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20.11.2023 – L’agenda rossa di Paolo Borsellino conteneva spunti investigativi oltre la mafia
Il contenuto dell’Agenda Rossa credo resterà ancora per molto tempo un mistero irrisolto, almeno fino a quando i soggetti coinvolti al suo interno saranno ancora in vita. I fatti (la richiesta di essere ascoltato come testimone) ci confermano che Paolo Borsellino aveva raccolto una serie di indizi, forse persino prove, dalla morte di Giovanni Falcone fino al giorno del suo assassinio.
L’Agenda Rossa era ed è ancora oggi uno strumento capace di far tremare le fondamenta di quella parte delle istituzioni corrotte dai legami con la mafia. L’ipotesi che potesse essere occultata a casa dell’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, ad onor di logica, si presenta come un assunto difficilmente sostenibile.
Precisando che per gli investigatori la perquisizione era un atto dovuto, mi chiedo perché mai un funzionario di polizia così accorto avrebbe trattenuto con se l’Agenda Rossa? Se anche lo avesse fatto, l’avrebbe nascosta proprio a casa sua? Sarebbe, dal punto di vista investigativo, un errore da principianti e La Barbera non era sicuramente un novellino. Ricordiamoci che l’allora dirigente di polizia creò il pentito Vincenzo Scarantino facendolo diventare uno degli esecutori materiali della strage di via D’Amelio, determinando, di fatto, indagini e processi che condussero al più grande depistaggio della storia repubblicana. Perché questo depistaggio? Chi ne ha tratto vantaggio?
Le dichiarazioni di Scarantino diedero origine a un processo nel quale sono svaniti tutti i coinvolgimenti istituzionali. Nell’Agenda Rossa, a mio giudizio, c’erano anche i nomi dei mandanti esterni a Cosa Nostra. Le cosiddette “menti raffinatissime” di cui fa espressamente menzione Giovanni Falcone dopo l’attentando all’Addaura nei suoi confronti. Questi fatti inoppugnabili sono la dimostrazione che lo Stato purtroppo non ha fatto tutto il possibile per salvare Falcone e Borsellino. Avrebbe dovuto fare la guerra e sembrerebbe si sia voluto mettere d’accordo. Giuseppe Culicchia 20
19.11.2023 Tra le colline di Verona il “segreto di Stato” dell’agenda rossa di Borsellino
La moglie e la figlia di Arnaldo La Barbera indagate per ricettazione con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra
«Se La Barbera fosse ancora vivo, ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?». Le parole del defunto boss Matteo Messina Denaro interrogato poco prima della sua morte dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Giudi rimbombano negli uffici giudiziari di via della Libertà a Caltanissetta. Il boss di Castelvetrano, arrestato dopo trent’anni di latitanza, torna a fare il nome del funzionario della Polizia di Stato che con la sua morte, nel 2002, ha portato con sé i «segreti», forse di Stato, dell’attentato di via D’Amelio avvenuto il 19 luglio del 1992 in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino con gli agenti di scorta. Gli stessi segreti, forse, che Giovanni Tinebra – nel ‘92 alla guida della procura nissena – ha tenuto per sé fino alla fine. Attorno all’eccidio del giudice palermitano anche il mistero della scomparsa dell’agenda rossa in cui il magistrato annotava gli appunti investigativi, in particolare dopo la strage di Capaci in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e alcuni agenti della scorta. Due stragi nel giro di 58 giorni in Sicilia, lontano dai palazzi del potere di Roma.
Ruolo fondamentale
La Barbera, il super poliziotto chiamato a Palermo per seguire le indagini sulla mafia stragi, secondo quanto accertato dal punto di vista giudiziario, ebbe «ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa», così ha sancito la Corte d’Assise di Caltanissetta nel cosiddetto processo Borsellino quater. Ora su quell’agenda c’è il filone di indagine per ricettazione con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. Nel registro degli indagati ci sono i nomi di Serena La Barbera, figlia dell’ex Prefetto, e della madre Angiola che sono difesi dall’avvocato Giuseppe Panepinto lo stesso legale nominato da due poliziotti del gruppo “Falcone – Borsellino” che sono sotto processo dinnanzi la Corte d’Appello di Caltanissetta per calunnia con l’aggravante di aver gevolato Cosa nostra. Dibattimento in primo grado concluso con l’aggravante venuta meno, la prescrizione per due imputati e l’assoluzione con formula piena per un terzo.
Le verità mancanti
La strage di via D’Amelio, quindi, continua ad essere un grattacapo investigativo per la Procura di Caltanissetta perché ancora oggi – dopo 31 anni da quell’episodio – manca nella ricostruzione la fase esecutiva dell’attentato, non si conosce il nome di chi ha premuto il telecomando per far saltare la Fiat 126 carica di tritolo quel pomeriggio di luglio. Dell’agenda rossa ancora non c’è traccia, non si sa a questo punto a chi i familiari del superpoliziotto – che si è ritirato tra le colline di Avesa, una frazione di Verona, nel momento in cui è stato lambito dai primi sospetti – abbiano consegnato quell documento che avrebbero voluto affidare all’amico il quale si sarebbe rifiutato di tenerlo. Tutto questo si sarebbe registrato nel 2018 e cinque anni dopo quella discussione lo stesso testimone ha voluto raccontare la sua verità ai magistrati Nisseni. E lo ha fatto nel mese di maggio quando in Sicilia ci sono le commemorazioni per la morte di Giovanni Falcone.
Personaggio controverso
Un superpoliziotto controverso Arnaldo La Barbera che ha guidato le questure non solo di Palermo ma anche di Napoli e Roma fino a diventare prefetto a Genova quando si registrarono gli scontri del G8 con il famoso blitz alla scuola Diaz. A Palermo avrebbe lavorato «alla eventuale finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra “Cosa Nostra” e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del Magistrato» tanto da ipotizzare «un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino». Quell’agenda nascosta chissà dove. LA SICILIA
19.11.2023 Un uomo con due facce: l’agenda di Borsellino e i segreti di La Barbera
18.11.2023 Un tesoretto trovato sul conto del poliziotto dai due volti. FIAMMETTA BORSELLINO: dentro lo Stato c’é ancora omertà
Anche altri familiari dell’ex prefetto morto nel 2002 sono stati perquisiti ma come soggetti terzi e non indagati nell’ambito di un’inchiesta che tenta di mettere alcuni punti fermi sul destino dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, una delle vicende più inquietanti della storia della mafia e dell’antimafia.
La borsa planò già la sera del 19 luglio nell’ufficio di La Barbera. La novità è che ci sarebbe stata una staffetta in via D’Amelio tra il carabiniere Giovanni Arcangioli che la prelevò dall’auto fumante di Borsellino e un funzionario della Polizia, del quale gli investigatori preferiscono non rivelare il nome, che ha raccontato ai pm di Caltanissetta qualche anno fa di averla presa lui in consegna.
Premette che lui non ha mai visto l’agenda ma aggiunge un particolare che incuriosisce i pm.
Intorno al 2018, un terzo soggetto, in buoni rapporti sia con lui sia con i La Barbera, gli avrebbe raccontato che la famiglia voleva allocare l’agenda altrove.
A detta sempre del testimone, questo terzo soggetto gli avrebbe chiesto la disponibilità a tenere l’agenda rossa di Borsellino. Offerta rispedita al mittente e raccontata solo di recente ai pm.
La Procura di Caltanissetta è guidata da un procuratore molto prudente e riservato, Salvatore De Luca.
La figlia dell’ex prefetto, Serena La Barbera è un funzionario della presidenza del consiglio che si occupa di sicurezza nazionale.
Certamente prima di indagare e perquisire saranno state fatte delle valutazioni sul testimone, che deve essere stato ritenuto almeno a prima vista attendibile.
E comunque anche a loro garanzia i pm che si occupano dell’inchiesta (oltre al procuratore De Luca, l’ aggiunto Pasquale Pacifico, i sostituti e un magistrato distaccato dalla Direzione Nazionale Antimafia, Sandro Dolce) hanno deciso di indagare Angiola e Serena La Barbera e di disporre in segreto le perquisizioni.
La figlia Lucia Borsellino, ancora il 24 ottobre scorso in Commissione Antimafia, ha ricordato: “Sono stata testimone oculare dell’utilizzo dell’agenda da mio padre la mattina del 19 luglio”.
Borsellino quindi aveva come sempre nella sua borsa in pelle marrone la sua agenda rossa dove annotava le cose più segrete del suo lavoro.
Probabilmente su quell’agenda aveva appuntato le piste sulle quali stava lavorando dopo la morte dell’amico e collega Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992.
Il capitano (poi promosso generale di brigata) Arcangioli è stato processato e assolto per la sottrazione dell’agenda.
Si è appurato in quel processo che un agente di Polizia, Francesco Paolo Maggi, aveva redatto una relazione di servizio, consegnata solo il 29 dicembre 1992 alla Procura di Caltanissetta che indagava sulla strage, nella quale sosteneva di avere preso lui dalla macchina fumante di Borsellino la borsa e di averla portata su indicazione del suo superiore Paolo Fassari nell’ufficio del dirigente della squadra mobile della Polizia Arnaldo La Barbera.
Quando Lucia Borsellino chiede con insistenza notizie dell’agenda rossa, il superpoliziotto se la prende.
Scrivono i giudici del processo Borsellino Quater: “Innanzi alla richiesta della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (non presente fra gli altri suoi effetti personali, dentro la borsa), il Dirigente della Mobile di Palermo, con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire; a fronte dell’insistenza della ragazza (che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta), il dottor Arnaldo La Barbera, con la sua voce roca, diceva alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto “delirava” e suggerisce alla madre di badare alla salute della figlia”.
Il carabiniere avrebbe consegnato la borsa proprio al funzionario di Polizia sentito dai pm, che non è Maggi.
Questo ufficiale di polizia ha raccontato in un verbale di sommarie informazioni che fu proprio lui a stoppare Arcangioli chiedendogli la borsa fumante di Borsellino perché la competenza sulle indagini era della Polizia e non dei Carabinieri.
Sempre lui l’avrebbe consegnata a un superiore gerarchico, sempre della Polizia, che poi l’avrebbe portata al dirigente della squadra mobile La Barbera.
C’è da chiedersi se non potesse arrivare una dozzina di anni prima, cioè quando Arcangioli fu indagato, processato e assolto per la foto che lo ritraeva con la borsa in mano.
Sarebbe stato importante allora sapere dal funzionario di Polizia che proprio lui aveva avuto in consegna la borsa da Arcangioli quel giorno.
Nessuno di quelli che toccò o vide la borsa quel giorno, né il capitano assolto, né l’ex magistrato Giuseppe Ayala, presente in via D’Amelio, né l’ex agente Maggi, nessuno aveva mai descritto questa staffetta tra Arma e Mobile. Meglio tardi che mai, certo.
Non hanno trovato smentite ma anzi qualche parziale riscontro alla versione del funzionario di Polizia sulla borsa che si innesta bene con la testimonianza resa pochi mesi fa dall’amico della famiglia La Barbera sull’agenda. Angiola e Serena La Barbera sono difese dall’avvocato Giuseppe Panepinto (illustre legale del foro di Caltanissetta, già difensore del funzionario di Polizia Mario Bo nel processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’amelio – concluso con la prescrizione in primo grado – e del poliziotto Vincenzo Maniscaldi, indagato dalla Procura di Caltanissetta per falsa testimonianza resa nel processo depistaggio stesso) e da Maria Grazia De Leo, con studio a Roma. Entrambi gli avvocati, contattati dal Fatto hanno preferito non rilasciare dichiarazioni. di MARCO LILLO E SAUL CAIA 18 novembre 2023 FQ
Salvatore Borsellino: “L’agenda rossa da La Barbera? Ennesimo depistaggio”
È ancora mistero sulla famosa agenda rossa appartenuta a Paolo Borsellino e sparita dopo la sua morte in seguito all’attentato di Via D’Amelio
È ancora mistero sulla famosa agenda rossa appartenuta a Paolo Borsellino e sparita dopo la sua morte in seguito all’attentato di Via D’Amelio. Solo questa mattina si è diffusa la notizia di una clamorosa inchiesta della Procura di Caltanissetta, per cui l’agenda sarebbe rimasta nascosta in casa dei familiari di Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2022 a causa di un tumore. La rivelazione ai magistrati di Caltanissetta è stata fatta proprio da una persona vicina alla famiglia, nonostante le perquisizioni effettuate mesi fa non abbiano dato riscontro.
Voce di corridoio? Quello che è certo è che nonostante la rinnovata attenzione sulla vicenda rimane ferma la divisione tra i membri della famiglia dell’ex giudice antimafia. Da un lato i figli di Paolo (Lucia, Fiammetta, Manfredi) insieme all’avvocato Fabio Trizzino. Dall’altro lato il fratello Salvatore.
Proprio loro hanno voluto commentare su Affaritaliani.it le indiscrezioni trapelate in giornata sulla famigerata agenda rossa. Fiammetta Borsellino ha tenuto a precisare: “Sto indagando insieme alla mia famiglia, ma sul fatto che si tratti di un fatto clamoroso che l’agenda ce l’avesse La Barbera… mah”.
Più risoluto, invece, Salvatore Borsellino, che su Affaritaliani.it ha così dichiarato: “Preferisco non sovrapporre dichiarazioni che, per l’importanza che riveste per me questo momento, possono anche risentire di fattori emotivi.
Posso solo dirle che si tratta a mio avviso dell’ennesimo depistaggio e che sono parecchio perplesso sulla tempistica”.
Di quale tempistica sta parlando? E perché si tratterebbe dell’ennesimo depistaggio? La storia è lontano dal trovare la sua conclusione definitiva.
18.11.2023 Agenda rossa a casa La Barbera, Salvatore Borsellino: ‘Lo considero un depistaggio’
L’hanno definita “la scatola nera della Seconda Repubblica”. Paolo Borsellino l’ha avuta in regalo dai carabinieri a Natale del 1991 e fino al 23 maggio 1992, il giorno di Capaci, l’ha tenuta chiusa in un cassetto per poi iniziare a usarla. In quell’agenda rossa sono finite annotazioni investigative, impressioni personali, piste da seguire in un periodo in cui l’Italia stava cambiando volto a suon di bombe. Qualcuno sostiene che sia il diario della consapevolezza di un martirio. Fino al giorno di via D’Amelio, quando è sparita nel nulla, volatilizzata dalla borsa di cuoio del magistrato recuperata bruciacchiata dall’auto in fiamme. Trentun anni dopo, i magistrati di Caltanissetta la cercano a casa del maggiore sospettato, il superpoliziotto Arnaldo La Barbera: “Sono perplesso e anzi la considero un depistaggio. – è il commento a caldo di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo –. L’unica certezza che abbiamo è che quella borsa (che conteneva l’agenda rossa) l’ha presa un carabiniere, e mi sembra impensabile che possa averla consegnata a un funzionario di polizia.
Perché un depistaggio?
Sono perplesso sulla tempistica, un po’ strana. E non credo sia casuale che la notizia salti fuori nel momento in cui si cerca di santificare Mario Mori dopo l’assoluzione in Cassazione sulla trattativa Stato-mafia.
Perché è importante l’agenda rossa?
Quei 57 giorni tra Capaci e via D’Amelio sono fondamentali per comprendere le ragioni della strage e dei fatti che hanno influenzato le istituzioni. In quei giorni, mio fratello Paolo aveva annotato le rivelazioni di pentiti non verbalizzate, in vista di future verbalizzazioni, è plausibile che avesse scritto ciò che aveva annunciato di rivelare a Caltanissetta la sera del 25 giugno, quando disse di attendere una convocazione dall’autorità giudiziaria. Ed è probabile che avesse appuntato le sue impressioni sul dossier mafia e appalti, fugando un altro depistaggio, visto che oggi viene riportato come motivo scatenante della strage, cosa a mio avviso irreale. L’importanza di quell’agenda è testimoniata anche dalla prontezza con cui è stata fatta sparire nell’immediatezza dell’attentato, da uomini evidentemente presenti sul posto con quello scopo.
Le Agende Rosse che lei coordina, hanno mappato i movimenti delle persone in quel pomeriggio di 31 anni fa per ricostruire con precisione cosa accadde attorno a quella borsa. Che cosa ha impedito un risultato utile?
Angelo Garavaglia e Anna Protopapa hanno fatto un lavoro prezioso e immane con le foto a nostra disposizione, purtroppo quasi tutte in bassa definizione. Con le foto originali, ad alta definizione, saremmo arrivati più lontano. Ma ci sono state negate: Mediaset, ad esempio, che ha a disposizione un nutrito archivio di quelle foto, nonostante le nostre richieste non ce le ha volute fornire. Ho anche chiesto alla presidente dell’Antimafia Colosimo la costituzione di un comitato per ricostruire i movimenti della borsa che custodiva l’agenda rossa, utilizzando come consulenti i nostri due esperti.
Qualche anno fa, lei disse di essere convinto che suo fratello avesse fatto delle copie dell’agenda. Lo pensa ancora?
Sì, a me risulta che Paolo facesse delle copie di tutto ciò di cui si occupava, che poi conservava con meticolosità assoluta. Così come sono riusciti a entrare nell’ufficio di Falcone per cancellare il data bank, o come sono riusciti a far sparire le carte dalla cassaforte di Dalla Chiesa, penso che lo stesso sia stato fatto in occasione dell’uccisione di mio fratello. Ricordo che mio nipote Manfredi ha dovuto bloccare nello studio di Paolo alcuni personaggi che cercavano o mostravano di cercare qualcosa. Le copie sono state fatte sparire così com’è sparita l’agenda. Giuseppe Lo Bianco (Il Fatto Quotidiano)
18.11.2023 Depistaggio Borsellino: poliziotti sotto inchiesta e perquisizioni per trovare l’agenda rossa
Si nutre di novità salienti, di cui però l’effettiva portata investigativa non è ancora chiara, l’inchiesta sul maxi-depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, in cui, il 19 luglio 1992, il magistrato Paolo Borsellino è rimasto ucciso insieme a cinque membri della sua scorta. Da un lato, infatti, è stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini per l’ipotesi di reato di falsa testimonianza a quattro poliziotti della squadra dell’allora questore di Palermo Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002), giudicato da varie sentenze come il perno attorno a cui è ruotato lo sviamento delle indaginisull’eccidio, che conta tra i suoi membri altri tre poliziotti attualmente a processo per calunnia aggravata. I fatti sono riferiti alla “costruzione” del finto pentito Vincenzo Scarantino, un semplice “balordo di quartiere” che, completamente estraneo alla strage, nel periodo successivo venne costretto ad autoaccusarsi davanti ai magistrati, contribuendo a depistare le indagini per un ventennio. Al contempo, la Procura di Caltanissetta lo scorso settembre ha inviato le forze dell’ordine nella casa della moglie e di una delle figlie di La Barbera, che ora risultano indagate per ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia, dopo che un testimone vicino alla sua famiglia ha raccontato ai pm che l’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino – utilizzata dal magistrato per annotare incontri e spunti investigativi dalla strage di Capaci in avanti e rubata da mani istituzionali dal perimetro della strage – era stata nascosta nella casa dell’ex questore. Le perquisizioni sono scattate: i carabinieri hanno sequestrato una lunga serie di documenti. Ma l’agenda rossa non è stata trovata.
Il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca e il sostituto Maurizio Bonaccorso si apprestano dunque a chiedere un processo per i poliziotti Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco. Le ombre sulle loro condotte sono state evidenziate dalla sentenza di primo grado sul depistaggio Borsellino, in cui è stato dichiarato prescritto il reato di calunnia per il funzionario di polizia Mario Bo e l’ispettore Fabrizio Mattei, essendo per loro caduta l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra, ed è stato assolto un altro ispettore, Michele Ribaudo, in merito al depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio. «Nel clima di omertà istituzionale il dibattimento ha consentito di cristallizzare quattro ipotesi nelle quali soggetti appartenenti o ex appartenenti alla polizia di Stato e al gruppo Falcone e Borsellino hanno reso dichiarazioni insincere», ha sancito la sentenza, in cui è stato messo nero su bianco che “l’ispettore Maurizio Zerilli ha detto 121 non ricordo, e non su circostanze di contorno”, a cui si sommano gli oltre 100 dell’ispettore Angelo Tedesco e 110 di Giuseppe Di Ganci, mentre il quarto indagato, Vincenzo Maniscaldi, “non si è trincerato dietro ai non ricordo, ma si è spinto a riferire circostanze false”. Davanti ai pm, i quattro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Arnaldo La Barbera, superpoliziotto ma anche, nella seconda metà degli anni Ottanta, collaboratore dei servizi segreti, rappresenta il trait d’uniontra la vicenda del furto dell’agenda rossa e quella del depistaggio Scarantino. La storica sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta del Borsellino-Quater del 2017, che ha ricevuto il timbro della Corte di Cassazione, collega la sua figura al macroscopico depistaggio verificatosi sulle indagini sulla strage di Via D’Amelio, che fu incarnato dalle false dichiarazioni rese ai magistrati dal finto pentito Vincenzo Scarantino e costituì il frutto di “un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri”. Secondo i giudici, infatti, “c’è un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sicuramente desumibile dall’identità di uno dei protagonisti di entrambe le vicende”, ovvero La Barbera, ritenuto “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa” e il cui ruolo fu “fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia”. Ed ora, a 31 anni di distanza dalla strage e dal furto del taccuino del giudice, seguendo le parole della loro fonte gli inquirenti hanno cercato – senza riuscire a trovarla – l’agenda proprio nelle abitazioni dei familiari di La Barbera, stroncato da un cancro nel 2002. Anni fa era finito sotto inchiesta per il furto dell’agenda rossa il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, che fu fotografato con la borsa di cuoio in cui l’agenda era contenuta mentre si allontanava da via D’Amelio, che nel 2008 fu però prosciolto in fase d’indagine. Ora, però, il decreto di perquisizione menziona un fotogramma e nuove testimonianze che indicherebbero come Arcangioli – che quel giorno non stilò una relazione di servizio – avrebbe consegnato la borsa a un ispettore di polizia, il quale rivendicava la titolarità dell’indagine per essere arrivato prima rispetto all’Arma. Secondo quanto ricostruito da indagini e processi, successivamente la borsa di cuoio finì proprio nell’ufficio di La Barbera.
Ad apprendere con scetticismo e disillusione queste notizie è stato Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino e fondatore del Movimento delle Agende Rosse. «Ritengo si tratti dell’ennesimo depistaggio riguardante l’agenda rossa e, in particolare, bisognerebbe interrogarsi sul motivo per il quale venga messo in atto con questa tempistica – ha dichiarato a L’Indipendente l’attivista –. Pensare che un capitano dei carabinieri possa avere consegnato un reperto di quella importanza ad un ispettore di polizia senza lasciare alcuna traccia scritta è assolutamente impensabile». Aggiunge Salvatore: «Credo non sia casuale che questa vicenda emerga mentre va in corso l’opera di ‘santificazione’ di Mario Mori e di quel Ros dei carabinieri che, tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, si rese protagonista della trattativa Stato-mafia». Dopo una condanna in primo grado in cui era stato stabilito che l’invito al dialogo partorito dal Ros nei confronti dei vertici mafiosi tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio avesse provocato l’accelerazione della morte di Paolo Borsellino, in appello e in Cassazione tale ricostruzione è stata smentita e i carabinieri sono stati assolti, rispettivamente “perché il fatto non costituisce reato” e “per non aver commesso il fatto”. [di Stefano Baudino] L’INDIPENDENTE
TG COM24
“L’agenda rossa di Borsellino è nascosta a casa del superpoliziotto La Barbera”. Parla un testimone e scattano le perquisizioni
La procura di Caltanissetta ha mandato i carabinieri del Ros nelle abitazioni della moglie e di una delle figlie dell’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2002. L’agenda non è stata trovata, ma sono stati sequestrati molti documenti nell’archivio dell’investigatore ritenuto il regista del depistaggio delle indagini su via D’Amelio
Un testimone racconta che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è stata nascosta a casa dei familiari di Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo al centro di tanti misteri, nel 2002 stroncato da un tumore.
È un racconto molto dettagliato quello che hanno vagliato i magistrati della procura di Caltanissetta, sembra che la rivelazione arrivi da una persona vicina alla famiglia La Barbera. LA REPUBBLICA 17.11.2023 Salvo Palazzolo
Perquisite le case dei familiari di Arnaldo La Barbera alla ricerca dell’agenda rossa di Borsellino. Un testimone: “È nascosta lì”
Due abitazioni passate al setaccio dai Carabinieri del Ros: una a Roma, l’altra a Verona. Un intervento, su mandato dalla Procura di Caltanissetta, alla ricerca dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Le abitazioni sono quelle dei familiari di Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2002, coordinatore delle prime indagini sulla strage di via D’Amelio, quelle depistatedalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. Come anticipa la Repubblica, le perquisizioni a casa della moglie e di una figlia del superpoliziotto sono avvenute lo scorso mese. A farle scattare sarebbe stato il racconto dettagliato di un testimone, una persona vicina alla famiglia La Barbera. L’agenda del magistrato, secondo la testimonianza, sarebbe stata nascosta proprio a casa dei familiari dell’ex capo della squadra mobile di Palermo. L’agenda non è stata trovata ma i militari del Raggruppamento operativo speciale hanno sequestrato tanti documenti dell’archivio del superpoliziotto.
Le ricerche dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, pertanto, non si sono mai fermate. Da anni ormai si dà la caccia a quel diario che il magistrato aveva iniziato a utilizzare subito dopo la morte di Falcone: lì annotava i suoi incontri, il risultato dei suoi interrogatori, i ragionamenti e gli spunti investigativi che stava seguendo e chissà cosa altro. La foto di un carabiniere con lo smanicato azzurro in via D’Amelio subito dopo l’esplosione con in mano la valigetta di Borsellino, portò Giovanni Arcangioli a essere accusato del furto dell’agenda. Accusa dalla quale sarà poi prosciolto. Secondo quanto ricostruito dalle indagini e dalle testimonianze quella stessa valigetta di pelle finirà proprio nella stanza dell’ex capo della squadra mobile di Palermo.
Di certo c’è che fu proprio Arnaldo La Barbera a consegnare alla famiglia la valigetta di Paolo Borsellino. Lucia, la figlia del magistrato, fu una delle prime persone che ha fatto notare la mancanza dell’agenda rossa dalla valigetta del padre. “Io ho testimoniato personalmente in ordine alla presenza dell’agenda rossa nella borsa perché sono stata testimone oculare dell’utilizzo dell’agenda da mio padre la mattina del 19 luglio”, ha detto più volte Lucia Borsellino, ricordando che quando fu riconsegnata alla famiglia la borsa del giudice “mi sono arrabbiata perché non ci era stata consegnata l’agenda rossa ed ero certa che fosse nella borsa”. Già pochi giorni dopo la strage Arnaldo La Barbera dice che dentro la valigetta di Borsellino l’agenda rossa non c’era. O che forse era andata distrutta nell’esplosione.
Quello messo in campo dal gruppo che indagava sulle stragi del ’92 guidato da Arnaldo la Barbera è stato definito dai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Di La Barbera parla anche Matteo Messina Denaro in uno degli interrogatori con i magistrati, avvenuto dopo il suo arresto del gennaio scorso: “Dopo non so quanti anni, avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino e non mi riferisco a voi, è un plurale maiestatis… Ora la mia domanda è, me la pongo, diciamo, da scemo: perché vi siete fermati a La Barbera? Perché La Barbera era all’apice di qualcosa… ha capito cosa… il contesto? “, ha affermato l’ex latitante morto il 25 settembre scorso parlando del falso pentito che con le sue dichiarazioni ha depistato le indagini su via d’Amelio e al superpoliziotto che ha gestito la sua collaborazione. Messina Denaro, sempre parlando in modo criptico, chiude poi l’argomento con una domanda provocatoria: “E se La Barbera fosse ancora vivo, ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?”. di F. Q.| 17 Novembre 2023 FQ
La Barbera e l’agenda rossa di Borsellino: chi era l’ex questore di Palermo
Ecco chi era Arnaldo La Barbera, l’ex questore di Palermo collegato alla famosa agenda rossa del giudice Paolo Borsellino
La famosa agenda rossa del giudicato Paolo Borsellino potrebbe essere transitata prima dalle mani dell’ex questore e capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, e poi successivamente da quelle della sua famiglia.
Come emerso negli ultimi giorni, infatti, lo scorso settembre, sulla base di alcune dichiarazioni rese agli inquirenti da un testimone vicino alla famiglia di La Barbera, sono state effettuate le perquisizioni nelle abitazioni della moglie e della figlia dell’uomo, scomparso nel 2002 a causa di un tumore al cervello.
Stando a quanto appreso, tuttavia, nel corso dei controlli, l’agenda rossa non sarebbe stata rinvenuta.
Ecco chi era Arnaldo La Barbera
Nato a Lecce nel 1942, conseguì la laurea in giurisprudenza all’Università di Bari nel 1962, La Barbera lavorò all’ufficio legale della Montedison. La carriera in polizia iniziò invece nel 1972 come commissario di Pubblica sicurezza, salvo poi diventare capo della squadra mobile di Venezia dalla fine degli anni Settanta, impegnato anche in indagini antiterrorismo. In quel periodo (nel 1986 e nel 1987) risulta essere stato anche un collaboratore del Sisde, il servizio segreto civile, con il nome in codice “Rutilius”. Nell’agosto del 1988 venne promosso capo della squadra mobile di Palermo, a seguito delle dimissioni del suo predecessore Antonino Nicchi. Proprio in Sicilia iniziò a mettere a segno una sequenza impressionante di arresti di latitanti eccellenti, a tal punto di diventare un modello per gli agenti in divisa. Tra i più importanti, quello del pentito Totuccio Contorno, tornato clandestinamente in Sicilia. Il 23 maggio 1992, subito dopo la strage di Capaci, gli venne consegnata dal vice sovrintendente della polizia di Stato, Santo Catani, la borsa di Giovanni Falcone, una ventiquattrore in pelle, di cui successivamente non si avrà più notizia.
La Barbera e l’agenda rossa di Paolo Borsellino
Nel gennaio 1993 viene nominato dirigente generale di PS e trasferito alla Direzione centrale della polizia criminale, per tornare pochi mesi dopo a Palermo su incarico del Capo della Polizia Vincenzo Parisi per guidare il “gruppo d’indagine Falcone-Borsellino” della Polizia di Stato, creato appositamente per gestire le prime indagini sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992, per poi essere nominato nel 1994 questore del capoluogo siciliano, coordinando in questa veste le indagini che portano all’arresto di pericolosi latitanti, come Giovanni Brusca e Pietro Aglieri.
Nel 1993 ha convinto inoltre a collaborare il falso pentito Vincenzo Scarantino, che portò ai processi sulla strage di via d’Amelio, le cui risultanze furono però completamente smentite diciassette anni dopo da Gaspare Spatuzza nel processo Borsellino quater[9][10], nella cui sentenza di primo grado i giudici hanno scritto che: «…[La Barbera ebbe un] ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa…»
Gli ultimi incarichi fino alla morte nel 2002
La Barbera rimase a Palermo fino al febbraio del 1997, quando arriva la nomina a questore di Napoli. Il 14 ottobre del 1999 divenne questore di Roma, dove resta fino al gennaio 2001. Da gennaio 2001, nominato prefetto dal Consiglio dei ministri, è a capo della Direzione centrale della polizia di prevenzione (l’ex Ucigos), da cui viene spostato il 3 agosto 2001 per un avviso di garanzia ricevuto dopo l’irruzione della polizia alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, per andare alla vice direzione del CESIS, l’organo di coordinamento dei servizi d’intelligence. Durante il G8 di Genova decise l’assalto alla scuola Diaz insieme al questore di Genova Francesco Colucci, il capo del Servizio centrale operativo della Polizia Francesco Gratteri, e il dirigente dell’Ucigos Giovanni Luperi. La morte avvenne nella capitale il 12 dicembre 2002, c a causa di un tumore al cervello. Daniele D’Alessandro QUOTIDIANO DI SICILIA
Caltanissetta, Depistaggio Borsellino: “L’agenda rossa mai trovata era a casa di La Barbera”
L’agenda rossa di Paolo Borsellino, dopo la strage di via D’Amelio, era a casa dell’ex Questore Arnaldo La Barbera? A dirlo è un testimone ascoltato di recente dalla Procura di Caltanissetta che ha mandato i carabinieri del Ros nelle abitazioni della moglie e di una delle figlie dell’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2002.
Sembra che a parlare sia stata una persona vina alla famiglia La Barbera. L’agenda, come scrive oggi Repubblica, non è stata trovata, ma sono stati sequestrati molti documenti nell’archivio dell’investigatore ritenuto il regista del depistaggio delle indagini su via D’Amelio. Il decreto di perquisizione collega un nuovo fotogramma dei momenti della strage con la pista d’indagine che riguarda il colonnello Giovanni Arcangioli.
Quest’ultimo è stato fotografato mentre teneva in mano la borsa del giudice. Arcangioli, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbe consegnato la borsa a un ispettore di polizia. Poco dopo sarebbe finita nella stanza di un dirigente. Arcangioli scrisse la relazione soltanto cinque mesi dopo l’accaduto.
Il tribunale di Caltanissetta ha scritto nella sentenza sul depistaggio che La Barbera “ha avuto un comportamento inqualificabile. Dapprima disse alla vedova che la borsa del marito era andata distrutta. Poi gliela restituì mesi dopo, negando la presenza dell’agenda rossa. All’epoca fu la figlia Lucia a discutere con La Barbera”. “A fronte dell’insistenza della ragazza, che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta il dottor La Barbera, con la sua voce roca, disse alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto delirava e farneticava», ha ricostruito il tribunale.
«Un atteggiamento che rivelava non solo un’impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche un’aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino». Nella sentenza per il depistaggio scaturita dalle dichiarazioni del falso pentito Paolo Scarantino i giudici hanno scritto che rimane il dubbio se sulla vicenda della relazione ci sia stata negligenza o qualcosa di più. IL FATTO NISSENO 17.11.2023
Agenda rossa di Borsellino, la testimonianza dopo 30 anni: «È nascosta a casa dell’ex questore La Barbera». Scattate le perquisizioni
Una recente testimonianza raccolta dalla Procura di Caltanissetta riapre il filone d’inchiesta sull’agenda rossa di Paolo Borsellino: secondo quanto riferito dal testimone, l’agenda si troverebbe a casa dell’ex Questore Arnaldo La Barbera. Una pista che rimetterebbe in gioco i misteri contenuti nella preziosa agenda rossa nella quale Borsellino annotava e raccoglieva nomi e informazioni che sono andate comletamente perdute dopo la strage di via D’Amelio.
La nuova testimonianza a 31 anni dalla strage
Dopo la testimonianza, la Procura di Caltanissetta ha disposto le perquisizioni, eseguite dai carabinieri del Ros, nelle abitazioni della moglie e di una delle figlie dell’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, morto nel 2002. A parlare, sembra che sia stata una persona vina alla famiglia La Barbera. Tuttavia, stando alle informazioni finora trapelate, nelle case della moglie e dalla figlia, fra Roma e Verona, l’agenda non risulta essere stata trovata. I carabinieri hanno però sequestrato numerosi documenti nell’archivio dell’investigatore, il quale è ritenuto il regista del depistaggio delle indagini su via D’Amelio.
Il testimone, la cui dichiarazione arriva a 31 anni dalla strage, ha spiegato essersi deciso a parlare adesso sull’onda emotiva sollevata da alcunu interventi sul tema, precisando di non avere mai visto l’agenda rossa.
La pista del colonnello Arcangioli
Il decreto di perquisizione si lega alla pista d’indagine che riguarda il colonnello Giovanni Arcangioli.
Quest’ultimo fu infatti stato fotografato mentre teneva in mano la borsa del giudice. Arcangioli, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbe consegnato la borsa a un ispettore di polizia e, poco dopo, la borsa sarebbe finita nella stanza di un dirigente.
Il tribunale di Caltanissetta nella sentenza sul depistaggio scrisse che La Barbera «ha avuto un comportamento inqualificabile. Dapprima disse alla vedova che la borsa del marito era andata distrutta. Poi gliela restituì mesi dopo, negando la presenza dell’agenda rossa. All’epoca fu la figlia Lucia a discutere con La Barbera». «A fronte dell’insistenza della ragazza, che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta il dottor La Barbera, con la sua voce roca, disse alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto delirava e farneticava», ha ricostruito il tribunale. «Un atteggiamento che rivelava non solo un’impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche un’aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino». Nella sentenza per il depistaggio scaturita dalle dichiarazioni del falso pentito Paolo Scarantino i giudici hanno scritto che rimane il dubbio se sulla vicenda della relazione ci sia stata negligenza o qualcosa di più.
IL MESSAGGERO 17.11.2023
La nuova indagine sull’agenda rossa di Paolo Borsellino: «Era a casa del poliziotto La Barbera»
L’agenda rossa di Paolo Borsellino è rimasta nascosta in casa dei familiari di Arnaldo La Barbera. Ovvero l’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2022 a causa di un tumore. La rivelazione ai magistrati di Caltanissetta è stata fatta proprio da una persona vicina alla famiglia. Mentre il mese scorso sono scattate alcune perquisizioni nell’indagine aperta dalla procura. I carabinieri del Ros sono arrivati a casa della vedova e di una delle figlie, rispettivamente a Roma e a Verona. Ma non hanno ottenuto risultati. Dell’inchiesta che porta di nuovo al centro il caso dell’agenda rossa del giudice assassinato insieme alla sua scorta il 19 luglio 1992 in via d’Amelio parla oggi Repubblica.
Il decreto di perquisizione collega un nuovo fotogramma dei momenti della strage con la pista d’indagine che riguarda il colonnello Giovanni Arcangioli. Quest’ultimo è stato fotografato mentre teneva in mano la borsa del giudice. Arcangioli, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbe consegnato la borsa a un ispettore di polizia. Poco dopo sarebbe finita nella stanza di un dirigente. Arcangioli scrisse la relazione soltanto cinque mesi dopo l’accaduto. Il tribunale di Caltanissetta ha scritto nella sentenza sul depistaggio che La Barbera «ha avuto un comportamento inqualificabile. Dapprima disse alla vedova che la borsa del marito era andata distrutta. Poi gliela restituì mesi dopo, negando la presenza dell’agenda rossa. All’epoca fu la figlia Lucia a discutere con La Barbera.
«A fronte dell’insistenza della ragazza, che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta il dottor La Barbera, con la sua voce roca, disse alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto delirava e farneticava», ha ricostruito il tribunale. «Un atteggiamento che rivelava non solo un’impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche un’aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino». Nella sentenza per il depistaggio scaturita dalle dichiarazioni del falso pentito Paolo Scarantino i giudici hanno scritto che rimane il dubbio se sulla vicenda della relazione ci sia stata negligenza o qualcosa di più. OPEN 17.11.2023
Palermo, “l’agenda rossa di Borsellino è a casa di La Barbera”: la testimonianza
Nelle intricate pieghe della storia italiana e degli oscuri angoli del potere, emerge un nuovo capitolo legato all’agenda rossa di Paolo Borsellino. Un testimone, le cui informazioni sono ora al vaglio della procura di Caltanissetta, ha rivelato che l’agenda rossa di Borsellino potrebbe essere stata nascosta a casa dei familiari di Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo. La Barbera è deceduto nel 2002 a causa di un tumore. Il racconto del testimone è dettagliato e sembra provenire da una fonte vicina alla famiglia La Barbera. Le autorità, come riferisce Repubblica, hanno recentemente eseguito perquisizioni nelle residenze della moglie e di una delle figlie dell’ex capo della squadra mobile, spaziando da Roma a Verona. Nonostante la ricerca intensiva, l’agenda rossa del giudice ucciso dalla mafia non è stata ritrovata. Tuttavia, i documenti sequestrati durante le perquisizioni potrebbero fornire nuove chiavi di lettura sulla figura di La Barbera.
Le indagini attuali si concentrano sulla presunta connessione di La Barbera con la creazione del falso pentito Vincenzo Scarantino, una figura chiave nel depistaggio riguardante la strage di Borsellino. Il Raggruppamento Operativo Speciale (Ros) ha portato via numerosi documenti appartenuti a La Barbera, che oggi, scrive il quotidiano, “viene considerato il regista di questa spregiudicata operazione sulla creazione del falso pentito”. La vicenda intricata coinvolge anche il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, precedentemente indagato per furto dell’agenda rossa. Il documento menziona un fotogramma e nuove testimonianze che suggeriscono che Arcangioli avrebbe consegnato la borsa del magistrato a un ispettore di polizia. Questo ispettore, affermando la sua titolarità dell’indagine, avrebbe poi trasferito la borsa alla squadra mobile.
La Barbera avrebbe dapprima dichiarato alla vedova Borsellino che la borsa del marito era andata distrutta nell’esplosione, per restituirla solo mesi dopo, negando l’esistenza di eventuali agende rosse. Il tribunale di Caltanissetta ha criticato aspramente La Barbera per questo comportamento, definendolo “veramente inqualificabile” e indicando un’evidente insensibilità verso il dolore della famiglia Borsellino. L’agenda rossa di Borsellino presumibilmente contiene annotazioni dettagliate sulle indagini sulla mafia portate avanti con Giovanni Falcone. Il suo ritrovamento sarebbe utile a ricostruire un pezzo della storia dell’Italia dello scorso secolo.
Agenda Rossa Borsellino, perquisite case familiari di La Barbera
Le abitazioni della moglie e dalla figlia, fra Roma e Verona, dell’ex capo della squadra mobile della Questura di Palermo, Arnaldo La Barbera, sono state perquisite su disposizione della Procura di Caltanissetta nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio a Palermo e la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Lo riporta il quotidiano La Repubblica.
Il decreto, secondo quanto si è appreso, eseguito lo scorso settembre, è stato emesso dopo che una persona molto amica della famiglia La Barbera avrebbe detto di avere saputo che l’agenda rossa sarebbe stata in possesso prima dell’ex capo della squadra mobile di Palermo, poi della sua famiglia.
Il testimone, la cui dichiarazione arriva a 31 anni dalla strage, ha spiegato essersi deciso a parlare adesso sull’onda emotiva sollevata da interventi sul tema, precisando di non avere mai visto l’agenda rossa. Agenda rossa che durante le perquisizioni non è stata trovata. Durante l’esecuzione del decreto sono stati acquisiti dei documenti riferibili ad Arnaldo La Barbera, morto nel 2002 dopo avere avuto una grave malattia. ANSA 17.11.2023
I carabinieri del Ros cercano a Verona l’agenda rossa di Borsellino
Sono venuti un mese fa a cercarla nella casa sulle colline di Avesa, i carabinieri del Ros, lì dove ancora abita la vedova del prefetto Arnaldo La Barbera. Su mandato della procura di Caltanissetta ne hanno perquisito ogni anfratto, i militari del raggruppamento operativo speciale. Come hanno rovistato nell’abitazione romana di una delle figlie di La Barbera. Nessuna traccia di quel «diario» in cui Borsellino annotava ogni cosa. Ma dalle due abitazioni sarebbero stati portati via diversi documenti di quello che si definiva «poliziotto e uomo di Stato». A raccontarlo, su La Repubblica, Salvo Palazzolo. Sarebbe stato un testimone, vicino alla famiglia La Barbera, a svelare che quell’agenda sarebbe stata nascosta nell’abitazione veronese di quello che, all’epoca, era il capo della squadra mobile di Palermo e che oggi è, scrive Palazzolo, «ritenuto il regista della spregiudicata operazione che portò alla creazione del falso pentito Vincenzo Scarantino,il balordo di borgata che per anni ha tenuto lontana la verità sulla strage Borsellino».
Uno, Arnaldo La Barbera, che secondo la procura nissena avrebbe favorito la mafia e i suoi regnanti, ma che per il tribunale della stessa città era invece ossessionato dal trovare i colpevoli di quella strage. Sono arrivate in quella casa ad Avesa, le indagini. Lì vive da sempre la moglie Angiola. Ed era lì che tornava sempre Arnaldo. Quando era capo della Mobile a Venezia, a dar la caccia a Felice Maniero. Quando andò a Palermo. Quando divenne questore a Napoli e poi a Roma. Quando fu nominato prefetto, a capo della direzione centrale della polizia di prevenzione (l’ex Ucigos). Poi arrivarono le inchieste che lo videro per la prima volta «dall’altra parte», quella dell’accusato. CORRIERE VENETO
L’agenda rossa di Borsellino, perquisite le case dei familiari di La Barbera C’è un nuovo testimone
Colpo di scena nella lunga e misteriosa storia della sparizione dell’agenza rossa di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992. L’agenda, dalla quale il magistrato non si separava mai, come spiegato più volte i familiari di Borsellino, scomparve nell’inferno di quella domenica di luglio di oltre 31 anni fa ma ora c’è un elemento nuovo: sarebbe stata in possesso dell’ex capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera.
I ROS IN AZIONE
La circostanza viene raccontata dal quotidiano ‘la Repubblica’, che parla di una perquisizione avvenuta nelle case della moglie e di una delle due figlie di La Barbera. Ad eseguirle sono stati i carabinieri del Ros, su disposizione della Procura di Caltanissetta, che indaga per competenza sul mistero di via D’Amelio. La ricerca nelle abitazioni dei familiari di La Barbera, morto nel dicembre 2022 a causa di un male incurabile, prende le mosse dal racconto di un supertestimone ascoltato dai magistrati nisseni. Secondo le rivelazioni di quest’ultimo, l’agenda rossa di Paolo Borsellino sarebbe stata nascosta proprio a casa del superpoliziotto. Da qui la decisione di passare al setaccio le due abitazioni.
LA BARBERA E IL FALSO PENTITO SCARANTINO
Il nome di La Barbera è legato a un altro grande mistero della strage di via D’Amelio: la costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino, un piccolo malvivente di borgata che nulla sapeva della fase preparatoria della strage. Anche in questo caso le indagini sono state condotte dalla Procura di Caltanissetta, che ha mandato sotto processo tre poliziotti del gruppo guidato allora da La Barbera. Per due di loro è scattata la prescrizione, mentre il terzo è stato assolto. Il processo di secondo grado sul depistaggio nelle indagini su via D’Amelio si è aperto a fine ottobre presso la Corte d’appello di Caltanissetta.
LE VITTIME DI VIA D’AMELIO
Nelle aule del tribunale nisseno tornerà a risuonare il nome di La Barbera, uno dei grandi punti interrogativi che ruotano attorno alla strage di via D’Amelio costata la vita a Paolo Borsellino e ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina.
“L’agenda rossa di Borsellino a casa di Arnaldo La Barbera”, scattano le
Una persona vicina alla famiglia all’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, morto nel 2022 a causa di un tumore, ha rivelato ai magistrati di Caltanissetta che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è rimasta nascosta in casa dei familiari del superpoliziotto. Per questo il mese scorso sono scattate alcune perquisizioni nell’indagine aperta dalla Procura. I carabinieri del Ros sono arrivati a casa della vedova e di una delle figlie dell’ ex capo della mobile, rispettivamente a Roma e a Verona. Ma non hanno ottenuto risultati. Oggi è Repubblica a parlare dell’inchiesta che porta di nuovo al centro il caso dell’agenda rossa del giudice assassinato insieme alla sua scorta il 19 luglio 1992 in via d’Amelio.
La borsa di Borsellino e l’agenda rossa
C’è una immagine dei momenti della strage che collega il decreto di perquisizione con la pista d’indagine. Riguarda il colonnello Giovanni Arcangioli, fotografato mentre teneva in mano la borsa del giudice. Secondo l’ipotesi investigativa, Arcangioli avrebbe consegnato la borsa a un ispettore di polizia e poco dopo sarebbe finita nella stanza del dirigente. Arcangioli presentò la relazione su quanto accaduto soltanto cinque mesi dopo l’accaduto.
Il tribunale di Caltanissetta, nella sentenza sul depistaggio scrisse che La Barbera “ha avuto un comportamento inqualificabile. Dapprima disse alla vedova che la borsa del marito era andata distrutta. Poi gliela restituì mesi dopo, negando la presenza dell’agenda rossa”. All’epoca fu la figlia Lucia a discutere con La Barbera.
L’incontro di La Barbera con Lucia Borsellino
“A fronte dell’insistenza della ragazza, che usciva persino dalla stanza sbattendo la porta – ha ricostruito la sentenza -, il dottor La Barbera, con la sua voce roca, disse alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto delirava e farneticava. Un atteggiamento che rivelava non solo un’impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche un’aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino”. Nella sentenza per il depistaggio scaturita dalle dichiarazioni del falso pentito Paolo Scarantino, i giudici hanno scritto che rimane il dubbio se sulla vicenda della relazione ci sia stata negligenza o qualcosa di più. PALERMO LIVE 17.11.2023
Depistaggi e nuovi testimoni, sempre più fitto il mistero intorno alle stragi del ’92, l’agenda rossa e le perquisizioni 30 anni dopo Nuove perquisizioni in casa del “superpoliziotto”
Si fa sempre più tetro il clima attorno alle stragi del 1992 in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Attorno alle infinite inchieste sui depistaggi ci sarebbero almeno due fatti nuovi. Anzitutto delle nuove perquisizioni nelle abitazioni dei familiari del superpoliziotto Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, su cui vi è il sospetto che fosse alla regia di quei depistaggi. E poi il pronunciamento del tribunale del riesame che conferma la richiesta della Procura di Caltanissetta di arrestare Walter Giustini, il carabiniere che secondo alcuni magistrati avrebbe avuto un ruolo chiave in questi depistaggi. Il decreto di perquisizione avrebbe riguardato le abitazioni fra Roma e Verona, secondo quanto rivela il quotidiano “La Repubblica”, della moglie e della figlia di La Barbera. I carabinieri del Ros sono alla ricerca di documenti e qualcosa sarebbe stata portata via da queste due abitazioni. Sul “superpoliziotto” ci sarebbero forti sospetti che potrebbe avere lui quella famosa agenda rossa che fu di Borsellino e che qualcuno vide portare via dal luogo della strage di via D’Amelio. Lui ne sarebbe stato a conoscenza, ma lo avrebbe scritto diversi mesi dopo il ritrovamento nelle sue relazioni d’indagine. La Barbera oggi è ritenuto uno dei presunti registi della creazione del falso pentito Vincenzo Scarantinocon l’obiettivo proprio di depistare le indagini sulle stragi.
“Giustini va arrestato”
Parallelamente c’è poi la svolta su Walter Giustini. L’ex brigadiere è finito ai domiciliari dopo il pronunciamento del tribunale del riesame. Il suo legale ha già fatto ricorso e se ne parlerà nell’udienza del prossimo 20 dicembre. Sarebbe ritenuto “inaffidabile” l’ex brigadiere le cui “rivelazioni” avrebbero aperto una presunta pista fascista all’interno della magistratura su fantomatici piani per colpire giudici non graditi. Il militare oggi in pensione era stato iscritto dalla Procura di Caltanissetta nel registro degli indagati per “frode in processo penale e depistaggio” e “calunnia” nei confronti del pubblico ministero Vittorio Teresi. Si va rafforzando l’idea che in realtà anche lui con le sue rivelazioni avessero voluto depistare le indagini sulle stragi del ‘92. BLOG SICILIA 17.11.2023