«L’Italia spieghi!»: la Cedu accoglie il ricorso dell’ex braccio destro di Paolo Borsellino

 

Il caso dell’ex colonnello Carmelo Canale, grazie all’avvocato Giordano, arriva alla Corte Europea.
Il governo dovrà rispondere sulla lesione della presunzione di innocenza tramite le motivazioni dell’archiviazione, avvenuta nonostante l’opposizione dell’indagato
 
La Cedu, la Corte europea di Strasburgo, chiede conto e ragione allo Stato italiano in merito alla evidente violazione della presunzione di innocenza nei confronti dell’ex colonnello dei carabinieri Carmelo Canale, ex braccio destro di Paolo Borsellino.
I giudici della Corte dei diritti umani hanno accolto il ricorso presentato nel 2019 dall’avvocato Stefano Giordano del Foro di Palermo. I fatti si riferiscono a un fascicolo d’indagine, aperto dall’allora procura di Palermo nel 2012, nei confronti di Canale per un presunto reato, sebbene ormai prescritto. Inevitabilmente chiede archiviazione.
Tuttavia, l’ex carabiniere, professandosi innocente, si oppone alla richiesta di archiviazione producendo prove a confutazione della tesi. Il gip decide dapprima di svolgere ulteriori indagini, ma alla fine archivia. Nell’ordinanza, accogliendo le argomentazioni del Pm, si dava quasi per certo che il reato fosse stato commesso.
Questa vicenda sembra ricalcare un destino comune a coloro che erano vicini a Borsellino o che conducevano indagini per suo conto. Dopo l’arresto di Totò Riina, gli ex membri dei Ros, dal capitano Ultimo a Mario Mori, subirono numerosi processi che si conclusero con la loro completa assoluzione.
L’allora maresciallo Antonino Lombardo, in assoluto uno dei migliori dell’Arma e vicinissimo a Borsellino, fondamentale per la cattura del capo dei capi grazie alle sue fonti, si suicidò dopo che lo avevano infangato pubblicamente in una trasmissione televisiva di grande audience.
Stesso travaglio giudiziario ha dovuto subire Carmelo Canale, all’epoca maresciallo.
Fu accusato prima di concorso esterno in associazione mafiosa.
Poi, fra il primo e il secondo grado, di essere direttamente affiliato alla mafia, curandone gli interessi.
Il 15 novembre 2004, otto anni dopo le prime accuse, Canale è stato assolto in primo grado, perché il fatto non sussiste.
Tra le accuse, quelle di aver dato addirittura il dossier mafia-appalti ai mafiosi.
Parliamo dell’informativa dei Ros voluta da Giovanni Falcone.
Quella della quale si interessò lo stesso Borsellino.
Con le sentenze sulle stragi oggi sappiamo che quella di Via D’Amelio ha a che fare con questo interessamento.
Questione che è riemersa fuori grazie alle audizioni in commissione Antimafia dell’avvocato Fabio Trizzino e di sua moglie Lucia Borsellino.
Il 17 luglio 2008, dodici anni dopo, Canale è assolto in secondo grado. La Corte fissa in novanta giorni (come prevede la legge) i termini per il deposito delle motivazioni, che, però, arrivano solo ad agosto 2009. La procura generale fece ricorso in Cassazione. Il 12 luglio del 2012 arriva il sigillo definitivo della sua innocenza.
Ma finisce qui?
Nello stesso anno della sua assoluzione definitiva, la Procura della Repubblica apre un fascicolo contro di lui per il reato di falso ideologico in atto pubblico, in tesi commesso nell’ambito dell’attività di indagine condotta (quale componente del Ros di Palermo dei Carabinieri, all’epoca dei fatti diretto dal maggiore Antonio Subranni) in relazione alla morte del giornalista Giuseppe Impastato, deceduto il 9 maggio 1978 a seguito di un attentato dinamitardo poi risultato di matrice mafiosa.
Come ha ben descritto l’avvocato Stefano Giordano nel ricorso alla Cedu, in particolare, secondo la prospettazione accusatoria, Canale – nel redigere e sottoscrivere, unitamente ad altri due colleghi, il verbale di perquisizione e sequestro eseguiti il 9 maggio 1978 presso l’abitazione di Fara Bartalotta, zia dell’Impastato – avrebbe falsamente dato atto di avere rinvenuto unicamente sei missive e un manoscritto in cui l’Impastato preannunciava la sua volontà suicida; mentre avrebbe sottaciuto di avere informalmente asportato altra copiosa documentazione, non inserita nel fascicolo processuale (asporto che sarebbe emerso, viceversa, dalle dichiarazioni rese da Giovanni Impastato, fratello della vittima).
Nel novembre 2012, il Pm ha formulato una prima richiesta di archiviazione del procedimento, per essere il reato configurato a carico di Canale “estinto per intervenuta prescrizione”.
In detta richiesta, peraltro, si sono formulati pesanti apprezzamenti circa la responsabilità dell’indagato.
Lo stesso Canale si oppose alla prescrizione.
Il Gip ha rigettato la richiesta di archiviazione e restituito gli atti al Pm, affinché procedesse a indagini suppletive.
A marzo 2016 il Pm chiede di nuovo l’archiviazione.
Nel 2018 il Gip ne ha disposto l’archiviazione, ma esprimendo nell’ordinanza delle considerazioni e censure a carico di Canale che – come sottolinea l’avvocato Giordano – “tratteggiavano inequivocabilmente una sua responsabilità penale, sebbene non giudizialmente accertata”.
L’attenzione ora si è spostata sulla Cedu, dove Canale ha presentato un ricorso sostenendo che le azioni delle autorità italiane hanno violato i suoi diritti costituzionali e convenzionali.
La Corte Europea ha accolto il ricorso e ha posto alcune domande al governo italiano.
Queste domande rivelano profonde preoccupazioni riguardo al rispetto dei diritti umani nel sistema giudiziario italiano.
In primo luogo, il caso solleva dubbi sulla trasparenza dei procedimenti giudiziari.
Canale, attraverso l’avvocato Giordano, ha contestato se la descrizione dettagliata delle indagini fosse veramente necessaria per dichiarare estinto il reato per prescrizione.
La mancanza di chiarezza in questo ambito può portare a interpretazioni ambigue e a decisioni giudiziarie discutibili, mettendo a rischio la fiducia nel sistema legale.
In secondo luogo, la Corte di Strasburgo ha sollevato la questione della rinuncia alla prescrizione.
Il fatto che questa possibilità non sia stata considerata dai giudici nazionali solleva interrogativi sulla parità di trattamento tra l’indagato e l’imputato.
Tale disparità rappresenta una violazione del principio fondamentale che ogni individuo ha il diritto di difendersi adeguatamente dalle accuse mosse nei suoi confronti.
Il terzo punto riguarda il diritto di difesa di Canale.
Se non gli è stato concesso di difendersi pienamente e adeguatamente contro le accuse, la Cedu solleva un interrogativo significativo sulla correttezza e l’equità del procedimento giudiziario. La presunzione di innocenza, uno dei pilastri del sistema legale, sembra essere stata compromessa in questo caso.
Infine, la questione di un ricorso interno efficace è di vitale importanza.
La Corte chiede allo Stato italiano se Canale non abbia avuto un mezzo adeguato per contestare la presunta violazione della presunzione di innocenza, sancita nelle motivazioni del decreto di archiviazione.
Nel caso contrario, si profila una potenziale violazione dei suoi diritti umani.
Il caso di Canale alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rappresenta un banco di prova cruciale per il sistema giudiziario italiano.
La decisione della Cedu non solo avrà un impatto significativo sulla vita di Canale, ma potrebbe anche gettare luce su presunte disfunzioni sistemiche, mettendo in discussione l’integrità del sistema giudiziario italiano.
 
DAMIANO ALIPRANDI – IL DUBBIO 26.10.2023

 

CARMELO CANALE

 
 
 
 

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