19 Ottobre 2015 LA REPUBBLICA
“Il 19 luglio del 1992, il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, un’agenda rossa da cui non si separava mai” Lo ha detto in aula a Caltanissetta la figlia del magistrato assassinato dalla mafia, Lucia Borsellino, al processo sulla strage di via d’Amelio. “Non so perché la usasse – ha aggiunto – o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro”. Paolo Borsellino, quella domenica mattina del 19 luglio del 1992, giorno dell’attentato in cui venne ucciso, prima di uscire da casa, nella sua borsa inserì un’agenda marrone, un’agenda rossa, il costume da bagno chiavi di casa e sigarette. Quella stessa mattina, arrivò nella casa della famiglia del magistrato, una telefonata del procuratore di Palermo, Pietro Giammanco.
A riferirlo, è stata in Corte d’Assise di Caltanissetta, nel corso del processo per la strage di via d’Amelio, Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso. “Dopo la strage – ha detto Lucia Borsellino – la borsa ci venne riconsegnata dal questore Arnaldo La Barbera, ma mancava l’agenda rossa. Mi lamentai subito della mancanza di quell’agenda rossa. Ho avuto una reazione scomposta. Me ne andai sbattendo la porta. Chiesi con vigore che fine avesse fatto la borsa e il questore Arnaldo La Barbera, rivolgendosi a mia madre, gli disse che probabilmente avevo bisogno di un supporto psicologico perché ero particolarmente provata. Mi fu detto che deliravo. La Barbera escludeva che l’agenda fosse nella borsa”.
Lucia Borsellino ha anche riferito, che il padre teneva anche un’agenda grigia, con la copertina dell’Enel, dove era solito annotare tutto, in maniera quasi maniacale. Agenda, le cui fotocopie, sono state consegnate alla Procura di Caltanissetta e in particolare alla dottoressa Palma, mentre l’originale è ancora in possesso della famiglia Borsellino. Lucia Borsellino ha anche detto, che il procuratore Giammanco probabilmente quella mattina cercava il giudice Borsellino per affidargli inchieste riguardanti Palermo, visto che il magistrato in quel periodo si occupava del trapanese.
Lucia Borsellino ha aggiunto che il giudice Paolo rimase particolarmente turbato quando l’allora fidanzato della figlia Lucia, gli chiese di esprimere un parere su Bruno Contrada, ex funzionario del Sisde: “Mio padre – ha sottolineato – disse che Contrada era una persona della quale non bisogna parlare. Credo che la sua espressione fosse assolutamente eloquente in maniera negativa. Lo vidi molto turbato”. Lucia Borsellino ha anche riferito che dopo le dichiarazioni rese dalla madre alla Procura di Caltanissetta, un alto ufficiale dei Carabinieri, Antonio Subranni, disse che sua mamma era malata di alzheimer. “Cosa che escludo categoricamente perché mia mamma era malata di leucemia ed è stata lucida fino alla morte”, ha proseguito.
Si è commosso in aula Manfredi Borsellino, ricostruendo gli ultimi momenti di vita del padre. “Sono momenti che non si possono rimuovere”, ha detto deponendo davanti alla Corte d’Assise. “Quel giorno mio padre, prima di lasciare la villa dove avevamo pranzato, mi salutò due volte. Lo accompagnai lungo la strada, dove erano parcheggiate le blindate e insieme percorremmo una settantina di metri. Aveva in una mano la borsa che poi sistemò in macchina”. “Dopo la strage di Capaci mio padre usava l’agenda rossa in modo compulsivo. Scriveva costantemente. E si trattava sicuramente di appunti di lavoro e dell’attività frenetica di quei giorni”. Il figlio del giudice si è detto certo che nell’agenda, scomparsa dopo la strage dalla borsa in cui il magistrato la custodiva, ci fossero cose importanti. “Mio padre – ha spiegato – dopo la morte di Falcone era consapevole che sarebbe toccato a lui e di essere costantemente in pericolo. Aveva l’esigenza di lasciare tracce scritte. Non poteva metterci in pericolo rivelandoci delle cose”. Borsellino è convinto che se l’agenda rossa fosse stata trovata le indagini sulla morte del padre avrebbero avuto una piega diversa.
“Nessuno ci chiese perché attribuivamo tanta importanza all’agenda rossa. E invece credo che investigativamente fosse importante fare accertamenti”, ha aggiunto Manfredi Borsellino che ha lungamente parlato del diario da cui il padre, raccontano i familiari, soprattutto negli ultimi giorni di vita non si separava mai e che scomparve dalla borsa del giudice dopo l’eccidio. “Quando l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera ci ridiede la borsa – ha aggiunto – e vedemmo che l’agenda non c’era e chiedemmo conto della cosa, si irritò molto. Sembrava che gli interessasse solo sbrigarsi e che gli stessimo facendo perdere tempo. Praticamente disse a mia sorella Lucia che l’agenda non era mai esistita e che farneticava. Usò dei modi a dir poco discutibili”
“Mio padre, dopo la morte di Giovanni Falcone, attendeva con ansia di essere interrogato dai magistrati della procura nissena, a tal punto che una volta disse pubblicamente: io qui non vi posso dire nulla, ciò che ho da dire lo dirò ai magistrati competenti – ha sottolineato – Mio padre sapeva perfettamente che sarebbe stato estremamente difficile sottrarsi al suo destino”. In realtà Paolo Borsellino avrebbe dovuto essere ascoltato dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sulla strage di Capaci, il 20 luglio ma il giorno prima fu ucciso. Manfredi Borsellino ha poi aggiunto che sua mamma è stata chiamata a testimoniare, in un’aula di un tribunale, una sola volta mentre sia per lui che per la sorella Lucia, questa è la prima volta che vengono chiamati a testimoniare dinanzi ad una Corte d’Assise. A proposito invece dell’ex funzionario del Sisde, Bruno Contrada, Manfredi Borsellino ha riferito che il padre non ha mai pronunciato questo nome. “Probabilmente era una persona – ha spiegato – che mio padre non stimava”.
Prima dei figli del magistrato aveva deposto l’ex ministro della Difesa, Salvo Andò. “Vidi in aeroporto, a Roma, Paolo Borsellino dopo la strage di Capaci. Ci appartammo per parlare e io gli accennai alla nota del capo della polizia Parisi in cui si parlava di un rischio di attentati ai nostri danni. Lui, meravigliato, mi disse di non essere stato informato della vicenda”, ha raccontato Andò al processo che vede imputati i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta.
Andò aveva saputo da Parisi, allora capo della polizia, di un piano di attentati che avrebbe avuto come bersagli sia lui che Borsellino. Nessuno però avrebbe avvertito il giudice. Il teste ha poi negato di avere mai avuto dai carabinieri del Ros richieste di supporto politico per contatti con esponenti di Cosa nostra. Sull’avvicendamento al Viminale tra Vincenzo Scotti e Nicola Mancino, secondo alcune ipotesi investigative finalizzato a neutralizzare l’attività antimafia avviata da Scotti, Andò ha detto: “Scotti non mi ha mai detto nulla di ciò. Anzi quando si dimise da ministro non fece cenno a desideri di proseguire la sua azione, mi disse solo che, avendo la Dc posto i suoi davanti alla scelta tra la carica di parlamentare e quella di ministro, di avere optato per il Parlamento”.
Andò ha anche detto di non sapre nulla della presunta trattativa Stato-mafia: “Non ho mai incontrato Mario Mori”, ex comandante del Ros, ha detto Ando’. “Non l’ho mai cercato, nè mi ha mai cercato. Stranamente non ha mai avuto rapporti con me. Credo che forse avesse rapporti con altre forze politiche. Altri invece, visto il mio ruolo nel Psi e in qualità di ministro della Difesa, invece li tenevano. Non so nulla di rapporti fra i vertici del Ros e Vito Ciancimino. Se notizie del genere fossero arrivate all’allora prefetto Parisi, lui mi avrebbe informato”. Andò ha anche aggiunto che non conosceva l’allora Capitano del Ros Giuseppe De Donno e di aver conosciuto Antonio Subranni, anche lui ufficiale del Ros, in un’occasione conviviale. L’ex esponente del Psi, ha altresì riferito che dopo l’omicidio Lima, Giovanni Falcone gli disse che “presto scoppierà un gran casino. C’era il segnale di un clima di guerra. Ho avuto l’impressione che Falcone a Palermo vivesse male. C’era chi lo amava ma anche chi tendeva ad isolarlo. Mi disse la mia vita vale meno di questo bottone”.
Dopo Andò i giudici ascoltano la figlia del giudice, Lucia Borsellino: “Il 19 luglio del 1992, il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, un’agenda rossa da cui non si separava mai- ha detto Lucia Borsellino – non so perché la usasse – ha aggiunto – o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro”. La prossima udienza è fissata per domani alle 10,30.