GIOACCHINO GENCHI: “A Roma non volevano che si andasse in una certa direzione che non fosse Cosa nostra e questo me lo disse La Barbera”

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Depistaggio via d’Amelio, parla Genchi: focus su agenda rossa e La Barbera A Caltanissetta la deposizione dell’ex poliziotto al processo che vede alla sbarra tre poliziotti “La strategia di Arnaldo La Barbera era di ‘vestire il pupo’ perché a Roma non volevano che si andasse in una certa direzione che non fosse Cosa nostra e questo me lo disse La Barbera”.
A raccontarlo è l’ex vicequestore aggiunto Gioacchino Genchi, oggi avvocato, deponendo al processo d’appello sul depistaggio sulla strage di via d’Amelio a Caltanissetta.
Sul banco degli imputati siedono Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre agenti accusati di concorso in calunnia aggravata. Genchi, che all’epoca dei fatti era un giovane poliziotto, ha inoltre riferito che l’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera esprimeva l’esigenza di “confezionare il pacco, per chiudere le indagini, avere una promozione e andare via da Palermo’”. E ancora: Non si volevano individuare i veri responsabili delle stragi. Su Capaci c’era il movente politico”.
Secondo la Procura generale La Barbera, oggi defunto, e i poliziotti del gruppo “Falcone e Borsellino”, che si trovano alla sbarra, avrebbero istruito il pentito Vincenzo Scarantino a dire il falso sulle stragi.
“La Barbera aveva preso una deriva e non stava lavorando per fini istituzionali che ci eravamo prefissi –All’inizio lo ritenevo in buona fede. Ma lui sapeva già dall’89 che i limiti della mia disponibilità si fermano nel momento in cui si tratta di entrare dentro il codice penale come soggetti attivi di reato. Io ho giurato fedeltà alle leggi. Io non ho fatto la scelta di fare il criminale.
Ho fatto una scelta diversa e come tale non accettavo di trasgredire i miei doveri istituzionali”. Secondo la ricostruzione del testimone, La Barbera gli disse più volte che “i servizi segreti volevano entrare nelle indagini delle stragi mafiose del 1992. Ci fu un tentativo di Contrada di entrare nelle indagini e andarono pure da Pignatone. Se La Barbera avesse saputo che Contrada aveva rapporti con la procura di Caltanissetta non mi avrebbe fatto indagare su Contrada”. FRATERNO SOSTEGNO AD AGNESE BORSELLINO 

 

 

Genchi: “A Roma non volevano che si andasse in una certa direzione che non fosse Cosa nostra e questo me lo disse La Barbera” – [10 febbraio 2024] Depistaggio via d’Amelio, parla Genchi: focus su agenda rossa e La Barbera A Caltanissetta la deposizione dell’ex poliziotto al processo che vede alla sbarra tre poliziotti “La strategia di Arnaldo La Barbera era di ‘vestire il pupo’ perché a Roma non volevano che si andasse in una certa direzione che non fosse Cosa nostra e questo me lo disse La Barbera”. A raccontarlo è l’ex vicequestore aggiunto Gioacchino Genchi, oggi avvocato, deponendo al processo d’appello sul depistaggio sulla strage di via d’Amelio a Caltanissetta. Sul banco degli imputati siedono Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre agenti accusati di concorso in calunnia aggravata. Genchi, che all’epoca dei fatti era un giovane poliziotto, ha inoltre riferito che l’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera esprimeva l’esigenza di “confezionare il pacco, per chiudere le indagini, avere una promozione e andare via da Palermo’”. E ancora: “Non si volevano individuare i veri responsabili delle stragi. Su Capaci c’era il movente politico”. Secondo la Procura generale La Barbera, oggi defunto, e i poliziotti del gruppo “Falcone e Borsellino”, che si trovano alla sbarra, avrebbero istruito il pentito Vincenzo Scarantino a dire il falso sulle stragi. “La Barbera aveva preso una deriva e non stava lavorando per fini istituzionali che ci eravamo prefissi – ha detto -. All’inizio lo ritenevo in buona fede. Ma lui sapeva già dall’89 che i limiti della mia disponibilità si fermano nel momento in cui si tratta di entrare dentro il codice penale come soggetti attivi di reato. Io ho giurato fedeltà alle leggi. Io non ho fatto la scelta di fare il criminale. Ho fatto una scelta diversa e come tale non accettavo di trasgredire i miei doveri istituzionali”. Secondo la ricostruzione del testimone, La Barbera gli disse più volte che “i servizi segreti volevano entrare nelle indagini delle stragi mafiose del 1992. Ci fu un tentativo di Contrada di entrare nelle indagini e andarono pure da Pignatone. Se La Barbera avesse saputo che Contrada aveva rapporti con la procura di Caltanissetta non mi avrebbe fatto indagare su Contrada”.