Cassazione ribalta il “Sistema” Montante: resta la corruzione, ma scompare l’associazione a delinquere

 

Attilio Bolzoni La sentenza 30 ottobre 2024 

 

È finita come nessuno poteva immaginare una delle più scabrose vicende degli ultimi anni, una storia italiana di potere infetto.

Neanche un colpevole, neanche lui, Calogero Antonio Montante meglio conosciuto come Antonello, padrone di un’isola intera e vicepresidente di Confidustria con delega alla Legalità. Un pennacchio, certificato di ottima condotta rilasciato prima da Emma Marcegaglia e poi da Giorgio Squinzi a un siciliano che a detta di alcuni di quell’ambiente “era nel cuore” di Vincenzo Arnone, capo mandamento di Cosa Nostra e consigliori dei capi dei capi della Cupola.

Non ha pagato nemmeno lui come tutti i suoi complici che l’hanno fatta franca per prescrizione grazie a una giustizia che non sa mai fare giustizia sino in fondo, lui che era annunciato come capro espiatorio di un sistema criminale come capri espiatori erano stati la giudice Silvana Saguto per le sconcezze nella gestione dei beni conficati alla mafia, Luca Palamara per le vergogne nella magistratura, Salvatore Buzzi per quella che fu Mafia Capitale.

Con un colpo di scena assolto in Cassazione dall’accusa di «associazione a delinquere finalizzata alla corruzione», cade totalmente quello che era conosciuto come il “sistema Montante”. Non c’è più, dieci anni di strapotere cancellato con un colpo di penna dai giudici della Suprema Corte.

A Montante rimane l’ «accesso abusivo a sistemi informatici» da 2014 in poi più la corruzione, tutto rimandato alla Corte di Appello di Caltanissetta per rideterminare la pena.

Calogero Montante non è mai stato secondo loro a capo di una banda di spioni (era collegato anche ad alcuni personaggi dell’inchiesta milanese sulla rete degli haker) e di ricattatori che ha spadroneggiato dalla Sicilia fino a Roma.

In primo grado la sentenza di condanna era stata pesantissima, 14 anni con il rito abbreviato. In appello gliel’hanno ridotta a 8. E oggi il verdetto definitivo che chiude la storia.
Nonostante le robuste motivazioni della sua condanna di secondo grado. Nonostante la conferma della condanna di appello chiesta dal procuratore generale. Nonostante un formidabile impianto accusatorio.

Ma questa, anche se la più importante, è solo la prima delle scadenze giudiziarie di Calogero Montante, imputato sempre di associazione a deliquere (con l’ex governatore Rosario Crocetta e un po’ di saltimbanchi della sua corte) per avere allungato le mani sulle regione siciliana, imputato di bancarotta fraudolenta ad Asti dove aveva un’azienda metalmeccanica e dove per un po’ di tempo ha avuto obbligo di dimora per ordine della magistratura.

L’insegnamento

Un confino lontano dalla Sicilia, dove è partita la sua irrestistibile scalata. Originario di un piccolo comune dell’entroterra fra le province di Caltanissetta e di Agrigento, Serradifalco (che fra le pagine del Candido di Leonardo Sciascia è descritto come “luogo da cui spiccar volo, e volo rapace”), prima ha dato l’assalto alla Confindustria locale e poi a quella nazionale sbaragliando avversari e perseguitando nemici, tutti coloro che avevano scoperto il grande inganno di una Confindustria siciliana che era schierata contro i boss. Una balla colossale che nemmeno la Cassazione può cancellare. Mai un imprenditore siciliano che ha denunciato il pizzo, mai un imprenditore che pagava il pizzo cacciato da Confindustria.
Rapacissima per davvero è stata la sua arrampicata. Da meccanico per la rigenerazione di ammortizzatori per auto a uno dei potenti più potenti d’Italia, amico di direttori dei servizi segreti e capi della polizia, comandanti di Arma e Finanza. Lo voleva ministro nel suo governo Matteo Renzi, in subordine avrebbe accettato anche la sua amica Calogera Vancheri che ha fedelmente accompagnato Antonello in ogni avventura.

Una falsa laurea honoris causa all’università di Berkeley e un’altra falsissima alla Sapienza di Roma, una falsa fabbrica di biciclette nel centro dell’isola celebrata da cronisti amici e da Andrea Camilleri, un falso passato ricostruito con astuzia per coprire quello vero. Tutta una vita dentro un gioco di specchi.

Ma che cosa ci ha lasciato, al di là del lungo e tormentato percorso giudiziario, la storia di questo siciliano che nello spazio breve di un decennio ha conquistato fama e denaro con qualcuno che lo presentava addirittura come “il nuovo Gianni Agnelli” ?

Ci ha lasciato la consapevolezza che in Italia non si può dire mai niente di scontato quando c’è di mezzo la Cassazione.

 

SPECIALE MONTANTE