«MAFIA E APPALTI, L’EX PM NATOLI: “BORSELLINO SAPEVA DELL’ARCHIVIAZIONE”»

 

di Giuseppe Pipitone FQ 
 
Non è vero che a Paolo Borsellino venne nascosta l’archiviazione dell’inchiesta su Mafia e Appalti. E non è vero neanche che il magistrato protestò coi suoi colleghi per la gestione dell’indagine del Ros dei carabinieri.
A raccontarlo davanti alla commissione Antimafia è stato Gioacchino Natoli, che era pm a Palermo negli anni delle stragi. Durante una lunga audizione il magistrato è tornato indietro nel tempo fino al 14 luglio del 1992: quel giorno in Procura si discute proprio di Mafia e Appalti. “Guido Lo Forte fece presente come ci fosse un problema giuridico: alcune intercettazioni erano inutilizzabili a livello processuale”, ha raccontato Natoli.
È anche per questo motivo che era stata chiesta l’archiviazione di quell’indagine: “Si parlò della necessità di chiudere delle posizioni che non presentavano degli elementi sufficienti per andare avanti. Si sarebbe archiviato, poi con l’arrivo di novità avremmo riaperto…”, ha proseguito Natoli. Cosa che in effetti sarebbe avvenuta nel settembre dello stesso anno.
Borsellino era dunque a conoscenza della volontà di archiviare l’indagine? “Per quello che ricordo io certamente sì – ha detto l’ex pm–. Quel giorno Paolo stava a ridosso della porta d’accesso perché fumava, ogni tanto entrava, faceva una domanda e poi ritornava fuori. Non ho un ricordo di critiche che possa aver mosso relativamente al rapporto Mafia e appalti”.
Questo è un passaggio cruciale: vuol dire che quell’indagine non venne insabbiata all’insaputa del giudice, solo cinque giorni prima della strage di via d’Amelio.
 
Una tesi sostenuta nei mesi scorsi a Palazzo San Macuto da Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale dei figli del giudice, che considera il dossier del Ros il movente segreto della strage di via d’Amelio. Una posizione condivisa storicamente anche da tutto il centrodestra, che ha due effetti: esclude la “pista nera”, che collega via d’Amelio alla strategia di destabilizzazione cominciata a Capaci. Ma cancella pure quanto emerso in alcune inchieste poi archiviate: quelle che legano la morte del magistrato a informazioni che lo stesso Borsellino poteva aver avuto sui legami tra Cosa Nostra e l’entourage di Silvio Berlusconi.
 
Sempre a proposito di Mafia e appalti, Natoli ha anche negato che il pentito Gaspare Mutolo abbia potuto fare dichiarazioni su quell’indagine: “Almeno per quello che riguarda interrogatori in mia presenza”.
Un dettaglio importante: in altre occasioni, infatti, Mutolo fece rivelazioni a Borsellino in via confidenziale. È il caso dei legami tra Cosa nostra e Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, cioè i servizi segreti: racconti esplosivi che Mutolo metterà a verbale solo dopo la strage di via d’Amelio. Borsellino, però, ne era già a conoscenza poco prima di essere ucciso. E potrebbe averne parlato addirittura con Giovanni Tinebra, il procuratore di Caltanissetta. A raccontarlo è stato lo stesso Natoli, che in quei giorni accompagnò Borsellino a Roma proprio per ascoltare Mutolo: in programma c’erano tre giorni di interrogatori, dal 16 al 18 luglio.
“Partiamo giovedì mattina, procediamo con l’interrogatorio, Paolo resta con noi fino alla metà del giorno successivo, poi deve rientrare perché aveva un impegno di coordinamento con Tinebra che nel frattempo si era insediato a Caltanissetta”, aveva raccontato il pm al Csm già il 30 luglio del 1992. Quel verbale è stato desecretato solo due anni fa, nel trentennale delle stragi: il passaggio sull’incontro tra Borsellino e Tinebra, però, è stato completamente dimenticato.
Anche dallo stesso Natoli, che ha recuperato quel ricordo solo di recente, riferendolo poi all’Antimafia.
Dunque subito dopo aver saputo da Mutolo che Cosa nostra aveva contatti con Contrada, Borsellino torna a Palermo per incontrare Tinebra. Non si sa se i due alla fine effettivamente si vedono: di sicuro, però, si sentono.
Lo sostiene una nota del gruppo Falcone-Borsellino, quello formato da Arnaldo La Barbera per indagare sulle stragi.
Quel documento è citato nella sentenza del tribunale di Caltanissetta sul depistaggio delle indagini di via d’Amelio: tra le ore 12 e 42 e le 12 e 44 del 17 luglio ci sono due telefonate che partono dal cellulare di Borsellino e sono dirette a quello di Tinebra. Durano in totale un minuto e 40 secondi: a cosa sono servite? Mentre si sta recando all’aeroporto per tornare a Palermo, Borsellino chiama Tinebra per rivelargli le confidenze ricevute da Mutolo sul conto di Contrada? E allora perché, subito dopo la strage di via d’Amelio, la prima persona alla quale Tinebra chiede di collaborare alle indagini è proprio il dirigente dei Servizi? Una domanda che pure la presidente Chiara Colosimo ha voluto sottolineare pubblicamente. E anche da qui che dovrà ripartire il lavoro della sua commissione.
(da “Il Fatto Quotidiano” del 2 febbraio 2024)

Natoli in Commissione antimafia: ”Archiviazione mafia-appalti? Borsellino sapeva”

 



L’ex magistrato: “Giovanni Falcone voleva indagare su Gladio a 360 gradi”

Il giudice Paolo Borsellino era “certamente” a conoscenza che a luglio parte dell’inchiesta mafia-appalti sarebbe stata archiviata. Non solo. Il 14 luglio del 1992, quando in Procura si tenne una riunione a seguito delle forti polemiche a mezzo stampa in cui si diffondeva il sospetto o l’accusa che alla Procura di Palermo si manipolassero o si insabbiassero le indagini più delicate (come quelle che potevano coinvolgere esponenti politici) Borsellino non protestò coi suoi colleghi per la gestione dell’indagine dei carabinieri del Ros.
A raccontarlo è l’ex magistrato Gioacchino Natoli, tornato nuovamente in Commissione antimafia impegnata, lo ricordiamo, in una serie di audizioni per ricostruire anche le vicende che ruotano attorno all’inchiesta mafia-appalti.
Un’indagine che, secondo alcuni (tra cui l’avvocato Fabio Trizzino, legale di Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino), avrebbe rappresentato il ‘motivo principe’ dell’accelerazione che portò alla strage del 19 luglio 1992.
Una versione già smentita più volte come abbiamo già avuto modo di esporre in altri articoli.
Rispondendo ad una domanda posta dell’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato di fatto ha confermato quanto già dichiarato dal procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio, aggiungendo anche altri dettagli.
“Quel giorno Paolo stava a ridosso della porta d’accesso perché fumava – ha ricordato Natoli – ogni tanto entrava, faceva una domanda e poi ritornava fuori. Entrava, faceva una domanda o seguiva comunque quello che si stava dicendo e ritornava fuori. Quindi non ho un ricordo, per essere preciso sul punto, di critiche che Paolo Borsellino muove relativamente alla illustrazione di questo rapporto mafia-appalti“.
In quella assemblea, preannunciata con una convocazione scritta, venivano toccati diversi punti. “A memoria – ha proseguito – credo di ricordare fossero ‘mafia-appalti’, ricerca latitanti, il cosiddetto Libro Mastro dei Madonia o di via d’Amelio” che “conteneva una serie numerosa di soggetti che erano stati estorti ma con indicazioni che erano appena accennate”.
Quando venne il momento di parlare di mafia-appaltiGuido Lo Forte fece presente come ci fosse un problema giuridico: alcune intercettazioni erano inutilizzabili a livello processuale”. Ed era quello uno dei motivi per cui si rendeva necessaria l’archiviazione di quello stralcio. “Si parlò della necessità di chiudere delle posizioni che non presentavano degli elementi sufficienti per andare avanti – ha proseguito Natoli – Si sarebbe archiviato, poi con l’arrivo di novità avremmo riaperto…”.
Sul punto Natoli ha anche ricordato di una riunione precedente, del giugno 1991, in cui già allora venivano fatte delle valutazioni sul rapporto presentato dal Ros nel mese di febbraio. Già in quella riunione si decise all’unanimità di archiviare alcune posizioni poiché i magistrati avevano constatato che “il dossier mafia e appalti non ha elementi molto forti, ha più criticità che non elementi di forza”.
Un altro tema di approfondimento ha poi riguardato Gaspare Mutolo e la possibilità che lo stesso collaboratore di giustizia avesse potuto offrire elementi proprio su quei temi. Ma Natoli non ha dubbi: “Non ha mai parlato di ‘mafia-appalti’ perché non ne aveva conoscenza almeno per quello che riguarda interrogatori in mia presenza” ha detto Natoli, specificando di non essere comunque “tra gli assegnatari del fascicolo“.
Diversamente è certo che Mutolo, fuori verbale, parlò a Borsellino dei legami tra Cosa nostra e Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde.
La novità è che Paolo Borsellino potrebbe aver parlato di questo con il Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra. E ciò sarebbe avvenuto pochi giorni prima della strage.
A raccontarlo è stato lo stesso Natoli dopo aver riletto la sua audizione al Csm del 30 luglio del 1992. Un verbale che è stato desecretato solo due anni fa, nel trentennale delle stragi. “Avevo dimenticato, con sorpresa l’ho letta e la sto riferendo, che Paolo Borsellino il venerdì 17 (luglio, ndr) al mattino dice a me e a Guido Lo Forte ‘sbrighiamoci perché io oggi alle due e mezza devo prendere un aereo perché devo rientrare a Palermo perché nel pomeriggio ho una riunione di coordinamento col procuratore Tinebra”. Natoli racconta anche di aver letto in un articolo di giornale il riferimento per cui, proprio il 17 luglio, secondo i tabulati tra le 12.40 e le 12.42, Borsellino telefonò a Tinebra. Poiché nei giorni successivi Borsellino, secondo quanto dichiarato da più magistrati, riferì le dichiarazioni di Mutolo su Contrada ai magistrati Scarpinato, Teresi, De Francisci e Teresa Principato, sarebbe plausibile che lo stesso possa aver detto anche a Tinebra. Se fosse andata così perché, subito dopo la strage di via d’Amelio, la prima persona alla quale Tinebra chiede di collaborare alle indagini è proprio l’allora dirigente dei Servizi che, per legge, non poteva fare indagini di polizia giudiziaria? Una domanda che pure la presidenteChiara Colosimo ha voluto sottolineare pubblicamente.

L’incontro alla Caserma Carini: lo sapevano Canale e Francesco Lo Voi

Tornando a parlare della questione “mafia-appalti”, un altro punto nodale è l’incontro alla Caserma Carini che Borsellino ebbe con De Donno e Mori il 25 giugno 1992. Secondo i carabinieri in quel giorno si parlò esplicitamente del rapporto. E, come sostenuto anche dall’avvocato Trizzino, quell’incontro sarebbe stato segreto in quanto Borsellino “non si fidava dei colleghi della procura di Palermo”.
Una versione smentita da Natoli dal momento che ha dichiarato che diverse persone erano a conoscenza dell’incontro: “Non me l’ha chiesto mai nessuno – ha detto Natoli – ma ripeto anche qua certamente o quasi sicuramente era presente pure Franco Lo Voi e c’era pure il maresciallo Canale. Sono nella stanza di Borsellino e siamo evidentemente al 25“; “stiamo parlando, come dicevo l’altra volta dei riesami che si stavano facendo al Tribunale della Libertà per gli indagati del mandato di cattura Vaccarino ed altri, e ad un certo punto il maresciallo Canale dice al procuratore Borsellino: ‘Procuratore si ricordi che ha quell’impegno alla caserma Carini’; e Borsellino dice: ‘Scusatemi, scusatemi perché in effetti devo andare alla caserma Carini ad incontrare Mori e il capitano De Donno’. Quindi io so di questo incontro, poi non so se l’incontro effettivamente ci fu, avrei poi letto che effettivamente c’è stato, ma comunque so di questo incontro quella stessa mattina”.“Falcone voleva indagare su Gladio”

In commissione l’ex magistrato ha riferito di essere stato coinvolto come giudice istruttore nelle indagini su omicidi politici, incluso quelli di Reina, Mattarella e La Torre. Durante l’istruttoria formale che doveva “concludersi entro il 31 dicembre del 1990” è giunta una richiesta dall’avvocato Zupo di fare degli accertamenti sulle liste di Gladio. Questo ha creato una questione di tempistica poiché le indagini su Gladio richiedevano tempo, ma i termini erano ristretti.
In procura, ha riferito Natoli, venne fatta una discussione riguardo alla metodologia delle indagini su Gladio: “Falcone era per un’indagine a tutto campo mentre altri, il procuratore se ricordo bene, il procuratore Giammanco, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone erano per fare delle indagini che tenessero conto dell’istruttoria che si andava a chiudere, cioè dell’istruttoria formale che avevamo io e Leonardo Guarnotta“.
Successivamente, si decise di unire le indagini su Gladio con un’altra indagine in corso riguardante l’omicidio di un ex sindaco Insalaco. Il collegamento tra i due casi era dato dal fatto che l’ex sindaco potrebbe avere avuto legami con agenzie di informazione coinvolte in Gladio. Natoli si recò al SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) e prese “contatti con l’allora ammiraglio Martini” per verificare i legami tra i presunti gladiatori e le informazioni emerse durante le indagini sui precedenti omicidi politici. Alla fine, ha riferito, non sono emerse prove significative dalle indagini su Gladio o sul caso dell’ex sindaco.
Ma comunque – ha concluso Natoli – c’è Giovanni Falcone che su Gladio vuole fare un’indagine a tutto campo come era abituato a farle lui, cioè con una visione a 360 gradi della questione e viceversa il procuratore Gianmanco aveva una visione assolutamente minimalista della questione”.