiarato rivolgendosi a loro: “Il giudice Borsellino ci ha lasciato un insegnamento da gigante morale, quale era, di perseguire sino alla fine la giustizia, qualunque persona coinvolga e qualunque cosa questo comporti. E io, col rispetto che devo a chi siede a fianco a me, intendo proseguire su questa strada.
Io vorrei dire una sola cosa, perché non credo che ci sia molto da aggiungere prima di riprendere questa audizione in una data concordata, il prima possibile perché si possa concludere e perché i commissari possano fare le loro domande.
Credo che noi dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui avete posto, e lo avete fatto con sofferenza e amore che ci avete trasmesso. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani.
Quindi, riprendendo quello che dicevo all’inizio, vorrei che di questa Commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare. Grazie a tutti”.
Punto. A futura memoria. E al termine delle audizioni è stata la famiglia del magistrato vittima della strage di via D’Amelio a esporre i dettagli più di rilievo. Lucia Borsellino ha affermato: “Vi è ancora il buio istituzionale che avvolge la sottrazione dell’agenda rossa, di cui risentono le indagini: sarebbe stata una fonte inoppugnabile di informazione.
Ci è stata data una verità della menzogna, e dopo 31 anni non possiamo vederci negato il diritto di porre domande né accetteremo verità che non siano sostenute da rigore e ricostruzioni che non abbiano riscontri.
Non ci è dato sapere se e come mai non fu fatto nell’immediato del dopo strage l’esame del Dna, tenendo conto che l’esplosione non aveva distrutto la borsa, ma l’aveva solo un po’ ammaccata e bruciacchiata.
Un altro aspetto che constatiamo dopo questi 31 anni sono i silenzi e i ‘non ricordo’ di molti uomini delle istituzioni.
Il tempo trascorso è stato reso infruttuoso anche dal mancato coordinamento tra le Procure di Palermo e Caltanissetta, come nei casi del pentito Scarantino, della mancata citazione come testimone o persona informata sui fatti del procuratore Giammanco, e della sottrazione delle chiamate in entrata del cellulare di mio padre, altra fonte informativa preziosa che ci avrebbe consentito di risalire alla sua rete di contatti, e che ci avrebbe permesso di arrivare ai livelli istituzionali presso cui va cercata la responsabilità di azioni e omissioni”. 10 Ottobre 2023 TELEACRAS