Depistaggio Borsellino: ecco le telefonate shock di Scarantino ai pm

 

Redazione 5.12.2019 IL SICILIA

 

Sono state depositate a Caltanissetta le intercettazioni che secondo l’accusa dimostrerebbero la costruzione a tavolino del falso pentito Vincenzo Scarantino, e quindi il depistaggio sulle indagini relative alla strage di via D’Amelio.
Nelle bobine, rimaste fino a oggi misteriose, le registrazioni inedite dei colloqui tra Scarantino e i pm dell’epoca, Carmelo Petralia e Anna Maria Palma, indagati a Messina con l’accusa di calunnia aggravata.
In una telefonata Petralia dice: “Scarantino, iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento… mi sono spiegato, Vincenzo… si sente pronto lei?…”.

E’ l’8 maggio del 1995 e il pm Carmelo Petralia, che all’epoca coordinava l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, parla al telefono con l’ex ‘picciotto’ della Guadagna.

 

Sono parole pesanti “Preparazione alla deposizione al dibattimento”. Cosa vogliono dire?
Le intercettazioni sono in 19 bobine ritrovate dopo 24 anni al palazzo di giustizia di Caltanissetta e riversate dal nastro magnetico a un supporto DVD digitale. Scarantino, ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione”, dice ancora Petralia.
Nella conversazione intercettata e trascritta dagli uomini del Ros di Messina, Petralia dice ancora a Scarantino: “Sicuramente ci sarà anche il dottor Tinebra – gli dice riferendosi all’allora procuratore di Caltanissetta – quindi tutto lo staff delle persone che lei conosce. E lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi, così li affrontiamo in modo completo”, riporta l’agenzia Adnkronos.
Scarantino parlava anche con la pm Palma: “E’ importante che lei faccia questo interrogatorio…”, dice la PalmaAddirittura la pm fece una sorta di mini interrogatorio al telefono con Scarantino, anticipandogli una domanda che gli avrebbe poi fatto in via ufficiale.
Misteri ancora tutti da chiarire.
Intanto a Caltanissetta sono sotto processo tre poliziotti del “Gruppo Falcone Borsellino”: gli ex ispettori Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e il dirigente Mario Bò.


Depistaggio strage Borsellino, cosa c’è nelle 19 bobine misteriose

Si svolgerà oggi, 19 giugno, al Racis dei Carabinieri di Roma l’accertamento tecnico irripetibile sulle 19 bobine magnetiche che la Procura di Messina ritiene connesse al depistaggio (ormai certo, in base alla sentenza del Borsellino quater) relativo alla strage di via D’Amelio.

Cosa contengono quei nastri misteriosi? L’unica cosa certa è che riguardano il falso pentito Vincenzo Scarantino e che all’esame tecnico di oggi sono stati convocati i difensori dei due pm indagati per “calunnia aggravata” (Anna Maria Palma e Carmelo Petralia), oltre che i legali dei sette condannati ingiustamente: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino, persone offese dal reato di depistaggio.
Le 19 registrazioni sono prodotte con vecchi apparecchi per intercettare, gli RT2000, prodotti dal 1982 dall’azienda triestina Radio Trevisan. I nastri sono magnetici quindi l’ascolto è considerato tecnicamente un “atto irripetibile” poiché le bobine potrebbero danneggiarsi. Ecco perché oggi saranno riversate in digitale.
L’ RT2000 fu costruito fino al 1988 e inserito sul telaio di un registratore portatile, “UHER 4400“, dotato anche di una piccolissima stampante termica e un display. Un registratore automatico di intercettazioni telefoniche oggi ormai obsoleto. Poteva registrare fino a 4 canali audio contemporaneamente e stampava le informazioni (ad esempio data e ora, numero di telefono composto) sulla mini-stampante anteriore di biglietti.
Era concepito come un apparecchio di spionaggio, e qualche appassionato lo può ancora trovare come pezzo di “tecnologia d’antiquariato” su Ebay, alla cifra di 75 dollari (66 euro).
Oggi, a 27 anni dalla strage in cui morì il giudice Paolo Borsellino, si sa solo che quei nastri non contengono interrogatori ma intercettazioni di Scarantino. In attesa di scoprire il contenuto di queste bobine misteriose, il Procuratore di Messina Maurizio De Lucia, che coordina l’inchiesta sul depistaggio, spera di trovare indizi importanti.
Chi suggerì a Scarantino le bugie condite da alcune verità? Furono solo i tre poliziotti sotto processo (Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei), oppure – come sostiene Fiammetta Borsellino – dietro ci sarebbero dei pm?
La strada per la verità è ancora lunga, ma si intravede uno spiraglio di luce.


Depistaggio via D’Amelio: udienza per i 3 poliziotti sotto accusa. Fiammetta Borsellino: “Non hanno agito da soli”

 

Si celebra al Tribunale di Caltanissetta l’udienza preliminare a carico di Fabrizio Mattei ex ispettore di polizia ora in pensione, Mario Bo, ex funzionario o oggi dirigente della polizia a Gorizia, e Michele Ribaudo, agente di polizia, che nel ’92 dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio fecero parte del cosiddetto gruppo investigativo “Falcone Borsellino” come stretti collaboratori di Arnaldo La Barbera (morto nel 2002), considerato l’ispiratore del depistaggio sulle indagini della strage di via D’Amelio, dove nel ’93 furono assassinati il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della scorta.

I poliziotti sono tutti accusati di concorso in calunnia per avere creato ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino. La Procura di Caltanissetta chiede il rinvio a giudizio, a decidere sarà il gip Gabriella Luparello.

Ammesse come parti civili i familiari del magistrato assassinato in via via D’Amelio: Fiammetta, Lucia e Manfredi, nonché Salvatore, fratello del magistrato, e i figli di Adele, l’altra sorella di Paolo Borsellino.

Hanno chiesto la costituzione di parte civile anche alcuni dei mafiosi accusati e condannati ingiustamente della strage di via D’Amelio hanno avanzato la richiesta di costituirsi parte civile: Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto e Natale Gambino. I mafiosi hanno anche citato in giudizio come responsabile civile la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno: a loro chiedono un risarcimento di 50 milioni di euro.

Agli atti dell’inchiesta, condotta dal sostituto Stefano Luciani e dall’aggiunto Gabriele Paci, ci sono gli appunti che il poliziotto Mattei passava al falso pentito Scarantino per suggerire le dichiarazioni da rendere. Secondo Mattei, erano pro memoria, mentre per la Procura veri e propri suggerimenti. Gli appunti sono stati consegnati dallo stesso Scarantino ai magistrati. Presente in udienza Fiammetta Borsellino.

In Tribunale è arrivato anche il presidente della Commissione regionale antimafia, Claudio Fava, che ha aperto una istruttoria dell’organismo parlamentare sul depistaggio.

Durante una pausa dell’udienza preliminare a Caltanissetta per il depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio, Fiammetta Borsellino si è avvicinata a due dei tre imputati accusati dalla Procura di concorso in calunnia: Fabrizio Mattei e Mario Bo. Tra Fiammetta e i due c’è stato un dialogo.

“Sono qui in segno di solidarietà nei confronti di una Procura che si sta impegnando con tenacia a sciogliere un nodo enorme sulla mancata verità che riguarda la strage di via D’Amelio, un nodo compromesso quasi definitivamente dalle attività depistatorie”. Così Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo.

“Questa Procura a distanza di molti anni con enormi difficoltà sta cercando di fare luce su cose fatte da pm precedenti, perché questi poliziotti non hanno agito da soli, ma sotto la direzione, il controllo e la supervisione di magistrati e di pubblici ministeri. Ho fiducia – ha aggiunto – raggiungere una verità è difficile, ma sono convinta del percorso che può portare anche a fare barlumi di luce. È importante il segnale che si continui a lottare per esercitare un diritto sancito all’articolo 2 della Costituzione, il diritto alla verità“.

E poi si lascia andare ad uno sfogo: “Oggi, in questa aula lo Stato non c’è.Né la presidenza del Consiglio, né il ministero dell’Interno o della Giustizia hanno chiesto di costituirsi parte civile. Sono molto amareggiata”.

Intanto il pm Stefano Luciano ha chiesto per i tre poliziotti accusati l’applicazione del comma 1 dell’art.416 bis che riconosce a chi ha agito dall’esterno l’aggravante di avere favorito la mafia.

Durante una pausa dell’udienza, Fiammetta Borsellino ha avvicinato due dei tre poliziotti, scambiando qualche parola con loro. “Ai due poliziotti – racconta – ho chiesto di dare un contributo di onestà considerata l’evidenza delle loro posizioni e che sono stati sicuramente dei protagonisti fondamentali di questa amara vicenda”. 

“In questa storia ognuno di noi c’è dentro fino al collo quindi l’auspicio è poter dare un contributo di onestà per spiegare veramente cosa cosa è successo, quale era il clima, da chi probabilmente hanno ricevuto gli ordini”.

Nel primo pomeriggio, infine, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ha reso noto di aver dato mandato all’avvocatura comunale di procedere alla costituzione di parte civile nel processo.


Processo per depistaggio via D’Amelio, agli atti le intercettazioni tra il pm indagato per calunnia e il falso pentito Scarantino

 

La procura di Caltanissetta ha depositato agli atti del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio le trascrizioni integrali delle conversazioni intercettate tra il falso pentito Vincenzo Scarantino, i suoi familiari e alcuni pm che gestivano la sua collaborazione con la giustizia. Nei giorni scorsi erano stati depositati i verbali riassuntivi. Per l’accusa queste intercettazioni provano il depistaggio sulle indagini. “Iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento… mi sono spiegato Vincenzo… se sente pronto lei…” dice il pm Carmelo Petralia al falso pentito Vincenzo Scarantino che nel 1994, aveva iniziato da poco tempo a collaborare con la giustizia. E aveva accusato diverse persone innocenti per la strage di via D’Amelio. Petralia è indagato per concorso in calunnia aggravata con l’altro pm, Annamaria Palma, che coordinò l’indagine dopo la strage. Entrambi sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla procura di Messina dopo la trasmissione degli atti da Caltanissetta. “Sicuramente ci sarà anche il dottor Tinebra – gli dice riferendosi all’allora procuratore di Caltanissetta – quindi tutto lo staff delle persone che lei conosce. E lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi, così li affrontiamo in modo completo”. Poco prima Petralia dice a Scarantino, come si legge nelle trascrizioni delle bobine depositate al processo depistaggio sulla strage Borsellino: “Ci dobbiamo tenere molto forti dice Petralia a Scarantino – perché siamo alla vigilia della deposizione”.

Il processo è a carico di tre funzionari di polizia che, secondo l’accusa, avrebbero imbeccato Scarantino costruendo una versione di comodo della fase esecutiva dell’attentato. Le intercettazioni, che risalgono al periodo in cui il collaboratore era sotto protezione, erano state registrate su una serie di bobine mai analizzate che, recentemente, la Procura di Messina ha acquisito agli atti dell’inchiesta che, sempre per il depistaggio, vede indagati gli ex pm del pool che indagò sulla strage. Come i poliziotti sotto processo a Caltanissetta, i due magistrati rispondono di calunnia aggravata. Dalle intercettazioni emergono decine di telefonate tra Scarantino, la moglie e altri familiari e diversi contatti tra il falso pentito e Mario Bo, ex funzionario del pool investigativo che indagava sulle strage di Capaci e via D’Amelio ora imputato nel processo per il depistaggio. Scarantino chiamava frequentemente anche i pm Palma e Petralia. Dalle conversazioni emerge il nervosismo e l’inquietudine del falso pentito che si rivolgeva ai magistrati e alla polizia per continue richieste relative al sistema di protezione a cui era sottoposto. E cenni alla deposizione che il teste avrebbe dovuto rendere.

L’indagine su Palma e Petralia nasce un anno fa, quando la procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo per il depistaggio delle indagini sull’attentato, ha trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati. Così l’ufficio inquirente della città sullo Stretto ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre-investigativa. Che adesso è diventata un’inchiesta per calunnia aggravatacon alcune persone indagate. I fatti contestati sono stati commessi “in Caltanissetta e altrove, in epoca antecedente e prossima al settembre 1998”. La nuova indagine è condotta dal procuratore di Messina, Maurizio De Lucia,perché l’ufficio inquirente della città dello Stretto è competente quando sono coinvolti nelle vicende giudiziarie magistrati in servizio a Catania: ed è il caso di Petralia.

Negli atti che i pm di Caltanissetta hanno inviato ai colleghi messinesi si fa riferimento alla sentenza del processo Borsellino quater. Nelle motivazioni dell’ultimo verdetto della strage i giudici della corte d’assise parlavano di depistaggio delle indagini sull’attentato al magistrato. “Questa Corte ritiene doveroso, in considerazione di quanto è stato accertato sull’attività di determinazione realizzata nei confronti dello Scarantino, del complesso contesto in cui essa viene a collocarsi, e delle ulteriori condotte delittuose emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale, di disporre la trasmissione al Pubblico ministero, per le eventuali determinazioni di sua competenza, dei verbali di tutte le udienze dibattimentali, le quali possono contenere elementi rilevanti per la difficile ma fondamentale opera di ricerca della verità nella quale la Procura presso il Tribunale di Caltanissetta è impegnata”, è il passaggio della sentenza con cui si dispone la trasmissione degli atti.


Strage di via D’Amelio, le telefonate di Scarantino ai pm e ai familiari

 

Le trascrizioni depositate al processo sul depistaggio per la strage di via D’Amelio. Il dottor Petralia al falso pentito: «potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti I suoi problemi, così li affrontiamo in modo completo»

Decine di telefonate ai familiari, ai poliziotti che si occupavano della sua sicurezza e ai pm che gestivano la sua collaborazione con la giustizia. Parliamo delle trascrizioni sbobinate di recente a Roma dai carabinieri del Racis per conto della Procura di Messina e che sono state trasmesse alla procura di Caltanissetta che le ha depositate al processo sul depistaggio. Tutto come annunciato nella scorsa udienza del procedimento che vede sotto accusa tre dei poliziotti del pool che indagava sulla strage di via D’Amelio. Sono state quindi rese pubbliche – grazie ai lanci dell’agenzia Adnkronos – le intercettazioni del falso pentito registrate nella primavera del 1995 quando l’ex ‘ picciotto’ della Guadagna era in Liguria con la sua famiglia.

Il quadro che emerge non è chiaro come ci si aspettava, ma crea sicuramente molti dubbi, anche relativamente all’approccio che ebbero i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che coordinavano l’inchiesta, e che ora sono indagati a Messina con l’accusa di aver imbeccato il falso pentito. «Iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento… mi sono spiegato Vincenzo… se sente pronto lei…», dice il pm Carmelo Petralia rivolto a Scarantino. Siamo nel 1994 e Scarantino aveva iniziato da poco tempo a collaborare con la giustizia e aveva già accusato ingiustamente diverse persone per la strage.

«Sicuramente ci sarà anche il dottor Tinebra – dice ancora Petralia a Scarantino riferendosi all’allora procuratore di Caltanissetta – quindi tutto lo staff delle persone che lei conosce. E lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi, così li affrontiamo in modo completo». Poco prima Petralia dice a Scarantino, come si legge nelle trascrizioni delle bobine depositate: «Ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione».

Poi in una altra trascrizione appare la telefonata con la pm Annamaria Palma. «Mi hanno detto che io sono un collaboratore della polizia non della magistratura», le dice. Ma il magistrato, che ha coordinato le prime indagini sulla strage di via D’Amelio, rassicura Scarantino: «No, no. Lei è un collaboratore con tanto di programma di protezione, già disposto dal ministero. Quindi, dalla Commissione speciale, per cui questo suo discorso è sbagliato». Ma Scarantino ribatte: «non è che l’ho detto io, me lo hanno detto».

In una’altra telefonata, ad esempio, Scarantino dice sempre alla pm Palma che ha «paura di andare a Genova» per un interrogatorio. Ma «la sua interlocutrice scrivono i poliziotti nella trascrizione – lo rassicura in merito alla sicurezza dei trasferimenti che dovrà effettuare, ma il pentito le spiega che ci sono delle persone che dovrà incontrare che a lui non piacciono, specificando, a domanda, che non si tratta della dottoressa ( Sabatino ndr) bensì di individui che sono in quell’ufficio».

L’agenzia Adnkronos rivela anche altre telefonate, questa volta rivolte ai familiari. «Angelo Basile, fratello della moglie – scrivono i carabinieri nelle trascrizioni – come la madre, esterna dubbi in merito alla scelta di collaborare presa dal cognato il quale, a suo parere, avrebbe ricevuto pressioni in merito. Scarantino invece nega dicendo che la sua scelta non è stata dettata né dalla detenzione di Pianosa né da eventuali pressioni».

Ma cade in contraddizione, invece, con quanto lo stesso Scarantino disse alla moglie Rosalia Basile, nel corso di un colloquio nel carcere di Pianosa: «Non ce la faccio più a Pianosa. O mi impicco, oppure inizio a collaborare con i magistrati». Ricordiamo che durante il processo, che si sta celebrando a Caltanissetta, ha deposto l’ex moglie, la quale ha parlato proprio del suo colloquio quando il falso pentito era recluso nel carcere speciale. «Prima dell’arresto pesava più di cento chili, ma già a Venezia trovai la metà della persona che lui era – ha raccontato-.

A Pianosa lo trovai con la barba incolta, gli occhi strani, sembrava un animale, era proprio irriconoscibile. Lo minacciavano anche di morte, dicevano che se lui non collaborava gli facevano fare la stessa fine di un certo Gioè ( Antonino ndr), un ragazzo ucciso in carcere. Era Arnaldo La Barbera che gli faceva questi discorsi».

Scarantino avrebbe raccontato all’ex moglie di aver subito maltrattamenti di ogni tipo, fisici tipo mettergli vermi nel cibo. Ascoltate queste confidenze del marito, la donna resta basita. Vorrebbe aiutarlo, fare qualcosa per tirarlo fuori da quella situazione. «Scrissi a tutti, al presidente della Repubblica di allora, andai anche a Roma per tentare di parlare col Papa – ha raccontato in udienza-. Sono andata anche a Cinecittà per fermare Funari ( Gianfranco, l’ex conduttore televisivo ndr) e parlare con lui ma non ci sono riuscita, sono andata persino sotto casa di Agnese Borsellino per dirle che mio marito lo stavano ammazzando e che non c’entrava niente… è sceso un signore in portineria, mi disse che non era il caso di parlare con loro, non se la sentivano, erano in lutto».

Ci sono altre trascrizioni depositate dei colloqui con la moglie. «Vincenzo le dice – trascrivono gli investigatori che ha parlato con i giudici in merito a degli omicidi e fa dei nomi incomprensibili. Rosalia Basile riferisce che lui è veramente impazzito e che ha sentito le notizie della televisione. Lui le chiede se vuole parlare con i poliziotti e con i magistrati ricevendo una risposta negativa».

A quel punto Scarantino si alza e abbraccia la moglie bisbigliandole all’orecchio e poi le dice a voce più alta: «I bambini cresceranno con tanta dignità, con tanta educazione». Da lì a poco, Scarantino decise di collaborare con la giustizia e si concretizzò il depistaggio. L’avvocato Giuseppe Seminara, che difende due dei tre poliziotti sotto processo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, a proposito di queste intercettazioni dice all’Adnkronos: «A un primo esame, sono prive di qualunque valenza accusatoria, essendo pressoché irrilevanti. Questo processo mediatico si fonda su elementi suggestivi che, stanteil lunghissimo tempo trascorso, sono difficili da confutareLe acquisite intercettazioni, come altri elementi sopravvenuti, sono state, grazie all’attività della procura di Messina, a nostro avviso favorevoli rispetto alla posizione degli imputati».


Le telefonate di Scarantino ai magistrati E quei motivi tecnici per non registrarle

«Problemi di traslatore», «mancanza di linea», «motivi tecnici» o «guasto tecnico», «mancanza di energia elettrica». Sono tante e diverse le diciture adottate, di volta in volta, per spiegare le ragioni per cui non vengono registrate alcune conversazioni di Vincenzo Scarantino, nero su bianco nei brogliacci dell’epoca. Siamo tra il 22 dicembre 1994 e il 9 luglio 1995, da ottobre il finto pentito di via D’Amelio si trova con la famiglia in un appartamento del residence La Meridiana a San Bartolomeo al Mare. All’inizio in regime di detenzione extracarceraria e poi, dal 12 dicembre, in qualità di collaboratore di giustizia, per essere poi trasferito di nuovo con la famiglia a Livorno il 28 luglio ’95. È subito dopo l’inizio della sua collaborazione che il telefono di quell’appartamento viene messo sotto intercettazione. A occuparsi di quelle registrazioni, catturate con una Rt 2000, sono gli agenti del gruppo Falcone-Borsellino. Ogni operatore, in quei brogliacci oggi accuratamente analizzati in una relazione di 15 pagine della Dia trasmessa alla procura di Caltanissetta, «in maniera autonoma, utilizza sigle e/o diciture da lui ritenute opportune».

Di quelle telefonate, alcune risultano oggi mai registrate. Di queste, secondo la Dia, alcune sarebbero state tra Scarantino e alcuni magistrati che all’epoca stavano indagando sulla strage di via D’Amelio. In particolare, Annamaria Palma, oggi avvocata generale a Palermo, e Carmelo Petralia, attualmente in servizio alla procura di Catania. Entrambi indagati dalla procura di Messina per calunnia aggravata. Tre, in particolare, le utenze che hanno attirato l’attenzione della Dia: una è un numero di cellulare, utenza che «risulta intestata alla procura generale di Caltanissetta – si legge nella relazione -. Non fa parte delle utenze fornite da Rosalia Basile (all’epoca moglie di Scarantino ndr) durante l’udienza del 21 marzo 2019». Scarantino chiama questo numero per due volte, il 3 e il 4 maggio ’95, ma in entrambe le occasione «per motivi tecnici la telefonata non è stata registrata». Simile il motivo per cui non risultano registrate altre due telefonate, fatte da Scarantino a un’utenza fissa che «risulta intestata alla corte di appello di Caltanissetta – si legge sempre nella relazione della Dia -. Tuttora in uso a codesta procura della Repubblica, verosimilmente attestata all’interno di un ufficio» oggi occupato da un sostituto procuratore.

Chi c’era all’epoca in quella stessa stanza? A chi appartenevano quell’ufficio e quel numero? Scarantino chiama la prima volta il 6 giugno ’95, accanto a quella data annotato sul brogliaccio un «non comunica» non meglio specificato. E di nuovo una chiamata il 22 giugno ’95, questa volta l’annotazione è di «guasto tecnico». E poi c’è un’altra utenza fissa, che Scarantino avrebbe chiamato più volte, telefonate rimaste quasi tutte senza risposta. Un’utenza che «è verosimilmente stata in uso sia alla dottoressa Annamaria Palma che al dottor Carmelo Petralia, ambedue in quel periodo in servizio presso codesta Procura». Le conversazioni con entrambi sono state registrate tutte nel ’95: ce n’è una il 7 febbraio e l’annotazione è «Enzo con magistrato», un’altra il 14 marzo e ancora «Enzo con magistrato», poi il 3 maggio con la dicitura «per motivi tecnici la conversazione non è stata registrata», e ne risultano tre l’8 maggio: «Enzo conversa con la dottoressa Palma…», «la dottoressa Palma spiega ad Enzo…», «Enzo parla col dottor Petralia». Infine, ce ne sono due a giugno, una il 12 («Enzo chiama la dottoressa Palma») e un’altra il 27 («Enzo conversa con la dottoressa Palma»).

«L’utenza in questione, stando alle informazioni assunte presso il personale in servizio alla Procura, era in uso ai magistrati per le conversazioni ritenute riservate», scrive ancora la Dia. E, in effetti, a confermare che le telefonate tra Scarantino e i pm impegnati nelle indagini su via D’Amelio possano all’epoca non essere state registrate è anche un ex funzionario del gruppo Falcone-Borsellino ascoltato poco tempo fa al processo a carico di Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata e anche loro in forze all’epoca nel pool investigativo. L’ex agente è Giampiero Valenti, che ha trascorso quattro turni di servizio con Scarantino a San Bartolomeo al Mare. E che ha raccontato davanti ai giudici di Caltanissetta di non aver mai avuto a che fare con quelle intercettazioni: mai registrate, mai gestite, mai ascoltate. L’unico coinvolgimento, sempre marginale a suo dire, avviene quando il collega Giuseppe Di Gangi gli avrebbe detto «fammi compagnia, vieni con me», e lo accompagna a interrompere l’intercettazione in corso perché Scarantino avrebbe dovuto parlare di lì a poco al telefono con i magistrati. «Non so se era lui che doveva parlare coi pm o viceversa, loro con lui». Un’interruzione di cui oggi non esisterebbe alcuna annotazione. «All’epoca, forse per l’inesperienza e perché non potevo immaginare cosa sarebbe successo oggi, non lo trovai anomalo».

Intanto, adesso gli inquirenti chiedono alla Procura di Caltanissetta, inoltre, di «visionare i fascicoli personali dei sostituti procuratori in servizio in quel periodo presso codesta procura» per «addivenire all’eventuale identificazione del magistrato che aveva in uso l’utenza in questione», conclude la nota della Dia. Tra le quindici pagine, inoltre, viene segnalata anche una conversazione del 25 febbraio ’95 tra Scarantino e un’avvocata: «L’avvocato dice di stare tranquillo e di non mandare nulla all’aria – si legge nel sunto del brogliaccio -. Enzo dice “no, questo no, io dovrei parlare con lei”. L’avvocato: “Io mi sto organizzando, aspetto l’autorizzazione perché la voglio incontrare da solo”. Enzo: “Sì, così si parla”. Avvocato: “Abbiamo tante cose di cui parlare”». Cosa significa esattamente questa conversazione fra i due? E qual è il senso, alla luce di tutto quello che è accaduto in seguito, del passaggio in particolare in cui la legale gli dice di “non mandare tutto all’aria”? La Dia pone l’attenzione su questa conversazione, come su altre: quella, ad esempio, della mattina del 9 marzo ’95 diretta alla questura di Palermo, di nuovo una «conversazione non registrata per cause tecniche». O un’altra ancora del pomeriggio del 21 aprile, anche questa diretta a un’utenza palermitana, il cui «testo non è ben comprensibile», potrebbe non esserci stata conversazione telefonica.

Non c’è traccia neppure dell’intervista rilasciata al giornalista di Mediaset Angelo Mangano il 27 luglio ’95, in cui Scarantino in diretta su Studio Aperto ritratta. Poco prima, a parlare col cronista era stata anche la madre del picciotto della Guadagna, lì nella loro casa: «Questa signora mi racconta che il figlio aveva chiamato al telefono di casa, aveva detto che lui si era inventato tutto, che non era vero nulla, che aveva accusato delle persone innocenti (le stesse che da condannati vestono oggi a Caltanissetta i panni di parti offese nel processo per calunnia contro i tre poliziotti che potrebbero aver contribuito alla creazione del falso pentito …ndr), e che aveva voglia di andare in galera, di non fare più il pentito», come raccontato dallo stesso cronista, per la prima volta sentito in un processo sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio. «Si noti come a quella data – scrive la Dia – l’intercettazione dell’utenza di Scarantino era stata interrotta». Ancora una volta non possiamo che chiederci perché.