PAOLO BORSELLINO – Il depistaggio

 

Un video girato dagli inquirenti nelle strade in cui fu rubata l’auto usata per l’attentato di via D’Amelio. E arriva la prova: il falso pentito indica il posto sbagliato, Spatuzza quello giusto.
È la conferma di un’indagine inquinata per troppo tempo da qualcuno. Per convenienza o per ragion di Stato.
Adesso è ufficiale: c’è stato un depistaggio orchestrato da qualcuno sulla strage di via D’Amelio a Palermo in cui vennero uccisi Paolo Borsellino e cinque dei suoi agenti di scorta.
I principali attori di questa triste storia sono stati i falsi pentiti che davanti ai giudici si sono auto accusati di avere avuto un ruolo nell’attentato del 19 luglio ‘92.
A cominciare dal furto della Fiat 126 che venne imbottita di tritolo e fatta esplodere in via D’Amelio.
È da questo primo taroccato tassello, oggi ricostruito bene dalla procura di Caltanissetta e dalla Dia nissena, che le indagini furono subito deviate e spostate verso altri obiettivi.
Si parte proprio dal furto della 126 di cui si è incolpato Salvatore Candura, un perso- naggio di cui nessun mafioso fino al 1992
aveva mai sentito parlare.
Eppure compare sulla scena del crimine come il sedicente autore del furto, l’uomo che (insieme ad un altro falso pentito, Vincenzo Scarantino) sostiene di aver organizzato la prima parte esecutiva dell’attentato.
Oggi, a distanza di vent’anni, e dopo tre sentenze con il marchio della Cassazione sulla strage Borsellino, si scopre che Candura ha detto il falso.
Una scoperta che avviene grazie alla collaborazione con la giustizia di Gaspare Spatuzza, che rivela retroscena inediti su via D’Amelio e tra l’altro dice che Candura non c’entra: è stato lui a rubare l’auto.
A chi credere?
La Dia decide di fare un riscontro in un modo molto semplice che però, incredibilmente, non era mai stato usato in precedenza.
Gli investigatori chiedono infatti separatamente sia a Candura sia a Spatuzza di portarli sul luogo dove, secondo loro, era stata rubata la 126 usata per l’attentato.
I due indicano due vie diverse di Palermo.
A risolvere la questione è la ex proprietaria della macchina: che indica lo stesso posto di Spatuzza, smentendo clamorosamente Candura.
E quasi vent’anni dopo, tutto si riapre.

(«L’Espresso», 8 marzo 2012) Lirio ABBATE