Borsellino e la cena degli onesti. Il pianto del cuoco

 

PAOLO BORSELLINO, i carabinieri e il pianto del cuoco

5 giugno 1992

 

… durante una cena a Terrasini, organizzata dai Carabinieri, si parlava di Falcone, delle indagini su Capaci, dei nuovi equilibri dentro Cosa Nostra.
Terminiamo di cenare
ed il proprietario del locale si avvicina a Paolo, gli sussurra in un orecchio che il cuoco vorrebbe conoscerlo, nulla di più.
Paolo mi sembra imbarazzato dalla insolita richiesta, ma dice di sì.
Si alza, va incontro al cuoco, un uomo anziano, dal viso buono. Appena gli stringe la mano, questi si mette a piangere come un bambino.
Paolo resta pietrificato per pochi secondi. Poi, commosso, lo abbraccia.
I due escono dal ristorante, cominciano a passeggiare parlando fitto fitto, come vecchi amici, in palermitano stretto.

“Sai Antonio”, mi racconta in auto mentre rientriamo a Palermo, “stavo per mettermi a piangere anch’io. Ha voluto dirmi che i palermitani onesti, i padri di famiglia, sono al nostro fianco”.
Quella cena con i carabinieri, Borsellino la chiamerà “la cena degli onesti.

Da Capaci a via D’Amelio ricordando i 57 giorni – dal racconto di Antonio Ingroia.


Nota 1 – Alla cena parteciparono: Il maresciallo Antonio Lombardo, il tenente Carmelo Canale, il capitano Baudo ed il sostituto procuratore Antonio Ingroia.

Nota 2 – L’impegno a cena, certo perché testimoniato dai presenti, non compare indicato sull’agenda (grigia). Essendo nota la meticolosità del dottor Borsellino, che risulta palese scorrendo tutte le pagine precedenti dell’agenda grigia stessa, si puó supporre che da una certa data in poi alcuni appuntamenti (questo come altri che risultano avvenuti) venissero registrati sull’agenda rossa. Agenda “scomparsa” ma che, come é stato da più parti testimoniato, veniva utilizzata dal magistrato per determinati appunti e appuntamenti.

 

 

«A tutti coloro che hanno davvero combattuto e ancora combattono valorosamente contro mafia e terrorismo, a spregio di cialtroni e parolai che sfruttano i sacrifici di quegli uomini per conquistare potere e ricchezza personali ». Con questa frase inizia il libro di Mario Mori, il generale dei carabinieri che dopo le stragi del ‘92 in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino comandò il Ros e guidò quel famoso capitano «Ultimo» che il 15 gennaio del 1993 catturò Salvatore Riina. 24 anni dopo, anche Modena si ferma per ricordare l’o micidio di Paolo Borsellino.
Se la parola ‘eroe’ ha un senso, senza retorica è sacrosanto applicarla alla figura di Borsellino. Da tanti, anche oggi, anche dai presunti e osannati paladini dell’antimafia, usata e strumentalizzata. Nei suoi discorsi pubblici dopo la morte di Falcone, nelle interviste, la consapevolezza di essere bersaglio.
Di essere «cadavere che cammina». Una consapevolezza che non gli impediva di sognare quel «profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale». E c’è un episodio in quei 57 giorni tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio che merita di essere ricordato. Un episodio poco noto, ma che rappresenta una sorta di testamento morale del magistrato. Era il 5 giugno del 1992. Erano passati 13 giorni dall’uccisione di Falcone, della moglie e di tre uomini della scorta. A Terrasini, in provincia di Palermo, Borsellino partecipa a una cena con alcuni magistrati e un gruppo di carabinieri del Ros.
Tra questi anche il famoso maresciallo Antonio Lombardo, morto suicida (?) con un colpo di pistola nel 1995 a 49 anni, dopo un’infamante opera di delegittimazione («Mi sono ucciso per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli» – scrisse in una lettera).
Ecco, in quella cena – secondo la testimonianza di uno dei presenti – si parlò a lungo dei rapporti tra Cosa Nostra italiana e quella statunitense e Borsellino, tra sigarette e bicchieri di vino rosso, tenne una vera e propria lezione sulla Mafia siciliana.
E a fine cena il giudice alzò il calice e disse «Questa è la cena degli onesti ».
Un brindisi che, con umiltà, ognuno nel proprio campo, ognuno con le proprie derive e i propri fantasmi potrebbe avere il coraggio di fare proprio. Alzare il calice stasera e dirsi: Io voglio far parte di quella cena.
Nella certezza che conoscenza e onestà, conoscenza e onestà (esattamente in quest’ordine), sono il presupposto per rompere contiguità e connivenza. E che, spesso, è più faticoso sforzarsi di conoscere che decidere, sulla carta, di essere onesti. La Pressa  


5.6.2023 – Il procuratore aggiunto Paolo Borsellino partecipa a una cena organizzata dai carabinieri di Palermo in un ristorante di Terrasini, alle porte della città.
Vent’anni dopo, quella cena diventerà importante. Molti dei carabinieri che vi parteciparono hanno avuto storie tragiche. Il maresciallo Antonio Lombardo, suicida nella caserma di Terrasini; il tenente Carmelo Canale (cognato di Lombardo, e principale collaboratore di Borsellino) imputato (e assolto) di essere colluso con la mafia; il maggiore Mario Obinu imputato con il generale Mori di collusione con la mafia.
La versione che della cena ha dato nel 2011 l’allora maggiore Umberto Sinico, presente, è che questa fu della massima cordialità e che Borsellino alzò il calice per dire: “Brindo agli onesti” (a dimostrazione che il giudice non aveva nessun dubbio sulla lealtà dell’Arma).
Antonio Ingroia, allora giovane sostituto procuratore e oggi procuratore aggiunto, anche lui presente alla cena, ha un altro ricordo: “Terminiamo di cenare, e il proprietario del locale si avvicina a Paolo, gli sussurra in un orecchio che il cuoco vorrebbe conoscerlo, nulla di più. Paolo mi sembra imbarazzato dalla insolita richiesta, ma dice di sì.
Si alza, va incontro al cuoco, un uomo anziano, dal viso buono. Appena gli stringe la mano, questi si mette a piangere come un bambino. Paolo resta pietrificato per pochi secondi. Poi, commosso, lo abbraccia. I due escono dal ristorante, cominciano a passeggiare parlando fitto fitto, come vecchi amici, in palermitano stretto. ‘Sai Antonio,’ mi racconta in auto mentre rientriamo a Palermo, ‘stavo per mettermi a piangere anch’io. Ha voluto dirmi che i palermitani onesti, i padri di famiglia, sono al nostro fianco.’ Quella cena con i carabinieri, Borsellino la ricorderà per sempre. La chiamerà ‘la cena degli onesti’”. IL POST