In questa storia non ci sono nomi. Non perché i nomi non ci siano. Cominciano a essercene anche troppi. Ma perché noi non li vogliamo fare.
E’ infatti offensivo per l’intelligenza degli italiani, affermare che, a oltre trentuno anni dalla strage di via d’Amelio, ci siano persone che si mossero sul teatro della strage, e alle quali oggi starebbe tornando improvvisamente la memoria sulla fine dell’agenda rossa.
Persone in divisa.
Persone dunque – si presume – in grado di intendere e di volere. Di memorizzare circostanze, luoghi, facce e persone.
E’ offensivo, per l’intelligenza dei lettori che, avendo tenuto a bada la nausea per quanto è accaduto in questi trent’anni, seguono ancora queste vicende, annunciare urbis et orbis che “una relazione segreta” dell’allora capo della Squadra mobile di Palermo è saltata fuori proprio cercando in stanze e cassetti di quella Squadra Mobile.
Relazione – sia detto per inciso – in cui il dirigente della mobile annotava di aver mandato un’“agenda di pelle” di Borsellino, ma di quale colore non se ne parla, al procuratore capo di Caltanissetta dell’epoca.
E la storia non finisce qui. Perché a Caltanissetta, stando a quanto apprendiamo dai giornali 31 anni dopo, di quella relazione nessuno accusò mai ricevuta.
Ma torniamo alle persone di cui sopra.
E mettiamo in evidenza un dato.
Di “agenda rossa” si parla ormai da decenni.
Di “agenda rossa” hanno concordemente parlato tutti i familiari di Paolo Borsellino.
C’è un movimento di giovani, fondato da Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, che addirittura si intitola “Agende Rosse”. Movimento che mai ha smesso di cercare la verità e far sentire la sua voce. Che ha organizzato anniversari della strage. Cortei. Dibattiti, nelle scuole e nelle università.
Solo per dire che tutt’Italia sa bene che parlando di “agenda rossa” si parla della “scatola nera” di quanto accadde in via d’Amelio.
Ma in tutti questi anni le persone “in grado di intendere e di volere” dov’erano? Che facevano? Che pensavano? Ridacchiavano? O avevano il sudore freddo? O cambiavano canale con il telecomando?
Insomma, di cosa si occupavano?
Perché non alzavano la manina, visto che andava avanti la catena dei processi sui “depistaggi” di via d’Amelio, dichiarando la loro disponibilità a farsi interrogare?
E spontaneamente, per l’onore della divisa che portavano, visto che le persone oggi coinvolte iniziano ad avere solo ora un nome e un volto.
E quel buon uomo, fotografato con la borsa in mano in via d’Amelio, e alla fine prosciolto, perché non avrebbe mai raccontato di non essere stato lui l’ultimo anello conosciuto della catena?
Brutta storia. Da qualunque prospettiva la si voglia guardare.
Se vogliamo dirla sino in fondo, sembra che in queste ultime settimane sia quasi scattato un “liberi tutti”.
Un disco verde dall’alto, da molto in alto.
Fatevi tornare la memoria. Fate i nomi, voi che sapete, voi che avete visto. Non importa se dovrete smentire i precedenti silenzi processuali, i “non ricordo” di molti testimoni anche fossero vostri colleghi. Sarà apprezzata la vostra buona volontà. La vostra sincerità, anche se, ce lo si lasci dire, dopo 31 anni appare un po’ tardiva.
Forse, dall’alto adesso dicono: l’importante è che questa storia finisca per sempre. Il mistero dell’“agenda rossa” non può durare all’infinito.
Ma tutto ciò – vogliamo ribadirlo – è molto offensivo per i comuni mortali.
Ci mancherebbe.
Fanno benissimo le Procure interessate, i corpi di polizia coinvolti, a darsi da fare, a ordinare di svuotare i cassetti, gli armadi, gli archivi.
Ma anche loro, che sono persone in grado di intendere e di volere quasi per definizione, converranno con noi che questa storia, per lo Stato italiano, è poco edificante, sotto ogni punto di vista.
Ecco la ragione per la quale oggi abbiamo ritenuto signorile non scrivere i nomi di nessuno.
Saverio Lodato