30 luglio 1992 TERESA PRINCIPATO: “ Si faceva il toto Borsellino, era veramente una situazione che vivevamo con angoscia.”

 

… Arriva infatti dalla Procura della Repubblica di Firenze, e in particolare da Vigna, un fax indirizzato alla Procura della Repubblica Palermo, in cui si dice che Mutolo vuole parlare esclusivamente con Paolo Borsellino.
Paolo in quel momento era ad un convegno a Bari e quella cosa non gli viene riferita.
Non gli viene riferita e viene a conoscenza di questo fax al suo ritorno, quando Gioacchino Natoli, confidenzialmente, gli dice che è arrivato questo fax e che gli atti relativi sono stati assegnati ad Aliquo e a Lo Forte, cioè a persone con cui il pentito non aveva chiesto di parlare.
Attraverso un escamotage (perchè Natoli non voleva che si sapesse – questo era il clima – che era stato lui a dirgli di questa cosa), secondo il quale Paolo avrebbe trovato personalmente sul tavolo di Aliquò questo fascicoletto.
Paolo va da Giammanco e gli contesta questa assegnazione, visto che Mutolo vuole parlare solo con lui. E Giammanco gli dice: “ma sai, c’è la competenza territoriale”.
Perchè mentre Aliquò si occupava di Palermo, Paolo si occupava della provincia, di Trapani e di Agrigento. Però gli dice: “non ti preoccupare perchè in ogni caso potrai andarlo a sentire anche tu”.
C’era una divisione territoriale tra gli aggiunti: Aliquò si occupava di Palermo e Paolo di tutta la provincia.
Quindi l’uno luglio Paolo va a sentire insieme ad Aliguò, in prima battuta, Mutolo. Mutolo ribadisce che vuole parlare solo con Borsellino e ribadisce soprattutto i l fatto che aveva chiesto al Procurtore della Repubblica di Firenze di poter parlare solo con Borsellino.
In quella sede, il suo rifiuto di parlare con Aliquò non viene verbalizzato perchè, racconta Paolo, gli sembrò poco cortese nei confronti del collega verbalizzare una cosa di questo tipo. E allora viene verbalizzato, alla fine, che non aveva difficoltà a parlare anche con Aliguò.
prof. RUGGERO: Ci vorrà dire qualche cosa se sul verbale risulta la presenza di Aliquò e Borsellino, ovvero la presenza soltanto di uno dei due?
dott.ssa PRINCIPATO: Nel verbale risulta la presenza di Borsellino e di Aliquò. Mutolo ribadisce il fatto che attraverso quel fax aveva manifestato la volontà di parlare solo con Borsellino, dopo di che, secondo quanto riferito ma non solo da Paolo (ci arriverò tra poco) alla riunione di DA successiva…… interventi di componenti del Gruppo senza microfono…..
. . . . . . si, ma lo so che avete sentito Aliquò, ha partecipato, ma io non sto dicendo che non ha partecipato, assolutamente. E quindi per evitare che rimanesse a verbale un rifiuto che pote-
va anche offendere il collega Aliquò, ad un certo punto è stato verbalizzato: “comunque non ho difficoltà a parlare anche dinanzi
ad Aliquò”. E si 
Pres .RUGGIERO: Questo è autentico, è di Mutolo questa dichiarazione?
PRINCIPATO:certo, certo.
RUGGIERO .non si evita nulla. Si prende atto che alla fine bene o male…… Quando io faccio le domande vi do tutto il potere. Io non riesco a capire questo collegamento. Per evitare che si verbalizzasse il rifiuto, non vedo il collegamento, qua nessuno vuole evitare che si verbalizzasse il rifiuto, sta di fatto che Mutolo alla fine accettò.
PRINCIPATO: Si, si, è così. Io stavo semplicemente dicendo quello che è accaduto nell’ambito di quell’interrogatorio.CONDORELLI: Una domanda di chiarimento. Ecco, io comprendo questo, vo- glio sapere se è così o no: che ci fu un rifiuto che poi fu superato con il silenzio,. Non fu verbalizzata la fase intermedia.
PRINCIPATO: Perfetto, è questo che volevo dire. All’inizio Mutolo disse: io voglio parlare solo con lei, non con Aliquo. Poichè Aliquò si risentì di questo (e infatti mostrò un pò le sue credenziali dicendo che aveva fatto il maxi-processo e così via, che si poteva fidare anche di lui, ecc.), questo suo iniziale rifiuto non venne verbalizzato e poi, alla fine, visto che Paolo non intendeva che venisse verbalizzato, anzi lo sollecitava a superare questa diffidenza, venne verbalizzato “non ho difficoltà a parlare anche con Aliquò”, questo è l’iter di questo interrogatorio.
Dunque, al ritorno da Roma, quindi dopo questo primo interrogatorio, Giammanco mantiene l’assegnazione del procedimento ad
Aliquò e a Lo Forte, ma dà loro  l’incarico di coordinarsi con Borsellino per gli eventuali ulteriori interrogatori.
Come dicevo, alla riunione della Direzione distrettuale antimafia del  luglio, Gianmanco riferisce a noi del pool l’iter di questa si- tuazione. Ribadisce il fatto che Mutolo non voleva parlare anche con Aliquò ma voleva parlare solo con Borsellino, ma che alla fine si era convinto.
Quindi dice: “allora, per la gestione di questo procedimento ho deciso che vengano meno le divisioni territoriali, le competenze territoriali. Quindi ho deciso di ri- chiamare qualcuno dalla provincia per occuparsi di questo proce- dimento”. Tutti noi abbiamo pensato alla provincia e finalmente che Paolo, che era colui con il quale Mutolo voleva parlare, sa- rebbe stato lui a gestire questa cosa. Non dice i nomi, però, e Lorelli(?) chiede: “scusa Piero, allora, alla fine, chi gestirà questa cosa?”
E Giammanco risponde: “Aliquò, Lo Forte e Natoli”.
Natoli era quello richiamato dalla provincia. Dopo un pò io mi alzo, Paolo mi segue nel corridoio e mi dice: “hai visto? Questa è tracotanza. Questa cosa gli esploderà tra le mani come una
bomba”
Era veramente amareggiato. Amareggiato, irato, perchè vedeva anche venir meno, vedeva compromessa, in quel momento almeno, la gestione di quel pentito e, comunque, viveva come un atto di sfiducia il fatto che lui, nonostante fossero venute meno le competenze territoriali con la chiamata di Natoli e lui, il destinatario di quelle rivelazioni non fosse anche l’assegnatario di quel procedimento. Ecco, lui la viveva come un gravissimo atto di sfiducia.
Quindi, dopo questo episodio (e siamo al 3 luglio), io e Paolo siano partiti per la Germania, dove siamo rimasti dal 6 al 10 o 11.
Quando siamo tornati lui è andato a risentire Mutolo e stavolta è andato a risentirlo insieme a Natoli e a Lo Forte.
Questo è successo il venerdi prima che Paolo morisse, lui à stato ucciso domenica, quindi due giorni prima.
Mutolo dice, a questo punto, e questo è stato verbalizzato: “Procuratore lei mi può portare qua chi vuole, ma se io non ho la certezza che questo processo sarà gestito da lei, è inutile, io non parlo più”. Questo è verbalizzato.
A quel punto Paolo decide di interrompere quell’interrogatorio, esce fuori insieme a quei due sostituti e dice: “io qua non posso (questo mi viene riferito da Paolo il sabato successivo, un giorno prima che morisse), io qua non vengo a fare lo specchietto per le allodole, solo per far parlare il pentito che altrimenti con voi non parla se io devocontinuare devo avere assicurazioni che finalmente, nonostante queste diffidenze, alle decisioni successive io possa partecipare”.
domanda incomprensibile…
solo per gli interrogatori, non per la gestione, non era  stato assegnato a lui. Aquel punto escono fuori e Paolo dice questa frase. Lo Forti lo rassicura, dicendogli che sicuramente Gianmanco non avrebbe avuto difficoltà a far venir meno questa competenza territoriale, che non si preoccupasse, ecc. Quindi rientrano dentro e viene verbalizzato che viene data assicurazione al Nutolo che il procuratore Borsellino potrà gestire anche il processo.
Tutto questo viene raccontato da Paolo, ripeto. Lui domenica è morto.
domanda: Mutolo parlò?
PRINCIPATO:
In quell’occasione parlò.
domanda: E’ solo una domanda di precisazione. Parlò sabato con te?,
PRINCIPATO Fino all’una e mezzo siamo stati insieme e lui mi salutò e mi disse  allora andiamo a sentire il pentito. Un’altro pentito, di cui naturalmente t u t t i conoscono i l nome, e io ho detto: Si va bene, martedì andiamo.
Anche per capire il clima: Paolo mi disse che Natoli era andato nella sua stanza un giorno, dopo questa situazione, e gli aveva detto: Paolo, facciamo andare tutti in ferie e ce lo ge- stiamo io e tu questo processo.
Dicevo che con Paolo lavoravamo molto bene e che insieme a lui si era ritrovato l’entusiasmo, la voglia di fare e abbiamo fatto. Paolo viveva quasi serenamente, forse anche un po fatalisticamente non l’eventualità  ma la certezza di dover  essere ucciso.
Era un discorso che noi avevano quotidianamente. Erano arrivate sia minacce dirette, che minacce di cui le forse di B.G avevano riferito . Era solo questione di tempo.
Noi speravamo solo che venisse rinviata questa decisione, perchè effettivamente non ci aspettavamo che a soli due mesi dalla strage di Capaci venisse portato a segno un altro così devastante attentato. 

Paolo aveva una scorta, aveva la macchina blindata con una scorta di tre uomini.
Era stata messa sotto la sua abitazione la zona rimozione e anche un posto fisso. A quel punto Paolo evitava di seguire dei percorsi abituali, una sola abitudine aveva, una sola: quella di recarsi ogni domenica a casa della madre, spesso anche durante la settimana, questa era la sua abitudine irrinunciabile, di questo tutti noi sapevamo. Ripeto, era l’unico posto in cui lui abitual mente andava. Era l’uomo, il magistrato più a rischio, in tutta Italia in quel momento. Non lo sapevamo solo noi. Ad ogni convegno si diceva: lo sapete chi à il prossimo?

Ecco è Paolo Borsellino. Si faceva il toto Borsellino, era veramente una cosa e noi vivevamo insieme a lui questa situazione con angoscia, veramente con angoscia.

Ebbene; voi potete ritenere accettabile che sotto la casa della sorella, della madre di Borsellino non ci fosse una zona rimozione? Si può ritenere accettabile una conduzione, a che dico artigianale (perchè c’è del buon artigianato) così approssimativa, così inesistente di un sistema di sicurezza nei confronti dell’uomo più a rischio d’Italia?
Mi ha detto la sorella, dinanzi alla bara di Paolo, ribadendo questa sua settimanale abitudine: Paolo diceva “prima o poi mi ammazzeranno qua davanti”. Perchè era l’unico posto in cui lui andava. Ma Paolo era un fatalista.
A quel punto sapeva che doveva morire e si affidava allo Stato perché era un uomo con un senso dello Stato impressionante, sino al sacrificio estremo, e lo ha dimostrato. Aveva affidato la sua vita allo Stato.
Dinnanzi alla tomba di Giovanni Falcone visto come andavano el cose, lui mi disse: “Teresa, dobbiamo a questo punto prendere atto di una cosa. Chiunque può smettere di lavora- re e non gli si può rimproverare questo come un atto di resa, ma noi dobbiamo sapere che chi di noi continua finirà così. E questo dobbiamo accettarlo e lo abbiamo accettto ” . Lui ha affidato  sua vita nelle mani dello Stato e ribadisco quanto è scritto nel documento: lo Stato ha tradito completamente la sua fiducia, non facendo nemmeno uno sforzo di programmazione dei sistemi di sicu- rezza più elementari, perchè questi sono elementari.
Qua non si tratta di presidiare una intera zona, non si tratta di presidiare quartieri, si tratta di imporre una zona rimozione sotto due palazzi, per l’incolumità, oltre che del magistrato, anche del cittadino stesso.
Questo non è stato fatto. E le persone che hanno determinato queste falle così macroscopiche, così imperdonabili, rimangono ancora al loro posto.
Ecco perchè io dico che è venuto meno il principio di responsabilità a Palermo. Chi sbaglia non paga ріù.
Quindici giorni dopo, circa, la strage di Capaci, in Procura è arrivato un anonimo (già l’alto rischio che Paolo Borsellino correva era naturalmente noto a tutti) , in cui c’erano le fotografie di Giovanni Falcone, di Rosario Livatino, di Gaetano Costa, c’era poi la bara di Giovanni, c’era scritto sopra: “ora tocca a te” e c’era la foto di Paolo Borsellino, la foto mia, di Ignazio De Francisci e di Peppe Ayala. Giammanco ci chiamò e ci disse: “c’è questa cosa”.
Lui sapeva quello che in quel momento noi stavamo gestendo, sapeva che era Agrigento, che è la zona più ad alto rischio in questo momento in tutta la Sicilia, questo ce lo hanno riferito i pentiti, questa è una cosa troppo nota a tutti perchè io mi possa soffermare su questa circostanza. Giammanco non mando mai, mai, quell’anonimo al Comitato di sicurezza. Cosicchè anche dopo io ho avuto come unica protezione, e questo sino ad ora, quando il Procuratore Generale è venuto, dopo il fatto Giammanco, a conoscenza di questa situazione e immediatamente si è attivato perchè il Comitato di sicurezza mi desse una scorta.
Quel documento non è stato inviato. Perchè parlo di questo?
Perchè tutti i problemi che sono relativi alla sicurezza di tutti noi sono stati gestiti dalla Procura in modo burocratico, col solito sistema delle “carte a posto”.
Perchè se voi verificate, ci sono una serie di circolari, che ci invitano a chiamare la polizia, la volante quando usciamo da casa al momento dell’uscita, ecc.; a chiamare quell’altro se dobbiamo andare in un’altra città. Però di fronte a problemi di questo tipo nessuno ha saputo rispondere, nemmeno il Procuratore, in modo adeguato.
La stessa insensibilità, e questa non è cosa da poco vivendo a Palermo, tra una strage e l ‘ altra (forse si dovrebbe viverle un pò queste cose per capire!) è stata dimostrata nei confronti di Peppino Di Lello. Peppino Di Lello è stato da noi tutti caricato da una serie di processi di mafia uno più pericoloso, più allarmante dell’altro.
Era il GIP che sapeva più di mafia e quindi si trovava un sistema perchè i processi arrivassero a lui. Ebbene, quando abbiamo sottoposto, in sede di DDA, a Giammanco questa situazione, gli abbiamo detto di farsene portatore al Comitato di sicurezza (lui non ha nemmeno una macchina blindata, perchè non la sa guidare, perchè Peppino è fatto così, si rifiuta, lui guida la sua 126 e non è in grado di guidare la macchina blindata. E vede molto poco), dopo che, ripeto, Peppino ci aveva fatto comodo in tante situazioni, Giammanco disse: “e va bene, lui piglia e si mette a guidarla”.
Riferirò ora una espressione in siciliano che forse voi non capirete, poi ve la traduco: “iddu s’assetta in capo a carteggia d’a’ munnizza”. E cioè: lui ritiene di essere chi sa chi, che si scomodi a guidarsi anche la macchina blindata.
Lo stesso atteggiamento venne assunto quando Lo Voi, per il quale 1o stesso Paolo Borsellino si era attivato per fargli ottenere la scorta perchè stava gestendo il pentito Calcara, quando ci fu notizia di una bomba posta nell’abitazione di Lo Voi, Giammanco, al quale questa cosa comunicata, non s i diede assolutamente da f a r e in quella fase, perchè Lo Voi venisse meglio protetto. Ecco per- chè dico gestione burocratica.
Oggi può sembrare eccessivo e non lo è, quell’episodio che vi ho riferito poco fa dell’attentato all’aereo ecc., credo sia sintomatico. Noi viviamo in un clima di terrore, perchè loro hanno instaurato uno strategia del terrore che viene portata avanti attraverso telefonate, anonimi, minacce f a t t e pervenire in ogni modo.
E noi sappiamo che non s i scherza con queste cose.
Oggi la nostra sicurezza, appena da due giorni, è stata affidata a queste scorte. Ancora sino a quando sono partita, domenica, non c’era una zona di rimozione completa sotto casa mia, solo di dieci metri. Ancora la nostra vita era affidata ad una tutela che à poco più di un attendente, una dama di compagnia , un poco più, cioè quello che ti apre lo sportello quando entri, e così via dicendo.
Questi sono i sistemi di sicurezza e ancora oggi.
Ora siamo in un momento di grande attenzione della stampa, perchè il Com sta valutando questa questione. Io mi chiedo cosa succederà poi. Io mi chiedo cosa succederà poi quando tutto sarà lasciato ancora all’approssimazione, all’individuale capacità di questo o di quel poliziotto, io mi chiedo con allarme quello che succederà poi.
Dicevo, quindi, situazione di estremo rischio all’esterno, compromissione della credibilità interna dell’ufficio.
Questo, sino a quando Paolo è stato ucciso, era in qualche modo gestibile, perchè la credibilità di persone come lui, in ogni caso, salvaguardava la nostra , di coloro che con lui aveva un rapporto di lavoro più intenso.
Successivamente tutto è precipitato. E’ successo che anche all’esterno i segnali di sfiducia da parte dei cittadini sono stati reiterati, insistenti, esasperati in qualche momento.
Per la prima volta Palermo, città indifferente, città che accetta tutto, che al più fa qualche fiaccolata, per la prima volta una intera società civile richiede una moralizzazione dei vertici giudiziari, di quella procura nella quale non crede più dopo la pubblicazione dei diari di Falcone, dopo che si è saputo quale era stato il ruolo di Giammanco, anche nella decisione di Falcone di lasciare la Procura.
Ci siamo trovati dinnanzi le decisioni del Senato Accademico, della CGIL nazionale, del comitato di donne che digiunano, di ogni area politica, perchè Giammanco se ne vada, di ogni ceto sociale, medici infermieri, una cosa im- pressionante, veramente tutta una società civile.
Questa cosa, ovviamente, ci ha ancora di più motivati. Subito dopo la strage di Borsellino abbiamo pensato, abbiamo ritenuto che le condizioni erano venute veramente meno per l ‘ esercizio della giurisdizione penale.
A questa riunione era presente Giammanco.
Il giorno dopo Giammanco, che la sera prima aveva avuto il lancio di monetine alla Prefettura, gli sputi e gli insulti, con il cadavere di Paolo Borsellino ancora lì, con la nostra esasperazione, con il nostro dolore, convoca un’assemblea d’ufficio in cui condiziona le sue dimissioni a un atto di solidarietà da parte nostra, innesca il processo Giammanco, lo innesca lui. E a quel punto, prendere atto di tutti i segnali che vi ho tratteggiato, era per noi un atto doveroso, non una scelta, era un atto dovuto, perchè non prendere le distanze da tutto questo, non denunciare la situazione invivibile nella quale in questo momento ci troviamo ad operare, fare come al solito, le solite dichiarazioni di principio: “ma io rimango al mio posto”, ecco, ci sembrava delittuoso. Perchè queste situazioni vanno denunciate , perchè tutto sarebbe continuato come prima, ed era inaccettabile.
Andare avanti e rischiare di persona con una procura assolutamente delegittimata e con una situazione di sicurezza personale assolutamente carente.
Ripeto: ritengo che il nostro atto sia stato doveroso.
Noi abbiano detto che siamo pronti a tornare qualora ci ar-rivino dei segnali positivi, di soluzione di questa incredibile situazione.
Allo stato, segnali positivi non ne sono arrivati.
PALOMBARINI: Tu hai preso parte all’assemblea di lunedì mattina? All’assemblea del lunedi mattina dopo la c’eri?
PRINCIPATO: Certo.
PALOMBARINI: morte di Borsellino, E, come devo dire, si è chiusa, hanno riferito molti colleghi, su invito di un procuratore aggiunto che ha detto: bè, visto che à un documento… Ecco, esattamente in che termini, non l’intero svolgimento, ma l’essenza e la conclusione di questa riunione?
PRINCIPATO: Praticamente ci sono stati, diciamo, tre gruppi. C’eravamo noi, quelli che poi sarebbero stati i firmatari di questo docu-mento, che poi siamo tra i più anziani della Procura, che abbiamo detto decisamente no, ci sono delle cose nella gestione che non ci hanno convinto, anzi che hanno provocato disagio e spaccature, quindi atti di solidarietà non possiamo in questo momento darne. C’erano tutti i giovani, poi, perchè la Procura di Palermo ormai si è quasi totalmente rinnovata, moltissimi giovani che hanno detto: noi non sappiamo quello che è successo in passato, ma prendiamo atto di questa spaccatura, e se questa spaccatura c’è, se tutto questo all’esterno e all’interno sta succedendo, vuol dire che non si può univocamente dare fiducia a Gianmanco.
C’erano poi le persone più vicine a Giammanco che, per la verità , non si sono nemmeno pronunciate .
Alla fine, poichè appunto non c’era una univocità di intenti rispetto a quanto ci era stato proposto, la riunione si à sciolta con un nulla di fatto. …è qualche cosa che attiene al passato ma che può essere mol to importante per il futuro.
Ho letto sul giornale una cosa molto, la definirei stupefacente: che cioè non fosse noto agli organi preposti alla sicurezza che in quella particolare via abitassero la madre e la sorella di Borsellino.
Le è noto questo? Questa circostanza che fosse addirittura ignoto, ecco. Anche a me sembra una cosa assolutamente impossibile.
Le risulta che Borsellino avesse sollecitato l’attivazione di particolari misure in relazione a questo luogo che era di sua abituale frequentazione?
PRINCIPATO: Ripeto, Paolo non chiedeva, voleva che fosse lo Stato ad organizzare la sua sicurezza. Io le posso dire quello che era l’at-
teggiamento di Paolo, per esempio, quando arrivò quell’anonimo con le nostre fotografie. Lui disse: “mi fa veramente arrabbiare il fatto che loro possano pensare che io mi lasci intimidire così e che quindi decida di non andare avanti, è questa la cosa che mi fa arrabbiare”. Paolo era fatto così, era un uomo tutto d’un pezzo.
Allora, siccome quello che conta à il risultato, se posso dare un consiglio di persona piuttosto matura, siccome non ci può purtroppo fidare di nessuno, il consiglio che do a voi, se conti- nuerete come mi auguro a lavorare li, di farvi iniziatori di un’attività di sollecitazione, perchè sperare negli altri à come affidarsi all’utopia.
Non bisogna essere preoccupati di apparire impauriti, terrorizzati o postulanti fuori luogo.
Mi rendo conto in realtà che è molto spiacevle, ma qualcosa bisogna fare perchè à inaccettabile che un fatto di questo genere…. se lei mi dice quello che è un po contrario, invece io ritengo che sia esatto, quello che ha detto lei, quello che abbiamo letto sul giornale e cioè che non ci fosse affatto una sistematicità di frequentazione di questo luogo. Se questo è vero che non si sia provveduto sul luogo è addirittura una cosa folle.
PRINCIPATO; E infatti. Noi abbiamo chiesto a questo proposito al Procuratore Generale di organizzare un incontro con il Ministro !
dell’Interno, perchè abbiamo verificato, appunto, l’incapacità degli organi che a Palermo sono preposti a garantire la sicurezza  dei magistrati, l’assoluta incapacità di provvedervi adeguatamente. Però, ripeto, non siamo noi a poter organizzare….. le strategie.

Dalla audizione in CSM della dottoressa TERESA PRINCIPATO, giá collega di Borsellino


 

 

 

Archivio digitale logo base