Reggio Calabria, 5mila tonnellate di rifiuti sversate in un torrente

 
 

Alle persone coinvolte nell’indagine, condotta dai carabinieri, vengono contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, disastro e inquinamento ambientale, attività di gestione di rifiuti non autorizzata e occupazione abusiva di suolo pubblico. L’arresto è stato fatto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio Calabria su richiesta del procuratore della Repubblica, Giovanni Bombardieri, e del Procuratore aggiunto, Stefano Musolino. Il gip ha disposto anche il sequestro preventivo dell’intero patrimonio di un’azienda specializzata in attività di demolizione e movimento terra della quale i titolari ed alcuni dipendenti sono le persone indagate. Sono stati sequestrati anche conti correnti bancari, quote sociali, autocarri, mezzi d’opera ed alcune automobili di lusso. Gli indagati hanno un’età compresa tra i 35 e i 65 anni ed alcuni hanno precedenti in materia ambientale e per associazione per delinquere di tipo mafioso. Alcuni degli stessi indagati, inoltre, in passato, avevano subito provvedimenti antimafia che avevano portato alla confisca di una società operante nello stesso settore dello smaltimento dei rifiuti e riconducibile a locali cosche di ‘ndrangheta. Le indagini sono partite da diversi sopralluoghi dei carabinieri sul torrente interessato dallo sversamento illecito dei rifiuti, che avveniva, tra l’altro, in pieno giorno. I rifiuti consistevano soprattutto in inerti provenienti da attività edili.


Reggio, cinquemila tonnellate di rifiuti nel torrente Valanidi: un arresto e quattro denunce 

Dalle prime ore del mattino, nella città di Reggio Calabria, i Carabinieri della locale Compagnia stanno eseguendo un’ordinanza di misura cautelare personale e reale nei confronti di 5 uomini, di età compresa tra i 35 e i 65 anni, con precedenti in materia ambientale ed associazione di tipo mafioso, titolari e dipendenti di un’azienda specializzata in attività di demolizione e movimento terra. Gli stessi sonoritenuti responsabili di far parte di un’associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti, disastro e inquinamento ambientale, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, occupazione abusiva di suolo pubblico.

Agli arresti domiciliari è finito l’imprenditore Bruno Crucitti, 65 anni.  Gli indagati sono Daniele Crucitti, Francesco Crucitti, Edoardo Belfiore e Giovanni Salvatore Vittoriano.  Sono stati sequestrati quote sociali e patrimonio aziendale della Crucitti group Srl.  L’operazione rappresenta l’epilogo di un’articolata attività di indagine iniziata nel gennaio e conclusa ad aprile 2023, condotta dalla Stazione di Rosario Valanidi della Compagnia di Reggio Calabria e coordinata dalla locale Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia – diretta da Giovanni Bombardieri, che ha permesso di interrompere una serie di reati, tra i più pericolosi per l’ambiente e l’incolumità pubblica.

Gli accertamenti dei militari sono iniziati a seguito di alcuni sopralluoghi, nei quali veniva riscontrato lo sfruttamento delittuoso del torrente Valanidi, da parte della società edile in argomento. In particolare, dalla complessa ed approfondita attività di indagine svolta dai Carabinieri, è emersa l’esistenza di un vero e proprio sodalizio criminale dedito alla commissione di delitti in materia ambientale. L’inaudita gravità dei delitti commessi, connotati da danni di irreparabile pregiudizio per l’equilibrio ambientale del sito in questione, sottolinea la spiccata pericolosità degli indagati, la cui spregiudicatezza è stata tale da agire esclusivamente in piena mattinata. Le indagini, di natura tradizionale e tecnica, consentivano di verificare come l’anzidetta azienda, in assenza delle previste concessioni e autorizzazioni ambientali, riceveva e trasportava abusivamente all’interno del proprio cantiere – anche mediante false attestazioni – ingenti quantitativi di inerti, provenienti da attività edili di terzi, così da ottenere illeciti profitti, eludendo la prevista tracciabilità dell’origine, natura e destinazione.

Si accertava, soprattutto, che il traffico illecito veniva svolto utilizzando anche false attestazioni, mediante le quali i mezzi pesanti aziendali, con plurime operazioni di scarico (all’incirca un centinaio al mese), sversavano con l’utilizzo di mezzi pesanti, reiteratamente e spregiudicatamente, all’interno del greto del torrente Valanidi ingenti quantitativi di rifiuti speciali: materiale inerte e relativi residui fangosi, scarti da cantieri edili e demolizione. Nella circostanza, si appurava che erano state realizzate numerose discariche a cielo aperto collocate nell’alveo del fiume per circa un chilometro.

Veniva stimato che all’interno della fiumara – bene demaniale sottoposto a tutela paesaggistica – erano stati illecitamente smaltiti oltre cinquemila tonnellate dei citati rifiuti speciali. Oltre tutto, in maniera del tutto indiscriminata, mediante i propri escavatori, la ditta sottraeva, impossessandosene, pietrisco costituente la base naturale del torrente per il successivo reimpiego del medesimo in lavorazioni di settore.

Nondimeno, il torrente Valanidi, certificato anche come corridoio ecologico tra due habitat naturali protetti, subiva un disastro ambientale a causa di tali forme di smaltimento, che ne determinavano l’alterazione della normale conformazione. Si creavano così insidiose barriere artificiali originate dalla stratificazione e compattazione dei materiali smaltiti, cagionando in tal modo un forte pregiudizio al naturale decorso delle acque. Tale accumulo risultava essere un importante e pericoloso amplificatore del pericolo esondazione in zona già classificata a rischio sotto il profilo dell’assetto idrogeologico con ipotizzabili effetti devastanti per gli 83 nuclei familiariresidenti nelle adiacenze. Invero, la specifica area in argomento, già in data 22 ottobre 1953, era stata colpita dall’esondazione del torrente, provocando la morte di 44 persone tra la popolazione locale.

Specifica perizia tecnica certificava la compromissione della morfologia naturale del sito a causa delle operazioni in trattazione, che hanno causato l’incremento della possibilità di esondazione in caso di eventi pluviometrici estremi, l’aumento del rischio igienico sanitario, la deturpazione dell’area e danni agli habitat fluviali.

Nell’ambito della medesima attività investigativa è stato operato il sequestro preventivo dell’intero patrimonio aziendale, comprensivo di conti correnti e quote sociali, autocarri, mezzi d’opera ed autovetture di lusso. Gli approfondimenti investigativi, peraltro, hanno consentito di verificare che i soggetti indagati, in relazione alla medesima attività lavorativa, in passato erano già incorsi in provvedimenti antimafia che hanno portato alla confisca di precedente società operante nello stesso settore e riconducibile a locali cosche di ‘ndrangheta.

Questa attività d’indagine racchiude la sensibilità dell’Arma reggina in materia di tutela dell’ambiente e conseguente repressione dei reati commessi a danno dell’ecosistema naturale. Il traffico illecito di rifiuti e il successivo smaltimento in aree fluviali, infatti, che hanno causato il disastro ambientale oggetto d’indagine, sono alcune delle attività più lucrose della malavita e che mette a repentaglio l’incolumità dei cittadini della provincia di Reggio Calabria. Prendersi cura dell’ambiente e vigilarvi è la sfida odierna dell’Arma dei Carabinieri a salvaguardia della popolazione locale, con un’attenzione particolare all’avvenire delle future generazioni. Trattandosi di provvedimento in fase di indagini preliminari, rimangono salve le successive determinazioni in fase dibattimentale.

Gip: «Disastro ambientale»

«Un disastro ambientale, con l’alterazione della normale conformazione dell’ecosistema e con il conseguente rischio di esondazioni, in caso di piogge intense, e pericoli per la popolazione».

É quanto afferma il Gip di Reggio Calabria, Angela Mennella, nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita dai carabinieri a carico di Bruno Crucitti, di 65 anni, titolare dell’impresa “Crucitti Group Srl”, accusato, insieme ad altre quattro persone, di avere sversato cinquemila tonnellate di rifiuti nell’alveo del torrente “Valanidi”. I rifiuti depositati illecitamente consistevano in materiale inerte e relativi residui fangosi e scarti da cantieri edili e demolizione. Nell’inchiesta sono indagati, oltre a Crucitti, indicato come «capo, direttore organizzativo ed esecutore materiale» dell’associazione per delinquere sgominata dai carabinieri, i due figli dell’imprenditore, Francesco e Daniele Crucitti, di 39 e 36 anni, rispettivamente amministratore unico e socio dell’impresa di famiglia, e due dipendenti con mansioni di autisti, Edoardo Belfiore, di 56 anni, e Giovanni Salvatore Vittoriano, di 59.

Una perizia tecnica disposta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha certificato, scrive il Gip nell’ordinanza, «la compromissione della morfologia naturale del sito» a causa delle operazioni di scarico dei rifiuti, «che hanno provocato l’incremento della possibilità di esondazione in caso di eventi pluviometrici estremi, l’aumento del rischio igienico sanitario, la deturpazione dell’area e danni agli habitat fluviali». La modifica della conformazione del Valanidi, infatti, «ha determinato – riferisce una nota stampa dei carabinieri – la creazione di insidiose barriere artificiali originate dalla stratificazione e compattazione dei materiali smaltiti, cagionando in tal modo un forte pregiudizio al naturale decorso delle acque. Tale accumulo risultava essere un importante e pericoloso amplificatore del pericolo esondazione in una zona, peraltro, già classificata a rischio sotto il profilo dell’assetto idrogeologico, con ipotizzabili effetti devastanti per gli 83 nuclei familiari residenti nelle adiacenze».  Nella stessa zona, tra l’altro, 70 anni fa, ci fu un’esondazione dello stesso torrente Valanidi che provocò la morte di 44 persone.

Ecomafie: 84 reati ambientali al giorno, quasi 9 miliardi di fatturato