‘NDRANGHETA – Fa arrestare l’ex marito e il suocero che la rapirono e la costrinsero al matrimonio

Attenta a come ti muovi perché la ruspa è pronta”.



2.12.2023 – Rapita e costretta al matrimonio, ora è la principale teste contro l’ex marito e il suocero
, ‘ndranghetisti del clan Pesce di Rosarno. Sono stati arrestati questa mattina all’alba, Domenico e Rosario Arena, padre e figlio “specializzati in estorsioni e minacce”, esponenti di spicco del clan Pesce.

 


Costretta a sposarsi  e a diventare madre da ragazzina, si ribella e fa arrestare gli uomini del clan Pesce di Rosarno, in Calabria

Rapita davanti a scuola e costretta a convivere con un uomo che non voleva a soli quindici anni. Sposata per forza e donna “di famiglia” per comando, a cui ha sempre cercato di ribellarsi.
Dietro l’arresto di due uomini ritenuti espressione limpida del clan Pesce di Rosarno – fermati questa mattina dai carabinieri di Reggio Calabria, su richiesta della procura antimafia diretta da Giovanni Bombardieri e per ordine del giudice per le indagini preliminari – c’è una donna che li conosce bene.
È l’ex moglie di uno dei due, che contro l’uomo con cui è stata costretta a vivere e il padre di quest’ultimo ha puntato il dito, raccontando affari e contatti illeciti di quella famiglia, così come l’incubo privato in cui è stata costretta a vivere.
Per anni, mette a verbale, l’ex marito e l’ex suocero hanno vessata cercando di costringerla a partecipare agli affari di famiglia, a subire e tacere su attenzioni non volute, a essere a disposizione per tutti “gli uomini di casa”. Ma lei ha detto no.
No a un uomo che l’ha letteralmente rapita davanti a scuola, imponendole un matrimonio. No a un sistema che le ha per lungo tempo impedito di concludere gli studi, ma a cui si è ribellata prendendo prima il diploma poi la laurea.
“Ho provato ad iscrivermi presso l’università a Messina, ma Rosario me lo ha vietato categoricamente”, racconta ai magistrati, spiegando come un’università telematica le abbia dato la possibilità di aggirare quei divieti.
“Quando ho discusso la tesi mio marito ha detto come mi fossi permessa, che avrei dovuto portare il lutto”.
No a una famiglia in cui si pretendeva che fosse una cosa, uno strumento da usare per consegnare droga, recapitare messaggi, tenere i rapporti con i detenuti, soddisfare voglie.
Un sistema che nelle altre donne di famiglia trovava delle complici. La sorella del marito che, racconta, “mi ha anche minacciato appena ho messo piede in quella casa.
Avevo 17 anni”. Il messaggio, ripetuto spesso anche dagli uomini di famiglia, era esplicito: “Attenta a come ti muovi perché la ruspa è pronta”.
E la cognata che “collaborava alle attività illecite della famiglia Arena e assecondava i desideri sessuali del mio ex suocero”.
Pretendevano lo stesso anche da lei, che ha sempre detto no. E arrivavano le botte.
“Mio marito mi chiamava ‘pentita’, mi alzava le mani addosso, mi abbandonava 3-4 notti,e diceva che se ne andava per colpa mia”. Violenze fisiche e psicologiche continue – “mi sono spesso state recapitate, nella cassetta della posta, scritte al computer e prive di francobollo, lettere con un contenuto sempre offensivo” –racconta ai magistrati.
Nel 2018 dice basta. Il marito era in carcere, lei ne approfitta per andare via. E rimane ferma nel proposito nonostante le minacce, ottiene l’annullamento del matrimonio religioso, combatte per un divorzio che non è ancora riuscita a strappare.
“Il mio ex suocero, mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa, avrebbe distrutto tutto e ci avrebbe uccisi”. Intimidazioni sempre denunciate, con il sostegno della famiglia d’origine che mai, avrebbe voluto quel rapporto.
Ma la paura a dire di no nella Piana di Gioia Tauro è tanta. Anche lei – racconta – giovanissima si è piegata a quell’uomo che non voleva, che era stato “errore di gioventù” di una ragazzina e subito aveva lasciato.
Lui però quel no non lo ha accettato, con altre cinque persone l’aveva rapita davanti a scuola, tenendola sequestrata per tre giorni, imponendole prima una convivenza, poi il matrimonio. “Avevo paura che se mi fossi ribellata le conseguenze le potessero pagare i fratelli, i familiari, tutti”.

Resiste per anni, nel 2018 si libera, nel 2020 sceglie di andare oltre quel No privato. Decide di denunciare, contatta prima la procura di Reggio Calabria, poi quella di Catanzaro, racconta degli affari della famiglia da cui è scappata, dell’arsenale che hanno a disposizione e dove ha visto quelle armi, dei contatti con boss e gregari di altri clan, dei terreni e delle proprietà che hanno in mano nonostante risultino intestati ad altri, delle azioni violente di cui ha sentito parlare, dei rapporti. “Mio marito si vantava dì poter corrompere giudici e autorità varie. Questo atteggiamento era comune a tutti i componenti della famiglia”.
Le indagini vengono avviate, alle sue dichiarazioni vengono trovati riscontri. Ma ci vuole tempo. Che lei stia parlando con inquirenti e investigatori è notizia riservata, ma anche solo la sua decisione di allontanarsi dalla famiglia del marito, come la sua partecipazione a eventi e iniziativa antimafia non viene ben vista.
In paese le fanno il vuoto attorno. Ma resiste, non scappa, si rifiuta di andare sotto protezione. “È una vittima, perché deve essere lei a nascondersi?”, chiede.
Una vita da reclusa non la vuole fare, non vuole che la facciano i suoi figli. “So che rimanendo a vivere a Rosarno, inevitabilmente, avranno contatti con le famiglie mafiose del posto e questo è ciò che mi fa soffrire, ma vorrei trovare il modo di allontanarmi evitando che debbano subire eccessive restrizioni”.
Nella Piana di Gioia Tauro la ‘ndrangheta è dittatura che rende difficile persino trovare un lavoro o un avvocato per avviare la separazione.
“Ho chiesto aiuto a Libera”. E dove non arrivano con le minacce, i clan ci provano con le lusinghe. A rischio, si rende conto più di recente via via che gli uomini di famiglia vengono scarcerati, c’è il figlio adolescente che mai ha interrotto i contatti con il padre. “Temo che venga inserito nelle attività illecite a cui si dedicano mio suocero e mio marito”. Ed è paura fondata, spiega ai magistrati, perché il ragazzo era dedito allo studio e sognava di fare il medico, adesso sostiene di “voler fare semplicemente l’agricoltore ed in generale afferma ormai quotidianamente quanto sia inutile dedicare tanto tempo allo studio; mette infatti a paragone la mia modesta condizione economica con il benessere in cui vivono invece il padre e il nonno”.
Alle istituzioni la donna chiede aiuto perché teme di perdere qualsiasi autorità su di lui una volta raggiunta la maggiore età. È cosciente – spiega – della possibilità di andare via, ricominciare un’altra vita altrove ma “ho sempre avuto il timore di lasciare i miei genitori e ì miei due fratelli, che vivono tutti a Rosarno, in una situazione di pericolo, generata dal mio matrimonio”.
Teme poi che un trasferimento forzato possa essere motivo di rottura definitiva con il figlio.
“Vorrei poter restare a Rosarno senza dover rischiare che mio figlio si inserisca nel circuito criminale della famiglia”, mette a verbale.
Una richiesta di aiuto, a cui con gli arresti di questa mattina si prova a dare risposta.
Ma da quel disperato appello sono già passati anni.


“Dicevano che per me era pronta la ruspa”, il racconto delle angherie subite da padre e figlio arrestati

 

Nelle carte dell’inchiesta sulla cosca Pesce di Rosarno, che oggi ha portato all’arresto di Domenico e Rosario Arena, emergono le minacce che avrebbe subito l’ex moglie di Rosario, che ai pm ha raccontato le angherie subite dalla famiglia del marito dopo che ha deciso di interrompere la loro relazione.

Nelle carte dell’inchiesta sulla cosca Pesce di Rosarno, che oggi ha portato all’arresto di Domenico e Rosario Arena, padre e figlio, ci sono le minacce all’ex moglie di Rosario che si è rivolta ai pm della Dda di Reggio Calabria a cui ha raccontato le angherie subite in famiglia dopo che ha deciso di interrompere la loro relazione.

Secondo gli inquirenti, mentre era ancora detenuto, Rosario Arena avrebbe detto all’ex moglie che “avrebbe sistemato tutto” una volta fuori dal carcere. Il padre invece, utilizzando un falso profilo Facebook, avrebbe pubblicato frasi indirizzate alla donna come “dovrai morire di fame” e, successivamente, in uno scambio di messaggi “le offriva la somma di 100mila euro se fosse tornata a vivere con il figlio”.
“Della famiglia Arena – ha dichiarato lei ai pm – so che non hanno mai lavorato onestamente. In generale già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce del mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita.
Quando ho lasciato Rosario, il 13 novembre 2018, Arena Domenico, il mio ex suocero, mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa, avrebbe distrutto tutto e ci avrebbe uccisi, infatti ho denunciato questo evento presso la tenenza di Rosarno”.
Il suocero e il marito pretendevano che lei prendesse parte attiva agli affari illeciti della famiglia, e anche che avesse con il suocero atteggiamenti sessuali promiscui e confidenziali. “Ricordo che mio suocero proponeva a noi donne della famiglia di occuparci della coltivazione di sostanza stupefacente.
Mio marito mi chiamava ‘pentita’… mi alzava le mani addosso, mi abbandonava 3-4 notti, e diceva che se ne andava per colpa mia”, ha dichiarato lei.
Le indagini da cui scaturiscono i provvedimenti restrittivi per padre e figlio hanno consentito di attribuire agli indagati, allo stato degli atti gravi condotte estorsive – perpetratesi per lungo tempo- e violenze private, tutte aggravate dalle finalità mafiose, avvenute a Rosarno e Cinquefrondi.
Tra le altre minacce anche quelle a un medico costretto a redigere un falso certificato per consentire a un indagato di eludere il carcere e una cooperativa che per 18 anni è stata costretta a pagare quello che era diventato, di fatto, uno stipendio mensile pur in assenza di un rapporto di lavoro.


‘Ndrangheta, la denuncia dell’ex nuora del boss: “Minacciava di seppellirmi con la ruspa. Io laureata, ma mi impedivano di lavorare”

 

“Della famiglia Arena so che non hanno mai lavorato onestamente. In generale già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce del mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita.
Quando ho lasciato Rosario, 13 novembre 2018, Domenico Arena, il mio ex suocero, mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa, avrebbe distrutto tutto e ci avrebbe uccisi, infatti ho denunciato questo evento presso la tenenza di Rosarno”. È il racconto raccapricciante di una donna ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
A parlare è l’ex moglie di Rosario Arena. Lui e il padre, Domenico Arena, sono stati arrestati dai carabinieri nell’ambito di un’operazione che ha fatto luce sulle angherie subite dalla donna dopo che ha sposato un uomo ritenuto vicino alla cosca Pesce di Rosarno. Su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, nei confronti di Domenico e Rosario Arena il gip Tommasina Cotroneo ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Estorsione e minacce aggravate dalle modalità mafiose sono i reati contestati nei tre capi di imputazione dalla Dda che, grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali e alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ha fatto luce sulle attività illecite della famiglia Arena che, nella zona di Rosarno e Cinquefrondi, in provincia di Reggio Calabria, avrebbe imposto il proprio volere tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale.
Nell’inchiesta sono indagati altri due soggetti dello stesso nucleo familiare: la figlia e sorella dei due arrestati, Angela Arena, e suo marito Giuseppe Valenzise.
“Sono imparentati con i Pesce”, spiega ai pm il pentito Vincenzo Albanese secondo cu gli Arena “sono come una coschicella. Sono gente che va rispettata sul territorio, gente che ha influenza. Sono imparentati e affiliati ai Pesce cioè ad esempio, se io gli dò uno schiaffo a Biagio Arena (altro figlio di Domenico, ndr) so che intervengono i Pesce al 100%”.
Padre e figlio arrestati sono accusati di estorsione ai danni della cooperativa agricola “Fattoria della Piana” che si trova a Candidoni e che, per 18 anni, sarebbe stata costretta a versare somme di denaro alla famiglia Arena la quale avrebbe imposto anche due assunzioni di persone che godevano della loro protezione.
Per i pm dell’antimafia e per i carabinieri la “Fattoria della Piana” era diventata una vera e propria fonte di reddito illecito della famiglia Arena.
La cooperativa agricola, infatti, doveva consegnare a Rosario Arena una sorta di stipendio mensile comprensivo di tredicesima nel periodo delle festività natalizie.
Una parte dei guadagni dell’attività di ristorazione e della produzione di biogas, invece, sarebbero stati versati agli altri figli di Domenico Arena “come prezzo della possibilità di svolgere l’attività di impresa”. L’inchiesta ha fatto luce anche su alcune minacce rivolte a un medico dell’ospedale di Bari per assicurarsi la modifica di un certificato che sarebbe servito per fare ottenere i domiciliari a Domenico Arena, all’epoca detenuto.
In sostanza, contattato più volte telefonicamente e in un’occasione anche di persona presso lo studio del professionista all’interno di una clinica di Cinquefrondi, in provincia di Reggio Calabria, gli indagati hanno fatto capire al medico che “sarebbe finita male” in caso di rifiuto.
Per le minacce al medico, oltre a Domenico Arena, sono indagati la figlia Angela e il marito Giuseppe Valenzise. Quest’ultimo si è rivolto così al medico: “Domani voi venite con la relazione fatta, dottore… domani venite con la relazione fatta perché mio suocero non può aspettare i comodi vostri.
Domani venite con la relazione fatta, sennò finisce male! Chiaro e tondo”.
“Un medico-chirurgo, specialista in neurochirurgia, venne, dunque, costretto a piegarsi ed umiliarsi – scrive il gip Cotroneo – di fronte di unpericoloso delinquente, a scrivere quello che non riteneva di dover scrivere, secondo la sua diagnosi e le sue conoscenze mediche, a farlo nel più breve tempo possibile, a mostrare, addirittura, sul proprio pc ad un qualunque Valenzise il file word della relazione redigenda e ad indicare a costui il momento preciso in cui avrebbe inviato l’elaborato al difensore dell’Arena. Egli, dunque, fu letteralmente perseguitato al fine di redigere una relazione sanitaria che aveva un solo scopo: quello di fare ottenere all’Arena la tanto agognata detenzione domiciliare”.
L’aspetto più raccapricciante dell’inchiesta sono però le minacce subite dall’ex moglie di Rosario Arena che, mentre era ancora detenuto, attraverso i figli, avrebbe detto alla donna che lo aveva lasciato che, una volta scarcerato, “avrebbe sistemato tutto”.
Suo padre Domenico Arena, invece, utilizzando un falso profilo Facebook, avrebbe pubblicato frasi indirizzate all’ex nuora. Sulla bacheca di quest’ultima, infatti, il suocero avrebbe scritto “dovrai morire di fame” e, successivamente, in uno scambio di messaggi “le offriva la somma di 100mila euro se fosse tornata a vivere con il figlio”.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari scrive che la vita matrimoniale della vittima “è stata improntata a pressioni psicologiche continue, in quanto il suocero ed il marito pretendevano che lei, come le altre nuore, prendesse parte attiva agli affari illeciti della famiglia, tra cui il traffico di stupefacenti, e che avesse con il suocero atteggiamenti sessuali promiscui e confidenziali”. “Mi sono diplomata e laureata – dice la donna ai pm – Lui mi diceva sempre che non dovevo lavorare. Se volevo dei soldi me li dovevo guadagnare, senza lavorare però. Ricordo in particolare che mio suocero proponeva a noi donne della famiglia di occuparci della coltivazione di sostanza stupefacente. Mio marito mi chiamava ‘pentita’… mi alzava le mani addosso, mi abbandonava 3-4 notti, e diceva che se ne andava per colpa mia”. di Lucio Musolino| 2 Dicembre 2023 FQ


Rosarno, l’inferno della ex moglie di Arena: «Mi dicevano: “per te è già pronta la ruspa”»

 

Un vero e proprio quello inferno vissuto dalla ex moglie di Arena, arrestato a Rosarno assieme al figlio: «Mi dicevano – racconta – “per te è già pronta la ruspa”, intendevano che mi avrebbero uccisa e seppellita»

ROSARNO – Potrebbe avere nuovi risvolti anche nel prossimo futuro l’operazione dei Carabinieri che stamattina ha portato all’arresto di Mimmo Arena e del figlio Rosario a Rosarno (LEGGI). I due sono accusati di reati pesantissimi che vanno dall’associazione a delinque di stampo mafioso, alle estorsioni, alle minacce, al traffico internazionale di droga. E tra le storie di questa indagine svolta a Rosarno, emerge quella di una donna, moglie di Rosario Arena. Una donna che ha provato a uscire dalla famiglia. Si è separata dal marito e ha pagato con minacce spaventose che le venivano fatte arrivare persino attraverso i figli, rischiando anche la vita.

Mimmo Arena è cognato di Vincenzo Pesce dettu “u Pacciu” per il suo carattere irascibile. Un boss autorevole che ha gestito la leadership della cosca di ‘ndrangheta di Rosarno. Quello che ha imposto la nomina a capo Crimine di Mico Oppedisano. Minacciando i Pelle di San Luca e le altre famiglie di Reggio Calabria, di una possibile scissione se al vertice dei tre mandamenti non fosse stato scelto il suo compaesano Oppedisano. 

LA CRESCITA DELLA FAMIGLIA ARENA ALL’INTERNO DELLA CERCHIA DEL CLAN

Mimmo Arena grazie a questi rapporti ha cresciuto la sua famiglia guadagnando posizioni negli ambienti criminali di Rosarno riuscendo – secondo i collaboratori di giustizia – a creare una sua piccola “coschicella” autonoma anche se legata ai Pesce. E faceva affari, controllava il suo territorio con la forza e gestiva direttamente persino le estorsioni alla “Fattoria della Piana” una cooperativa che allega bovini e produce formaggi di eccellenza nel territorio di Candidoni a due passi da Rosarno.  Mimmo Arena lì era il guardiano tutto fare. Un uomo potente che è riuscito anche a farsi dare negli ultimi 18 anni dall’amministratore della cooperativa, il pagamento di somme periodiche “come prezzo della possibilità di svolgere l’attività di impresa”. Il titolare della “Fattoria della Piana”, in sostanza, doveva consegnare a Rosario Arena una sorta di stipendio mensile comprensivo di tredicesima nel periodo delle festività natalizie. Una parte dei guadagni, poi, dell’attività di ristorazione e della produzione di biogas sarebbero stati versati agli altri figli di Domenico Arena. Questi avrebbe ottenuto pure un paio di assunzioni di persone che godevano della sua protezione. 

LA ROTTURA: LA MOGLIE DI ROSARIO ARENA LASCIA LA FAMIGLIA E DENUNCIA AI CARABINIERI DI ROSARNO

Ma anche nella famiglia Arena si sono verificate delle crepe quando la moglie di Rosario decide di abbandonare il marito. La donna, praticamente rapita giovanissima davanti a scuola per poi andare in sposa a Rosario Arena, ha subito più volte minacce. Costretta quindi a denunciare tutto ai Carabinieri della tenenza di Rosarno. La ex moglie di Rosario ha raccontato le angherie subite dalla famiglia del marito dopo che ha deciso di interrompere la loro relazione. Secondo gli inquirenti, mentre era ancora detenuto, attraverso i figli, Rosario Arena avrebbe detto alla donna che, una volta scarcerato, “avrebbe sistemato tutto”.
Suo padre Domenico Arena, invece, utilizzando un falso profilo Facebook, avrebbe pubblicato frasi pesantissime sulla bacheca della ex nuora. L’uomo avrebbe scritto: ”dovrai morire di fame” e, successivamente, in uno scambio di messaggi “le offriva la somma di 100mila euro se fosse tornata a vivere con il figlio”. 
“Della famiglia Arena – ha dichiarato la vittima ai pm – so che non hanno mai lavorato onestamente. Già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce del mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita. Quando ho lasciato Rosario (l’ex marito, ndr), il 13 novembre 2018, Arena Domenico, il mio ex suocero, mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa, avrebbe distrutto tutto e ci avrebbe uccisi”.
Gli inquirenti hanno anche accertato come gli Arena avessero minacciato un medico che riceveva pazienti presso la Clinica Villa Elia di Cinquefrondi a redigere un falso certificato medico per consentire ad un indagato di eludere il carcere. QUOTIDIANO DEL SUD 3.12.2023


‘Ndrangheta, assestato un colpo alla cosca Pesce: due arresti

 

In manette sono finiti padre e figlio che per gli investigatori sarebbero “specializzati” in estorsioni e minacce

Domenico e Rosario Arena, padre e figlio “specializzati in estorsioni e minacce” e considerati esponenti di spicco della criminalità organizzata di Rosarno, sono finiti in manette alle prime luci dell’alba. I due, per i carabinieri del gruppo di Gioia Tauro che hanno eseguito gli arresti, sarebbero vicini al contesto criminale rosarnese della cosca Pesce.
Nei loro confronti i militari dell’Arma, con il supporto operativo di personale dello squadrone eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip reggino su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri.
Le indagini da cui scaturiscono gli odierni provvedimenti restrittivi, come spiegano i carabinieri, avrebbero consentito di attribuire agli indagati, allo stato degli atti e salve le successive valutazioni di merito, gravi condotte estorsive – perpetratesi per lungo tempo – e violenze private, tutte aggravate dalle finalità mafiose, avvenute in Rosarno e Cinquefrondi.

Le indagini

Le attività svolte dai carabinieri di Gioia Tauro, coordinati dal comandante provinciale Cesario Totaro, corroborate dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, hanno permesso di evidenziare l’elevatissima capacità criminale degli arrestati, espressa in molteplici occasioni con metodologie tipiche degli aggregati mafiosi, imponendo il proprio volere, tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale, su individui ed attività commerciali piegati alle loro esigenze ed oppressi dalla loro ingerenza.

Il modus operandi

Tale modus operandi, affiancato al ripetuto ricorso ad intimidazioni – di natura fisica e verbale – si sostanziava in una perdurante sopraffazione ed interferenza in un’attività economica sita nella Piana di Gioia Tauro, nonché nella limitazione della libertà di autodeterminarsi di più individui. Le molteplici e difformi fonti di prova raccolte hanno quindi contribuito a restituire un’immagine complessa dell’aggregato criminale, disvelandone gerarchie ed operatività, delimitandone la sfera di influenza illecita e gli equilibri esterni nel confronto con paritetiche o “superiori” organizzazioni di tipo ‘ndranghetistico.

Le estorsioni alla coop agricola

L’indagine, tra l’altro e sempre allo stato degli atti, ha dunque permesso di accertare: l’esistenza di una perdurante attività estorsiva ai danni di una cooperativa agricola sita in Candidoni, divenuta nel tempo vera e propria fonte di reddito illecito dei componenti l’aggregato familiare.
L’ingerenza sull’attività commerciale, oltre che con l’indebita appropriazione mensile di parte degli utili, si sostanziava nell’esercizio di un controllo diretto de facto, che spaziava dal deciderne le assunzioni e la politica aziendale e gestionale, arrivando financo a regolare contrasti tra i dipendenti.
Tale illecito impossessamento, che nella sostanza privava i reali rappresentanti la cooperativa della libertà di autodeterminarsi in ordine all’esercizio dell’attività, si protraeva per circa diciotto anni, a testimonianza di come, l’assoggettamento di imprese, ottenuto mediante minacce ed imposizioni mafiose, sia tutt’ora business di primaria rilevanza per organizzazioni di tipo ‘ndranghetistico.

Le minacce a un medico

E ancora la realizzazione di reiterate minacce nei confronti di un medico, effettuate da più soggetti riconducibili al contesto familiare. Tali comportamenti erano finalizzati ad ottenere un certificato che attestasse l’impellente necessità di effettuare un intervento chirurgico ed il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria da parte di uno dei componenti della famiglia, in quel momento in carcere.
Il professionista, raggiunto anche mediante l’intercessione di un compagno di cella del detenuto e della rispettiva consorte, veniva più volte ingaggiato, sia telefonicamente che di presenza, affinché realizzasse, in tempi brevi e con modalità pedissequamente definite dal congiunto ristretto, l’attestazione a questi funzionale per eludere la restrizione inframuraria ed ottenere una misura alternativa alla detenzione in carcere.

Le angherie alla moglie

Le indagini, poi, avrebbero evidenziato – come scrivono gli investigatori – la reiterata compromissione della libertà di autodeterminarsi dell’ex moglie di uno degli indagati compressa nella propria sfera privata e costretta, lungo tutto il corso della sua relazione coniugale (già originariamente indotta dalla famiglia del marito), e successivamente al termine della stessa, a subire pressioni ed angherie finalizzate, tra l’altro, ad indurla sia a riavvicinarsi al contesto familiare dal quale si era discostata con la separazione sia a porre in essere condotte delittuose per favorire i traffici illeciti del contesto familiare degli arrestati.
Al termine delle formalità di rito, gli arrestati sono stati tradotti in carcere, come disposto dai giudici del tribunale reggino. “In capo agli indagati e nel rispetto dei loro diritti – spiegano infine i carabinieri – si specifica che questi sono ancora da doversi ritenere soggetti alla presunzione di innocenza attesa l’attuale fase del procedimento, la cui colpevolezza potrà essere acclarata solo attraverso una sentenza irrevocabile”. Susanna Picone 2 Dicembre 2023 FANPAGE


‘Ndrangheta a Rosarno: minacce al medico per evitare il carcere a Domenico Arena e pressioni sull’ex moglie di Rosario perché tornasse “in famiglia”

 

Un medico costretto sotto minacce a redigere un falso certificato medico per consentire ad un indagato di eludere il carcere. E’ uno degli episodi contestati dalla Dda di Reggio Calabria a Domenico Arena, di 69 anni, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa, e suo figlio Rosario, di 44, ritenuti vicini alla cosca di ‘ndrangheta Pesce di Rosarno e arrestati stamani dai carabinieri del gruppo di Gioia Tauro. Per entrambi l’accusa è estorsione e violenza privata, aggravati dalle modalità mafiose.
Oltre ad un rodato sistema estorsivo attraverso il quale la famiglia Arena da 18 anni teneva sotto scacco un’impresa agricola di Candidoni (il controllo andava dai proventi, alle assunzioni, alla stessa politica aziendale), le indagini hanno permesso di portare alla luce un altro “filone”.
Pressioni su un medico per “liberare” Domenico Arena
Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, la Dda ha scoperto anche le numerose minacce subite dal professionista con lo scopo di ottenere un certificato che sarebbe servito per eludere il carcere e usufruire del beneficio degli arresti domiciliari. Alla vittima era stato chiesto di redigere una relazione che attestasse l’impellente necessità per Domenico Arena, all’epoca detenuto, di effettuare un intervento chirurgico ed il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria. Il professionista, raggiunto anche mediante l’intercessione di un compagno di cella di Arena e della rispettiva consorte, è stato più volte ingaggiato, sia telefonicamente che di presenza, affinché realizzasse, in tempi brevi e con modalità pedissequamente definite dal congiunto ristretto, l’attestazione necessaria ad ottenere la misura alternativa. GAZZETTA DEL SUD 2.12.2023


La confessione shock dell’ex moglie di Rosario Arena. «Per me era già pronta la ruspa»

 

L’ex marito è stato arrestato in una recente inchiesta della Dda di Reggio. «Mi avrebbero uccisa e seppellita»

 
Il coraggio di una donna decisa a ribellarsi ad una vita di soprusi, umiliazioni, violenze fisiche e psicologiche. Nelle carte dell’inchiesta che hanno portato all’arresto di Domenico e Rosario Arena, padre e figlio, occupano un capitolo decisamente delicato le minacce subite dall’ex moglie di quest’ultimo che si è rivolta ai pm della Dda di Reggio Calabria a quali ha raccontato spaccati di una vita infernale, vissuta dopo la decisione di interrompere la loro relazione. «Dovrai morire di fame» avrebbe scritto su Facebook un profilo fake riferendosi alla donna, che denuncia di aver ricevuto minacce di morte: «mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita».
Il narrato ricorda la tragica uccisione di Maria Chindamo, imprenditrice originaria di Laureana di Borrello, rapita e uccisa dalla criminalità organizzata. A confessare i dettagli del macabro delitto è stato il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente. Nel corso dell’interrogatorio del 7 febbraio 2020, riferisce della distruzione del cadavere della donna: «la donna venne data in pasto ai maiali».
«Voglio lasciare Rosarno»
I coniugi si separano nel 2018, e da quel momento la donna diventa un bersaglio mobile.
«Sono sempre stata detestata da tutta la famiglia e maltrattata in ogni occasione. Sono stata infatti minacciata, offesa verbalmente, non ho ricevuto mai regali e sono stata frequentemente picchiata da mio marito». Il racconto prosegue ed è condito da dettagli macabri. «Nel corso della mia vita matrimoniale mi sono spesse state recapitate, nella cassetta della posta, scritte al computer e prive di francobollo, lettere con un contenuto sempre offensivo nei riguardi della mia persona (…) mi sono stati recapitati anche libricini con contenuto pornografico». Un’esistenza – quella narrata dalla donna – vissuta in precario equilibrio, stretta tra la voglia di ribellarsi e andare via e la paura di possibili ritorsioni. Un giorno trova il coraggio, si reca in procura e denuncia tutto. Lo fa pensando al suo futuro ed a quello dei suoi figli. «Voglio andare via in maniera libera, non sotto protezione. La mia principale preoccupazione è quella di garantire ai miei figli una vita libera; voglio che possano avere una normale vita sociale e non voglio che debbano vivere rinchiusi in casa. So che rimanendo a vivere a Rosarno, inevitabilmente, avranno contatti con le famiglie mafiose del posto e questo è ciò che mi fa soffrire». (f.b.) Corriere di Calabria 3.12.2023

Nelle carte firmate dal gip Cotroneo, il racconto di tre collaboratori di giustizia che descrivono lo “status” criminale della famiglia

 

Un gruppo familiare di «elevatissima capacità criminale». Così tre collaboratori di giustizia hanno descritto Domenico Arena e i due figli, Biagio e Rosario. E l’attività investigativa coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ha fatto il resto, fino all’arresto scattata questa mattina con il blitz condotto dai Carabinieri di Gioia Tauro, con il supporto operativo di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile. In manette sono finiti Domenico Arena, classe ’54, e Rosario Arena, classe ’79, padre e figlio.

Lo status criminale degli Arena

«Narcotrafficanti, armieri, estortori ed usurai, da sempre appartenenti alla cosca Pesce di Rosarno» riporta il gip Tommasina Cotroneo nell’ordinanza che, questa mattina, ha portato all’arresto dei due. Gli Arena, inoltre, sono legati ai Pesce anche per il vincolo familiare con Vincenzo Pesce ma – scrive il gip – «sono talmente muniti di autorevolezza e potenza criminali da essere stati in grado di costituire una sorta di “coschicella” quasi a sé stante, seppur sempre affiancata alla cosca Pesce, e comunque capace di operare secondo modalità assolutamente mafiose». Uno “status” riconosciuto anche da altre famiglie di ‘ndrangheta di primo piano come i Palaia, i Cacciola e i Bellocco, attivi nel territorio rosarnese. Un potere «assunto nel tempo» e suddiviso fra i vari rami delle diverse famiglie di ‘ndrangheta del territorio, dalle zone collinari a quelle di campagna del rosarnese.

«Signore Dio onnipotente»

Significative, ad esempio, le dichiarazioni del collaboratore Giuseppe Cacciola. Parlando di Domenico Arena lo descrive come «un intoccabile» perché «in tutti i procedimenti del mondo c’è lui e non ha fatto manco un anno di carcere… ce li ha buoni i santi, eh!». E ancora: «È attivo nell’usura, nella droga, in tutto… estorsioni, gli paga l’estorsione pure la “Fattoria della Piana”, lì tutto lui è il guardiano…». Nelle sue dichiarazioni, riportate dal gip nell’ordinanza, Cacciola parla di un contrasto insorto tra i due cognati, Domenico Arena e Vincenzo Pesce, riferitogli proprio da Arena, in seguito al quale quest’ultimo avrebbe confermato il suo “distacco” e di aver formato una famiglia a sé. «Sono su adesso, hanno avuto delle discrepanze, lui se n’è andato apposta ad abitare in campagna (…) con loro ha litigato, almeno dalle parole sue, che ha detto lui, che non vuole più avere a che fare, che ormai non appartiene più a loro…eh, lui non va più buono con i Pesce, ormai è solo e non vuole avere a che fare più con loro, con Vincenzo, parliamo sempre di suo cognato Vincenzo… dicendomi che ormai lui con i Pesce non vuole più avere a che fare, che è solo per fatti suoi, lui e i suol figli, che si è fatto., si è inimicato con Vincenzo, con suo cognato…». Secondo Cacciola, dunque, Domenico Arena – che operava insieme ai figli – in forza della caratura mafiosa guadagnata sul campo e riconosciuta da tutti, «esercitava il dominio assoluto sul territorio che a lui era stato conferito dalle altre cosche, acquisiva tutte le guardianie ed estorceva denaro a chiunque fosse stanziato in quell’area, a partire della Fattoria della Piana, dentro la quale faceva il bello ed il cattivo tempo, fino a tutto il territorio dove esercitava la sua egemonia mafiosa».

Il controllo sul territorio di Rosarno

Le dichiarazioni rese da Cacciola fanno il paio con quelle di un altro collaboratore, Albanese. «(…) sta famiglia Arena vedete che sono come una “coschicella”, questi sono imparentati con i Pesce pure sono come una coschicella sono gente che va rispettata sui territorio, gente che ha influenza criminale». «(…) cioè ad esempio se io gli dò uno schiaffo a Biagio Arena so che intervengono i Pesce al 100% quindi per noi questo è l’affiliazione come identifichiamo diciamo una persona che appartiene». Secondo il racconto del pentito, inoltre, gli Arena avevano in esclusiva la guardiania della zona a loro concessa in monopolio e sulla quale «esercitavano il loro potere criminale mafioso», come la zona Santa Maria o la zona di Lattaro, dove insisteva anche la famosa azienda che allevava bovini e produceva latticini. Controllo del territorio, ma non solo. I pentiti, infatti, hanno parlato di Domenico Arena come uno degli «importatori di droga più grossi della Piana» con una «ferocia criminale spinta fino al punto da essere definito anche capace di consumare omicidi». «(…) Mimmo Arena è, voglio dire, se c‘è lui Mimmo Arena è assolutamente al di sopra di tutti. Persona vi ripeto definita molto pericolosa, io quando sento certe persone che definiscono una persona così credetemi ci credo, persona molto pericolosa (…)».

Il narcotraffico

Infine, anche Giuseppe Tirintino, in un vernale del 9 ottobre del 2015, aveva descritto Domenico Arena «come narcotrafficante che provvedeva agli scarichi di droga dal Porto di Gioia Tauro, in combutta con Brandimarte Vincenzo, ed agendo anche per conto del cognato Vincenzo Pesce». (g.curcio@corrierecal.it) 3.12.2023


Rosarno. Sequestrata ditta di agrumi riconducibile a Rosario Arena

 

 
 
 
 
“In esclusiva, dal loro nascondiglio, parlano a ‘TV7’ le mogli dei boss minacciate di morte. Il racconto di queste donne che fuggite coi figli dalle mafie ed entrate nel progetto ‘Liberi di scegliere’. Nel servizio dal titolo “Via dal clan” il loro appello: “Abbandonate i clan, salvate i vostri figli dalla mafia, non siete sole”…”
Di Maria Grazia Mazzola

 

La MAFIA e le DONNE