- “La Commissione parlamentare antimafia va in una direzione che a mio avviso è molto pericolosaper l’accertamento della verità.Ed è quella della parcellizzazione, dell’atomizzazione, del non voler occuparsi della campagna stragista nel suo insieme ma soltanto di un episodio gravissimo ed emblematico, la strage di via d’Amelio, e soltanto di una pista processuale che è stata ritenuta in più sentenze non decisiva”. E’ questo l’allarme lanciato al Teatro dei Rozzi di Siena dal sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo nel corso della presentazione del libro, scritto insieme al giornalista Saverio Lodato, “Il patto sporco e il silenzio”
- “Io credo molto in quello che possono fare le commissioni di inchiesta – ha detto Di Matteo ricordando i grandi risultati della relazione di minoranza del 1976 a firma di Pio La Torre sul fenomeno mafioso – ma da quello che vedo, l’approccio è stato assolutamente pericoloso perché atomizza, parcellizza, considera soltanto una delle sette stragi come se fosse avulsa dal contesto delle altre”.
- A detta del magistrato (DI MATTEO) la strada intrapresa da Palazzo San Macuto “rischia di allontanare la verità ancora di più”. E questo, “ormai a trentuno anni dalle stragi, significa compromettere la verità per sempre”.
- “Non è vero che non è stato fatto niente – ha affermato Di Matteo – Dai processi sono venute fuori delle situazioni che ci fanno capire come sia assolutamente probabile il coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa nostra.
Però invece di ripartire da tutto quello che è venuto fuori, dall’insieme dell’esame delle sette stragi, la Commissione parlamentare antimafia non decide di occuparsi della fase stragista ma soltanto di quei 57 giorni (il periodo che intercorre tra la strage di Capaci e la strage di via d’Amelio, ndr).
- A proposito di trattativa Stato-mafia, Di Matteo
“Abbiamo vissuto una stagione stragista che, non dimentichiamolo mai, riguarda sette episodi di strage ma anche omicidi strategici come quello dell’on. Salvo Lima e quello di Ignazio Salvo”, ha esordito Di Matteo sul punto. “Quella strategia è frutto di una visione politica dei capi di Cosa nostra. Riina, nel 1991, nella prima riunione della commissione regionale di Cosa nostra in cui si programmò per la prima volta la strategia stragista disse: ‘Dobbiamo scatenare la guerra per poi fare la pace. Dobbiamo vendere i morti al governo’.
Un obiettivo preciso: usare la violenza e il terrore per creare le condizioni reali perché qualcuno a livello politico si facesse in avanti per trattare e così arrivare, nelle intenzioni di Cosa nostra, alla creazione di una nuova classe di referenti politici diversi da quella precedente che aveva storicamente fatto capo alla corrente andreottiana di Cosa nostra, che con il mancato rispetto delle promesse per l’aggiustamento del Maxi processo in Cassazione si era dimostrata agli occhi dei mafiosi non più affidabile”. “E purtroppole previsioni di Riina, almeno nell’immediato, si realizzarono. Dopo Capaci(la strage del 23 maggio 1992,ndr)alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri andarono da Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo, perché sapevano che aveva rapporti significativi con gli allora latitanti Riina e Provenzano”.
Quindi Di Matteo ha riportato “le prime dichiarazioni dello stesso generale Mori, quando per la prima volta nel 1997 al processo per la strage di Georgofili, raccontò: ‘Andammo da Ciancimino, sapevamo che lui era in contatto con Riina e Provenzano. E gli dicemmo signor Ciancimino cos’è questo muro contro muro tra lo Stato e la mafia. Cosa vogliono questi per far cessare le stragi?’. Mori racconta poi che nell’incontro successivo Ciancimino disse di aver parlato coi suoi referenti e che avevano accettato il dialogo. Altre circostanze accertate con sentenze definitive affermano che Riina tra Capaci e via d’Amelio disse ‘si sono fatti sotto, ho fatto un papello di richieste’”.
“Che paese siamo diventati nel momento in cui in questo Paese non ci si è mai interrogati sull’ammissibilità di un approccio di questo tipo?”
“Che paese è quello in cui – dopo le assoluzioni – molti giornali e molti esponenti politici affermano che trattativa non c’è mai stata, e si dimenticano di dire che anche in una sentenza definitiva(sentenza “Bagarella+22”,ndr) si afferma che trattativa ci fu, che non fu iniziata su input di Cosa nostra ma su input di esponenti apicali dello Stato, e che contribuì a rafforzare in Riina e negli altri il convincimento che la strategia delle bombe fosse pagante. Tanto che rafforzò in quegli uomini di Cosa nostra l’intendimento di mettere definitivamente in ginocchio lo Stato con gli attentati del 1993, che non sono in puro stile mafioso, ma vengono fatti adottando una strategia terroristica per gettare nel panico il Paese. Perché, lo afferma anche quella sentenza, Cosa nostra aveva capito che sul piatto della bilancia della trattativa, più metteva la sua capacità di gettare nel panico la popolazione italiana, più avrebbe ottenuto i vantaggi che desiderava”.
- Di Matteo ha anche rammentato la sentenza di appello delprocesso Trattativa Stato-mafia che aveva assolto gli ufficiali del Ros nella quale, nonostante le assoluzioni, “si dice che venne cercata e di fatto stipulata una ibrida alleanza con il nemico”. “Cioè una parte dello Stato si alleò con una parte di Cosa nostra per sconfiggere un nemico ritenuto più pericoloso, cioè Riina con tutta la componente stragista. In questa ottica, quella sentenza dice, si inquadrano come segnali di distensione la vicenda relativa alla mancata perquisizione del covo Riina e la copertura istituzionale negli anni a seguire della latitanza di Bernardo Provenzano, che è stato latitante 43 anni ed è stato arrestato praticamente a casa sua, proprio come Matteo Messina Denaro”.
“Queste conclusioni di questi processi, corrette o meno che siano, dovrebbero fare tremare i polsi”.
“In un paese normale avrebbero dovuto far scatenare un dibattito pubblico a tutti i livelli e invece si è preferito far credere che la trattativa fosse una boiata pazzesca frutto della fantasia di pochi e isolati pm. Quei fatti restano, al di là delle condanne e delle assoluzioni, sono pesanti come le pietre. E contribuiscono a delineare il contesto nel quale maturarono le stragi del 1992 e ancor più quelle del 1993”.
- SALVATORE BORSELLINO “Avevo in precedenza rifiutato un invito (ad essere audito dalla Commissione Antimafia) che mi era stato fatto, perché era stato già prefigurato quello che poi è successo. Cioè il fatto che le indagini della commissione si sarebbero concentrate su quei 57 giorni e su quello dossier ‘Mafia-appalti’ che non ritengo assolutamente possa essere la causa accelerante della strage di via d’Amelio,
Quello che però mi ha spinto a chiedere di essere audito – ha raccontato Borsellino – sono stati gli attacchi che sono venuti nei confronti di due magistrati, Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato, verso i quali voglio manifestare la mia stima e la mia gratitudine per aver cercato con tutte le loro forze la verità e la giustizia per le quali continuo a combattere”.
“Mi ha spinto a farlo il fatto che purtroppo questi attacchi sono venuti da una parte della mia famiglia che mai mi sarei aspettato: una parte della mia famiglia alla quale mi lega il dolore per una tragedia che ha coinvolto il loro padre che era anche mio fratello”.
“Mi lega (ai figli di Paolo Borsellino) l’insopprimibile esigenza di verità per la strage. Ma mi differenzio dalle loro posizioni processuali che nel corso degli anni sono venute a differenziarsi maggiormente.
Io mai avrei pensato che si potesse arrivare a questo”.
“Io a lungo ho taciuto, a lungo ho evitato di replicare a certe affermazioni che venivano fatte da questa parte della mia famiglia ma nel momento in cui è stato levato il dito contro questi due magistrati in Commissione antimafia non ho potuto non chiedere di intervenire”.
- Salvatore Borsellino ha detto inoltre di aver fatto una proposta alla: “Ho proposto (presidente Colosimo) che venisse istituita, e in quel caso avrei accettato l’audizione, una commissione antimafia su quella che ritengo la scatola nera della strage di via d’Amelio, cioè la sparizione dell’agenda rossa sulla quale non ci sono state mai fino ad ora delle indagini veramente tese ad arrivare agli autori di questo furto”. “ Salvatore Borsellino ha affermato di continuare a ritenere “che sia da lì che si debba ripartire, piuttosto che da una vicenda come ‘Mafia-appalti’ o dagli incontri nella caserma Carini che mio fratello non ha nemmeno annotato nella sua agenda grigia”. Dopo oltre trent’anni di depistaggi e verità parziali, secondo Salvatore Borsellino “bisognerebbe fare un rewind e ripartire dall’inizio, dalla sparizione dell’agenda rossa.
- SALVATORE BORSELLINO “in Commissione parlamentare si vuole soltanto ripulire quella strage da tutto quello che riguarda l’eversione nera, come giustamente ha detto Saverio Lodato, e ricondurla soltanto a un settore.
Io tutto questo non lo accetto e non lo accettiamo e nel proseguo delle audizioni in Commissione il mio avvocato (Fabio Repici, ndr) approfondirà queste cose sperando di trovare una sponda in una Commissione antimafia che invece sembra andare verso tutt’altra direzione”.
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