di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 5 dicembre 2023
Che la borsa di Borsellino sia giunta nell’ufficio dell’allora questore Arnaldo La Barbera era già notorio. È già storia che a recuperarla in questura, a distanza di cinque mesi, sia stato Fausto Cardella della procura di Caltanissetta. Ma non è tuttora risolto che fine abbiano fatto i documenti e l’agenda rossa che Borsellino custodiva all’interno della sua valigetta. Così come non è ancora accertato se la prima destinazione della borsa fosse la questura o la procura di Palermo. I verbali di interrogatorio dei cinque poliziotti non chiariscono questo punto. Emerge solamente che la borsa è stata portata nell’auto del sovrintendente Francesco Maggi. Poi si suppone che fosse subito portata in questura, dando credito a una parte della versione di Maggi che, grazie a questi verbali, risulta ancor di più inattendibile. Silenzio stampa e non solo, su alcuni dettagli fondamentali che Il Dubbio è in grado di rilevare dopo un’attenta lettura dei verbali.
Prima di rilevarli, cominciamo nel dire che da questi verbali si può giungere alla definitiva smentita della fantasiosa narrazione di questi anni, rimarcata nelle trasmissioni tv e, purtroppo, inizialmente cristallizzata nelle motivazioni del primo processo del Borsellino Quater: tutti i poliziotti sentiti dai procuratori nisseni smentiscono la presenza di uomini in giacca e cravatta che rovistavano tra le fiamme appena qualche minuto dopo l’attentato del 19 luglio 1992 in Via D’Amelio. Ricostruzione che nasce con le dichiarazioni di Maggi, ora rivelatasi inattendibili. Così come, sempre dalla lettura dei verbali, risulta un falso che a prendere la borsa dall’auto di Borsellino sarebbe stato lui. Non solo. Smentita, ma già questo è già acclarato, la presenza di Bruno Contrada. Così come, ed è questa la parte più triste di tutta questa vicenda, emerge la completa innocenza e soprattutto la buona fede del carabiniere Giovanni Arcangioli. Dovette subire un linciaggio pubblico a causa dei media e soprattutto un processo. Reo di essere stato immortalato con la borsa e accusato di aver sottratto lui l’agenda rossa. Tutte falsità.
Secondo i verbali, il passaggio della borsa di Borsellino avviene così: il carabiniere Arcangioli la prende, consegnata dall’ex giudice Ayala o da un magistrato sconosciuto, quindi l’ispettore Giuseppe Lo Presti gli intima di dargliela e ordina al poliziotto Armando Infantino di collocare la borsa nella macchina guidata da Maggi. Da questo momento, non è chiaro se la borsa sia stata portata direttamente in questura o se ci sia stato un passaggio nella procura di Palermo. C’è la versione di Maggi che dice di averla consegnata a un funzionario della questura che poi l’avrebbe dato a La Barbera, ma oltre ad aver appurato che ha dato versioni completamente inattendibili, come d’altronde emerge anche dalle motivazioni del primo processo Maio Bo + 4, sappiamo che il questore La Barbera non era presente il 19 luglio, ma arriverà a tardissima notte.
Veniamo al punto. A differenza di ciò che ha detto il sostituto procuratore generale di Caltanissetta Gaetano Bono, il vero convitato di pietra di questa vicenda non sono i servizi segreti, ma diversi magistrati di Palermo che non solo erano sul posto subito dopo la strage ma, come emerge dai verbali al Csm del 1992 e, in particolare, dalle parole degli ex pm Gioacchino Natoli e Vittorio Aliquo, hanno anche visto il contenuto della borsa: documenti, tra i quali il verbale di Mutolo. Non solo. Ora grazie ai verbali emerge un dettaglio fondamentale.
Prima di citarlo, ricordiamo che l’anno scorso Il Dubbio sollevò la questione dell’ufficio di Borsellino ritrovato semivuoto dai figli Lucia e Manfredi il giorno dopo per essere presenti all’inventario. Lo hanno testimoniato loro stessi innanzi ai pm di Caltanissetta, nel 2013. Il giorno dopo la strage del 19 luglio, infatti, raccontano di aver partecipato all’inventario dell’ufficio del padre alla procura di Palermo e notarono la mancanza di tutti i fascicoli delle ultime inchieste che il magistrato stava seguendo. “Era chiaro che qualcuno aveva messo le mani in quella stanza”, hanno spiegato, “non c’erano fascicoli, né interrogatori legati alle inchieste sulle quali papà lavorava”.
In sostanza sono spariti, con tutta tranquillità e alcun clamore, i documenti dall’ufficio di Borsellino. Un fatto inquietante che la stessa moglie di Borsellino rivelò al giornalista Sandro Ruotolo, che rese pubblica la testimonianza solamente dopo la sua morte (il 5 maggio 2013), rispettando il volere della signora. Cosa disse? “Il giorno dopo la strage – ha rivelato la signora Agnese prima di morire – la polizia investigativa entra dentro l’ufficio della procura di Paolo, ci vanno anche i miei figli Lucia e Manfredi: entrano e si accorgono che tutti i suoi cassetti erano stati svuotati, non c’erano né carte e né tantomeno i suoi appunti!”.
Forse non sono spariti, magari requisiti da altri soggetti. Quindi dovrebbe esserci un verbale. Uno dei tanti non richiesti o acquisiti in questi 31 anni. Ora grazie alla lettura degli interrogatori dei cinque poliziotti, abbiamo una risposta su chi fossero questi soggetti: i magistrati di Palermo. Precisamente riguarda il verbale di interrogatorio dell’attuale Vice Questore Andrea Grassi. Ecco cosa dice innanzi ai pm nisseni: “Nell’immediatezza dell’evento non ho redatto atti di P.G. o, quanto meno, non ne ho ricordo, mentre ricordo che, credo nella tarda serata di quel giorno, ho coadiuvato magistrati della procura di Palermo nell’ispezione dell’ufficio del dottor Borsellino, presso la Procura di Palermo, per essere più precisi, da via D’Amelio raggiunsi gli uffici della Squadra Mobile unitamente al dottor Sanfilippo, a bordo della sua moto privata, e da lì mi recai in Procura, credo con il dottor Fassari”.
Ebbene, ad ispezionare l’ufficio sono stati i magistrati di Palermo. Esiste un verbale di ispezione? Sono stati sentiti dalla procura nissena? Ad oggi non risulta. Eppure questo dato va a confermare ciò che è scritto nel nuovo libro di Vincenzo Ceruso, “La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio” edito da Newton Compton Editor, dove per la prima volta si riporta la testimonianza di Salvatore Pilato, il quale il giorno della strage di Via D’Amelio era in servizio come magistrato di turno assieme a Luigi Patronaggio. Anche se quest’ultimo, in commissione antimafia presieduta da Chiara Colosimo, ha precisato di essere stato di “secondo turno”. Ebbene il magistrato Pilato rivela a Ceruso che i suoi colleghi gli hanno riferito che nell’ufficio di Borsellino c’era l’agenda rossa.
Sommando questa rivelazione con le dichiarazioni di Natoli e Aliquo al Csm, ben riportate nella sua interezza nel libro, e il dettaglio emerso dai verbali di interrogatorio ai cinque poliziotti, si fa sempre più strada l’ipotesi che in qualche modo il contenuto della borsa di Borsellino sia giunto in Procura. Forse in un sacco di plastica? Lo stesso che sarà descritto dal verbale redatto da Cardella, ma con poca robetta (in più la presenza di tre documenti, ma che tuttora non si è dato sapere il contenuto) e con un biglietto nel quale si legge: “Rinvenuto sul luogo della strage, ass. Maggi Francesco”? La borsa che giungerà in questura da La Barbera era già “svuotata”? Per avere delle risposte, basterebbe ricostruire il quadro, ma questa volta sentendo tutti i magistrati viventi che erano sul luogo dell’attentato (non solo i soliti poliziotti o improbabili servizi segreti) e recuperando eventuali verbali. Primo tra tutti quello che riguarda l’ispezione svolta dai magistrati palermitani nell’ufficio di Borsellino. Ma ancora una volta, lo sguardo è altrove. Addirittura si dà credito ad un improbabile testimonianza di un ex amico della famiglia di La Barbera. I mass tornano nuovamente a svolgere il ruolo tossico avuto durante il periodo del surreale processo trattativa, enfatizzando il nulla. In questo ultimo periodo si sono fatti passi da gigante, basti pensare alla pista mafia- appalti. Ma basta poco per ricadere nelle tesi che creano fumo e neutralizzano i fatti nudi e crudi che man mano cominciano a emergere.