17.11.2023 L’ex giudice Saguto, il marito e l’avvocato Cappellano Seminara restano in carcere: “Arresto legittimo”
La Corte d’Appello di Caltanissetta, al termine dell’incidente di esecuzione, ha rigettato i ricorsi dei tre imputati, ritenendo definitiva una parte delle loro condanne per lo scandalo nella gestione dei beni confiscati. Torna libero invece il professore Carmelo Provenzano: “Il nuovo giudizio d’appello potrebbe rimettere in discussione la pena”
L’arresto dell’ex giudice Silvana Saguto, del marito, Lorenzo Caramma, e dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, amministratore giudiziario e braccio destro per anni dell’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, è legittimo. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Caltanissetta che ha confermato la correttezza dell’operato della Procura generale nissena, che aveva disposto il carcere per i tre in seguito alla sentenza emessa dalla Cassazione nell’ambito del processo nato dallo scandalo nella gestione dei beni confiscati.
I giudici, al termine dell’incidente di esecuzione, hanno stabilito che i tre devono restare in cella ed hanno rigettato i loro ricorsi. Contestualmente, hanno però accolto quello presentato dall’avvocato Lillo Fiorello per il professore Carmelo Provenzano dell’università Kore di Enna, che torna quindi libero: nel suo caso, come ha sostenuto la sua difesa ed ha riconosciuto anche la Corte, la pena potrebbe essere effettivamente rideterminata con il nuovo processo d’appello, dunque la condanna a 6 anni e 8 mesi non è definitiva.
Per gli altri, invece, secondo i giudici, a dispetto dell’appello bis disposto per diversi capi d’imputazione dalla Cassazione, resterebbe comunque in piedi un nucleo della pena che supera i 4 anni di reclusione e che è già definitivo, dunque non più modificabile. I loro difensori, gli avvocati Ninni Reina, Sarah Bartolozzi, Antonio Sottosanti e Sergio Monaco, sostengono invece il contrario.
Gli arresti dei quattro erano avvenuti improvvisamente oltre 48 ore dopo la sentenza della Suprema Corte, un dispositivo decisamente complesso che in molti casi è risultato di difficile comprensione persino agli avvocati, tanto che la Suprema Corte, cosa mai accaduta nella storia, aveva dovuto fare un comunicato stampa per spiegarlo. PALERMO TODAY
“Programma criminoso di Saguto per massimizzare i profitti illeciti”
“Massimizzazione dei profitti illeciti”
Di avviso opposto il pubblico ministero Claudia Pasciuti che firma, da sola – in primo grado c’era anche Maurizio Bonaccorso – l’appello. Gli imputati avrebbero utilizzato la procedura, che prevede la nomina degli amministratori, di gestione dei beni in sequestro per “renderla funzionale alla realizzazione dei loro scopi illeciti”, per giungere alla “massimizzazione degli illeciti profitti perseguiti”.
Per anni, secondo il pm, “Saguto, Cappellano e Caramma hanno agito pressoché indisturbati muovendosi nei gangli di un procedimento complesso, le cui peculiarità, note quasi esclusivamente ai tecnici del settore, hanno fornito loro la copertura dell’apparente liceità del loro agire”.
Non importa, secondo il pm, che solo Saguto sia stata assolta da una serie di abusi di ufficio e peculati (per altro appellati). Non si può sostenere che, caduti alcuni reati scopo, non si debba contestare l’associazione a delinquere. Lo dimostrerebbe il fatto che Saguto portò avanti “il programma criminoso” anche quando iniziò a montare la polemica sulla gestione della sezione, cercando di “fare lavorare Lorenzo” (il marito Lorenzo Caramma), con Cappellano Seminara lontano da Palermo coinvolgendo l’amico Guglielmo Muntoni, giudice a Roma.
“Un programma criminoso”
Secondo l’accusa, ciò dimostra che “il programma criminoso fosse assolutamente indeterminato, destinato a trascendere e superare il solo accordo corruttivo per ispirare la commissione di tutti quei reati che potessero ritenersi funzionali al fine ultimo dell’illecito arricchimento dei sodali”.
E tra questi reati ci sarebbero tutti quei falsi per cui Saguto è stata assolta in primo grado.
“Ventimila euro nel trolley”
La Procura ha fatto appello anche per la storia dei soldi che Cappellano Seminara avrebbe consegnato, una sera di giugno 2015, in contanti dentro una valigia a casa di Saguto. ll Tribunale ha ritenuto che la prova sia stata raggiunta solo per 9.500 euro e non 20.000 come contestava l’accusa, sulla base dei movimenti bancari successivi alla dazione di denaro.
A consegnare i soldi a Cappellano sarebbe stato l’architetto Giuseppe Caronia, che con l’amministratore giudiziario aveva dei rapporti di lavoro. Cappellano gli aveva pagato lavori per 60 mila euro, ma avrebbe chiesto la restituzione di 20 mila euro in contanti. Ai finanzieri che lo convocarono durante le indagini Caronia disse che quando parlava di documenti nelle intercettazioni stava davvero parlando di fogli.
Poi ci ripensò, spiegò di avere detto una bugia perché temeva di incorrere in sanzioni fiscali. Per il fatto di avere modificato le sue dichiarazioni Caronia non è stato più considerato credibile e il Tribunale ha disposto la trasmissione degli atti per valutare ‘ipotesi della falsa testimonianza. Caronia non è il solo. Di avviso opposto la Procura: il nucleo del racconto di Caronia non viene scalfito, le discrasie potrebbero essere legate al cattivo ricordo o “al timore di essere coinvolto in qualche modo nella vicenda di corruzione”.
Saguto, le intercettazioni: dal “ragazzetto” al “ci tagliano la luce”
Il merito non aveva alcun valore. Era la stessa Saguto a mostrarsi timorosa quando nominò “un ragazzetto che non so come farà, adesso io devo nominare un coadiutore giusto perché sennò”.
Piccoli e grandi favori. Come nel caso della laurea conseguita dal figlio del giudice, Emanuele Caramma. Carmelo Provenzano, professore alla Kore di Enna inserito nel cerchio magico dell’ex magistrato, organizzò e pagò i festeggiamenti: “Un aperitivo rinforzato con primi, prosecco e spritz per 30 persone”. Costo, in un locale di Enna, quindici euro a persona. Provenzano fu intercettato mentre spiegava alla titolare che sarebbe passato da lei per portare “un acconto sostanzioso”.
È stata la necessità di mantenere un tenore di vita altissimo a spingere Saguto, così hanno stabilito i giudici, a siglare il patto sporco con Gaetano Cappellano Seminara. Le intercettazioni raccontano comunque la parabola di una giudice la cui famiglia viveva al di sopra delle sue possibilità. “Sono disperata, non puoi capire – si sfogava con l’avvocato – non ce la posso fare più, devo trovare qualcos’altro, non è che voglio distruggerti l’esistenza… devo vendermi la casa…. la luce, il 20 ce la tagliano”. Una sera Cappellano Seminara arrivò in soccorso con ventimila euro nel trolley a casa del magistrato.
Riccardo Lo Verso
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