Le verità firmate da Mario Mori, per anni al vertice del ROS dei carabinieri.
Sono contenute nel fresco di stampa “M.M. Nome in codice Unico”, pubblicato da una delle case editrici più a la page, ‘La Nave di Teseo’. Ne ha parlato in un’intervista appena rilasciata a Repubblica.
Due, in particolare, gli argomenti affrontati. Che riguardano i più grossi ‘buchi neri’ della nostra storia, due ‘misteri di stato’, caratterizzati da clamorosi – ma mai giudiziariamente accertati – depistaggi. Di Stato.
Partiamo dalla strage di via D’Amelio. Mori sottolinea che la chiave per capire quel tritolo si trova nel dossier ‘Mafia e appalti’, 890 pagine redatte proprio dal suo Ros e finite sul tavolo di Giovanni Falcone, che vi lavorò per mesi, affiancato dal collega Paolo Borsellino. Una vera ‘bomba’, perché nel rapporto erano ricostruiti per filo e per segno tutti i rapporti tra imprese (del Sud e soprattutto non pochi colossi del Nord), pezzi da novanta della politica e mafie. Da far saltare ‘il Palazzo’, prima del ciclone di Mani pulite, un tric trac al paragone (e pure eterodiretto dagli Usa, via Antonio Di Pietro).
Da tanti anni la Voce ha indicato proprio in quella inchiesta bollente il vero movente per le stragi di Capaci e, ancor più, di via D’Amelio, perché nei mesi che le separarono Borsellino lavorò giorno e notte su quelle carte, scoprendo cose “inimmaginabili”, come confidò alla moglie Agnese Piraino Leto. E a ribadirlo con grande vigore sono da anni i figli di Borsellino (Lucia, Fiammetta e Manfredi), nonché il legale di famiglia (e marito di Lucia) Fabio Trizzino, di cui abbiamo più volte riportato i coraggiosi j’accuse nel corso delle ultime udienze processuali e, poche settimane fa, davanti alla Commissione Antimafia.
E quell’inchiesta al calor bianco – sottolinea Mori – venne rapidamente insabbiata appena dopo l’uccisione di Borsellino.
Il generale punta anche i riflettori sull’allora procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco, entrato in rotta di collisione con Borsellino. “Come mai in tanti anni Giammanco non è mai stato sentito dai giudici? Gli si potevano chiedere tante cose…”, commenta in modo non poco sibillino.
Passiamo al Mori 2. Che parla del giallo Moro.
L’ex comandante del Ros racconta di aver assistito ad un colloquio tra il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e Ugo Pecchioli, esponente di punta dell’allora PCI e sorta di ‘ministro ombra’ dell’Interno. In quell’incontro – rammenta Mori – “fu decisa l’infiltrazione di un giovane del PCI nelle Brigate rosse, nome in codice ‘Fontanone’. Ci aiutò a smantellare mezza colonna romana della BR”. A suo dire, ‘Fontanone’ venne prima infiltrato e poi accuratamente ‘disinfiltrato’. Una storia mai sentita: quindi, una vera ‘novità’. Su cui Mori potrebbe e dovrebbe dire di più, se sa.
Sulla morte dello statista DC mostra (quasi) granitiche certezze, il generale: “Fu ucciso dalle BR. Su Mario Moretti, capo delle BR all’epoca del sequestro, girano molte leggende, ma era un brigatista. Non è lui la figura ambigua. Invece ho sempre considerato un brigatista anomalo Giovanni Senzani. Ecco, su di lui ho dei dubbi”.
Dubbi più che giustificati, visto il comportamento di Senzani nel corso del rapimento di Ciro Cirillo, il potente assessore della DC in Campania che dopo una lunga ‘trattativa’ DC-BR-Servizi venne liberato dai brigatisti.
Ma sorge subito spontanea una domanda grossa come una casa.
Come mai un grande esperto di Servizi segreti come Mori ‘dimentica’ la figura strategica di Valerio Morucci, il ‘telefonista’ delle BR?
Addirittura più di 12 anni fa, per la precisione a gennaio 2011, la Voce pubblicò un reportage ‘esplosivo’, in cui emergeva come Morucci fosse il vero ‘infiltrato’ speciale dei Servizi nelle BR. Altro che Fontanone!
In quel pezzo, che potete leggere cliccando sul link in basso, documentavamo l’anomalia della sua ‘condanna’, del suo rapido ritorno in libertà, per darsi al giornalismo. E scrivere poi dove? Su una rivista molta cara ai ‘Servizi’, ‘Theorema’, durata lo spazio d’un mattino, appena un anno, forse perché il ‘servizio’ della Voce aveva non poco infastidito i ‘Servizi’. A promuoverla fu, all’epoca, l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, con la casacca di Alleanza Nazionale (oggi tra i più critici della linea Meloni). Nel pezzo c’era anche un riferimento alla passione ‘editoriale’ dello stesso Senzani.
Tutta da rileggere, quell’inchiesta 2011; così come un’altra del 2017, a proposito della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro: finita nel classico, scontato flop. Ma solo una cosa finì per accertare il suo presidente, il DC poi Margherita quindi PD Giuseppe Fioroni (mesi fa uscito dal partito dopo lo sbarco di Elly Schlein): “Valerio Morucci – dichiarò Fioroni – nel 1990 era un collaboratore del SISDE”.
Poteva mai Mori non sapere? Essere all’oscuro di una circostanza di tale rilievo?
E ora invece tira fuori dal cilindro l’ignoto ‘Fontanone’…
P.S. In un sequel, poi, Mori farebbe bene – nonostante l’assoluzione ottenuta in tribunale – a chiarire una volta per tutte la più che anomala vicenda del ‘covo di Totò Riina’, un mistero tra i misteri di Stato (e anche su questo la Voce ha scritto caterve di inchieste).
Non è mai troppo tardi.